da "Vita dei campi" (1880)
Pentolaccia
Adesso viene la volta di «Pentolaccia» ch'è un bell'originale anche lui,
e ci fa la sua figura fra tante bestie che sono alla fiera, e ognuno passando gli dice la
sua. Lui quel nomaccio se lo meritava proprio, ché aveva la pentola piena tutti i giorni,
prima Dio e sua moglie, e mangiava e beveva alla barba di compare don Liborio, meglio di
un re di corona.
Uno che non abbia mai avuto il viziaccio della gelosia, e ha chinato sempre il
capo in santa pace, che Santo Isidoro ce ne scampi e liberi, se gli salta poi il
ghiribizzo di fare il matto, la galera gli sta bene.
Aveva voluto sposare la Venera per forza, sebbene non ci avesse né re né
regno, e anche lui dovesse far capitale sulle sue braccia, per buscarsi il pane. Inutile
sua madre, poveretta, gli dicesse: - Lascia star la Venera, che non fa per te; porta la
mantellina a mezza testa, e fa vedere il piede quando va per la strada -. I vecchi ne
sanno più di noi, e bisogna ascoltarli, pel nostro meglio.
Ma lui ci aveva sempre pel capo quella scarpetta e quegli occhi ladri che
cercano il marito fuori della mantellina: perciò se la prese senza volere udir altro, e
la madre uscì di casa, dopo trent'anni che c'era stata, perché suocera e nuora insieme
ci stanno proprio come cani e gatti. La nuora, con quel suo bocchino melato, tanto disse e
tanto fece, che la povera vecchia brontolona dovette lasciarle il campo libero, e
andarsene a morire in un tugurio; fra marito e moglie erano anche liti e questioni, ogni
volta che doveva pagarsi la mesata di quel tugurio. Quando infine la povera vecchia finì
di penare, e lui corse al sentire che le avevano portato il viatico, non poté riceverne
la benedizione, né cavare l'ultima parola di bocca alla moribonda, la quale aveva già le
labbra incollate dalla morte, e il viso disfatto, nell'angolo della casuccia dove
cominciava a farsi scuro, e aveva vivi solamente gli occhi, coi quali pareva che volesse
dirgli tante cose. - Eh?... Eh?... -
Chi non rispetta i genitori fa il suo malanno e la brutta fine.
La povera vecchia morì col rammarico della mala riuscita che aveva fatto la
moglie di suo figlio; e Dio le aveva accordato la grazia di andarsene da questo mondo,
portandosi al mondo di là tutto quello che ci aveva nello stomaco contro la nuora, che
sapeva come gli avrebbe fatto piangere il cuore, al figliuolo. Appena Venera era rimasta
padrona della casa, colla briglia sul collo, ne aveva fatte tante e poi tante, che la
gente ormai non chiamava altrimenti suo marito che con quel nomaccio, e quando arrivava a
sentirlo anche lui, e si avventurava a lagnarsene colla moglie - Tu che ci credi? - gli
diceva lei. E basta. Lui allora contento come una pasqua.
Era fatto così, poveretto, e sin qui non faceva male a nessuno. Se
gliel'avessero fatta vedere coi suoi occhi, avrebbe detto che non era vero, grazia di
Santa Lucia benedetta. A che giovava guastarsi il sangue? C'era la pace, la provvidenza in
casa, la salute per giunta, ché compare don Liborio era anche medico; che si voleva
d'altro, santo Iddio?
Con don Liborio facevano ogni cosa in comune: tenevano una chiusa a mezzeria,
ci avevano una trentina di pecore, prendevano insieme dei pascoli in affitto, e don
Liborio dava la sua parola in garanzia, quando si andava dinanzi al notaio.
«Pentolaccia» gli portava le prime fave e i primi piselli, gli spaccava la legna per la
cucina, gli pigiava l'uva nel palmento; a lui in cambio non gli mancava nulla, né il
grano nel graticcio, né il vino nella botte, né l'olio nell'orciuolo; sua moglie bianca
e rossa come una mela, sfoggiava scarpe nuove e fazzoletti di seta, don Liborio non si
faceva pagar le sue visite, e gli aveva battezzato anche un bambino. Insomma facevano una
casa sola, ed ei chiamava don Liborio «signor compare» e lavorava con coscienza. Su tal
riguardo non gli si poteva dir nulla a «Pentolaccia». Badava a far prosperare la
società col «signor compare» il quale perciò ci aveva il suo vantaggio anche lui, ed
erano contenti tutti.
Ora avvenne che questa pace degli angeli si mutò in una casa del diavolo
tutt'a un tratto, in un giorno solo, in un momento, come gli altri contadini che
lavoravano nel maggese, mentre chiacchieravano all'ombra, nell'ora del vespero, vennero
per caso a leggergli la vita, a lui e a sua moglie, senza accorgersi che «Pentolaccia»
s'era buttato a dormire dietro la siepe, e nessuno l'aveva visto. - Per questo si suol
dire «quando mangi, chiudi l'uscio, e quando parli, guardati d'attorno».
Stavolta parve proprio che il diavolo andasse a stuzzicare «Pentolaccia» il
quale dormiva, e gli soffiasse nell'orecchio gl'improperii che dicevano di lui, e glieli
ficcasse nell'anima come un chiodo. - E quel becco di «Pentolaccia»! - dicevano, - che
si rosica mezzo don Liborio! - e ci mangia e ci beve nel brago! - e c'ingrassa come un
maiale! -
Che avvenne? Che gli passò pel capo a «Pentolaccia»? Si rizzò a un tratto
senza dir nulla, e prese a correre verso il paese come se l'avesse morso la tarantola,
senza vederci più degli occhi, che fin l'erba e si sassi gli sembravano rossi al pari del
sangue. Sulla porta di casa sua incontrò don Liborio, il quale se ne andava
tranquillamente, facendosi vento col cappello di paglia. - Sentite, «signor compare», -
gli disse - se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la festa! -
Don Liborio lo guardò negli occhi, quasi parlasse turco, e gli parve che gli
avesse dato volta al cervello, con quel caldo, perché davvero non si poteva immaginare
che a «Pentolaccia» saltasse in mente da un momento all'altro di esser geloso, dopo
tanto tempo che aveva chiuso gli occhi, ed era la miglior pasta d'uomo e di marito che
fosse al mondo.
- Che avete oggi, compare? - gli disse.
- Ho, che se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la
festa! -
Don Liborio si strinse nelle spalle e se ne andò ridendo. Lui entrò in casa
tutto stralunato, e ripeté alla moglie:
- Se vedo qui un'altra volta il «signor compare» com'è vero Dio, gli faccio
la festa! -
Venera si cacciò i pugni sui fianchi, e cominciò a sgridarlo e a dirgli
degli improperi. Ei si ostinava a dire sempre di sì col capo, addossato alla parete, come
un bue che ha la mosca, e non vuol sentir ragione. I bambini strillavano al veder quella
novità. La moglie infine prese la stanga, e lo cacciò fuori dell'uscio per levarselo
dinanzi, dicendogli che in casa sua era padrona di fare quello che le pareva e piaceva.
«Pentolaccia» non poteva più lavorare nel maggese, pensava sempre a una
cosa, ed aveva una faccia di basilisco che nessuno gli conosceva. Prima d'imbrunire, ed
era sabato, piantò la zappa nel solco, e se ne andò senza farsi saldare il conto della
settimana. Sua moglie, vedendoselo arrivare senza denari, e per giunta due ore prima del
consueto, tornò di nuovo a strapazzarlo, e voleva mandarlo in piazza, a comprarle delle
acciughe salate, che si sentiva una spina nella gola. Ma ei non volle muoversi di lì,
tenendosi la bambina fra le gambe, che, poveretta, non osava muoversi, e piagnucolava, per
la paura che il babbo le faceva con quella faccia. Venera quella sera aveva un diavolo per
cappello, e la gallina nera, appollaiata sulla scala, non finiva di chiocciare, come
quando deve accadere una disgrazia.
Don Liborio soleva venire dopo le sue visite, prima d'andare al caffè, a far
la sua partita di tresette; e quella sera Venera diceva che voleva farsi tastare il polso,
perché tutto il giorno si era sentita la febbre, per quel male che ci aveva nella gola.
«Pentolaccia» lui, stava zitto, e non si muoveva dal suo posto. Ma come si udì per la
stradicciuola tranquilla il passo lento del dottore che se ne venìa adagio adagio, un po'
stanco delle visite, soffiando pel caldo, e facendosi vento col cappello di paglia,
«Pentolaccia» andò a prender la stanga colla quale sua moglie lo scacciava fuori di
casa, quando egli era di troppo, e si appostò dietro l'uscio. Per disgrazia Venera non se
ne accorse, giacché in quel momento era andata in cucina a mettere una bracciata di legna
sotto la caldaia che bolliva. Appena don Liborio mise il piede nella stanza, suo compare
levò la stanga, e gli lasciò cadere fra capo e collo tal colpo, che l'ammazzò come un
bue, senza bisogno di medico, né di speziale.
Così fu che «Pentolaccia» andò a finire in galera.
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