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Sulla vita di "Francesco di messer Angioliero" i dati sono scarsi e lacunosi.
Nacque a Siena, probabilmente verso il 1260, da famiglia eminente: la madre era monna Lisa della nobile casa dei Salimbeni, il padre fu banchiere di papa Gregorio IX e ricoperse varie cariche nel Comune senese (da un certo momento in poi fece parte dell'ordine dei frati di Maria, detti "frati gaudenti", e in questa veste viene spesso ricordato nei sonetti del figlio).
Di Cecco sappiamo che partecipò nell'esercito senese a vari fatti d'arme del tempo (assedio di Turri in Maremma nel 1281, guerra d'Arezzo nel 1288); che venne multato per almeno tre volte nel 1282 per non aver rispettato il coprifuoco; che fu implicato nel 1291 in un'oscura vicenda di ferimenti. E che doveva essere già morto nel 1312, perché in quell'anno i suoi figli rinunciarono all'eredità perchè gravata di debiti (ma dovettero comunque pagare l'anno successivo una somma che il padre doveva al Comune).
Da riferimenti interni sappiamo che fu bandito da Siena (cfr. sonetto LXXXIV) e che soggiornò a Roma (sonetto CII). Fu certamente in contatto con i poeti, anche fiorentini, del tempo: diversi passi della sua opera ce lo mostrano nella veste di critico corrosivo dello Stil Nuovo. A documentare il rapporto con Dante restano tre sonetti (C, CI, CII). Su questi scarni dati, e sulla lettura letterale della sua opera (tutti sonetti di carattere "giocoso", 108 più un'altra ventina di dubbia attribuzione) si è costruita la leggenda di un Cecco scapestrato, violento, cinico e disperato: un vero e proprio "poeta maledetto" ante litteram.
Un articolo di Alessandro d'Ancona del 1874 dette il via a questa voga, non contraddetta in un famoso saggio di Luigi Pirandello (che ne fa un poeta umorista, in qualche modo annettendolo tra i suoi antenati letterari). Gli studi successivi (soprattutto quelli del Marti) sottolineano la letterarietà di gran parte dell'opera di Cecco, che non è certo un poeta "popolare" di nascita, e che deve molto per i suoi testi alle convenzioni dei poeti giocosi e ad una tradizione secolare che rimanda spesso ai Carmina Burana.
Alla "leggenda" di Cecco ha contribuito anche una novella del Decameron (g. IX, nov. IV) che lo mette in scena insieme con un suo compagno di scioperataggini, Cecco di Fortarrigo (vedi il sonetto XCVI).
Note biografiche a cura di Roberto Gagliardi.
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