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Lessona, Michele

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Michele LessonaNacque a Venaria Reale, in provincia di Torino il 20 settembre 1823.

Fu medico ed esercitò la professione in Egitto, dove diresse al Cairo l'ospedale Khan Kah.

Tornato in Italia nel 1849, fu docente a Genova dal 1854, dopo aver vinto la cattedra di zoologia e mineralogia, a Bologna nel 1864 e nel 1865 a Torino, dove prese il posto del suo insegnante ed amico Filippo De Filippi (vedi), insegnando zoologia e anatomia comparata. All'università di Torino fu rettore dal 1877 al 1880.

Seguace del darwinismo, ne diffuse le dottrine in Italia anche tramite la traduzione di alcune delle più importanti opere di Darwin (vedi). Fu traduttore anche dei testi di Brehm, Lubbocke di Figuier. Come zoologo Lessona si occupò di sistematica e di etologia; scrisse molte opere di faunistica, in particolar modo sulla fauna piemontese, e di divulgazione e volgarizzazione. Scrittore facile lasciò un grande numero di articoli critici e di novelle, ma affida il suo nome soprattutto al volume Volere è potere (1869), scritto per educare la gioventù e divenuto assai popolare.

Si tratta di una galleria di personaggi che hanno improntato la loro vita al motto del titolo partendo da condizioni familiari molto misere per elevarsi, grazie alla loro forza di volontà e all'intelligenza, fino a posizioni di grande rispetto nella società del tempo. Anche la biografia Charles Darwin (vedi) del 1883 ebbe grande diffusione e consenso nei più disparati ambienti culturali. Nel 1892 fu fatto senatore.

Morì a Torino il 20 luglio 1894.

Lo stesso autore pubblicò un autoritratto sulla "Gazzetta del Popolo della Domenica" (anno II, n. 15) poco dopo la metà del secolo scorso. Eccolo:

"Io sono nato alla Venaria Reale presso Torino il 20 settembre 1823.

Trentanove anni dopo, una notte, la febbre mi travagliava furiosamente e le arterie mi martellavano il capo mentre il bastimento su cui io giaceva saltava come un sughero sulle onde del mar Caspio in tempesta. Quella notte il mio pensiero mi riportò alla Venaria con intensità affannosa, rividi la piazza, i portici, le vie, il Castello, il camposanto dove posano le ossa dei miei genitori e mi pareva di essere proprio nel mio caro paesetto a morire.

Quando morrò davvero, finchè non avrò perduto la facoltà di pensare, io penserò ancora alla Venaria, ai campi e ai prati fioriti, alle collinette boscose, alle belle montagne, a tante persone care, a tante persone vive sempre nella mia memoria, ma pel maggior numero scomparse dal mondo.

L'inerzia e i castelli in aria mi seguirono a Torino dove mi trovai giovinetto, incominciai la musica, il disegno, le lingue, pensai a farmi commediante, poi militare, non conclusi nulla e mi contentai di andare a scuola e passare da un anno all'altro. La fortuna incominciò fin d'allora a darmi una prova grande della sua predilezione, facendomi incontrare in un uomo degnissimo che era abate, cioè vestiva da chierico e faceva ripetizione di latino.

Sebbene io abbia passato poco tempo con lui, non più di un paio d'anni o forse anche meno, egli ebbe un'azione sommamente benefica su tutta quanta la mia vita. Egli prese ad amarmi molto e mi ispirò il gusto della lettura, spiegandomi amorevolmente e piacevolmente qualche brano dei classici: e quel gusto mi rimase sempre, mi sollevò in molti dolori, mi salvò nei momenti più gravi. Quell'uomo degno non è più chierico, è marito, è padre, cavaliere e professore e vive oggi ritirato dall'insegnamento in Mondovì, sua città nativa; si chiama Sebastiano Canavesio, e una dolcezza ineffabile mi invade nello scrivere il suo nome e nel ripensare a tutto il bene che mi ha fatto.

Passai cinque anni nell'ospedale di S. Giovanni, di Torino; tre come allievo interno di chirurgia, e quello spettacolo continuo di tanti dolori, quella vita in mezzo alla morte fu per me una buona scuola.

Ebbi là fra i miei compagni alcuni più intimamente cari, di cui uno solo è vivo ancora, il dottore Giovanni Battista Bottero, che mi diede prove di amicizia, quali di rado si danno nel mondo. In quel periodo s'era sviluppato in me, siccome quello che in germe c'era già fino dalla fanciullezza, assai vivo il desiderio dei viaggi, e anche qui la fortuna mi fu benigna concedendomi di soddisfare larghissimamente il mio desiderio. Ciò fu bene, perchè altrimenti quel desiderio insoddisfatto mi avrebbe tormentato tutta la vita. Imparai, alla lunga, che i viaggi giovano molto ai locandieri, almeno nei paesi dove ci sono locande. In Germania mi fu raccontato che "un'oca piccola ha attraversato il Reno ed è ritornata oca grossa".

Lasciando fuori quella parte della mia vita che vissi fuori d'Italia, e anche di Europa, in Italia dimorai a lungo in Genova e ne ebbi gran bene. Imparai a conoscere, stimare, amare i genovesi che hanno molti e grandi meriti e virtù preziose ignorate dal mondo, e il mio affetto per Genova e per la Liguria è pari a quello che ho per Torino e pel Piemonte.

Quella dimora mia in Genova ebbe non poca parte a sviluppare in me una tendenza congenita ad amare tutta l'Italia senza regionalismo. Da Torino a Venezia mi par sempre di trovarmi in casa mia e così da Genova a Palermo.

Ho conosciuto e conosco fra i meridionali persone tanto degne, tanto stimabili, tanto grandi, che quando taluno mi sussurra all'orecchio certe paroline esplorative, s'accorge presto che io non son campo per la sua semenza.

Se io dovessi giudicare gli uomini dai miei rapporti con essi dovrei dirne bene. Dagli uomini io ho avuto incomparabilmente più bene che non male.

Ma li ho visti all'opera!

Un mio amico parlando di una società di duemila persone, diceva che ci dovevano essere almeno mille e cinquecento birbanti. Io saltai su a tacciarlo di esagerazione e dissi che bisognava contentarsi di metterne mille.

Vado più in là. Un uomo tutto quanto buono, un uomo tutto quanto cattivo sono eccezioni. L'uomo migliore ha in sè un pocolino di cattivo, l'uomo peggiore non è senza un po' di buono.

Nelle colonie, dove ciascuno è padrone di regolarsi come vuole, senza riguardi, ciò si vede bene. Giovanni Prati diceva filosoficamente di se stesso:

"Son uom, dunque ier prode, oggi codardo".

Poi c'è un'altra cosa, Se un uomo fa un beneficio a un altro uomo, quest'ultimo se ne rallegra, gli è grato, ne parla, ma non si dilunga sull'argomento. Se un uomo fa a un altro uomo una cattiva azione, quest'ultimo non riesce a capacitarsene, se ne lagna per tutta la vita, si dispera, grida ai quattro venti il danno, l'oltraggio patito. Del male si parla incomparabilmente più che non del bene.

Un criminalista mi diceva che un terzo dei delitti che si vengono commettendo, passano impuniti. Ciò deve variare secondo i paesi e i delitti; ma se si parla di delitti impuniti perchè non se ne scoprono gli autori, mentre il delitto è conosciuto, è un conto. Se si parla, come mi sembra che volesse fare il mio criminalista, di quei delitti che passano al tutto ignorati, non so come si possa fare un calcolo intorno a cosa che non si conosce. Anche qui bisogna distinguere.

Vi sono delitti non meno micidiali di una coltellata nel cuore, che l'uomo commette lentamente, in famiglia, che ottengono a poco a poco l'effetto plenario e contro cui i giudici non troverebbero materia per una condanna. Vi sono i delitti più speditivi che sarebbero puniti ove fossero conosciuti, ma che nascono e muoiono senza che nessuno venga mai a saperne nulla. E sono molti. Ma sono molte pure le buone azioni ignorate.

Jacopo Ortis, se ben mi ricordo, diceva: "Io non odio nessuno, ma certa gente ho bisogno di vederla da lontano".

Per mio conto, dico io pure che non odio nessuno, e soggiungo che stimo molte persone e mi compiaccio del bene che voglio a parecchi amici e del modo in cui essi me ne ricambiano. Ma quanto a certa gente, che sarebbe desiderabile veder da lontano, come si fa? Spesso questa gente vi viene incontro, vi dà la mano, e voi non avete una ragione plausibile per mettere la vostra in tasca. È meglio schierarsi (cito ancora il Prati) fra quei

"... pochi, tremanti della propria polve,
Che il giudizio dell'uom lasciano a Dio".

Ho fatto l'uso a molte cose, tuttavia qualche volta ho una scossa, quando, per esempio, vedo gente che ha vituperato malvagiamente un uomo vivo, proclamarlo benemerito della patria appena morto. Casimiro Teja, grande filosofo e moralista contemporaneo, mi piacque più che mai col suo disegno di parecchi coccodrilli in lagrime per la morte di Quintino Sella.

Così ho una scossa quando vedo le stesse lodi, gli stessi compianti, le stesse corone su due tombe, come, per esempio, quella di Bertrando Spaventa e quella di Giuseppe Regaldi.

Ho molto amato quattro cose nella mia vita e ne ho molto abborrito tre.

Le quattro cose che ho molto amato sono: la montagna, il mare, il deserto, la steppa.

Le tre cose che ho molto aborrito sono: il busto, il crinolino, il chignon. Io non sono tre cose che il mondo chiede che io sia: non sono libero muratore - non sono spiritista - non sono senatore.

Preferisco l'estate all'inverno, l'autunno alla primavera, il tramonto all'aurora. Quanto al mio fisico, fu stampato e ristampato che mi si potrebbe scambiare per un mercante di buoi. Io non so distinguere un mercante di buoi da un altro uomo; e quindi, anche con questa guida, non posso dire quale sia il mio fisico. Giovanni Prati scrisse. un giorno sotto a un suo ritratto:

"Risi coll'oggi e col doman fei guerra
Spensierato e superbo, e piansi e il pianto
Soffocai nel tripudio della terra:
Or vo pensoso, amo il silenzio, e canto".

Io vo poco pensoso, non canto, amo; ma il silenzio è incompatibile colla mia qualità di accademico e professore".

Fonti:

  • Lorenzo Camerano, Michele Lessona, notizie biografiche e bibliografiche, in "Bollettino del museo di zoologia e di anatomia comparata dell'Università di Torino", 188, 1894 p. 407.
  • Lorenzo Camerano, La vita scientifica di Michele Lessona. Commemorazione letta alla Classe di Scienze Fisiche, matematiche e Naturali della R. Accademia di Torino il dì 17 Novembre 1895 - Torino 1896.
  • Ercolani, Luigi, Darwinismo: osservazioni sugli articoli di M. Lessona e S. Costa, Reggio Calabria: 1882.
  • Paola Govoni, Un pubblico per la scienza. La divulgazione scientifica nell'Italia in formazione. - Roma 2002.

Approfondimenti

Di Charles Darwin (vedi) ha tradotto, da solo o con altri:

  • Diario di un naturalista giramondo
  • formazione della terra vegetale per l'azione dei lombrici con osservazioni intorno ai loro costumi (La)
  • origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso (L')

Note biografiche a cura di Paolo Alberti.


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titolo: Carlo Darwin e il gran premio di Torino
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Discorso di assegnazione a Darwin del premio Cesare Alessandro Bressa. Pubblicato in "L'Illustrazione italiana" anno VII, n. 6, 8 febbraio 1880.


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