Diritto all'ozio


INTRODUZIONE

 

Un trattato, un trattato vero, e non una raccolta di racconti come questa, avrei voluto scrivere per dimostrare che l'ozio non è il padre dei vizi, come ci hanno insegnato alla prima elementare, ma è il padre della civiltà umana, per sostenere che all'ozio si ha veramente diritto.

Sì, turiamoci pure le orecchie nel sentire che gli antichi chiamavano il lavoro figlio dell'Erebo e della Notte. Noi moderni ci siamo fatti un idolo del lavoro, cui tutti siamo obbligati a bruciare il nostro granellino di incenso e si parla di diritto al lavoro, di scuola del lavoro, di problematica del lavoro, di filosofia, ahimè, del lavoro.

E quando non siamo occupati col lavoro, abbiamo l'hobby: questa orrenda parola che si usa persino per indicare la pura e disinteressata attività dello spirito e dell'arte, che sarebbe invece più onesto chiamare a piene lettere ozio, come facevano gli antichi.

Ma a noi le concezioni degli antichi sembrano eresie. Se riuscissimo ad essere meno ipocriti, forse riconosceremmo che essi avevano ragione nel considerare l'ozio come lo stato migliore perché l'uomo potesse attuare veramente se stesso, per ascendere negli spazi della teoresi e nei cieli dell'arte, per essere fedele alla sua missione spirituale.

E poiché la civiltà umana è soprattutto creazione spirituale: arte, filosofia, scienza, invenzione, apparirà chiaro, innegabile che l'umano progresso è frutto dell'ozio, anche se, ovviamente, l'uomo, cui basta dire fiat lux per creare la luce, ha dovuto, per realizzare le creazioni del suo ozio, per attuarle nel mondo sensibile, piegarsi al lavoro.

Volete un esempio? Guardiamo l'Oriente.

Sediamoci ai piedi di una piramide e stiamocene lì per ore e ore, fino a sentirci trasformare in un granello di sabbia nel deserto, su cui incombe feroce il sole, fino ad avvertire l'immensa nullità di quella categoria mentale che chiamiamo tempo.... Non lo possiamo fare? E allora è inutile che parliamo dell'Oriente. Come potremmo comprendere, infatti, il perché sia l'anima orientale la più incline alla contemplazione, all'ascesi, al nirvana, la più bisognosa quindi di liberarsi dai vincoli della materia?

Non basta dire che le plaghe orientali, dal clima caldo o caldo-umido, sono la zona del mondo che maggiormente induce l'uomo all'abbandono, alla sonnolenza, all'ozio. Questa è una constatazione meramente esteriore.

Bisognerebbe penetrare nell'anima dell'Oriente, per capire l'ozio dell'Oriente.

Se non ci liberiamo della buccia di uomini moderni, potremo fare delle eccellenti osservazioni, ma non avremo capito niente lo stesso.

Potremo, pensando che è proprio l'Oriente la culla dell'umana civiltà, spiegarci il perché l'ozio sia stato considerato, in tutte le civiltà antiche, come lo stato perfetto che si addiceva alle classi superiori e agli spiriti eletti. Potremo rilevare che le classi superiori e gli spiriti eletti avevano l'ozio assicurato perché gli schiavi lavoravano per loro. Non senza a questo punto storcere il muso al ricordo dell'istituto giuridico della schiavitù, perché noi moderni ne parliamo, quasi senza accorgercene, con una sottintesa aria di superiorità e di disgusto verso gli antichi, dimenticando, magari, che la schiavitù fu praticata dall'umanità fino a pochi anni fa e forse esiste tuttora sotto altro nome.

Ma, quando avremo rilevato tutto ciò, l'anima dell'Oriente resterà per noi il miraggio che si allontana man mano che ci si avvicina.

E' con le piramidi, invece, che dobbiamo parlare per avvicinarci, almeno un pochino, davvero al miraggio.

- E' vero che vi hanno costruito a forza di bastonate e per soddisfare l'assurda ambizione di un tiranno pazzo e di una classe dirigente più pazza?

Le piramidi sorridevano di compatimento.

- Ma Erodoto, che è venuto a vedervi dopo circa duemila anni dalla vostra costruzione, ha scritto che il ricordo delle fatiche che eravate costate e dei mezzi oppressivi ed inumani usati durava così vivo, ancora ai suoi tempi, che i nomi di Cheope, Kephren e Mykerinos suonavano come quelli di tiranni.

Ed ecco, per tutta risposta, il sorriso delle piramidi divenir simile a quello della non lontana Sfinge.

E ci fu gente che una volta capì il sorriso delle piramidi: era un invito a misurarle e si trovò (o si credette di trovare) che nelle dimensioni di esse erano nascoste e fissate sulla pietra cognizioni e misure astronomiche, geodetiche e matematiche, che solo da recente la scienza riusciva ad attingere: la densità e il raggio della terra, la lunghezza del meridiano, il rapporto fra circonferenza e diametro e, pare addirittura, la distanza della terra dal sole e l'inclinazione dell'asse della terra sul suo piano di rotazione.

Espressione di superbia e di tirannide, dunque le piramidi?

  Noi le guarderemo ancora e, anche se non crederemo a ciò che matematici, astronomi e teosofi fantasiosi vi hanno trovato, ci inchineremo dinanzi a quel mistero meraviglioso, che solo l'ozio di una classe elevata, veramente sovrumana e quasi divina, ha potuto creare. Un ozio che era inimmaginabile saggezza e sapienza, che era studio profondo e ricerca ansiosa del vero, che era vera liberazione dello spirito dalle catene della materia.

Gli esempi potrebbero essere portati a migliaia e si finirebbe davvero per scrivere un trattato.

Ma se non è proprio un trattato questa raccolta di racconti, ne vuole avere almeno l'aria e simularne l'apparenza. Ecco perché un primo gruppo di racconti sono riuniti sotto l'ampolloso titolo di...«Prolegomeni storici e teoria generale», mentre l'altro gruppo null'altro rappresenta che alcune dimostrazioni pratiche del mio oziare.