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Nacque a Firenze nel 1513. Proveniente da famiglia umile, entrò giovanissimo nell'Ordine dei serviti pur non avendo nessuna vocazione. Nel 1540 incominciò a vagabondare per l'Italia vestendo l'abito da prete secolare dopo aver lasciato all'improvviso il convento fiorentino della Santissima Annunziata.
Soggiornò a Genova, Alessandria, Pavia, Milano; nel 1543 a Piacenza si dedicò, pur senza entusiasmo, allo studio delle leggi, per volontà del padre. In questo periodo strinse rapporti di amicizia con molti letterati piacentini che si riunivano nell'Accademia degli Ortolani. In questa accademia, che fra l'altro coltivava i generi comico e giocoso, fu accolto con il nome di Semenza e presto ne divenne l'animatore.
In questo ambiente matura la sua prima opera, Le lettere, edita appunto nel 1543, in cui con tono arguto e malizioso, talora amaro, mette in risalto la corruzione dei costumi, la decadenza del sentimento religioso, la stoltezza di una società che guarda solamente alle apparenze. Le lettere ebbero una buona fortuna di pubblico e furono più volte accresciute e ristampate; e in effetti il Doni, scrittore per natura prolisso e incapace di freno, trova una sua misura ed efficacia soprattutto in scritti occasionali come Le lettere. Anche in seguito, pur impegnandosi in opere di ampie dimensioni, troverà la sua dimensione più congeniale soprattutto in singoli frammenti, per esempio nelle novelle e nelle facezie che vi sono disseminate.
Nel 1544 si trasferì a Venezia, nella speranza di potervi vivere con il lavoro di scrittore. Ma l'illusione durò poco: pubblicò una seconda edizione delle Lettere e i tre Dialoghi della musica, e dovette tornare a Piacenza; anche il soggiorno a Roma fu breve, e si concluse con un nuovo ritorno a Piacenza. Solo di poco più duraturo il suo soggiorno fiorentino (1545/46); divenne segretario dell'Accademia Fiorentina e aprì una stamperia senza tuttavia poter reggere alla concorrenza di editori più ricchi. Allora abbandonò anche Firenze e verso la fine del 1547 si trasferì nuovamente a Venezia e divenne un attivissimo componente dell'Accademia dei Pellegrini.
In questo periodo la sua produzione letteraria è copiosa. Nel 1549 uscì il Disegno; nel 1550 la prima Libraria, e l'anno successivo la seconda. Si tratta di un saggio bibliografico delle opere volgari edite o manoscritte. Sul frontespizio si trova scritto: «Libro necessario e utile a tutti coloro che della cognizione della lingua hanno bisogno e che vogliono di tutti gli autori, libri e opere, sapere, scrivere e ragionare». Del 1551 è la Zucca dove trovano spazio polemiche letterarie, proposte sociali, novelle, ritratti, notizie di costumi, ecc. I Pistolotti amorosi, raccolta di lettere incentrata sulla tematica del matrimonio e della donna, che vi viene trattata con triviale realismo, sono del 1552.
È di quest'anno anche la sua opera più fortunata, i Mondi, opera nella quale è inserita anche un'interessante utopia sociale nella quale gli uomini sono uguali; il lavoro è distribuito razionalmente fra tutti; non esiste moneta e neppure un governo o una famiglia. Il sacerdote più anziano è il capo della città, sulla quale vigila paternamente; grande importanza è data alla religione, ridotta alla massima semplicità nei riti e nei precetti. Il Doni nel 1548 aveva curato la stampa dell'Utopia di Tommaso Moro nella traduzione di Ortensio Lando. L'influenza è evidente. Ancora nel 1552 uscì quella che oggi è considerata la sua opera più riuscita: I marmi. Il titolo si riferisce ai «marmi», cioè alle scalee di marmo del duomo di Firenze, dove si finge che siano tenuti i ragionamenti piacevoli e curiosi di cui l'opera è composta. Il Doni dice di aver voluto fermare in dialoghi le «novelle, stratagemi, favole» dei fiorentini, che su quelle scalee ragionano «d'abattimenti, di istorie, di burle, di natte fattosi l'una all'altra le donne e gli uomini: tutte cose svegliate, nobili, degne e gentili». Si tratta quindi di uno zibaldone e non tanto di un'opera organica; in molte pagine (ad esempio dove si fa parlare il Tempo) si può ravvisare idee che sembrano precorrere l'accoglimento da parte di Galileo della dottrina di Copernico.
In moltissime pagine si può ammirare la scorrevole parlata toscana e alcune immagini particolarmente felici. Nel 1553 pubblicò L'asinesca gloria e un commento alle Rime del Burchiello. Il periodo d'oro della sua produzione si stava però esaurendo. Nel 1555, nella speranza di trovare un impiego stabile al servizio di Guidobaldo II, duca di Urbino, si stabilì a Pesaro. Confidò il proposito all'Aretino, suo amico fidatissimo, che gli consigliò di non andare, forse per gelosia. Egli si recò ugualmente a Pesaro; l'Aretino lo minacciò di svelare al duca certe sue manchevolezze. Il Doni replicò immediatamente con un libello violentissimo, il Terremoto con la rovina di un gran colosso bestiale, Anticristo della nostra età (1556): in questo libello è predetta la morte dell'Aretino entro l'anno, fatto che si avverò. Tuttavia non ottenne l'impiego che desiderava.
Si trasferì a Ferrara nel 1557, poi a Venezia; infine si ritirò a Monselice, vivendo isolato e da misantropo, e comportandosi in modo estremamente bizzarro. Volle far erigere un monumento al Petrarca in Arquà, e a questo scopo si recò più volte a Venezia e Arquà. A Venezia si recò ancora nel 1574, pochi mesi prima della morte, avvenuta a Monselice nel 1574, per offrire a Enrico III il manoscritto di un suo poema sulla battaglia di Lepanto.
Fonti:
- A. Momigliano, La maschera del Doni, in Studi di poesia, Bari 1938.
- B. Croce, Anton Francesco Doni, in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari 1945 .
- C. Ricottini Marsili-Libelli, Anton Francesco Doni scrittore e stampatore, Firenze 1960.
- M. Messina, Anton Francesco Doni, in Letteratura italiana. I minori. Vol II. Milano 1961.
Note biografiche a cura di Paolo Alberti.
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