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Gallina, Giacinto

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Giacinto GallinaGiacinto Gallina nacque a Venezia nel 1852. Il padre medico si separò presto dalla madre e il piccolo Giacinto andò a vivere con lui, insieme al fratello Enrico. L’interesse per il teatro fu precoce e nacque anche dal fatto che il piccolo Giacinto accompagnava tutte le sere il padre a teatro. Compì i suoi studi prima con un precettore privato, in seguito seguì regolari lezioni al ginnasio, mentre non portò mai a termine il liceo. Nel contempo Giacinto aveva acquisito una certa competenza nel suonare il pianoforte, la viola e il violoncello, il che gli permise di entrare, appena sedicenne, nell’orchestra del teatro cittadino La Fenice come violoncellista.

Ma la sua vera vocazione erano la letteratura e il teatro. La sua carriera teatrale è segnata da fortune alterne di pubblico e di critica, ma soprattutto da una insoddisfazione tra una concezione ideale di scrittura teatrale e quanto di concreto riusciva ed era costretto a produrre.

Si legò presto alla compagnia teatrale del capocomico Angelo Moro-Lin che insieme alla moglie Marianna Torta era impegnato nel rilancio del teatro veneziano. Il contratto con il teatro prevedeva una produzione serrata da scadenze strettamente legate alla stagione teatrale, l’utilizzo della lingua dialettale veneziana e la creazione di soggetti che avessero le caratteristiche degli attori di quella compagnia. Queste condizioni influenzarono la creatività di Giacinto che sentiva, inoltre, il peso e la responsabilità di essere considerato l’erede diretto del teatro goldoniano. Di questo primo periodo si ricordano: L’ambizione di un operaio (1871) che ebbe anche una versione dialettale (Un pare disgrazia); Le barufe in famegia (1872) di cui scrisse una versione in italiano (La famiglia dell’antiquario, 1873); Una famegia in rovina (1872); El ragion (1872, Il prodigio); Un monologo per la serveta (1872); Una scimmia coi fiochi (1874); Le serve al pozzo (1873); Zente refada (1875); El moroso de la nona (1875); Mia fia (1878); I oci del cuor (1879); La scuola del teatro (1879); Tuti in campagna (1876).

Il confronto lusinghiero con Carlo Goldoni e l’impossibilità di emancipare la sua arte dai bisogni e dalle contingenze della compagnia, ovvero tra la possibilità di un esercizio di scrittura alto e la pratica di buon mestiere, acuirono uno stato di insoddisfazione patologica e ipocondriaca che lo accompagnarono per tutta la vita. La sua produzione con il passare del tempo denota una tonalità sempre più sentimentale e patetica, a tratti convenzionale. Nel decennio 1877-1887 si dedicò, in un periodo difficile della sua vita caratterizzato dalla depressione, alla stampa del suo Teatro veneziano in sette volumi, l’ultimo dei quali contiene una nota autobiografica. In questi anni si affacciavano sulle scene europee nuove tendenze e correnti letterarie, da Ibsen agli italiani Giacosa e Praga, un teatro che si discostava dalla forma sentimentale e di maniera di cui ben conosceva la lezione Giacinto, verso una prospettiva morale più vera e lucida delle sfaccettature dei personaggi che influenzarono l’ultima produzione di Gallina. Di questa seconda produzione fanno parte titoli come Esmeralda (1888); Serenissima (1891); Fora dal mondo (1892); La famegia del santolo (1892); La base de tuto (1894); e l’ultimo lavoro Senza bussola (1897).

Trascorse l’ultima parte della sua vita in condizione di disagio economico, tanto che gli fu corrisposto un vitalizio come corrispettivo della cessione dei suoi manoscritti al museo Correr. Morì a Venezia il 13 febbraio del 1897.

Fonti:

  • D. B. I. vol. 51 Gallina Giacinto. Istituto della Enciclopedia Italiana. Roma; 1998. p.668-670.
  • Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti. 1932. vol. XVI ; p. 327-328.

Note biografiche a cura di Roberto Marzocchi.


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Gli e-book (istruzioni e licenze)

titolo: barufe in famegia (Le)
e-text del: 8 agosto 2006
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