da "Drammi intimi" (1884)
Tentazione
Ecco come fu. - Vero com'è vero Iddio! Erano in tre: Ambrogio, Carlo e il
Pigna, sellaio. Questi che li avevano tirati pei capelli a far baldoria: - Andiamo a
Vaprio col tramvai -. E senza condursi dietro uno straccio di donna! Tanto è vero che
volevano godersi la festa in santa pace.
Giocarono alle bocce, fecero una bella passeggiata sino al fiume, si
regalarono il bicchierino e infine desinarono al Merlo bianco, sotto il pergolato. C'era
lì una gran folla, e quel dell'organetto, e quel della chitarra, e ragazze che
strillavano sull'altalena, e innamorati che cercavano l'ombrìa; una vera festa.
Tanto che il Pigna s'era messo a far l'asino con una della tavolata accanto,
civettuola, con la mano nei capelli, e il gomito sulla tovaglia. E Ambrogio, che era un
ragazzo quieto, lo tirava per la giacchetta, dicendogli all'orecchio:
- Andiamo via, se no si attacca lite -.
Dopo, al cellulare, quando ripensava al come era successo quel precipizio, gli
pareva d'impazzire.
Per acchiappare il tramvai, verso sera, fecero un bel tratto di strada a
piedi. Carlo, che era stato soldato, pretendeva conoscere le scorciatoje, e li aveva fatto
prendere per una viottola che tagliava i prati a zig zag. Fu quella la rovina!
Potevano essere le sette, una bella sera d'autunno, coi campi ancora verdi che
non ci era anima viva. Andavano cantando, allegri della scampagnata, tutti giovani e senza
fastidi pel capo.
Se fossero loro mancati i soldi, pure il lavoro, o avessero avuto altri guai,
forse sarebbe stato meglio. E il Pigna andava dicendo che avevano spesi bene i loro
quattrini quella domenica.
Come accade, parlavano di donne, e dell'innamorata, ciascuno la sua. E lo
stesso Ambrogio, che sembrava una gatta morta, raccontava per filo e per segno quel che
succedeva con la Filippina, quando si trovavano ogni sera dietro il muro della fabbrica.
- Sta a vedere - borbottava infine, ché gli dolevano le scarpe. - Sta a
vedere che Carlino ci fa sbagliare la strada! -
L'altro, invece, no. Il tramvai era là di certo, dietro quella fila d'olmi
scapitozzati, che non si vedeva ancora per la nebbiolina della sera.
«L'è sott'il pont, l'è sott'il pont a fà la legnaaa...» Ambrogio dietro
faceva il basso, zoppicando.
Dopo un po' raggiunsero una contadina, con un paniere infilato al braccio, che
andava per la stessa via. - Sorte! - esclamò il Pigna. - Ora ci facciamo insegnar la
strada -.
Altro! Era un bel tocco di ragazza, di quelle che fan venire la tentazione a
incontrarle sole. - Sposa, è questa la strada per andare dove andiamo? - chiese il Pigna
ridendo.
L'altra, ragazza onesta, chinò il capo, e affrettò il passo senza dargli
retta.
- Che gamba, neh! - borbottò Carlino. - Se va di questo passo a trovar
l'innamorato, felice lui!-
La ragazza, vedendo che le si attaccavano alle gonnelle, si fermò su due
piedi, col paniere in mano, e si mise a strillare:
- Lasciatemi andare per la mia strada, e badate ai fatti vostri.
- Eh! che non ce la vogliamo mangiare! - rispose il Pigna. - Che diavolo! -
Ella riprese per la sua via, a testa bassa, da contadina cocciuta che era.
Carlo, a fine di rompere il ghiaccio, domandò:
- O dove va, bella ragazza... come si chiama lei?
- Mi chiamo come mi chiamo, e vado dove vado -.
Ambrogio volle intromettersi lui: - Non abbia paura, che non vogliamo farle
male. Siamo buoni figliuoli, andiamo al tramvai pei fatti nostri -.
Come egli aveva la faccia d'uomo dabbene la giovane si lasciò persuadere,
anche perché annottava, e andava a rischio di perdere la corsa. Ambrogio voleva sapere se
quella era la strada giusta pel tramvai.
- M'hanno detto di sì - rispose lei. - Però io non son pratica di queste
parti -. E narrò che veniva in città per cercare di allogarsi. Il Pigna, allegro di sua
natura, fingeva di credere che cercasse di allogarsi a balia, e se non sapeva dove andare,
un posto buono glielo trovava lui la stessa sera, caldo caldo. E come aveva le mani
lunghe, ella gli appuntò una gomitata che gli sfondò mezzo le costole.
- Cristo! - borbottò. - Cristo, che pugno! E gli altri sghignazzavano.
- Io non ho paura di voi né di nessuno! - rispose lei. - Né di me? - E
neppure di me? - E di tutti e tre insieme? - E se vi pigliassimo per forza? - Allora si
guardarono intorno per la campagna, dove non si vedeva anima viva.
- O il suo amoroso - disse il Pigna per mutar discorso - o il suo amoroso come
va che l'ha lasciata partire?
- Io non ne ho - rispose lei.
- Davvero? Così bella!
- No, che non son bella.
- Andiamo, via! E il Pigna si mise in galanteria, coi pollici nel giro del
panciotto. - Perdio! se era bella! Con quegli occhi, e quella bocca, e con questo, e con
quest'altro! - Lasciatemi passare - diceva ella ridendo sottonaso, con gli occhi bassi.
- Un bacio almeno, cos'è un bacio? Un bacio almeno poteva lasciarselo dare,
per suggellare l'amicizia. Tanto, cominciava a farsi buio, e nessuno li vedeva. - Ella si
schermiva, col gomito alto. - Corpo! che prospettiva - Il Pigna se la mangiava con gli
occhi, di sotto il braccio alzato. Allora ella gli si piantò in faccia, minacciandolo di
sbattergli il paniere sul muso.
- Fate pure! picchiate sinché volete. Da voi mi farà piacere! - Lasciatemi
andare, o chiamo gente! - Egli balbettava, con la faccia accesa: - Lasciatevelo dare, che
nessun ci sente -. Gli altri due si scompisciavano dalle risa. Infine la ragazza, come le
si stringevano addosso, si mise a picchiare sul sodo, metà seria metà ridendo, su questo
e su quello, come cadeva. Poi si diede a correre con le sottane alte.
- Ah! lo vuoi per forza! lo vuoi per forza! - gridava il Pigna ansante,
correndole dietro.
E la raggiunse col fiato grosso, cacciandole una manaccia sulla bocca. Così
si acciuffarono e andavano sbatacchiandosi qua e là. La ragazza furibonda mordeva,
graffiava, sparava calci.
Carlo si trovò preso in mezzo per tentare di dividerli. Ambrogio l'aveva
afferrata per le gambe onde non azzoppisse qualcheduno. Infine il Pigna, pallido, ansante,
se la cacciò sotto, con un ginocchio sul petto. E allora tutti e tre, l'uno dopo l'altro,
al contatto di quelle carni calde, come fossero invasati a un tratto da una pazzia
furiosa, ubbriachi di donna... Dio ce ne scampi e liberi!
Ella si rialzò come una bestia feroce, senza dire una parola, ricomponendo
gli strappi del vestito e raccattando il paniere. Gli altri si guardavano fra di loro con
un risolino strano. Com'ella si muoveva per andarsene, Carlo le si piantò in faccia col
viso scuro: - Tu non dirai nulla! - No! non dirò nulla! - promise la ragazza con voce
sorda. Il Pigna a quelle parole l'afferrò per la gonnella. Ella si mise a gridare.
- Aiuto!
- Taci!
- Ajuto, all'assassino!
- Sta zitta, ti dico! -
Carlino l'afferrò alla gola.
- Ah! vuoi rovinarci tutti, maledetta! - Ella non poteva più gridare, sotto
quella stretta, ma li minacciava sempre con quegli occhi spalancati dove c'erano i
carabinieri e la forca. Diventava livida, con la lingua tutta fuori, nera, enorme, una
lingua che non poteva capire più nella sua bocca; e a quella vista persero la testa tutti
e tre dalla paura. Carlo le stringeva la gola sempre più a misura che la donna rallentava
le braccia, e si abbandonava, inerte, con la testa arrovesciata sui sassi, gli occhi che
mostravano il bianco. Infine la lasciarono ad uno ad uno, lentamente, atterriti.
Ella rimaneva immobile stesa supina sul ciglione del sentiero, col viso in su
e gli occhi spalancati e bianchi. Il Pigna abbrancò per l'omero Ambrogio che non si era
mosso, torvo, senza dire una parola, e Carlino balbettò:
- Tutti e tre, veh! Siamo stati tutti e tre!... O sangue della Madonna!... -
Era venuto buio. Quanto tempo era trascorso? Attraverso la viottola
bianchiccia si vedeva sempre per terra quella cosa nera, immobile. Per fortuna non passava
nessuno di là. Dietro la pezza di granoturco c'era un lungo filare di gelsi. Un cane
s'era messo ad abbaiare in lontananza. E ai tre amici pareva di sognare quando si udì il
fischio del tramvai, che andavano a raggiungere mezz'ora prima, come se fosse passato un
secolo.
Il Pigna disse che bisognava scavare una buca profonda, per nascondere quel
ch'era accaduto, e costrinsero Ambrogio per forza a strascinare la morta nel prato,
com'erano stati tutti e tre a fare il marrone. Quel cadavere pareva di piombo. Poi nella
fossa non c'entrava. Carlino gli recise il capo, col coltelluccio che per caso aveva il
Pigna. Poi quand'ebbero calcata la terra pigiandola coi piedi, si sentirono più
tranquilli e si avviarono per la stradicciuola. Ambrogio sospettoso teneva d'occhio il
Pigna che aveva il coltello in tasca. Morivano dalla sete, ma fecero un lungo giro per
evitare un'osteria di campagna che spuntava nell'alba; un gallo che cantava nella
mattinata fresca li fece trasalire. Andavano guardinghi e senza dire una parola, ma non
volevano lasciarsi, quasi fossero legati insieme.
I carabinieri li arrestarono alla spicciolata dopo alcuni giorni; Ambrogio in
una casa di mal affare, dove stava da mattina a sera; Carlo vicino a Bergamo, che gli
avevano messo gli occhi addosso al vagabondare che faceva, e il Pigna alla fabbrica, là
in mezzo al via vai dei lavoranti e al brontolare della macchina; ma al vedere i
carabinieri si fece pallido e gli s'imbrogliò subito la lingua. Alle Assise, nel
gabbione, volevano mangiarsi con gli occhi l'un l'altro, che si davano del Giuda. Ma
quando ripensavano poi al cellulare com'era stato il guaio, gli pareva d'impazzire, una
cosa dopo l'altra, e come si può arrivare ad avere il sangue nelle mani cominciando dallo
scherzare.
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