Dall'Epitafio
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Che cosa non avevano questi uomini valorosi, di quello che
uomini valorosi devono avere? E che cosa avevano, di quel che
non devono avere? Possa io essere in grado di dire quello che
voglio, ma voglia io dire quello che devo, evitando la nemesi
divina, sfuggendo all'invidia umana. Costoro possedevano di
divino il valore, di umano la mortalità, spesso preferendo la
generosa equità al diritto spietato, spesso alla pedanteria
della legge la dirittura della ragione, questa ritenendo essere
divinissima e universalissima legge: dire e tacere, fare e
tralasciare quel che è necessario quando è necessario,
e due cose esercitando sopratutto di quelle che si devono, senno e
ardimento, quello per deliberare, questo per eseguire; difensori
degli ingiustamente sfortunati, punitori degli ingiustamente
fortunati, decisi di fronte all'utile, nobili di fronte al
decoro, con la prudenza del senno dominanti l'imprudenza
dell'ardimento, tracotanti coi tracotanti, saggi coi saggi, impavidi
cogli impavidi, momenti nei momenti tremendi.
A testimonianza di ciò levarono trofei sui nemici, dono votivo
a Zeus, monumento a se stessi, non inesperti né di innato valore,
né di legittimi amori, né di lotta in armi, né di pace,
amanti del bello, reverenti verso gli dei per giustizia, pii verso i
genitori per devozione, giusti verso i concittadini per equità,
rispettosi verso gli amici per fedeltà. Sicché, morti loro,
non è morto con loro il rimpianto: ma di loro, non più vivi, esso
vive immortale nella nostra spoglia mortale.

(Le più belle pagine di lett. greca classica, C.Coppola,Nuova Accademia Ed.)

 

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