Diritto all'ozio


MARTE E TIBULLO

 

Ma che era matto quello lì? Ahò, pensate, non c'era romano che non si desse da fare, menando le mani e la spada, per fare Roma sempre più grande, che il mondo pareva che a un certo punto scoppiasse, talmente non poteva più contenere la potenza di 'sto popolo. e quel frescone manco se ne dava per inteso. E s'era messo a fare certe poesie - 'na vigliaccata, figlio d'una mignotta! - laonde per cui il mondo così non andava bene, che quant'era meglio starsene sdraiato all'ombra di un albero a pigliarsi la frescura (e chi glielo faceva fa' a certuni di fare guerre!), che maledetto chi aveva inventato la spada e maledetto di qua e maledetto di là e che ci venga un accidente a questo e un accidente a quello e che «te possino.» a destra e «te possino.» a sinistra. e finalmente un giorno Marte si stufò. V'han detto che Marte era un dio. Non date retta. Si trattò di un ministro della guerra che visse così a lungo, all'animaccia sua, che a un certo punto il popolo si mise a dire: «E che è immortale?» Ma a furia di chiederselo a vicenda , ci fu uno che un giorno non mise più il punto interrogativo e tutti ci abboccarono che fosse immortale. Quando crepò, i governanti che ormai ci tenevano che quei pecoroni dei popolani credessero di avere un ministro della guerra immortale e divino, fecero finta di niente. Dice: «Marte dov'è?» «Niente, niente, s'è fatto una passeggiata in cielo, ma ora torna» e gli fecero un tempio, che levati!

Ai tempi di Tibullo Albino (lui, poi, per snob si fece chiamare Albio Tibullo) il predetto signor ministro viveva ancora e si volle passar lo sfizio di andargliene a dire quatto sul grugno a questo poeta. Voi dite: un ministro in persona. un momento, vi rispondo, innanzi tutto a quei tempi i ministri erano così, alla buona, e poi con quella sorta di propaganda che faceva, c'era da mandarlo, il signor Tibullo, dritto dritto in galera per disfattismo e non so quant'altri reati previsti dal codice penale. Dunque, ci andò e lo trovò nella sua villa di campagna a pancia all'aria, gonfio di salsiccia e di vino. E si capisce! Lui era il cantore degli dei agresti e dei campi e lui stesso con le sue mani, diceva il bugiardo, lavorava il podere. Bel modo di lavorare!

- A li mortacci tui! - lo interpellò senza tante storie il ministro.

- A sor ministro - replicò pronto il poeta - i miei penati li lasci in pace, perché se no io lo denuncio per bestemmia e le pianto una grana con interpellanze alla camera e scandali, che se ne accorgerà.

- Senta, signor poeta dei miei calzari, stia zitto e badi che se non la smette di fare quella sorta di poesie, altro che fare delle minacce, te faccio fa' una brutta fine, te faccio.

- Ahò, ma dico. - Niente dico. Dico io invece: ma tu saresti un poeta romano? - Come sarebbe a di'?

- Dico che lei maledice la guerra e dimentica che le guerre ci hanno fatti quelli che siamo; chiama barbaro chi primo impugnò la spada e si dimentica che se noi posiamo la spada, saranno gli altri, i barbari, a farci una carezzina sul collo con la spada. Ma che te se' ammattito? Ma ci pensi.- Be', se è per questo, signor ministro, Le prometto che non ne scriverò più poesie così. - Sì, va bene, ma non è finita. Lei, caro poeta, ne scrive di porcate. No, non interrompa. Che è questo esaltare i lavori manuali? Poeta degli schiavi, ecco cosa è lei. Ma non pensa che il cittadino romano non può, non deve lavorare? Che l'avremmo fatte a fa' le leggi frumentarie? Il romano deve vivere a spese dell'annona, dello stato, cioè dei bottini di guerra. Diritto all'ozio, sissignore. Ma deve essere sempre pronto a menare le mani e, in tempo di pace, deve pensare alla politica, altro che risuolare scarpe e spaccare pietre.- Ma io non mi sogno di esaltare questi lavori, io canto il lavoro dei campi, io glorifico la civiltà di Roma che è civiltà agreste. L'Eneide è o non è un'epopea di contadini?

- Oè, oè, vacci adagio, vacci. Anzitutto lasciamo perdere la primitiva civiltà agreste di Roma. Che lei crede a quello che viene scrivendo il signor Tito Livio? Detto in confidenza, noi del governo lo paghiamo sottomano.sa com'è.... un po' d' propaganda..... E poi lei mi cita Virgilio. Ma non ricorda che Virgilio ha scritto: Tu regere imperio populos, romane, memento. - Prego, signor ministro. Mi sa che lei non se ne intende proprio di storia. E Cincinnato? 'ndove lo mettemo? ched'è Cincinnato? Non è l'ideale del cittadino, agricoltore?

- Ma va là, poeta, non facciamo anche noi i laudatores temporis acti, come quel vecchio rosso cafone di Tuscolo. Sì, può darsi che le occupazioni agresti siano state rispettate dai romani di allora, ma si trattava di allenamento alle fatiche della guerra. L'ideale del cittadino piccolo agricoltore! Puah, che schifo! Lasciale dire al pedantissimo censore, al cafone sullodato, queste cose. Egli, poveretto, doveva brontolare: era suo destino; l'antica civiltà romana che doveva salvarsi dalle pestifere esalazioni dell'influsso ellenistico; il selciato delle piazze che doveva essere aguzzo per evitare che i cittadini si fermassero a chiacchierare e perdessero tempo; le mogli dei magistrati che non potevano essere ritratte in statue... per non citare che alcune delle imbecillerie del vecchio bisbetico. Egli non poteva capire che il romano era ed è grande, perché ha assorbito e assorbe tutte le civiltà e le supera con la sua, perché non ha né può avere una morale da padrone di fattoria, da fuligginoso contabile, da zappatore, ma ha quella del superbo dominatore, del padrone di turbe di lavoratori, del signore ozioso e guerriero.

Ma Tibullo, distrattosi, non dava più retta a questa lunga tirata. Il suo sguardo spaziava per la campagna intorno.

- Sì - disse dopo un po' - forse hai ragione, il lavoro dei campi è un vagheggiamento letterario, che può però divenire la più cara delle nostalgie, la nostalgia per un mondo felice e perduto, forse per sempre. 0 fortunatos nimium, sua si bona norint agricolas, sì, le Georgiche non sono che l'epicedio, di un mondo scomparso. Scomparso, ma non per questo meno bello.

Il signor ministro Marte rimase zitto un bel po'. Sentiva d'essere stato battuto e se ne compiacque. Ma come? Sì, gli piaceva questa sottile malinconia che gli aveva messo addosso il poeta.

- Ma sai che ti dico - riprese dopo un po' - non prendiamocela tanto, beviamoci sopra e sdraiamoci qui, all'ombra.