NOTE CRITICHE
a cura di Laura Barberi
ll Don Chisciotte della Mancia fu pubblicato da Miguel de
Cervantes Saavedra (Alcala' de Henares, 1547 - Madrid 1616) in due fasi
distinte: una prima parte, scritta probabilmente tra il 1598 e il 1604,
vide le stampe nel 1605, mentre una seconda parte uscì nel 1615 dopo
che, in seguito al successo e quindi alle numerose ristampe della prima
edizione, un non meglio identificato Alonso Fernandez de Avellaneda
aveva pubblicato l'anno prima il Secondo tomo della vita
dell'ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia: opera di
imitazione chiaramente non dovuta alla penna del Cervantes che proprio
per la preoccupazione di vedere il proprio personaggio sfruttato da
altri autori accelerò la scrittura della seconda e ultima parte delle
sue avventure.
In entrambe le edizioni la vicenda ruota intorno ai viaggi nell'est
della Spagna compiuti dal protagonista, Don Chisciotte appunto, che tre
volte lascia il suo villaggio d'origine in cerca di imprese
cavalleresche da compiere per emulare gli eroi di quella letteratura
cortese della quale è da sempre avido lettore e che gli hanno fatto
perdere la nozione della realtà, facendogli immaginare di essere egli
stesso un cavaliere errante. Ognuna di queste tre sortite (salidas)
ha proprie peculiarità: le prime due "uscite" sono contenute
nella prima parte, l'ultima nella seconda parte.
Il romanzo inizia con la presentazione del protagonista, Alonso
Chisciana, un nobiluomo (hidalgo) di campagna ormai cinquantenne,
che vive in un piccolo paese della Mancia e che dopo anni di letture di
libri cavallereschi impazzisce e comincia a pensare che tutto ciò che
ha letto corrisponda al vero e che egli debba ripetere le gesta dei
cavalieri erranti alla ricerca di fama e di gloria. Perciò si dota
dell'armatura dei suoi avi (ma la sua visiera è di cartone), ribattezza
il suo magro cavallo Ronzinante, sceglie per sé come nome di battaglia
quello di Don Chisciotte della Mancia ed elegge a sua dama una contadina
del luogo alla quale cambia il nome in Dulcinea del Toboso. Così dà
inizio al suo vagabondaggio. Questa prima sortita solitaria è però
destinata a breve durata, visto che, dopo qualche disavventura e una
buona dose di legnate inflittegli da chi ha sfidato, viene ritrovato
alquanto malconcio da un suo compaesano che lo riconduce a casa. Qui
viene assistito dalla nipote, dal curato e dal barbiere, i quali,
ritenendo responsabili della follia del loro amico i libri cavallereschi
della sua biblioteca, ne bruciano la quasi totalità. Nel frattempo Don
Chisciotte si rimette e si decide immediatamente ad una seconda uscita
(capp. VII - LII); prima però si sceglie uno scudiero, un contadino del
paese - Sancio Panza - attratto dalla possibilità di guadagni e dalla
promessa di ottenere un'isola da governare. E così si forma una delle
coppie più celebri della storia della letteratura: il cavaliere alto,
magro e allampanato in sella al suo Ronzinante, e lo scudiero basso e
tondo in groppa al suo somaro. Seguono alcune delle avventure più
celebri del romanzo tra le quali la battaglia contro i mulini a vento,
scambiati da Don Chisciotte per dei giganti e quindi sfidati a duello.
Dopo una serie di comiche peripezie che li vedono quasi sempre avere la
peggio, i due si dividono perché Don Chisciotte chiede a Sancio di
recapitare una lettera d'amore a Dulcinea. Durante il viaggio egli però
incontra il barbiere e il curato e gli rivela dove si trovi Don
Chisciotte e insieme, attraverso uno stratagemma, riescono a riportarlo
a casa.
La terza uscita di Don Chisciotte è al centro della seconda parte
del romanzo, edita nel 1615. Al ritorno nel suo villaggio Don Chisciotte
apprende che è stato pubblicato un libro che narra le sue avventure, ma
le descrive in modo molto poco glorioso, ragion per cui il nobiluomo si
decide ad una terza sortita proprio per affermare i suoi ideali di
giustizia, di cortesia, di difesa degli oppressi tanto derisi nel libro
appena pubblicato. Numerose vicende si susseguono, ma il nostro
protagonista ha sempre la peggio, anche perché, oramai divenuto famoso,
è vittima delle beffe di coloro che incontra e lo riconoscono come il
folle che si crede un cavaliere errante. Motivo distintivo, infatti,
della seconda parte del romanzo è il fatto che non è più tanto Don
Chisciotte a trasformare la realtà secondo la sua immaginazione, quanto
piuttosto i personaggi intorno a lui, incluso Sancio, a volerlo
convincere a compiere stramberie per poterne poi ridere. Anche questa
sortita si conclude comunque con un ritorno al villaggio, qui Don
Chisciotte si ammala preso da una forte febbre che lo tiene a letto. La
malattia lo rinsavisce, ma proprio allora muore.
Il Don Chisciotte è un'opera di una complessità
straordinaria, sia a livello tematico che stilistico, e di conseguenza
molte sono state le interpretazioni datene, anche di segno opposto tra
loro. L'universalità dei personaggi creati dal Cervantes ha poi spesso
indotto i critici a decontestualizzare storicamente il romanzo e a
leggerlo quasi come opera loro contemporanea. E' possibile però
ricondurre le varie analisi critiche fondamentalmente a due tipi di
letture: da un lato quella "giocosa", il cui massimo
sostenitore è forse l'Auerbach che nel suo Mimesis sottolinea
come la follia del Chisciotte altro non sia che gioco, parodia,
comicità, riconducibile alla follia erasmiana; dall'altro
l'interpretazione "tragica", storicamente affermatasi durante
il Romanticismo, che vede invece nell'hidalgo un campione
dell'idealismo costretto a scontrarsi con una prosaica realtà priva di
ogni eroismo. Ad ognuna di queste interpretazioni è possibile muovere
delle obiezioni visto che in realtà entrambi i toni, quello della
gaiezza e quello della melanconia, pervadono la narrazione e troppo
riduttivo sarebbe cercare di affermare una visione critica definitiva;
come per l'Amleto di Shakespeare continueranno a susseguirsi le più
svariate letture.
Ciò che invece è importante sottolineare e verso cui dovrebbe
concentrarsi l'attenzione del lettore, è la modernità stilistica
dell'opera (il che spiega anche come mai il dibattito critico anche nel
corso del Novecento si sia appassionato a questo romanzo), che partendo
dalla letteratura cortese-cavalleresca, dalla letteratura pastorale, dal
romanzo picaresco, dalla novellistica, abbia unito tutte queste
esperienze per creare qualcosa di assolutamente originale ed unico,
definito da molti come il primo romanzo moderno. La stratificazione dei
piani narrativi, per esempio, con diversi narratori che rimandano l'uno
all'altro: Cervantes dichiara infatti di rifarsi ad un manoscritto arabo
di un certo Cide Hamete Benengeli per la narrazione delle gesta di Don
Chisciotte, nella seconda parte del romanzo poi si parla spesso del
libro pubblicato, nella finzione, sulle avventure dell'hidalgo e
che lo mette così in cattiva luce, espediente attraverso il quale
Cervantes non lesina critiche al libro veramente pubblicato apocrifo nel
1614 con protagonista il suo folle cavaliere. In proposito si è parlato
di un vero e proprio gioco di specchi attraverso il quale viene demolita
la concezione univoca della realtà, sostituita da numerose prospettive
che ci forniscono un quadro sfuggente, contraddittorio, in eterno
equilibrio tra reale, appunto, e irreale. Letteratura e vita, teatro e
vita nel Don Chisciotte si mischiano: i mulini a vento diventano
dei giganti, le locande dei castelli, i montoni degli eserciti nemici,
etc. Ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista, il che fa
perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Sarebbe così
testimoniata dal Cervantes la crisi di fiducia del suo tempo nelle
acquisizioni rinascimentali quali l'armonioso equilibrio tra la natura e
l'uomo, la fiducia nell'agire umano guidato dalla razionalità. Nel suo
romanzo regnano invece la confusione, l'incertezza, il disinganno: una
"scissione tra coscienza e vita" che perdura ancora oggi e che
rende il Don Chisciotte così attuale.
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