Elogio di Elena
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E' decoro allo stato una balda gioventù; al corpo, bellezza;
all'animo, sapienza; all'azione, virtù; alla parola, verità.
Il contrario di questo, disdoro. E uomo e donna, e parola
ed opera, e città e azione conviene onorar di lode, chi di lode
sia degno; ma sull'indegno, riversar onta; poiché è pari
colpevolezza e stoltezza tanto biasimare le cose lodevoli, quanto lodare
le riprovevoli. E' invece dovere dell'uomo, sia dire rettamente
ciò che si addice, sia confutare (giustamente) i detrattori di
Elena, donna sulla quale consona e concorde si afferma e la
testimonianza di tutti i poeti, e la fama del nome, divenuto simbolo
delle fortunose vicende. Pertanto io voglio, svolgendo il
discorso secondo un certo metodo logico, lei così diffamata
liberar dall'accusa, e dimostrati mentitori i suoi detrattori e
svelata la verità, far cessare l'ignoranza.
(I Presocratici; op. cit.).

Tutti sanno che la donna di cui parlo era, per nascita e per
stirpe, prima tra i primi, e uomini e donne: sua madre fu Leda,
il padre vero un dio e quello putativo un uomo, Zeus e Tindaro
(dei quali il primo fu creduto padre perché lo era, l'altro fu
giudicato padre perché asseriva di esserlo), che erano l'uno il
più potente tra gli uomini, l'altro il signore di tutte le cose.
Nata da tali genitori ebbe bellezza divina, che non rimase
nascosta: e grande desiderio di amore suscitò in moltissimi, e
con la sua persona attrasse eroi gloriosi, dei quali alcuni vantavano
grande ricchezza, altri antica nobiltà di nascita, altri
vigoria di corpo, altri forza di sapienza acquisita. Tutti vennero
a lei mossi da ambizioso amore e da invincibile desiderio
di gloria.
Non dirò chi e perché e come, prendendo
Elena, appagò il suo desiderio d'amore, ché, dicendo
a coloro che sanno quel che già sanno, si è sì creduti,
ma non si porta diletto: ma tralasciando di parlare di quel tempo,
darò inizio al mio discorso ed esporrò le cause
per cui la partenza di Elena per Troia non poté non avvenire.
Essa fece quello che fece o pel cieco volere della fortuna e il consaputo volere
degli dei e un decreto del fato, o perché rapita con la violenza,
o perché persuasa dalle parole, o perché presa d'amore.
Se lo fece per la prima ragione, bisogna accusare chi ne fu la causa,
ché la previdenza umana non può contrastare il volere del dio.
E' legge di natura che il più forte non sia impedito dal debole ma il
debole sia dominato e trascinato dal forte, che il forte guidi e il debole segua:
ora il dio è superiore all'uomo e per forza e per sapienza e per tutto.
E la divinità supera in forza ed in saggezza ed anche nel rimanente il mortale.
Se responsabilità si adducesse al Fato o al dio, Elena va discolpata.
(trad. Maddalena, La lett. greca, Laterza, 1960, Bari)
Se fu rapita con la forza e subì violenza e fu oltraggiata
ingiustamente, è chiaro che ha colpa chi la rapì in quanto usò
violenza, mentre essa che fu rapita, in quanto subì violenza, fu
sventurata. Merita costui che, da barbaro, ardì barbara impresa;
merita verbale punizione, ma anche legalmente e di fatto. Con
il verbo gli giunge l'accusa, con legalità la infamia, e con i
fatti la pena. Ma chi subì la violenza e della patria venne privata,
e dei suoi cari spogliata, non deve essere compianta in
vece che diffamata? Quello compì il male, questa lo subì.
Giusto è per il primo il biasimo, giusta per la seconda
la compassione.
Se furono indi parole a convincerla e ingabbiarle l'animo
suo, pur semplice è difenderla e far svanire ogni accusa.
Il discorso, o parola, (logos) è un gigante piccolissimo,
un sovrano che compiere sa cose divine, come annullare i timori
ed ispirare gioia o lacrimevole pietà.
E come ciò ha luogo, lo spiegherò. Perchè
bisogna anche spiegarlo al giudizio degli uditori: la poesia nelle sue varie
forme io la ritengo e la chiamo un discorso con metro, e chi
l'ascolta è invaso da un brivido di spavento, da una compassione
che strappa le lacrime, da una struggente brama di dolore, e
l'anima patisce, per effetto delle parole, un suo proprio patimento,
a sentir fortune e sfortune di fatti e di persone straniere.
Ma via, torniamo al discorso di prima. Dunque, gli ispirati incantesimi
di parole sono apportatori di gioia, liberatori di pena.
Aggiungendosi infatti, alla disposizione dell'anima,
la potenza dell'incanto, questa la blandisce e persuade e trascina
col suo fascino. Di fascinazione e magia si sono create due arti,
consistenti in errori dell'animo ed in inganni della mente. E
quanti, a quanti, quante cose fecero credere e fanno credere,
foggiando un finto discorso!
Che se tutti avessero, circa tutte le cose, delle passate ricordo,
delle presenti coscienza, delle future previdenza, non di eguale
efficacia sarebbe il medesimo discorso, qual è invece per quelli,
che appunto non riescono né a ricordare il passato, né a meditare
sul presente, né a divinare il futuro; sicchè nel più dei casi,
i più offrono consigliera all'anima l'impressione del momento.
La quale impressione, per esser fallace ed incerta, in fallaci
ed incerte fortune implica chi se ne serve. Qual motivo ora impedisce
di credere che Elena sia stata trascinata da lusinghe di
parole, e così poco di sua volontà, come se fosse stata rapita
con violenza? Così si constaterebbe l'imperio della persuasione,
la quale, pur non avendo l'apparenza dell'ineluttabilità, ne ha
tuttavia la potenza. Infatti un discorso che abbia persuaso una
mente, costringe la mente persuasa, e a credere nei detti,
e a consentire nei fatti. Onde chi ha persuaso, in quanto ha
esercitato una costrizione, è colpevole; mentre chi fu persuasa,
in quanto costretta dalla forza della parola, a torto viene diffamata.
E poiché la persuasione, congiunta con la parola, riesce
anche a dare all'anima l'impronta che vuole, bisogna apprendere
anzitutto i ragionamenti degli (scrutatori del cielo), i quali
sostituendo ipotesi a ipotesi, distruggendone una, costruendone un'
altra, fanno apparire agli occhi della mente l'incredibile e l'inconcepibile;
in secondo luogo, i dibattiti oratorii di pubblica necessità,
nei quali un solo discorso non ispirato a verità, ma
scritto con arte, sul dilettare e persuadere la folla; in secondo
luogo le schermaglie filosofiche, nelle quali si rivela pure con che
rapidità l'intelligenza facilita il mutar di convinzioni dell'opinione.
C'è tra la potenza della parola e la disposizione dell'anima
lo stesso rapporto che tra l'ufficio dei farmachi e la natura del
corpo. Come infatti certi farmachi eliminano dal corpo certi umori,
e altri, altri; e alcuni troncano la malattia, altri la vita; così
anche dei discorsi, alcuni producon dolore, altri diletto, altri
paura, altri ispiran coraggio agli uditori, altri infine, con qualche
persuasione perversa, avvelenano l'anima e la stregano.
Ecco così spiegato che se ella fu persuasa con la parola, non fu
colpevole, ma sventurata.
(I Presocratici, op. cit.).

Passo a trattare della quarta causa. Se fu l'amore a fare
tutto questo, facilmente essa sfuggirà all'accusa della colpa che
le si attribuisce. Le cose che vediamo non hanno la natura che
vogliamo, ma quella che loro è toccata, e attraverso la vista
l' anima è variamente sollecitata. Così se vediamo nemici armarsi
contro nemici con una armatura di bronzo e di ferro (...) la
vista si turba, e turba l'anima, in modo che spesso fuggono
entrambe atterrite dal pericolo futuro come se fosse presente,
perché la consuetudine d'obbedire alla legge è come bandita
dalla paura suscitata dalla vista; questa infatti, sopraggiungendo,
fa dimenticare il bello stabilito dalla legge e il bene che s'ottiene
con la vittoria (...).
Così è naturale che la vista ora s'attristi e ora s'allegri.
Insomma molte sono le cose che suscitano in molti amore e desiderio
di molte cose. Se dunque gli occhi di Elena, provando
diletto dinanzi alla figura di Alessandro, ispirarono all'anima
desiderio e travaglio d'amore, che c'è da meravigliarsi? E se
l'amore, ch'è dio, ha potenza divina, come potrebbe respingerlo
od opporglisi uno che sia inferiore? Che se invece è
infermità
dell'uomo ed errore dell'anima, non si deve biasimare come se
fosse una colpa, ma considerarlo una sventura; venne come venne,
per insidia del caso, non per deliberazione della mente; venne
per necessità d'amore e non per artifici.
(trad. Maddalena, La lett. greca, op. cit.).

Che se dunque lo sguardo di Elena, dilettato dalla figura di
Alessandro, ispirò all'anima fervore e zelo d'amore, qual
meraviglia? il quale amore, se, in quanto dio, ha degli dei la divina
potenza, come un essere inferiore potrebbe respingerlo, o resistergli?
e se poi è un'infermità umana e una cecità della mente,
non è da condannarsi come colpa, ma da giudicarsi come sventura;
venne infatti, come venne, per agguati del caso, non per premeditazioni
della mente; e per ineluttabilità d'amore, non per artificiosi raggiri.
(I Presocratici, Laterza, 1994)

Come dunque si può stimare giusto il biasimo di cui è vittima
Elena, che, se ha fatto quello che ha fatto perché innamorata o
persuasa dalle parole o rapita con la forza o costretta dagli dei,
è in ogni caso innocente?
Così con le parole ho liberato la donna dalla sua cattiva fama
secondo la premessa del mio discorso: e sforzandomi di distruggere
l'ingiustizia di un'infamia e l'ignoranza di una opinione, questo
discorso ho voluto scrivere, non solo per elogiare Elena, ma
perché fosse a me di passatempo.
(trad. Maddalena, La lett. greca, op. cit.).

 

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