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Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia, comica
Dejanira, comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte |
SCENA PRIMA
Camera del Cavaliere, con tavola apparecchiata per il pranzo e sedie.
Il Cavaliere ed il suo Servitore, poi Fabrizio.
Il Cavaliere passeggia con un libro. Fabrizio mette la zuppa in tavola.
FABRIZIO: Dite al vostro padrone, se vuol restare servito, che la zuppa è in
tavola. (Al Servitore.)
SERVITORE: Glielo potete dire anche voi. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: È tanto stravagante, che non gli parlo niente volentieri.
SERVITORE: Eppure non è cattivo. Non può veder le donne, per altro cogli uomini
è dolcissimo.
FABRIZIO: (Non può veder le donne? Povero sciocco! Non conosce il buono). (Da
sé, parte.)
SERVITORE: Illustrissimo, se comoda, è in tavola.
(Il Cavaliere mette giù il libro, e va a sedere a tavola.)
CAVALIERE: Questa mattina parmi che si pranzi prima del solito. (Al Servitore,
mangiando.)
(Il Servitore dietro la sedia del Cavaliere, col tondo sotto il braccio.)
SERVITORE: Questa camera è stata servita prima di tutte. Il signor Conte
d'Albafiorita strepitava che voleva essere servito il primo, ma la padrona ha voluto che
si desse in tavola prima a V.S. illustrissima.
CAVALIERE: Sono obbligato a costei per l'attenzione che mi dimostra.
SERVITORE: È una assai compita donna, illustrissimo. In tanto mondo che ho veduto,
non ho trovato una locandiera più garbata di questa.
CAVALIERE: Ti piace, eh? (Voltandosi un poco indietro.)
SERVITORE: Se non fosse per far torto al mio padrone, vorrei venire a stare con
Mirandolina per cameriere.
CAVALIERE: Povero sciocco! Che cosa vorresti ch'ella facesse di te? (Gli dà il
tondo, ed egli lo muta.)
SERVITORE: Una donna di questa sorta, la vorrei servir come un cagnolino. (Va
per un piatto.)
CAVALIERE: Per bacco! Costei incanta tutti. Sarebbe da ridere che incantasse anche
me. Orsù, domani me ne vado a Livorno. S'ingegni per oggi, se può, ma si assicuri che
non sono sì debole. Avanti ch'io superi l'avversion per le donne, ci vuol altro.
SCENA SECONDA
Il Servitore col lesso ed un altro piatto, e detto.
SERVITORE: Ha detto la padrona, che se non le piacesse il pollastro, le manderà
un piccione.
CAVALIERE: Mi piace tutto. E questo che cos'è?
SERVITORE: Disse la padrona, ch'io le sappia dire se a V.S. illustrissima piace
questa salsa, che l'ha fatta ella colle sue mani.
CAVALIERE: Costei mi obbliga sempre più. (L'assaggia.) È preziosa. Dille
che mi piace, che la ringrazio.
SERVITORE: Glielo dirò, illustrissimo.
CAVALIERE: Vaglielo a dir subito.
SERVITORE: Subito. (Oh che prodigio! Manda un complimento a una donna!). (Da
sé, parte.)
CAVALIERE: È una salsa squisita. Non ho sentita la meglio. (Va mangiando.)
Certamente, se Mirandolina farà così, avrà sempre de' forestieri. Buona tavola, buona
biancheria. E poi non si può negare che non sia gentile; ma quel che più stimo in lei,
è la sincerità. Oh, quella sincerità è pure la bella cosa! Perché non posso io vedere
le donne? Perché sono finte, bugiarde, lusinghiere. Ma quella bella sincerità...
SCENA TERZA
Il servitore e detto.
SERVITORE: Ringrazia V.S. illustrissima della bontà che ha d'aggradire le sue
debolezze.
CAVALIERE: Bravo, signor cerimoniere, bravo.
SERVITORE: Ora sta facendo colle sue mani un altro piatto; non so dire che cosa
sia.
CAVALIERE: Sta facendo?
SERVITORE: Sì signore.
CAVALIERE: Dammi da bere.
SERVITORE: La servo. (Va a prendere da bere.)
CAVALIERE: Orsù, con costei bisognerà corrispondere con generosità. È troppo
compita; bisogna pagare il doppio. Trattarla bene, ma andar via presto.
(Il Servitore gli presenta da bere.)
CAVALIERE: Il Conte è andato a pranzo? (Beve.)
SERVITORE: Illustrissimo sì, in questo momento. Oggi fa trattamento. Ha due dame a
tavola con lui.
CAVALIERE: Due dame? Chi sono?
SERVITORE: Sono arrivate a questa locanda poche ore sono. Non so chi sieno.
CAVALIERE: Le conosceva il Conte?
SERVITORE: Credo di no; ma appena le ha vedute, le ha invitate a pranzo seco.
CAVALIERE: Che debolezza! Appena vede due donne, subito si attacca. Ed esse
accettano. E sa il cielo chi sono; ma sieno quali esser vogliono, sono donne, e tanto
basta. Il Conte si rovinerà certamente. Dimmi: il Marchese è a tavola?
SERVITORE: È uscito di casa, e non si è ancora veduto.
CAVALIERE: In tavola. (Fa mutare il tondo.)
SERVITORE: La servo.
CAVALIERE: A tavola con due dame! Oh che bella compagnia! Colle loro smorfie mi
farebbero passar l'appetito.
SCENA QUARTA
Mirandolina con un tondo in mano, ed il Servitore, e detto.
MIRANDOLINA: È permesso?
CAVALIERE: Chi è di là?
SERVITORE: Comandi.
CAVALIERE: Leva là quel tondo di mano.
MIRANDOLINA: Perdoni. Lasci ch'io abbia l'onore di metterlo in tavola colle mie
mani. (Mette in tavola la vivanda.)
CAVALIERE: Questo non è offizio vostro.
MIRANDOLINA: Oh signore, chi son io? Una qualche signora? Sono una serva di chi
favorisce venire alla mia locanda.
CAVALIERE: (Che umiltà!). (Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità, non avrei difficoltà di servire in tavola tutti, ma non
lo faccio per certi riguardi: non so s'ella mi capisca. Da lei vengo senza scrupoli, con
franchezza.
CAVALIERE: Vi ringrazio. Che vivanda è questa?
MIRANDOLINA: Egli è un intingoletto fatto colle mie mani.
CAVALIERE: Sarà buono. Quando lo avete fatto voi, sarà buono.
MIRANDOLINA: Oh! troppa bontà, signore. Io non so far niente di bene; ma bramerei
saper fare, per dar nel genio ad un Cavalier sì compìto.
CAVALIERE: (Domani a Livorno). (Da sé.) Se avete che fare, non istate a
disagio per me.
MIRANDOLINA: Niente, signore: la casa è ben provveduta di cuochi e servitori.
Avrei piacere di sentire, se quel piatto le dà nel genio.
CAVALIERE: Volentieri, subito. (Lo assaggia.) Buono, prezioso. Oh che
sapore! Non conosco che cosa sia.
MIRANDOLINA: Eh, io, signore, ho de' secreti particolari. Queste mani sanno far
delle belle cose!
CAVALIERE: Dammi da bere. (Al Servitore, con qualche passione.)
MIRANDOLINA: Dietro questo piatto, signore, bisogna beverlo buono.
CAVALIERE: Dammi del vino di Borgogna. (Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Bravissimo. Il vino di Borgogna è prezioso. Secondo me, per
pasteggiare è il miglior vino che si possa bere.
(Il Servitore presenta la bottiglia in tavola, con un bicchiere.)
CAVALIERE: Voi siete di buon gusto in tutto.
MIRANDOLINA: In verità, che poche volte m'inganno.
CAVALIERE: Eppure questa volta voi v'ingannate.
MIRANDOLINA: In che, signore?
CAVALIERE: In credere ch'io meriti d'essere da voi distinto.
MIRANDOLINA: Eh, signor Cavaliere... (Sospirando.)
CAVALIERE: Che cosa c'è? Che cosa sono questi sospiri? (Alterato.)
MIRANDOLINA: Le dirò: delle attenzioni ne uso a tutti, e mi rattristo quando penso
che non vi sono che ingrati.
CAVALIERE: Io non vi sarò ingrato. (Con placidezza.)
MIRANDOLINA: Con lei non pretendo di acquistar merito, facendo unicamente il mio
dovere.
CAVALIERE: No, no, conosco benissimo... Non sono cotanto rozzo quanto voi mi
credete. Di me non avrete a dolervi. (Versa il vino nel bicchiere.)
MIRANDOLINA: Ma... signore... io non l'intendo.
CAVALIERE: Alla vostra salute. (Beve.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima; mi onora troppo.
CAVALIERE: Questo vino è prezioso.
MIRANDOLINA: Il Borgogna è la mia passione.
CAVALIERE: Se volete, siete padrona. (Le offerisce il vino.)
MIRANDOLINA: Oh! Grazie, signore.
CAVALIERE: Avete pranzato?
MIRANDOLINA: Illustrissimo sì.
CAVALIERE: Ne volete un bicchierino?
MIRANDOLINA: Io non merito queste grazie.
CAVALIERE: Davvero, ve lo do volentieri.
MIRANDOLINA: Non so che dire. Riceverò le sue finezze.
CAVALIERE: Porta un bicchiere. (Al Servitore.)
MIRANDOLINA: No, no, se mi permette: prenderò questo. (Prende il bicchiere del
Cavaliere.)
CAVALIERE: Oibò. Me ne sono servito io.
MIRANDOLINA: Beverò le sue bellezze. (Ridendo.)
(Il Servitore mette l'altro bicchiere nella sottocoppa.)
CAVALIERE: Eh galeotta! (Versa il vino.)
MIRANDOLINA: Ma è qualche tempo che ho mangiato: ho timore che mi faccia male.
CAVALIERE: Non vi è pericolo.
MIRANDOLINA: Se mi favorisse un bocconcino di pane...
CAVALIERE: Volentieri. Tenete. (Le dà un pezzo di pane.)
(Mirandolina col bicchiere in una mano, e nell'altra il pane, mostra di
stare a disagio, e non saper come fare la zuppa.)
CAVALIERE: Voi state in disagio. Volete sedere?
MIRANDOLINA: Oh! Non son degna di tanto, signore.
CAVALIERE: Via, via, siamo soli. Portale una sedia. (Al Servitore.)
SERVITORE: (Il mio padrone vuol morire: non ha mai fatto altrettanto.) (Da sé;
va a prendere la sedia.)
MIRANDOLINA: Se lo sapessero il signor Conte ed il signor Marchese, povera me!
CAVALIERE: Perché?
MIRANDOLINA: Cento volte mi hanno voluto obbligare a bere qualche cosa, o a
mangiare, e non ho mai voluto farlo.
CAVALIERE: Via, accomodatevi.
MIRANDOLINA: Per obbedirla. (Siede, e fa la zuppa nel vino.)
CAVALIERE: Senti. (Al Servitore, piano.) (Non lo dire a nessuno, che la
padrona sia stata a sedere alla mia tavola).
SERVITORE: (Non dubiti). (Piano.) (Questa novità mi sorprende). (Da sé.)
MIRANDOLINA: Alla salute di tutto quello che dà piacere al signor Cavaliere.
CAVALIERE: Vi ringrazio, padroncina garbata.
MIRANDOLINA: Di questo brindisi alle donne non ne tocca.
CAVALIERE: No? Perché?
MIRANDOLINA: Perché so che le donne non le può vedere.
CAVALIERE: È vero, non le ho mai potute vedere.
MIRANDOLINA: Si conservi sempre così.
CAVALIERE: Non vorrei... (Si guarda dal Servitore.)
MIRANDOLINA: Che cosa, signore?
CAVALIERE: Sentite. (Le parla nell'orecchio.) (Non vorrei che voi mi faceste
mutar natura).
MIRANDOLINA: Io, signore? Come?
CAVALIERE: Va via. (Al Servitore.)
SERVITORE: Comanda in tavola?
CAVALIERE: Fammi cucinare due uova, e quando son cotte, portale.
SERVITORE: Coma le comanda le uova?
CAVALIERE: Come vuoi, spicciati.
SERVITORE: Ho inteso. (Il padrone si va riscaldando). (Da sé, parte.)
CAVALIERE: Mirandolina, voi siete una garbata giovine.
MIRANDOLINA: Oh signore, mi burla
CAVALIERE: Sentite. Voglio dirvi una cosa vera, verissima, che ritornerà in vostra
gloria.
MIRANDOLINA: La sentirò volentieri.
CAVALIERE: Voi siete la prima donna di questo mondo, con cui ho avuto la sofferenza
di trattar con piacere.
MIRANDOLINA: Le dirò, signor Cavaliere: non già ch'io meriti niente, ma alle
volte si danno questi sangui che s'incontrano. Questa simpatia, questo genio, si dà anche
fra persone che non si conoscono. Anch'io provo per lei quello che non ho sentito per
alcun altro.
CAVALIERE: Ho paura che voi mi vogliate far perdere la mia quiete.
MIRANDOLINA: Oh via, signor Cavaliere, se è un uomo savio, operi da suo pari. Non
dia nelle debolezze degli altri. In verità, se me n'accorgo, qui non ci vengo più.
Anch'io mi sento un non so che di dentro, che non ho più sentito; ma non voglio impazzire
per uomini, e molto meno per uno che ha in odio le donne; e che forse forse per provarmi,
e poi burlarsi di me, viene ora con un discorso nuovo a tentarmi. Signor Cavaliere, mi
favorisca un altro poco di Borgogna.
CAVALIERE: Eh! Basta... (Versa il vino in un bicchiere.)
MIRANDOLINA: (Sta lì lì per cadere). (Da sé.)
CAVALIERE: Tenete. (Le dà il bicchiere col vino.)
MIRANDOLINA: Obbligatissima. Ma ella non beve?
CAVALIERE: Sì, beverò. (Sarebbe meglio che io mi ubbriacassi. Un diavolo
scaccerebbe l'altro). (Da sé, versa il vino nel suo bicchiere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere. (Con vezzo.)
CAVALIERE: Che c'è?
MIRANDOLINA: Tocchi. (Gli fa toccare il bicchiere col suo.) Che vivano i
buoni amici.
CAVALIERE: Che vivano. (Un poco languente.)
MIRANDOLINA: Viva... chi si vuol bene... senza malizia tocchi!
CAVALIERE: Evviva...
SCENA QUINTA
Il Marchese e detti.
MARCHESE: Son qui ancor io. E che viva?
CAVALIERE: Come, signor Marchese? (Alterato.)
MARCHESE: Compatite, amico. Ho chiamato. Non c'è nessuno.
MIRANDOLINA: Con sua licenza... (Vuol andar via.)
CAVALIERE: Fermatevi. (A Mirandolina.) Io non mi prendo con voi cotanta
libertà. (Al Marchese.)
MARCHESE: Vi domando scusa. Siamo amici. Credeva che foste solo. Mi rallegro
vedervi accanto alla nostra adorabile padroncina. Ah! Che dite? Non è un capo d'opera?
MIRANDOLINA: Signore, io ero qui per servire il signor Cavaliere. Mi è venuto un
poco di male, ed egli mi ha soccorso con un bicchierin di Borgogna.
MARCHESE: È Borgogna quello? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Sì, è Borgogna.
MARCHESE: Ma di quel vero?
CAVALIERE: Almeno l'ho pagato per tale.
MARCHESE: Io me n'intendo. Lasciate che lo senta, e vi saprò dire se è, o se non
è.
CAVALIERE: Ehi! (Chiama.)
SCENA SESTA
Il Servitore colle ova, e detti.
CAVALIERE: Un bicchierino al Marchese. (Al Servitore.)
MARCHESE: Non tanto piccolo il bicchierino. Il Borgogna non è liquore. Per
giudicarne bisogna beverne a sufficienza.
SERVITORE: Ecco le ova. (Vuol metterle in tavola.)
CAVALIERE: Non voglio altro.
MARCHESE: Che vivanda è quella?
CAVALIERE: Ova.
MARCHESE: Non mi piacciono. (Il Servitore le porta via.)
MIRANDOLINA: Signor Marchese, con licenza del signor Cavaliere, senta
quell'intingoletto fatto colle mie mani.
MARCHESE: Oh sì. Ehi. Una sedia. (Il Servitore gli reca una sedia e mette il
bicchiere sulla sottocoppa.) Una forchetta.
CAVALIERE: Via, recagli una posata. (Il Servitore la va a prendere.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, ora sto meglio. Me n'anderò. (S'alza.)
MARCHESE: Fatemi il piacere, restate ancora un poco.
MIRANDOLINA: Ma signore, ho da attendere a' fatti miei; e poi il signor
Cavaliere...
MARCHESE: Vi contentate ch'ella resti ancora un poco? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Che volete da lei?
MARCHESE: Voglio farvi sentire un bicchierino di vin di Cipro che, da che siete al
mondo, non avrete sentito il compagno. E ho piacere che Mirandolina lo senta, e dica il
suo parere.
CAVALIERE: Via, per compiacere il signor Marchese, restate. (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Il signor Marchese mi dispenserà.
MARCHESE: Non volete sentirlo?
MIRANDOLINA: Un'altra volta, Eccellenza.
CAVALIERE: Via, restate.
MIRANDOLINA: Me lo comanda? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Vi dico che restiate.
MIRANDOLINA: Obbedisco. (Siede.)
CAVALIERE: (Mi obbliga sempre più). (Da sé.)
MARCHESE: Oh che roba! Oh che intingolo! Oh che odore! Oh che sapore! (Mangiando.)
CAVALIERE: (Il Marchese avrà gelosia, che siate vicina a me). (Piano a
Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Non m'importa di lui né poco, né molto). (Piano al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Siete anche voi nemica degli uomini?). (Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: (Come ella lo è delle donne). (Come sopra.)
CAVALIERE: (Queste mie nemiche si vanno vendicando di me). (Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Come, signore?). (Come sopra.)
CAVALIERE: (Eh! furba! Voi vedrete benissimo...). (Come sopra.)
MARCHESE: Amico, alla vostra salute. (Beve il vino di Borgogna.)
CAVALIERE: Ebbene? Come vi pare?
MARCHESE: Con vostra buona grazia, non val niente. Sentite il mio vin di Cipro.
CAVALIERE: Ma dov'è questo vino di Cipro?
MARCHESE: L'ho qui, l'ho portato con me, voglio che ce lo godiamo: ma! è di
quello. Eccolo. (Tira fuori una bottiglia assai piccola.)
MIRANDOLINA: Per quel che vedo, signor Marchese, non vuole che il suo vino ci vada
alla testa.
MARCHESE: Questo? Si beve a gocce, come lo spirito di melissa. Ehi? Li bicchierini.
(Apre la bottiglia.)
SERVITORE (porta de' bicchierini da vino di Cipro.)
MARCHESE: Eh, son troppo grandi. Non ne avete di più piccoli? (Copre la
bottiglia colla mano.)
CAVALIERE: Porta quei da rosolio. (Al Servitore.)
MIRANDOLINA: Io credo che basterebbe odorarlo.
MARCHESE: Uh caro! Ha un odor che consola. (Lo annusa.)
SERVITORE (porta tre bicchierini sulla sottocoppa.)
MARCHESE (versa pian piano, e non empie li bicchierini, poi lo dispensa al
Cavaliere, a Mirandolina, e l'altro per sé, turando bene la bottiglia): Che nettare!
Che ambrosia! Che manna distillata! (Bevendo.)
CAVALIERE: (Che vi pare di questa porcheria?). (A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Lavature di fiaschi). (Al Cavaliere, piano.)
MARCHESE: Ah! Che dite? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Buono, prezioso.
MARCHESE: Ah! Mirandolina, vi piace?
MIRANDOLINA: Per me, signore, non posso dissimulare; non mi piace, lo trovo
cattivo, e non posso dir che sia buono. Lodo chi sa fingere. Ma chi sa fingere in una
cosa, saprà fingere nell'altre ancora.
CAVALIERE: (Costei mi dà un rimprovero; non capisco il perché). (Da sé.)
MARCHESE: Mirandolina, voi di questa sorta di vini non ve ne intendete. Vi
compatisco. Veramente il fazzoletto che vi ho donato, l'avete conosciuto e vi è piaciuto,
ma il vin di Cipro non lo conoscete. (Finisce di bere.)
MIRANDOLINA: (Sente come si vanta?). (Al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Io non farei così). (A Mirandolina, piano.)
MIRANDOLINA: (Il di lei vanto sta nel disprezzare le donne). (Come sopra.)
CAVALIERE: (E il vostro nel vincere tutti gli uomini). (Come sopra.)
MIRANDOLINA: (Tutti no). (Con vezzo, al Cavaliere, piano.)
CAVALIERE: (Tutti sì.) (Con qualche passione, piano a Mirandolina.)
MARCHESE: Ehi? Tre bicchierini politi. (Al Servitore, il quale glieli porta
sopra una sottocoppa.)
MIRANDOLINA: Per me non ne voglio più.
MARCHESE: No, no, non dubitate: non faccio per voi. (Mette del vino di Cipro nei
tre bicchieri.) Galantuomo, con licenza del vostro padrone, andate dal Conte
d'Albafiorita, e ditegli per parte mia, forte, che tutti sentano, che lo prego di
assaggiare un poco del mio vino di Cipro.
SERVITORE: Sarà servito. (Questo non li ubbriaca certo. (Da sé; parte.)
CAVALIERE: Marchese, voi siete assai generoso.
MARCHESE: Io? Domandatelo a Mirandolina.
MIRANDOLINA: Oh certamente!
MARCHESE: L'ha veduto il fazzoletto il Cavaliere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo ha ancora veduto.
MARCHESE: Lo vedrete. (Al Cavaliere.) Questo poco di balsamo me lo salvo per
questa sera. (Ripone la bottiglia con un dito di vino avanzato.)
MIRANDOLINA: Badi che non gli faccia male, signor Marchese.
MARCHESE: Eh! Sapete che cosa mi fa male? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Che cosa?
MARCHESE: I vostri begli ochhi.
MIRANDOLINA: Davvero?
MARCHESE: Cavaliere mio, io sono innamorato di costei perdutamente.
CAVALIERE: Me ne dispiace.
MARCHESE: Voi non avete mai provato amore per le donne. Oh, se lo provaste,
compatireste ancora me.
CAVALIERE: Sì, vi compatisco.
MARCHESE: E son geloso come una bestia. La lascio stare vicino a voi, perché so
chi siete; per altro non lo soffrirei per centomila doppie.
CAVALIERE: (Costui principia a seccarmi). (Da sé.)
SCENA SETTIMA
Il Servitore con una bottiglia sulla sottocoppa, e detti.
SERVITORE: Il signor Conte ringrazia V.E., e manda una bottiglia di vino di
Canarie. (Al Marchese.)
MARCHESE: Oh, oh, vorrà mettere il suo vin di Canarie col mio vino di Cipro?
Lascia vedere. Povero pazzo! È una porcheria, lo conosco all'odore. (S'alza e tiene la
bottiglia in mano.)
CAVALIERE: Assaggiatelo prima. (Al Marchese.)
MARCHESE: Non voglio assaggiar niente. Questa è una impertinenza che mi fa il
Conte, compagna di tante altre. Vuol sempre starmi al di sopra. Vuol soverchiarmi, vuol
provocarmi, per farmi far delle bestialità. Ma giuro al cielo, ne farò una che varrà
per cento. Mirandolina, se non lo cacciate via, nasceranno delle cose grandi, sì,
nasceranno delle cose grandi. Colui è un temerario. Io son chi sono, e non voglio
soffrire simile affronti. (Parte, e porta via la bottiglia.)
SCENA OTTAVA
Il Cavaliere, Mirandolina ed il Servitore.
CAVALIERE: Il povero Marchese è pazzo.
MIRANDOLINA: Se a caso mai la bile gli facesse male, ha portato via la bottiglia
per ristorarsi.
CAVALIERE: È pazzo, vi dico. E voi lo avete fatto impazzire.
MIRANDOLINA: Sono di quelle che fanno impazzare gli uomini?
CAVALIERE: Sì, voi siete... (Con affanno.)
MIRANDOLINA: Signor Cavaliere, con sua licenza. (S'alza.)
CAVALIERE: Fermatevi.
MIRANDOLINA: Perdoni; io non faccio impazzare nessuno. (Andando.)
CAVALIERE: Ascoltatemi. (S'alza, ma resta alla tavola.)
MIRANDOLINA: Scusi. (Andando.)
CAVALIERE: Fermatevi, vi dico. (Con imperio.)
MIRANDOLINA: Che pretende da me? (Con alterezza voltandosi.)
CAVALIERE: Nulla. (Si confonde.) Beviamo un altro bicchiere di Borgogna.
MIRANDOLINA: Via signore, presto, presto, che me ne vada.
CAVALIERE: Sedete.
MIRANDOLINA: In piedi, in piedi.
CAVALIERE: Tenete. (Con dolcezza le dà il bicchiere.)
MIRANDOLINA: Faccio un brindisi, e me ne vado subito. Un brindisi che mi ha
insegnato mia nonna.
Viva Bacco, e viva Amore:
L'uno e l'altro ci consola;
Uno passa per la gola,
L'altro va dagli occhi al cuore.
Bevo il vin, cogli occhi poi...
Faccio quel che fate voi.
(Parte.)
SCENA NONA
Il Cavaliere, ed il Servitore.
CAVALIERE: Bravissima, venite qui: sentite. Ah malandrina! Se nè fuggita. Se
n'è fuggita, e mi ha lasciato cento diavoli che mi tormentano.
SERVITORE: Comanda le frutta in tavola? (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va al diavolo ancor tu. (Il Servitore parte.) Bevo il vin,
cogli occhi poi, faccio quel che fate voi? Che brindisi misterioso è questo? Ah
maladetta, ti conosco. Mi vuoi abbattere, mi vuoi assassinare. Ma lo fa con tanta grazia!
Ma sa così bene insinuarsi... Diavolo, diavolo, me la farai tu vedere? No, anderò a
Livorno. Costei non la voglio più rivedere. Che non mi venga più tra i piedi.
Maledettissime donne! Dove vi sono donne, lo giuro non vi anderò mai più. (Parte.)
SCENA DECIMA
Camera del Conte.
Il Conte d'Albafiorita, Ortensia e Dejanira.
CONTE: Il Marchese di Forlipopoli è un carattere curiosissimo. È nato nobile,
non si può negare; ma fra suo padre e lui hanno dissipato, ed ora non ha appena da
vivere. Tuttavolta gli piace fare il grazioso.
ORTENSIA: Si vede che vorrebbe essere generoso, ma non ne ha.
DEJANIRA: Dona quel poco che può, e vuole che tutto il mondo lo sappia.
CONTE: Questo sarebbe un bel carattere per una delle vostre commedie.
ORTENSIA: Aspetti che arrivi la compagnia, e che si vada in teatro, e può darsi
che ce lo godiamo.
DEJANIRA: Abbiamo noi dei personaggi, che per imitare i caratteri sono fatti a
posta.
CONTE: Ma se volete che ce lo godiamo, bisogna che con lui seguitiate a fingervi
dame.
ORTENSIA: Io lo farò certo. Ma Dejanira subito dà di bianco.
DEJANIRA: Mi vien da ridere, quando i gonzi mi credono una signora.
CONTE: Con me avete fatto bene a scoprirvi. In questa maniera mi date campo di far
qualche cosa in vostro vantaggio.
ORTENSIA: Il signor Conte sarà il nostro protettore.
DEJANIRA: Siamo amiche, goderemo unitamente le di lei grazie.
CONTE: Vi dirò, vi parlerò con sincerità. Vi servirò, dove potrò farlo, ma ho
un certo impegno, che non mi permetterà frequentare la vostra casa.
ORTENSIA: Ha qualche amoretto, signor Conte?
CONTE: Sì, ve lo dirò in confidenza. La padrona della locanda.
ORTENSIA: Capperi! Veramente una gran signora! Mi meraviglio di lei, signor Conte,
che si perda con una locandiera!
DEJANIRA: Sarebbe minor male, che si compiacesse d'impiegare le sue finezze per una
comica.
CONTE: Il far all'amore con voi altre, per dirvela, mi piace poco. Ora ci siete,
ora non ci siete.
ORTENSIA: Non è meglio così, signore? In questa maniera non si eternano le
amicizie, e gli uomini non si rovinano.
CONTE: Ma io, tant'è, sono impegnato; le voglio bene, e non la vo' disgustare.
DEJANIRA: Ma che cosa ha di buono costei?
CONTE: Oh! Ha del buono assai.
ORTENSIA: Ehi, Dejanira. È bella, rossa. (Fa cenno che si belletta.)
CONTE: Ha un grande spirito.
DEJANIRA: Oh, in materia di spirito, la vorreste mettere con noi?
CONTE: Ora basta. Sia come esser si voglia; Mirandolina mi piace, e se volete la
mia amicizia, avete a dirne bene, altrimenti fate conto di non avermi mai conosciuto.
ORTENSIA: Oh signor Conte, per me dico che Mirandolina è una dea Venere.
DEJANIRA: Sì, sì, vero. Ha dello spirito, parla bene.
CONTE: Ora mi date gusto.
ORTENSIA: Quando non vuol altro, sarà servito.
CONTE: Oh! Avete veduto quello ch'è passato per sala? (Osservando dentro la
scena.)
ORTENSIA: L'ho veduto.
CONTE: Quello è un altro bel carattere da commedia.
ORTENSIA: È uno che non può vedere le donne.
DEJANIRA: Oh che pazzo!
ORTENSIA: Avrà qualche brutta memoria di qualche donna.
CONTE: Oibò; non è mai stato innamorato. Non ha mai voluto trattar con donne. Le
sprezza tutte, e basta dire che egli disprezza ancora Mirandolina.
ORTENSIA: Poverino! Se mi ci mettessi attorno io, scommetto lo farei cambiare
opinione.
DEJANIRA: Veramente una gran cosa! Questa è un'impresa che la vorrei pigliare
sopra di me.
CONTE: Sentite, amiche. Così per puro divertimento. Se vi dà l'anima
d'innamorarlo, da cavaliere vi faccio un bel regalo.
ORTENSIA: Io non intendo essere ricompensata per questo: lo farò per mio spasso.
DEJANIRA: Se il signor Conte vuol usarci qualche finezza, non l'ha da fare per
questo. Sinché arrivano i nostri compagni, ci divertiremo un poco.
CONTE: Dubito che non farete niente.
ORTENSIA: Signor Conte, ha ben poca stima di noi.
DEJANIRA: Non siamo vezzose come Mirandolina; ma finalmente sappiamo qualche poco
il viver del mondo.
CONTE: Volete che lo mandiamo a chiamare?
ORTENSIA: Faccia come vuole.
CONTE: Ehi? Chi è di là?
SCENA UNDICESIMA
Il Servitore del Conte, e detti.
CONTE: Di' al Cavaliere di Ripafratta, che favorisca venir da me, che mi preme
di parlargli. (Al Servitore.)
SERVITORE: Nella sua camera so che non c'è.
CONTE: L'ho veduto andar verso la cucina. Lo troverai.
SERVITORE: Subito. (Parte.)
CONTE: (Che mai è andato a far verso la cucina? Scommetto che è andato a
strapazzare Mirandolina, perché gli ha dato mal da mangiare). (Da sé.)
ORTENSIA: Signor Conte, io aveva pregato il signor Marchese che mi mandasse il suo
calzolaro, ma ho paura di non vederlo.
CONTE: Non pensate altro. Vi servirò io.
DEJANIRA: A me aveva il signor Marchese promesso un fazzoletto. Ma! ora me lo
porta!
CONTE: De' fazzoletti ne troveremo.
DEJANIRA: Egli è che ne avevo proprio di bisogno.
CONTE: Se questo vi gradisce, siete padrona. È pulito. (Le offre il suo di seta.)
DEJANIRA: Obbligatissima alle sue finezze.
CONTE: Oh! Ecco il Cavaliere. Sarà meglio che sostenghiate il carattere di dame,
per poterlo meglio obbligare ad ascoltarvi per civiltà. Ritiratevi un poco indietro; che,
se vi vede, fugge.
ORTENSIA: Come si chiama?
CONTE: Il Cavaliere di Ripafratta, toscano.
DEJANIRA: Ha moglie?
CONTE: Non può vedere le donne.
ORTENSIA: È ricco? (Ritirandosi.)
CONTE: Sì, Molto.
DEJANIRA: È generoso? (Ritirandosi.)
CONTE: Piuttosto.
DEJANIRA: Venga, venga. (Si ritira.)
ORTENSIA: Tempo, e non dubiti. (Si ritira.)
SCENA DODICESIMA
Il Cavaliere e detti.
CAVALIERE: Conte, siete voi che mi volete?
CONTE: Sì; io v'ho dato il presente incomodo.
CAVALIERE: Che cosa posso fare per servirvi?
CONTE: Queste due dame hanno bisogno di voi. (Gli addita le due donne, le quali
subito s'avanzano.)
CAVALIERE: Disimpegnatemi. Io non ho tempo di trattenermi.
ORTENSIA: Signor Cavaliere, non intendo di recargli incomodo.
DEJANIRA: Una parola in grazia, signor Cavaliere.
CAVALIERE: Signore mie, vi supplico perdonarmi. Ho un affar di premura.
ORTENSIA: In due parole vi sbrighiamo.
DEJANIRA: Due paroline, e non più, signore.
CAVALIERE: (Maledettissimo Conte!). (Da sé.)
CONTE: Caro amico, due dame che pregano, vuole la civiltà che si ascoltino.
CAVALIERE: Perdonate. In che vi posso servire? (Alle donne, con serietà.)
ORTENSIA: Non siete voi toscano, signore?
CAVALIERE: Sì, signora.
DEJANIRA: Avrete degli amici in Firenze?
CAVALIERE: Ho degli amici, e ho de' parenti.
DEJANIRA: Sappiate, signore... Amica, principiate a dir voi. (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Dirò, signor Cavaliere... Sappia che un certo caso...
CAVALIERE: Via, signore, vi supplico. Ho un affar di premura.
CONTE: Orsù, capisco che la mia presenza vi dà soggezione. Confidatevi con
libertà al Cavaliere, ch'io vi levo l'incomodo. (Partendo.)
CAVALIERE: No, amico, restate... Sentite.
CONTE: So il mio dovere. Servo di lor signore. (Parte.)
SCENA TREDICESIMA
Ortensia, Dejanira ed il Cavaliere.
ORTENSIA: Favorisca, sediamo.
CAVALIERE: Scusi, non ho volontà di sedere.
DEJANIRA: Così rustico colle donne?
CAVALIERE: Favoriscano dirmi che cosa vogliono.
ORTENSIA: Abbiamo bisogno del vostro aiuto, della vostra protezione, della vostra
bontà.
CAVALIERE: Che cosa vi è accaduto?
DEJANIRA: I nostri mariti ci hanno abbandonate.
CAVALIERE: Abbandonate? Come! Due dame abbandonate? Chi sono i vostri mariti? (Con
alterezza.)
DEJANIRA: Amica, non vado avanti sicuro. (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (È tanto indiavolato, che or ora mi confondo ancor io). (Da sé.)
CAVALIERE: Signore, vi riverisco. (In atto di partire.)
ORTENSIA: Come! Così ci trattate?
DEJANIRA: Un cavaliere tratta così?
CAVALIERE: Perdonatemi. Io son uno che ama assai la mia pace. Sento due dame
abbandonate dai loro mariti. Qui ci saranno degl'impegni non pochi; io non sono atto a'
maneggi. Vivo a me stesso. Dame riveritissime, da me non potete sperare né consiglio, né
aiuto.
ORTENSIA: Oh via, dunque; non lo tenghiamo più in soggezione il nostro
amabilissimo Cavaliere.
DEJANIRA: Sì, parliamogli con sincerità.
CAVALIERE: Che nuovo linguaggio è questo?
ORTENSIA: Noi non siamo dame.
CAVALIERE: No?
DEJANIRA: Il signor Conte ha voluto farvi uno scherzo.
CAVALIERE: Lo scherzo è fatto. Vi riverisco. (Vuol partire.)
ORTENSIA: Fermatevi un momento.
CAVALIERE: Che cosa volete?
DEJANIRA: Degnateci per un momento della vostra amabile conversazione.
CAVALIERE: Ho che fare. Non posso trattenermi.
ORTENSIA: Non vi vogliamo già mangiar niente.
DEJANIRA: Non vi leveremo la vostra reputazione.
ORTENSIA: Sappiamo che non potete vedere le donne.
CAVALIERE: Se lo sapete, l'ho caro. Vi riverisco. (Vuol partire.)
ORTENSIA: Ma sentite: noi non siamo donne che possano darvi ombra.
CAVALIERE: Chi siete?
ORTENSIA: Diteglielo voi, Dejanira.
DEJANIRA: Glielo potete dire anche voi.
CAVALIERE: Via, chi siete?
ORTENSIA: Siamo due commedianti.
CAVALIERE: Due commedianti! Parlate, parlate, che non ho più paura di voi. Son ben
prevenuto in favore dell'arte vostra.
ORTENSIA: Che vuol dire? Spiegatevi.
CAVALIERE: So che fingete in iscena e fuor di scena; e con tal prevenzione non ho
paura di voi.
DEJANIRA: Signore, fuori di scena io non so fingere.
CAVALIERE: Come si chiama ella? La signora Sincera? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Io mi chiamo...
CAVALIERE: È ella la signora Buonalana? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Caro signor Cavaliere...
CAVALIERE: Come si diletta di miccheggiare? (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Io non sono...
CAVALIERE: I gonzi come li tratta, padrona mia? (A Dejanira.)
DEJANIRA: Non son di quelle...
CAVALIERE: Anch'io so parlar in gergo.
ORTENSIA: Oh che caro signor Cavaliere! (Vuol prenderlo per un braccio.)
CAVALIERE: Basse le cere. (Dandole nelle mani.)
ORTENSIA: Diamine! Ha più del contrasto, che del Cavaliere.
CAVALIERE: Contrasto vuol dire contadino. Vi ho capito. E vi dirò che siete due
impertinenti.
DEJANIRA: A me questo?
ORTENSIA: A una donna della mia sorte?
CAVALIERE: Bello quel viso trionfato! (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Asino!). (Parte.)
CAVALIERE: Bello quel tuppè finto! (A Dejanira.)
DEJANIRA: (Maledetto). (Parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
Il Cavaliere, poi il di lui Servitore.
CAVALIERE: Ho trovata ben io la maniera di farle andare. Che si pensavano? Di
tirarmi nella rete? Povere sciocche! Vadano ora dal Conte e gli narrino la bella scena. Se
erano dame, per rispetto mi conveniva fuggire; ma quando posso, le donne le strapazzo col
maggior piacere del mondo. Non ho però potuto strapazzar Mirandolina. Ella mi ha vinto
con tanta civiltà, che mi trovo obbligato quasi ad amarla. Ma è donna; non me ne voglio
fidare. Voglio andar via. Domani anderò via. Ma se aspetto a domani? Se vengo questa sera
a dormir a casa, chi mi assicura che Mirandolina non finisca a rovinarmi? (Pensa.)
Sì; facciamo una risoluzione da uomo.
SERVITORE: Signore.
CAVALIERE: Che cosa vuoi?
SERVITORE: Il signor Marchese è nella di lei camera che l'aspetta, perché
desidera di parlargli.
CAVALIERE: Che vuole codesto pazzo? Denari non me ne cava più di sotto. Che
aspetti, e quando sarà stracco di aspettare, se n'anderà. Va dal cameriere della locanda
e digli che subito porti il mio conto.
SERVITORE: Sarà obbedita. (In atto di partire.)
CAVALIERE: Senti. Fa che da qui a due ore siano pronti i bauli.
SERVITORE: Vuol partire forse?
CAVALIERE: Sì, portami qui la spada ed il cappello, senza che se n'accorga il
Marchese.
SERVITORE: Ma se mi vede fare i bauli?
CAVALIERE: Dica ciò che vuole. M'hai inteso.
SERVITORE: (Oh, quanto mi dispiace andar via, per causa di Mirandolina!), (Da
sé, parte.)
CAVALIERE: Eppure è vero. Io sento nel partir di qui una dispiacenza nuova, che
non ho mai provata. Tanto peggio per me, se vi restassi. Tanto più presto mi conviene
partire. Sì, donne, sempre più dirò male di voi; sì, voi ci fate del male, ancora
quando ci volete fare del bene.
SCENA QUINDICESIMA
Fabrizio e detto.
FABRIZIO: È vero, signore, che vuole il conto?
CAVALIERE: Sì, l'avete portato?
FABRIZIO: Adesso la padrona lo fa.
CAVALIERE: Ella fa i conti?
FABRIZIO: Oh, sempre ella. Anche quando viveva suo padre. Scrive e sa far di conto
meglio di qualche giovane di negozio.
CAVALIERE: (Che donna singolare è costei!). (Da sé.)
FABRIZIO: Ma vuol ella andar via così presto?
CAVALIERE: Sì, così vogliono i miei affari.
FABRIZIO: La prego di ricordarsi del cameriere.
CAVALIERE: Portate il conto, e so quel che devo fare.
FABRIZIO: Lo vuol qui il conto?
CAVALIERE: Lo voglio qui; in camera per ora non ci vado.
FABRIZIO: Fa bene; in camera sua vi è quel seccatore del signor Marchese. Carino!
Fa l'innamorato della padrona; ma può leccarsi le dita. Mirandolina deve esser mia
moglie.
CAVALIERE: Il conto. (Alterato.)
FABRIZIO: La servo subito. (Parte.)
SCENA SEDICESIMA
CAVALIERE (solo): Tutti sono invaghiti di Mirandolina. Non è maraviglia, se
ancor io principiava a sentirmi accendere. Ma anderò via; supererò questa incognita
forza... Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano. Mi porterà il
conto. Che cosa ho da fare? Convien soffrire quest'ultimo assalto. Già da qui a due ore
io parto.
SCENA DICIASSETTESIMA
Mirandolina con un foglio in mano, e detto.
MIRANDOLINA: Signore. (Mestamente.)
CAVALIERE: Che c'è, Mirandolina?
MIRANDOLINA: Perdoni. (Stando indietro.)
CAVALIERE: Venite avanti.
MIRANDOLINA: Ha domandato il suo conto; l'ho servita. (Mestamente.)
CAVALIERE: Date qui.
MIRANDOLINA: Eccolo. (Si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto.)
CAVALIERE: Che avete? Piangete?
MIRANDOLINA: Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi.
CAVALIERE: Del fumo negli occhi? Eh! basta... quanto importa il conto? (legge.)
Venti paoli? In quattro giorni un trattamento si generoso: venti paoli?
MIRANDOLINA: Quello è il suo conto.
CAVALIERE: E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono
nel conto?
MIRANDOLINA: Perdoni. Quel ch'io dono, non lo metto in conto.
CAVALIERE: Me li avete voi regalati?
MIRANDOLINA: Perdoni la libertà. Gradisca per un atto di... (Si copre,
mostrando di piangere.)
CAVALIERE: Ma che avete?
MIRANDOLINA: Non so se sia il fumo, o qualche flussione di occhi.
CAVALIERE: Non vorrei che aveste patito, cucinando per me quelle due preziose
vivande.
MIRANDOLINA: Se fosse per questo, lo soffrirei... volentieri... (Mostra
trattenersi di piangere.)
CAVALIERE: (Eh, se non vado via!). (Da sé.) Orsù, tenete. Queste sono due
doppie. Godetele per amor mio... e compatitemi... (S'imbroglia.)
MIRANDOLINA (senza parlare, cade come svenuta sopra una sedia.)
CAVALIERE: Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È svenuta. Che fosse innamorata di
me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina...
Cara? Io cara ad una donna? Ma se è svenuta per me. Oh, come tu sei bella! Avessi qualche
cosa per farla rinvenire. Io che non pratico donne, non ho spiriti, non ho ampolle. Chi è
di là? Vi è nessuno? Presto?... Anderò io. Poverina! Che tu sia benedetta! (Parte, e
poi ritorna.)
MIRANDOLINA: Ora poi è caduto affatto. Molte sono le nostre armi, colle quali si
vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è uno
svenimento. Torna, torna. (Si mette come sopra.)
CAVALIERE (torna con un vaso d'acqua.): Eccomi, eccomi. E non è ancor
rinvenuta. Ah, certamente costei mi ama. (La spruzza, ed ella si va movendo.)
Animo, animo. Son qui cara. Non partirò più per ora.
SCENA DICIOTTESIMA
Il Servitore colla spada e cappello, e detti.
SERVITORE: Ecco la spada ed il cappello. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: Va via. (Al Servitore, con ira.)
SERVITORE: I bauli...
CAVALIERE: Va via, che tu sia maledetto.
SERVITORE: Mirandolina...
CAVALIERE: Va, che ti spacco la testa. (Lo minaccia col vaso; il Servitore parte.)
E non rinviene ancora? La fronte le suda. Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite
gli occhi. Parlatemi con libertà.
SCENA DICIANNOVESIMA
Il Marchese ed il Conte, e detti.
MARCHESE: Cavaliere?
CONTE: Amico?
CAVALIERE: (Oh maldetti!). (Va smaniando.)
MARCHESE: Mirandolina.
MIRANDOLINA: Oimè! (S'alza.)
MARCHESE: Io l'ho fatta rinvenire.
CONTE: Mi rallegro, signor Cavaliere.
MARCHESE: Bravo quel signore, che non può vedere le donne.
CAVALIERE: Che impertinenza?
CONTE: Siete caduto?
CAVALIERE: Andate al diavolo quanti siete. (Getta il vaso in terra, e lo rompe
verso il Conte ed il Marchese, e parte furiosamente.)
CONTE: Il Cavaliere è diventato pazzo. (Parte.)
MARCHESE: Di questo affronto voglio soddisfazione. (Parte.)
MIRANDOLINA: L'impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere.
Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a scorno
degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso.
(Parte.)
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