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Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia, comica
Dejanira, comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte |
SCENA PRIMA
Camera di Mirandolina con tavolino e biancheria da stirare.
Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Orsù, l'ora del divertimento è passata. Voglio ora badare a'
fatti miei. Prima che questa biancheria si prosciughi del tutto, voglio stirarla. Ehi,
Fabrizio.
FABRIZIO: Signora.
MIRANDOLINA: Fatemi un piacere. Portatemi il ferro caldo.
FABRIZIO: Signora sì. (Con serietà, in atto di partire.)
MIRANDOLINA: Scusate, se do a voi questo disturbo.
FABRIZIO: Niente, signora. Finché io mangio il vostro pane, sono obbligato a
servirvi. (Vuol partire.)
MIRANDOLINA: Fermatevi; sentite: non siete obbligato a servirmi in queste cose; ma
so che per me lo fate volentieri ed io... basta, non dico altro.
FABRIZIO: Per me vi porterei l'acqua colle orecchie. Ma vedo che tutto è gettato
via.
MIRANDOLINA: Perché gettato via? Sono forse un'ingrata?
FABRIZIO: Voi non degnate i poveri uomini. Vi piace troppo la nobiltà.
MIRANDOLINA: Uh povero pazzo! Se vi potessi dir tutto! Via, via andatemi a pigliar
il ferro.
FABRIZIO: Ma se ho veduto io con questi miei occhi...
MIRANDOLINA: Andiamo, meno ciarle. Portatemi il ferro.
FABRIZIO: Vado, vado, vi servirò, ma per poco. (Andando.)
MIRANDOLINA: Con questi uomini, più che loro si vuol bene, si fa peggio. (Mostrando
parlar da sé, ma per esser sentita.)
FABRIZIO: Che cosa avete detto? (Con tenerezza, tornando indietro.)
MIRANDOLINA: Via, mi portate questo ferro?
FABRIZIO: Sì, ve lo porto. (Non so niente. Ora la mi tira su, ora la mi butta
giù. Non so niente). (Da sé, parte.)
SCENA SECONDA
Mirandolina, poi il Servitore del Cavaliere.
MIRANDOLINA: Povero sciocco! Mi ha da servire a suo marcio dispetto. Mi par di
ridere a far che gli uomini facciano a modo mio. E quel caro signor Cavaliere, ch'era
tanto nemico delle donne? Ora, se volessi, sarei padrona di fargli fare qualunque
bestialità.
SERVITORE: Signora Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che c'è, amico?
SERVITORE: Il mio padrone la riverisce, e manda a vedere come sta!
MIRANDOLINA: Ditegli che sto benissimo.
SERVITORE: Dice così, che beva un poco di questo spirito di melissa, che le farà
assai bene. (Le dà una boccetta d'oro.)
MIRANDOLINA: È d'oro questa boccetta?
SERVITORE: Sì signora, d'oro, lo so di sicuro.
MIRANDOLINA: Perché non mi ha dato lo spirito di melissa, quando mi è venuto
quell'orribile svenimento?
SERVITORE: Allora questa boccetta egli non l'aveva.
MIRANDOLINA: Ed ora come l'ha avuta?
SERVITORE: Sentite. In confidenza. Mi ha mandato ora a chiamar un orefice, l'ha
comprata, e l'ha pagata dodici zecchini; e poi mi ha mandato dallo speziale e comprar lo
spirito.
MIRANDOLINA: Ah, ah,ah. (Ride.)
SERVITORE: Ridete?
MIRANDOLINA: Rido, perché mi manda il medicamento, dopo che son guarita del male.
SERVITORE: Sarà buono per un'altra volta.
MIRANDOLINA: Via, ne beverò un poco per preservativo. (Beve.) Tenete,
ringraziatelo. (Gli vuol dar la boccetta.)
SERVITORE: Oh! la boccetta è vostra.
MIRANDOLINA: Come mia?
SERVITORE: Sì. Il padrone l'ha comprata a posta.
MIRANDOLINA: A posta per me?
SERVITORE: Per voi; ma zitto.
MIRANDOLINA: Portategli la sua boccetta, e ditegli che lo ringrazio.
SERVITORE: Eh via.
MIRANDOLINA: Vi dico che gliela portiate, che non la voglio.
SERVITORE: Gli volete fare quest'affronto?
MIRANDOLINA: Meno ciarle. Fate il vostro dovere. Tenete.
SERVITORE: Non occorr'altro. Gliela porterò. (Oh che donna! Ricusa dodici
zecchini! Una simile non l'ho più ritrovata, e durerò fatica a trovarla). (Da sé,
parte.)
SCENA TERZA
Mirandolina, poi Fabrizio.
MIRANDOLINA: Uh, è cotto, stracotto e biscottato! Ma siccome quel che ho fatto
con lui, non l'ho fatto per interesse, voglio ch'ei confessi la forza delle donne, senza
poter dire che sono interessate e venali.
FABRIZIO: Ecco qui il ferro. (Sostenuto, col ferro da stirare in mano.)
MIRANDOLINA: È ben caldo?
FABRIZIO: Signora sì, è caldo; così foss'io abbruciato.
MIRANDOLINA: Che cosa vi è di nuovo?
FABRIZIO: Questo signor Cavaliere manda le ambasciate, manda i regali. Il Servitore
me l'ha detto.
MIRANDOLINA: Signor sì, mi ha mandato una boccettina d'oro, ed io gliel'ho
rimandata indietro.
FABRIZIO: Gliel'avete rimandata indietro?
MIRANDOLINA: Sì, domandatelo al Servitore medesimo.
FABRIZIO: Perché gliel'avete rimandata indietro?
MIRANDOLINA: Perché... Fabrizio... non dica... Orsù, non parliamo altro.
FABRIZIO: Cara Mirandolina, compatitemi.
MIRANDOLINA: Via, andate, lasciatemi stirare.
FABRIZIO: Io non v'impedisco di fare...
MIRANDOLINA: Andatemi a preparare un altro ferro, e quando è caldo, portatelo.
FABRIZIO: Sì, vado. Credetemi, che se parlo...
MIRANDOLINA: Non dite altro. Mi fate venire la rabbia.
FABRIZIO: Sto cheto. (Ell'è una testolina bizzarra, ma le voglio bene). (Da
sé, parte.)
MIRANDOLINA: Anche questa è buona. Mi faccio merito con Fabrizio d'aver ricusata
la boccetta d'oro del Cavaliere. Questo vuol dir saper vivere, saper fare, saper
profittare di tutto, con buona grazia, con pulizia, con un poco di disinvoltura. In
materia d'accortezza, non voglio che si dica ch'io faccia torto al sesso. (Va stirando.)
SCENA QUARTA
Il Cavaliere e detta.
CAVALIERE: (Eccola. Non ci volevo venire, e il diavolo mi ci ha strascinato!. (Da
sé, indietro.)
MIRANDOLINA: (Eccolo, eccolo). (Lo vede colla coda dell'occhio, e stira.)
CAVALIERE: Mirandolina?
MIRANDOLINA: Oh signor Cavaliere! Serva umilissima. (Stirando.)
CAVALIERE: Come state?
MIRANDOLINA: Benissimo, per servirla. (Stirando senza guardarlo.)
CAVALIERE: Ho motivo di dolermi di voi.
MIRANDOLINA: Perché, signore? (Guardandolo un poco.)
CAVALIERE: Perché avete ricusato una piccola boccettina, che vi ho mandato.
MIRANDOLINA: Che voleva ch'io ne facessi? (Stirando.)
CAVALIERE: Servirvene nelle occorrenze.
MIRANDOLINA: Per grazia del cielo, non sono soggetta agli svenimenti. Mi è
accaduto oggi quello che mi è accaduto mai più. (Stirando.)
CAVALIERE: Cara mirandolina... non vorrei esser io stato cagione di quel funesto
accidente.
MIRANDOLINA: Eh sì, ho timore che ella appunto ne sia stata la causa. (Stirando.)
CAVALIERE: Io? Davvero? (Con passione.)
MIRANDOLINA: Mi ha fatto bere quel maledetto vino di Borgogna, e mi ha fatto male.
(Stirando con rabbia.)
CAVALIERE: Come? Possibile? (Rimane mortificato.)
MIRANDOLINA: È così senz'altro. In camera sua non ci vengo mai più. (Stirando.)
CAVALIERE: V'intendo. In camera mia non ci verrete più? Capisco il mistero. Sì,
lo capisco. Ma veniteci, cara, che vi chiamerete contenta. (Amoroso.)
MIRANDOLINA: Questo ferro è poco caldo. Ehi; Fabrizio? se l'altro ferro è caldo,
portatelo. (Forte verso la scena.)
CAVALIERE: Fatemi questa grazia, tenete questa boccetta.
MIRANDOLINA: In verità, signor Cavaliere, dei regali io non ne prendo. (Con
disprezzo, stirando.)
CAVALIERE: Li avete pur presi dal Conte d'Albafiorita.
MIRANDOLINA: Per forza. Per non disgustarlo. (Stirando.)
CAVALIERE: E vorreste fare a me questo torto? e disgustarmi?
MIRANDOLINA: Che importa a lei, che una donna la disgusti? Già le donne non le
può vedere.
CAVALIERE: Ah, Mirandolina! ora non posso dire così.
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, a che ora fa la luna nuova?
CAVALIERE: Il mio cambiamento non è lunatico. Questo è un prodigio della vostra
bellezza, della vostra grazia.
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah. (Ride forte, e stira.)
CAVALIERE: Ridete?
MIRANDOLINA: Non vuol che rida? Mi burla, e non vuol ch'io rida?
CAVALIERE: Eh furbetta! Vi burlo eh? Via, prendete questa boccetta.
MIRANDOLINA: Grazie, grazie. (Stirando.)
CAVALIERE: Prendetela, o mi farete andare in collera.
MIRANDOLINA: Fabrizio, il ferro. (Chiamando forte, con caricatura.)
CAVALIERE: La prendete, o non la prendete? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Furia, furia. (Prende la boccetta, e con disprezzo la getta nel
paniere della biancheria.)
CAVALIERE: La gettate così?
MIRANDOLINA: Fabrizio! (Chiama forte, come sopra.)
SCENA QUINTA
Fabrizio col ferro, e detti.
FABRIZIO: Son qua. (Vedendo il Cavaliere, s'ingelosisce.)
MIRANDOLINA: È caldo bene? (Prende il ferro.)
FABRIZIO: Signora sì. (Sostenuto.)
MIRANDOLINA: Che avete, che mi parete turbato? (A Fabrizio, con tenerezza.)
FABRIZIO: Niente, padrona, niente.
MIRANDOLINA: Avete male? (Come sopra.)
FABRIZIO: Datemi l'altro ferro, se volete che lo metta nel fuoco.
MIRANDOLINA: In verità, ho paura che abbiate male. (Come sopra.)
CAVALIERE: Via, dategli il ferro, e che se ne vada.
MIRANDOLINA: Gli voglio bene, sa ella? È il mio cameriere fidato. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Non posso più). (Da sé, smaniando.)
MIRANDOLINA: Tenete, caro, scaldatelo. (Dà il ferro a Fabrizio.)
FABRIZIO: Signora padrona... (Con tenerezza.)
MIRANDOLINA: Via, via, presto. (Lo scaccia.)
FABRIZIO: (Che vivere è questo? Sento che non posso più). (Da sé, parte.)
SCENA SESTA
Il Cavaliere e Mirandolina.
CAVALIERE: Gran finezze, signora, al suo cameriere!
MIRANDOLINA: E per questo, che cosa vorrebbe dire?
CAVALIERE: Si vede che ne siete invaghita.
MIRANDOLINA: Io innamorata di un cameriere? Mi fa un bel complimento, signore; non
sono di sì cattivo gusto io. Quando volessi amare, non getterei il mio tempo sì
malamente. (Stirando.)
CAVALIERE: Voi meritereste l'amore di un re.
MIRANDOLINA: Del re di spade, o del re di coppe? (Stirando.)
CAVALIERE: Parliamo sul serio, Mirandolina, e lasciamo gli scherzi.
MIRANDOLINA: Parli pure, che io l'ascolto. (Stirando.)
CAVALIERE: Non potreste per un poco lasciar di stirare?
MIRANDOLINA: Oh perdoni! Mi preme allestire questa biancheria per domani.
CAVALIERE: Vi preme dunque quella biancheria più di me?
MIRANDOLINA: Sicuro. (Stirando.)
CAVALIERE: E ancora lo confermate?
MIRANDOLINA: Certo. Perché di questa biancheria me ne ho da servire, e di lei non
posso far capitale di niente. (Stirando.)
CAVALIERE: Anzi potete dispor di me con autorità.
MIRANDOLINA: Eh, che ella non può vedere le donne.
CAVALIERE: Non mi tormentate più. Vi siete vendicata abbastanza. Stimo voi, stimo
le donne che sono della vostra sorte, se pur ve ne sono. Vi stimo, vi amo, e vi domando
pietà.
MIRANDOLINA: Sì signore, glielo diremo. (Stirando in fretta, si fa cadere un
manicotto.)
CAVALIERE (leva di terra il manicotto, e glielo dà): Credetemi...
MIRANDOLINA: Non s'incomodi.
CAVALIERE: Voi meritate di esser servita.
MIRANDOLINA: Ah, ah, ah. (Ride forte.)
CAVALIERE: Ridete?
MIRANDOLINA: Rido, perché mi burla.
CAVALIERE: Mirandolina, non posso più.
MIRANDOLINA: Le vien male?
CAVALIERE: Sì, mi sento mancare.
MIRANDOLINA: Tenga il suo spirito di melissa. (Gli getta con disprezzo la
boccetta.)
CAVALIERE: Non mi trattate con tanta asprezza. Credetemi, vi amo, ve lo giuro. (Vuol
prenderle la mano, ed ella col ferro lo scotta.) Aimè!
MIRANDOLINA: Perdoni: non l'ho fatto apposta.
CAVALIERE: Pazienza! Questo è niente. Mi avete fatto una scottatura più grande.
MIRANDOLINA: Dove, signore?
CAVALIERE: Nel cuore.
MIRANDOLINA: Fabrizio. (Chiama ridendo.)
CAVALIERE: Per carità, non chiamate colui.
MIRANDOLINA: Ma se ho bisogno dell'altro ferro.
CAVALIERE: Aspettate... (ma no...) chiamerò il mio servitore.
MIRANDOLINA: Eh! Fabrizio... (Vuol chiamare Fabrizio.)
CAVALIERE: Giuro al cielo, se viene colui, gli spacco la testa.
MIRANDOLINA: Oh, questa è bella! Non mi potrò servire della mia gente?
CAVALIERE: Chiamate un altro; colui non lo posso vedere.
MIRANDOLINA: Mi pare ch'ella si avanzi un poco troppo, signor Cavaliere. (Si
scosta dal tavolino col ferro in mano.)
CAVALIERE: Compatitemi... son fuori di me.
MIRANDOLINA: Anderò io in cucina, e sarà contento.
CAVALIERE: No, cara, fermatevi.
MIRANDOLINA: È una cosa curiosa questa. (Passeggiando.)
CAVALIERE: Compatitemi. (Le va dietro.)
MIRANDOLINA: Non posso chiamar chi voglio? (Passeggia.)
CAVALIERE: Lo confesso. Ho gelosia di colui. (Le va dietro.)
MIRANDOLINA: (Mi vien dietro come un cagnolino). (Da sé, passeggiando.)
CAVALIERE: Questa è la prima volta ch'io provo che cosa sia amore.
MIRANDOLINA: Nessuno mi ha mai comandato. (Camminando.)
CAVALIERE: Non intendo di comandarvi: vi prego. (La segue.)
MIRANDOLINA: Ma che cosa vuole da me? (Voltandosi con alterezza.)
CAVALIERE: Amore, compassione, pietà.
MIRANDOLINA: Un uomo che stamattina non poteva vedere le donne, oggi chiede amore e
pietà? Non gli abbado, non può essere, non gli credo. (Crepa, schiatta, impara a
disprezzar le donne). (Da sé, parte.)
SCENA SETTIMA
CAVALIERE (solo): Oh maledetto il punto, in cui ho principiato a mirar
costei! Son caduto nel laccio, e non vi è più rimedio.
SCENA OTTAVA
Il Marchese e detto.
MARCHESE: Cavaliere, voi mi avete insultato.
CAVALIERE: Compatitemi, fu un accidente.
MARCHESE: Mi meraviglio di voi.
CAVALIERE: Finalmente il vaso non vi ha colpito.
MARCHESE: Una gocciola d'acqua mi ha macchiato il vestito.
CAVALIERE: Torno a dir, compatitemi.
MARCHESE: Questa è una impertinenza.
CAVALIERE: Non l'ho fatto apposta. Compatitemi per la terza volta.
MARCHESE: Voglio soddisfazione.
CAVALIERE: Se non volete compatirmi, se volete soddisfazione, son qui, non ho
soggezione di voi.
MARCHESE: Ho paura che questa macchia non voglia andar via; questo è quello che mi
fa andare in collera. (Cangiandosi.)
CAVALIERE: Quando un cavalier vi chiede scusa, che pretendete di più? (Con
isdegno.)
MARCHESE: Se non l'avete fatto a malizia, lasciamo stare.
CAVALIERE: Vi dico, che son capace di darvi qualunque soddisfazione.
MARCHESE: Via, non parliamo altro.
CAVALIERE: Cavaliere malnato.
MARCHESE: Oh questa è bella! A me è passata la collera, e voi ve la fate venire.
CAVALIERE: Ora per l'appunto mi avete trovato in buona luna.
MARCHESE: Vi compatisco, so che male avete.
CAVALIERE: I fatti vostri io non li ricerco.
MARCHESE: Signor inimico delle donne, ci siete caduto eh?
CAVALIERE: Io? Come?
MARCHESE: Sì, siete innamorato...
CAVALIERE: Sono il diavolo che vi porti.
MARCHESE: Che serve nascondersi?...
CAVALIERE: Lasciatemi stare, che giuro al cielo ve ne farò pentire. (Parte.)
SCENA NONA
MARCHESE (solo): È innamorato, si vergogna, e non vorrebbe che si
sapesse. Ma forse non vorrà che si sappia, perché ha paura di me; avrà soggezione a
dichiararsi per mio rivale. Mi dispiace assaissimo di questa macchia; se sapessi come fare
a levarla! Queste donne sogliono avere della terra da levar le macchie. (Osserva nel
tavolino e nel paniere.) Bella questa boccetta! Che sia d'oro o di princisbech? Eh,
sarà di princisbech: se fosse d'oro, non la lascerebbero qui; se vi fosse dell'acqua
della regina, sarebbe buona per levar questa macchia. (Apre, odora e gusta.) È
spirito di melissa. Tant'è tanto sarà buono. Voglio provare.
SCENA DECIMA
Dejanira e detto.
DEJANIRA: Signor Marchese, che fa qui solo? Non favorisce mai?
MARCHESE: Oh signora Contessa. Veniva or ora per riverirla.
DEJANIRA: Che cosa stava facendo?
MARCHESE: Vi dirò. Io sono amantissimo della pulizia. Voleva levare questa piccola
macchia.
DEJANIRA: Con che, signore?
MARCHESE: Con questo spirito di melissa.
DEJANIRA: Oh perdoni, lo spirito di melissa non serve, anzi farebbe venire la
macchia più grande.
MARCHESE: Dunque, come ho da fare?
DEJANIRA: Ho io un segreto per cavar le macchie.
MARCHESE: Mi farete piacere a insegnarmelo.
DEJANIRA: Volentieri. M'impegno con uno scudo far andar via quella macchia, che non
si vedrà nemmeno dove sia stata.
MARCHESE: Vi vuole uno scudo?
DEJANIRA: Sì, signore, vi pare una grande spesa?
MARCHESE: È meglio provare lo spirito di Melissa.
DEJANIRA: Favorisca: è buono quello spirito?
MARCHESE: Prezioso, sentite. (Le dà la boccetta.)
DEJANIRA: Oh, io ne so fare del meglio. (Assaggiandolo.)
MARCHESE: Sapete fare degli spiriti?
DEJANIRA: Sì, signore mi diletto di tutto.
MARCHESE: Brava, damina, brava. Così mi piace.
DEJANIRA: Sarà d'oro questa boccetta?
MARCHESE: Non volete? È oro sicuro. (Non conosce l'oro del princisbech). (Da
sé.)
DEJANIRA: È sua, signor Marchese?
MARCHESE: È mia, e vostra se comandate.
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue grazie. (La mette via.)
MARCHESE: Eh! so che scherzate.
DEJANIRA: Come? Non me l'ha esibita?
MARCHESE: Non è cosa da vostra pari. È una bagattella. Vi servirò di cosa
migliore, se ne avete voglia.
DEJANIRA: Oh, mi meraviglio. È anche troppo. La ringrazio, signor Marchese.
MARCHESE: Sentite. In confidenza. Non è oro. È princisbech.
DEJANIRA: Tanto meglio. La stimo più che se fosse oro. E poi, quel che viene dalle
sue mani, è tutto prezioso.
MARCHESE: Basta. Non so che dire. servitevi, se vi degnate. (Pazienza! Bisognerà
pagarla a Mirandolina. Che cosa può valere? Un filippo?). (Da sé.)
DEJANIRA: Il signor Marchese è un cavalier generoso.
MARCHESE: Mi vergogno a regalar queste bagattelle. Vorrei che quella boccetta fosse
d'oro.
DEJANIRA: In verità, pare propriamente oro. (La tira fuori, e la osserva.)
Ognuno s'ingannerebbe.
MARCHESE: È vero, chi non ha pratica dell'oro, s'inganna: ma io lo conosco subito.
DEJANIRA: Anche al peso par che sia oro.
MARCHESE: E pur non è vero.
DEJANIRA: Voglio farla vedere alla mia compagna.
MARCHESE: Sentite, signora Contessa, non la fate vedere a Mirandolina. È una
ciarliera. Non so se mi capite.
DEJANIRA: Intendo benissimo. La fo vedere solamente ad Ortensia.
MARCHESE: Alla Baronessa?
DEJANIRA: Sì, sì, alla Baronessa. (Ridendo parte.)
SCENA UNDICESIMA
Il Marchese, poi il Servitore del Cavaliere.
MARCHESE: Credo che se ne rida, perché mi ha levato con quel bel garbo la
boccettina. Tant'era se fosse stata d'oro. Manco male, che con poco l'aggiusterò. Se
Mirandolina vorrà la sua boccetta, gliela pagherò, quando ne avrò.
SERVITORE (cerca sul tavolo): Dove diamine sarà questa boccetta?
MARCHESE: Che cosa cercate, galantuomo?
SERVITORE: Cerco una boccetta di spirito di melissa. La signora Mirandolina la
vorrebbe. Dice che l'ha lasciata qui, ma non la ritrovo.
MARCHESE: Era una boccettina di princisbech?
SERVITORE: No signore, era d'oro.
MARCHESE: D'oro?
SERVITORE: Certo che era d'oro. L'ho veduta comprar io per dodici zecchini. (Cerca.)
MARCHESE: (Oh povero me!). (Da sé.) Ma come lasciar così una boccetta
d'oro?
SERVITORE: Se l'è scordata, ma io non la trovo.
MARCHESE: Mi pare ancora impossibile che fosse d'oro.
SERVITORE: Era oro, gli dico. L'ha forse veduta V.E.?
MARCHESE: Io?... Non ho veduto niente.
SERVITORE: Basta. Le dirò che non la trovo. Suo danno. Doveva mettersela in tasca.
(Parte.)
SCENA DODICESIMA
Il Marchese, poi il Conte.
MARCHESE: Oh povero Marchese di Forlipopoli! Ho donata una boccetta d'oro, che
val dodici zecchini, e l'ho donata per princisbech. Come ho da regolarmi in un caso di
tanta importanza? Se recupero la boccetta dalla Contessa, mi fo ridicolo presso di lei; se
Mirandolina viene a scoprire ch'io l'abbia avuta, è in pericolo il mio decoro. Son
cavaliere. Devo pagarla. Ma non ho danari.
CONTE: Che dite, signor Marchese, della bellissima novità?
MARCHESE: Di quale novità?
CONTE: Il Cavaliere Selvatico, il disprezzator delle donne, è innamorato di
Mirandolina.
MARCHESE: L'ho caro. Conosca suo malgrado il merito di questa donna; veda che io
non m'invaghisco di chi non merita; e peni e crepi per gastigo della sua impertinenza.
CONTE: Ma se Mirandolina gli corrisponde?
MARCHESE: Ciò non può essere. Ella non farà a me questo torto. Sa chi sono. Sa
cosa ho fatto per lei.
CONTE: Io ho fatto per essa assai più di voi. Ma tutto è gettato. Mirandolina
coltiva il Cavaliere di Ripafratta, ha usato verso di lui quelle attenzioni che non ha
praticato né a voi, né a me; e vedesi che, colle donne, più che si sa, meno si merita,
e che burlandosi esse di che le adora, corrono dietro a chi le disprezza.
MARCHESE: Se ciò fosse vero... ma non può essere.
CONTE: Perché non può essere?
MARCHESE: Vorreste mettere il Cavaliere a confronto di me?
CONTE: Non l'avete veduta voi stesso sedere alla di lui tavola? Con noi ha
praticato mai un atto di simile confidenza? A lui biancheria distinta. Servito in tavola
prima di tutti. Le pietanze gliele fa ella colle sue mani. I servidori vedono tutto, e
parlano. Fabrizio freme di gelosia. E poi quello svenimento, vero o finto che fosse, non
è segno manifesto d'amore?
MARCHESE: Come! A lui si fanno gl'intingoli saporiti, e a me carnaccia di bue, e
minestra di riso lungo? Sì, è vero, questo è uno strapazzo al mio grado, alla mia
condizione.
CONTE: Ed io che ho speso tanto per lei?
MARCHESE: Ed io che la regalava continuamente? Le ho fino dato da bere di quel vino
di Cipro così prezioso. Il Cavaliere non avrà fatto con costei una minima parte di
quello che abbiamo fatto noi.
CONTE: Non dubitate, che anch'egli l'ha regalata.
MARCHESE: Sì? Che cosa le ha donato?
CONTE: Una boccettina d'oro con dello spirito di melissa.
MARCHESE: (Oimè!) (Da sé.) Come lo avete saputo?
CONTE: Il di lui servidore l'ha detto al mio.
MARCHESE: (Sempre peggio. Entro in un impegno col Cavaliere). (Da sé.)
CONTE: Vedo che costei è un'ingrata; voglio assolutamente lasciarla. Voglio
partire or ora da questa locanda indegna.
MARCHESE: Sì, fate bene, andate.
CONTE: E voi che siete un cavaliere di tanta riputazione, dovreste partire con me.
MARCHESE: Ma... dove dovrei andare?
CONTE: Vi troverò io un alloggio. Lasciate pensare a me.
MARCHESE: Quest'alloggio... sarà per esempio...
CONTE: Andremo in casa d'un mio paesano. Non ispenderemo nulla.
MARCHESE: Basta, siete tanto mio amico, che non posso dirvi di no.
CONTE: Andiamo, e vendichiamoci di questa femmina sconoscente.
MARCHESE: Sì, andiamo. (Ma come sarà poi della boccetta? Son cavaliere, non posso
fare una malazione). (Da sé.)
CONTE: Non vi pentite, signor Marchese, andiamo via di qui. Fatemi questo piacere,
e poi comandatemi dove posso, che vi servirò.
MARCHESE: Vi dirò. In confidenza, ma che nessuno lo sappia. Il mio fattore mi
ritarda qualche volta le mie rimesse...
CONTE: Le avete forse da dar qualche cosa?
MARCHESE: Sì, dodici zecchini.
CONTE: Dodici zecchini? Bisogna che sia dei mesi, che non pagate.
MARCHESE: Così è, le devo dodici zecchini. Non posso di qua partire senza
pagarla. Se voi mi faceste il piacere...
CONTE: Volentieri. Eccovi dodici zecchini. (Tira fuori la borsa.)
MARCHESE: Aspettate. Ora che mi ricordo, sono tredici. (Voglio rendere il suo
zecchino anche al Cavaliere). (Da sé.)
CONTE: Dodici o tredici è lo stesso per me. Tenete.
MARCHESE: Ve li renderò quanto prima.
CONTE: Servitevi quanto vi piace. Danari a me non ne mancano; e per vendicarmi di
costei, spenderei mille doppie.
MARCHESE: Sì, veramente è un'ingrata. Ho speso tanto per lei, e mi tratta così.
CONTE: Voglio rovinare la sua locanda. Ho fatto andar via anche quelle due
commedianti.
MARCHESE: Dove sono le commedianti?
CONTE: Erano qui: Ortensia e Dejanira.
MARCHESE: Come! Non sono dame?
CONTE: No. Sono due comiche. Sono arrivati i loro comnpagni, e la favola è
terminata.
MARCHESE: (La mia boccetta!). (Da sé.) Dove sono alloggiate?
CONTE: In una casa vicino al teatro.
MARCHESE: (Vado subito a ricuperare la mia boccetta). (Da se, parte.)
CONTE: Con costei mi voglio vendicar così. Il Cavaliere poi, che ha saputo fingere
per tradirmi, in altra maniera me ne renderà conto. (Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Camera con tre porte.
MIRANDOLINA (sola): Oh meschina me! Sono nel brutto impegno! Se il
Cavaliere mi arriva, sto fresca. Si è indiavolato maledettamente. Non vorrei che il
diavolo lo tentasse di venir qui. Voglio chiudere questa porta. (Serra la porta da dove
è venuta.) Ora principio quasi a pentirmi di quel che ho fatto. È vero che mi sono
assai divertita nel farmi correr dietro a tal segno un superbo, un disprezzator delle
donne; ma ora che il satiro è sulle furie, vedo in pericolo la mia riputazione e la mia
vita medesima. Qui mi convien risolvere quelche cosa di grande. Son sola, non ho nessuno
dal cuore che mi difenda. Non ci sarebbe altri che quel buon uomo di Fabrizio, che in tal
caso mi potesse giovare. Gli prometterò di sposarlo... Ma... prometti, prometti, si
stancherà di credermi... Sarebbe quasi meglio ch'io lo sposassi davvero. Finalmente con
un tal matrimonio posso sperar di mettere al coperto il mio interesse e la mia
reputazione, senza pregiudicare alla mia libertà.
SCENA QUATTORDICESIMA
Il Cavaliere di dentro, e detta; poi Fabrizio.
Il Cavaliere batte per di dentro alla porta.
MIRANDOLINA: Battono a questa porta: chi sarà mai? (S'accosta.)
CAVALIERE: Mirandolina. (Di dentro.)
MIRANDOLINA: (L'amico è qui). (Da sé.)
CAVALIERE: Mirandolina, apritemi. (Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Aprirgli? Non sono sì gonza). Che comanda, signor Cavaliere?
CAVALIERE: Apritemi. (Di dentro.)
MIRANDOLINA: Favorisca andare nella sua camera, e mi aspetti, che or ora son da
lei.
CAVALIERE: Perché non volete aprirmi? (Come sopra.)
MIRANDOLINA: Arrivano de' forestieri. Mi faccia questa grazia, vada, che or ora
sono da lei.
CAVALIERE: Vado: se non venite, povera voi. (Parte.)
MIRANDOLINA: Se non venite, povera voi! Povera me, se vi andassi. La cosa va sempre
peggio. Rimediamoci, se si può. È andato via? (Guarda al buco della chiave.) Sì,
sì, è andato. Mi aspetta in camera, ma non vi vado. Ehi? Fabrizio. (Ad un'altra porta.)
Sarebbe bella che ora Fabrizio si vendicasse di me, e non volesse... Oh, non vi è
pericolo. Ho io certe manierine, certe smorfiette, che bisogna che caschino, se fossero di
macigno. Fabrizio. (Chiama ad un'altra porta.)
FABRIZIO: Avete chiamato?
MIRANDOLINA: Venite qui; voglio farvi una confidenza.
FABRIZIO: Son qui.
MIRANDOLINA: Sappiate che il Cavaliere di Ripafratta si è scoperto innamorato di
me.
FABRIZIO: Eh, me ne sono accorto.
MIRANDOLINA: Sì? Ve ne siete accorto? Io in verità non me ne sono mai avveduta.
FABRIZIO: Povera semplice! Non ve ne siete accorta! Non avete veduto, quando
stiravate col ferro, le smorfie che vi faceva? La gelosia che aveva di me?
MIRANDOLINA: Io che opero senza malizia, prendo le cose con indifferenza. Basta;
ora mi ha dette certe parole, che in verità, Fabrizio, mi hanno fatto arrossire.
FABRIZIO: Vedete: questo vuol dire perché siete una giovane sola, senza padre,
senza madre, senza nessuno. Se foste maritata, non andrebbe così.
MIRANDOLINA: Orsù, capisco che dite bene; ho pensato di maritarmi.
FABRIZIO: Ricordatevi di vostro padre.
MIRANDOLINA: Sì, me ne ricordo.
SCENA QUINDICESIMA
Il Cavaliere di dentro e detti.
Il Cavaliere batte alla porta dove era prima.
MIRANDOLINA: Picchiano. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Chi è che picchia? (Forte verso la porta.)
CAVALIERE: Apritemi. (Di dentro.)
MIRANDOLINA: Il Cavaliere. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Che cosa vuole? (S'accosta per aprirgli.)
MIRANDOLINA: Aspettate ch'io parta.
FABRIZIO: Di che avete timore?
MIRANDOLINA: Caro Fabrizio, non so, ho paura della mia onestà. (Parte.)
FABRIZIO: Non dubitate, io vi difenderò.
CAVALIERE: Apritemi, giuro al cielo. (Di dentro.)
FABRIZIO: Che comanda, signore? Che strepiti sono questi? In una locanda onorata
non si fa così.
CAVALIERE: Apri questa porta. (Si sente che la sforza.)
FABRIZIO: Cospetto del diavolo! Non vorrei precipitare. Uomini, chi è di là? Non
ci è nessuno?
SCENA SEDICESIMA
Il Marchese ed il Conte dalla porta di mezzo, e detti.
CONTE: Che c'è? (Sulla porta.)
MARCHESE: Che rumore è questo? (Sulla porta.)
FABRIZIO: Signori, li prego: il signor Cavaliere di Ripafratta vuole sforzare
quella porta. (Piano, che il Cavaliere non senta.)
CAVALIERE: Aprimi, o la getto abbasso. (Di dentro.)
MARCHESE: Che sia diventato pazzo? Andiamo via. (Al Conte.)
CONTE: Apritegli. (A Fabrizio.) Ho volontà per appunto di parlar con lui.
FABRIZIO: Aprirò; ma le supplico...
CONTE: Non dubitate. Siamo qui noi.
MARCHESE: (Se vedo niente niente, me la colgo). (Da sé.)
(Fabrizio apre, ed entra il Cavaliere.)
CAVALIERE: Giuro al cielo, dov'è?
FABRIZIO: Chi cercate, signore?
CAVALIERE: Mirandolina dov'è?
FABRIZIO: Io non lo so.
MARCHESE: (L'ha con Mirandolina. Non è niente). (Da sé.)
CAVALIERE: Scellerata, la troverò. (S'incammina, e scopre il Conte e il
Marchese.)
CONTE: Con chi l'avete? (Al Cavaliere.)
MARCHESE: Cavaliere, noi siamo amici.
CAVALIERE: (Oimè! Non vorrei per tutto l'oro del mondo che nota fosse questa mia
debolezza). (Da sé.)
FABRIZIO: Che cosa vuole, signore, dalla padrona?
CAVALIERE: A te non devo rendere questi conti. Quando comando, voglio esser
servito. Pago i miei denari per questo, e giuro al cielo, ella avrà che fare con me.
FABRIZIO: V.S. paga i suoi denari per essere servito nelle cose lecite e oneste: ma
non ha poi da pretendere, la mi perdoni, che una donna onorata...
CAVALIERE: Che dici tu? Che sai tu? Tu non entri ne' fatti miei. So io quel che ho
ordinato a colei.
FABRIZIO: Le ha ordinato di venire nella sua camera.
CAVALIERE: Va via, briccone, che ti rompo il cranio.
FABRIZIO: Mi meraviglio di lei.
MARCHESE: Zitto. (A Fabrizio.)
CONTE: Andate via. (A Fabrizio.)
CAVALIERE: Vattene via di qui. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Dico, signore... (Riscaldandosi.)
MARCHESE: Via.
CONTE: Via. (Lo cacciano via.)
FABRIZIO: (Corpo di bacco! Ho proprio voglia di precipitare). (Da sé, parte.)
SCENA DICIASSETTESIMA
Il Cavaliere, il Marchese ed il Conte.
CAVALIERE: (Indegna! Farmi aspettar nella camera?). (Da sé.)
MARCHESE: (Che diamine ha?). (Piano al Conte.)
CONTE: (Non lo vedete? È innamorato di Mirandolina).
CAVALIERE: (E si trattiene con Fabrizio? E parla seco di matrimonio?). (Da sé.)
CONTE: (Ora è il tempo di vendicarmi). (Da sé.) Signor Cavaliere, non
conviene ridersi delle debolezze altrui, quando si ha un cuore fragile come il vostro.
CAVALIERE: Di che intendete voi di parlare?
CONTE: So da che provengono le vostre smanie.
CAVALIERE: Intendete voi di che parli? (Alterato, al Marchese.)
MARCHESE: Amico, io non so niente.
CONTE: Parlo di voi, che col pretesto di non poter soffrire le donne, avete tentato
rapirmi il cuore di Mirandolina, ch'era già mia conquista.
CAVALIERE: Io? (Alterato, verso il Marchese.)
MARCHESE: Io non parlo.
CONTE: Voltatevi a me, a me rispondete. Vi vergognate forse d'aver mal proceduto?
CAVALIERE: Io mi vergogno d'ascoltarvi più oltre, senza dirvi che voi mentite.
CONTE: A me una mentita?
MARCHESE: (La cosa va peggiorando). (Da sé.)
CAVALIERE: Con qual fondamento potete voi dire?... (Il Conte non sa ciò che si
dica). (Al Marchese, irato.)
MARCHESE: Ma io non me ne voglio impiciare.
CONTE: Voi siete un mentitore.
MARCHESE: Vado via. (Vuol partire.)
CAVALIERE: Fermatevi. (Lo trattiene per forza.)
CONTE: E mi renderete conto...
CAVALIERE: Sì, vi renderò conto... Datemi la vostra spada. (Al Marchese.)
MARCHESE: Eh via, acquietatevi tutti due. Caro Conte, cosa importa a voi che il
Cavaliere ami Mirandolina?...
CAVALIERE: Io l'amo? Non è vero; mente chi lo dice.
MARCHESE: Mente? La mentita non viene da me. Non sono io che lo dico.
CAVALIERE: Chi dunque?
CONTE: Io lo dico e lo sostengo, e non ho soggezione di voi.
CAVALIERE: Datemi quella spada. (Al Marchese.)
MARCHESE: No, dico.
CAVALIERE: Siete ancora voi mio nemico?
MARCHESE: Io sono amico di tutti.
CONTE: Azioni indegne son queste.
CAVALIERE: Ah giuro al Cielo! (Leva la spada al Marchese, la quale esce col
fodero.)
MARCHESE: Non mi perdete il rispetto. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Se vi chiamate offeso, darò soddisfazione anche a voi. (Al Marchese.)
MARCHESE: Via; siete troppo caldo. (Mi dispiace...) (Da se, rammaricandosi.)
CONTE: Io voglio soddisfazione. (Si mette in guardia.)
CAVALIERE: Ve la darò. (Vuol levar il fodero, e non può.)
MARCHESE: Quella spada non vi conosce...
CAVALIERE: Oh maledetta! (Sforza per cavarlo.)
MARCHESE: Cavaliere, non farete niente...
CONTE: Non ho più sofferenza.
CAVALIERE: Eccola. (Cava la spada, e vede essere mezza lama.) Che è questo?
MARCHESE: Mi avete rotta la spada.
CAVALIERE: Il resto dov'è? Nel fodero non v'è niente.
MARCHESE: Sì, è vero; l'ho rotta nell'ultimo duello; non me ne ricordavo.
CAVALIERE: Lasciatemi provveder d'una spada. (Al Conte.)
CONTE: Giuro al cielo, non mi fuggirete di mano.
CAVALIERE: Che fuggire? Ho cuore di farvi fronte anche con questo pezzo di lama.
MARCHESE: È lama di Spagna, non ha paura.
CONTE: Non tanta bravura, signor gradasso.
CAVALIERE: Sì, con questa lama. (S'avventa verso il Conte.)
CONTE: Indietro. (Si pone in difesa.)
SCENA DICIOTTESIMA
Mirandolina, Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Alto, alto, padroni.
MIRANDOLINA: Alto, signori miei, alto.
CAVALIERE: (Ah maledetta!). (Vedendo Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Povera me! Colle spade?
MARCHESE: Vedete? Per causa vostra.
MIRANDOLINA: Come per causa mia?
CONTE: Eccolo lì il signor Cavaliere. È innamorato di voi.
CAVALIERE: Io innamorato? Non è vero; mentite.
MIRANDOLINA: Il signor Cavaliere innamorato di me? Oh no, signor Conte, ella
s'inganna. Posso assicurarla, che certamente s'inganna.
CONTE: Eh, che siete voi pur d'accordo...
MIRANDOLINA: Si, si vede...
CAVALIERE: Che si sa? Che si vede? (Alterato, verso il Marchese.)
MARCHESE: Dico, che quando è, si sa... Quando non è, non si vede.
MIRANDOLINA: Il signor cavaliere innamorato di me? Egli lo nega, e negandolo in
presenza mia, mi mortifica, mi avvilisce, e mi fa conoscere la sua costanza e la mia
debolezza. Confesso il vero, che se riuscito mi fosse d'innamorarlo, avrei creduto di fare
la maggior prodezza del mondo. Un uomo che non può vedere le donne, che le disprezza, che
le ha in mal concetto, non si può sperare d'innamorarlo. Signori miei, io sono una donna
schietta e sincera: quando devo dir, dico, e non posso celare la verità. Ho tentato
d'innamorare il signor Cavaliere, ma non ho fatto niente. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Ah! Non posso parlare). (Da sé.)
CONTE: Lo vedete? Si confonde. (A Mirandolina.)
MARCHESE: Non ha coraggio di dir di no. (A Mirandolina.)
CAVALIERE: Voi non sapete quel che vi dite. (Al Marchese, irato.)
MARCHESE: E sempre l'avete con me. (Al Cavaliere, dolcemente.)
MIRANDOLINA: Oh, il signor Cavaliere non s'innamora. Conosce l'arte. Sa la furberia
delle donne: alle parole non crede; delle lagrime non si fida. Degli svenimenti poi se ne
ride.
CAVALIERE: Sono dunque finte le lagrime delle donne, sono mendaci gli svenimenti?
MIRANDOLINA: Come! Non lo sa, o finge di non saperlo?
CAVALIERE: Giuro al cielo! Una tal finzione meriterebbe uno stile nel cuore.
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, non si riscaldi, perché questi signori diranno
ch'è innamorato davvero.
CONTE: Sì, lo è, non lo può nascondere.
MARCHESE: Si vede negli occhi.
CAVALIERE: No, non lo sono. (Irato al Marchese.)
MARCHESE: E sempre con me.
MIRANDOLINA: No signore, non è innamorato. Lo dico, lo sostengo, e son pronta a
provarlo.
CAVALIERE: (Non posso più). (Da sé.) Conte, ad altro tempo mi troverete
provveduto di spada. (Getta via la mezza spada del Marchese.)
MARCHESE: Ehi! la guardia costa denari. (La prende di terra.)
MIRANDOLINA: Si fermi, signor Cavaliere, qui ci va della sua riputazione. Questi
signori credono ch'ella sia innamorato; bisogna disingannarli.
CAVALIERE: Non vi è questo bisogno.
MIRANDOLINA: Oh sì, signore. Si trattenga un momento.
CAVALIERE: (Che far intende costei?). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Signori, il più certo segno d'amore è quello della gelosia, e chi
non sente la gelosia, certamente non ama. Se il signor Cavaliere mi amasse, non potrebbe
soffrire ch'io fossi d'un altro, ma egli lo soffrirà, e vedranno...
CAVALIERE: Di chi volete voi essere?
MIRANDOLINA: Di quello a cui mi ha destinato mio padre.
FABRIZIO: Parlate forse di me? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Sì, caro Fabrizio, a voi in presenza di questi cavalieri vo' dar la
mano di sposa.
CAVALIERE: (Oimè! Con colui? non ho cuor di soffrirlo). (Da sé, smaniando.)
CONTE: (Se sposa Fabrizio, non ama il Cavaliere). (Da sé.) Sì, sposatevi,
e vi prometto trecento scudi.
MARCHESE: Mirandolina, è meglio un uovo oggi, che una gallina domani. Sposatevi
ora, e vi do subito dodici zecchini.
MIRANDOLINA: Grazie, signori, non ho bisogno di dote. Sono una povera donna senza
grazia, senza brio, incapace d'innamorar persone di merito. Ma Fabrizio mi vuol bene, ed
io in questo punto alla presenza loro lo sposo...
CAVALIERE: Sì, maledetta, sposati a chi tu vuoi. So che tu m'ingannasti, so che
trionfi dentro di te medesima d'avermi avvilito, e vedo sin dove vuoi cimentare la mia
tolleranza. Meriteresti che io pagassi gli inganni tuoi con un pugnale nel seno;
meriteresti ch'io ti strappassi il cuore, e lo recassi in mostra alle femmine lusinghiere,
alle femmine ingannatrici. Ma ciò sarebbe un doppiamente avvilirmi. Fuggo dagli occhi
tuoi: maledico le tue lusinghe, le tue lagrime, le tue finzioni; tu mi hai fatto conoscere
qual infausto potere abbia sopra di noi il tuo sesso, e mi hai fatto a costo mio imparare,
che per vincerlo non basta, no, disprezzarlo, ma ci conviene fuggirlo. (Parte.)
SCENA DICIANNOVESIMA
Mirandolina, il Conte, il Marchese e Fabrizio.
CONTE: Dica ora di non essere innamorato.
MARCHESE: Se mi dà un'altra mentita, da cavaliere lo sfido.
MIRANDOLINA: Zitto, signori zitto. È andato via, e se non torna, e se la cosa
passa così, posso dire di essere fortunata. Pur troppo, poverino, mi è riuscito
d'innamorarlo, e mi son messa ad un brutto rischio. Non ne vo' saper altro. Fabrizio,
vieni qui, caro, dammi la mano.
FABRIZIO: La mano? Piano un poco, signora. Vi dilettate d'innamorar la gente in
questa maniera, e credete ch'io vi voglia sposare?
MIRANDOLINA: Eh via, pazzo! È stato uno scherzo, una bizzarria, un puntiglio. Ero
fanciulla, non avevo nessuno che mi comandasse. Quando sarò maritata, so io quel che
farò.
FABRIZIO: Che cosa farete?
SCENA ULTIMA
Il Servitore del Cavaliere e detti.
SERVITORE: Signora padrona, prima di partire son venuto a riverirvi.
MIRANDOLINA: Andate via?
SERVITORE: Sì. Il padrone va alla Posta. Fa attaccare: mi aspetta colla roba, e ce
ne andiamo a Livorno.
MIRANDOLINA: Compatite, se non vi ho fatto...
SERVITORE: Non ho tempo da trattenermi. Vi ringrazio, e vi riverisco. (Parte.)
MIRANDOLINA: Grazie al cielo, è partito. Mi resta qualche rimorso; certamente è
partito con poco gusto. Di questi spassi non me ne cavo mai più.
CONTE: Mirandolina, fanciulla o maritata che siate, sarò lo stesso per voi.
MARCHESE: Fate pure capitale della mia protezione.
MIRANDOLINA: Signori miei, ora che mi marito, non voglio protettori, non voglio
spasimanti, non voglio regali. Sinora mi sono divertita, e ho fatto male, e mi sono
arrischiata troppo, e non lo voglio fare mai più. Questi è mio marito...
FABRIZIO: Ma piano, signora...
MIRANDOLINA: Che piano! Che cosa c'è? Che difficoltà ci sono? Andiamo. Datemi
quella mano.
FABRIZIO: Vorrei che facessimo prima i nostri patti.
MIRANDOLINA: Che patti? Il patto è questo: o dammi la mano, o vattene al tuo
paese.
FABRIZIO: Vi darò la mano... ma poi...
MIRANDOLINA: Ma poi, sì, caro, sarò tutta tua; non dubitare di me ti amerò
sempre, sarai l'anima mia.
FABRIZIO: Tenete, cara, non posso più. (Le dà la mano.)
MIRANDOLINA: (Anche questa è fatta). (Da sé.)
CONTE: Mirandolina, voi siete una gran donna, voi avete l'abilità di condur gli
uomini dove volete.
MARCHESE: Certamente la vostra maniera obbliga infinitamente.
MIRANDOLINA: Se è vero ch'io possa sperar grazie da lor signori, una ne chiedo
loro per ultimo.
CONTE: Dite pure.
MARCHESE: Parlate.
FABRIZIO: (Che cosa mai adesso domanderà?). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Le supplico per atto di grazia, a provvedersi di un'altra locanda.
FABRIZIO: (Brava; ora vedo che la mi vuol bene). (Da sé.)
CONTE: Sì, vi capisco e vi lodo. Me ne andrò, ma dovunque io sia, assicuratevi
della mia stima.
MARCHESE: Ditemi: avete voi perduta una boccettina d'oro?
MIRANDOLINA: Sì signore.
MARCHESE: Eccola qui. L'ho ritrovata, e ve la rendo. Partirò per compiacervi, ma
in ogni luogo fate pur capitale della mia protezione.
MIRANDOLINA: Queste espressioni mi saran care, nei limiti della convenienza e
dell'onestà. Cambiando stato, voglio cambiar costume; e lor signori ancora profittino di
quanto hanno veduto, in vantaggio e sicurezza del loro cuore; e quando mai si trovassero
in occasioni di dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate,
e si ricordino della Locandiera.
Fine della Commedia
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