da "Don Candeloro e C." (1894)
Paggio Fernando
- Paggio Fernando sarà lei! - esclamò il signor Olinto, puntando l'indice
peloso. - Lei sarà un amore di paggio, parola d'onore! -
Don Gaetanino Longo, rosso dal piacere, seguitò a tormentare i baffetti che
non spuntavano ancora, e balbettò:
- Se crede... se le pare...
- E come! e come! - Il capocomico, col pugno sull'anca e il busto
all'indietro, colla tuba bisunta sull'orecchio, e il mento ispido in mano, saettando
un'occhiata sicura di conoscitore di fra le setole delle sopracciglia aggrottate,
continuava a dire:
- Ma sicuro! Lei ha il fisico che ci vuole! Faranno una bella macchia
insieme alla mia Rosmunda! -
Allora scoppiarono i malumori e le gelosie fra i dilettanti raccolti intorno
al biliardo nel Casino di conversazione. Si udì prima un'osservazione timida, come un
sospiro; poscia il coro delle lagnanze: Perché è figliuolo del sindaco!... Perché torna
dagli studi col solino alto tre dita!...
- Eh?... Che cosa?... Dicano, dicano pure liberamente. Siam qui apposta per
intenderci... fra amici... -
Si fece avanti un giovanotto magro e barbuto, sotto un gran cappellaccio nero,
e cominciò:
- Io vorrei... Non dico per la distribuzione delle parti... Non me ne
importa... Ma quanto alla scelta della produzione... Mi pare che sarebbe ora di finirla
colla camorra...
- Eh? Che dice? Non le piace la Partita a scacchi dell'avvocato
Giacosa?... Lavoro applaudito in tutte le piazze!... -
L'altro fece una spallata, e l'accompagnò con un risolino che diceva assai.
Don Gaetanino, che pigliava le parti dell'avvocato Giacosa, come si sentisse già sulle
spalle la responsabilità della parte affidatagli, tirava grosse boccate di fumo dal
virginia lungo un palmo, col cuore alla gola.
- Vediamo. Mi trovi di meglio. Cerchi lei, signor... signor... -
Il giovanotto s'inchinò; cavò fuori dal portafogli un biglietto di visita, e
lo presentò, con un altro inchino al signor Olinto.
- Ah! ah! corrispondente della Frusta teatrale e dell'Ape dei teatri?...
Felicissimo! Io non domando di meglio che contentare la libera stampa e la pubblica
opinione... Vediamo, dica lei. Mi suggerisca, signor... - E tornò a leggere il biglietto
di visita.
- Barbetti, per servirla.
- Signor Barbetti, dice lei... Se ci ha sotto mano qualche altra cosa che si
adatti meglio al gusto di questo colto pubblico... Qualche lavoro di polso... -
Barbetti si faceva pregare, masticando delle scuse, fingendo di ribellarsi
all'amico Mertola, il quale moriva dalla voglia di tradire il segreto dell'amico Barbetti.
Infine Mertola non seppe più frenarsi, e alzò la voce, scostandosi dall'amico,
additandolo al pubblico per quel grand'uomo che egli era.
- Il lavoro di polso c'è... inedito... la sua Vittoria Colonna!... Gli
è costata due anni di lavoro!...
- Ah! ah! - fece il capocomico. - Ah! ah! e me lo teneva nascosto, lei! Non sa
ch'io sono ghiotto di simili primizie? -
Barbetti s'arrese infine, e tirò fuori dal soprabitino un rotolo legato con
un nastro verde.
- Adesso? - rispose il signor Olinto. - Su due piedi? Che mi canzona, caro
lei?... Un lavoro di polso come il suo!... Bisogna vedere... bisogna studiare... Intanto
dò un'occhiata... -
Colla schiena appoggiata alla sponda del biliardo e il mento nel bavero di
pelliccia, andava sfogliando le pagine, aggrottato, e borbottava:
- Bene, bene!... Effetto scenico!... Bei pensieri!... Stile elevato!... In
questa parte la mia signora... Non le dico altro!...
- Con permesso! con permesso! - interruppe il cameriere del Casino,
spingendosi avanti a gomitate. - Ecco qui don Angelino e il notaro Lello. Devo preparare
il biliardo per la solita partita -.
Il capocomico si cacciò la mazza sotto l'ascella, e raccattò gli scartafacci
e i telegrammi sparsi sul panno verde.
- Va bene, va bene, ne riparleremo. Intanto bisogna far girare la pianta -.
Fu il più difficile. I giuocatori di tressette rispondevano picche, e
brontolavano contro quel forestiere che portava la iettatura. Seduta stante si dovettero
ribassare i prezzi. Ma l'avvocato Longo, sentendo che c'era per aria un dramma
dell'avvocato Barbetti, repubblicano e suo avversario nel Consiglio, una gherminella per
togliere la parte di Paggio Fernando al suo figliuolo, dichiarò che non dava il teatro
per rappresentazioni immorali e sovversive. Il signor Olinto, che andava mostrando la
pianta del teatro col cappello in mano, gli disse:
- Ma che! Lei ci crede alla Vittoria Colonna? Una porcheria! Servirà
per accendere la pipa. Lasci fare a me che so fare... Me ne trovo tra i piedi una ogni
piazza, delle Vittorie!...
- Bene, faccia lei. Ma a buon conto sa che al sindaco spetta un palco, e un
altro alla Commissione teatrale, senza contare il tanto per cento sull'introito lordo a
beneficio dell'Asilo Infantile -.
Le trattative durarono otto giorni. Il signor Olinto si scappellava con tutto
il paese, per rabbonire la gente, e la signorina Rosmunda aiutava dal balcone, civettando,
vestita di seta, con un libro in mano, mentre la mamma badava alla cucina. Don Gaetanino
Longo, oramai sicuro del fatto suo, aveva confidato all'amico Renna:
- Quella me la pasteggio io! -
E passava e ripassava sotto il balcone, succhiando il virginia, a capo chino,
rosso come un pomodoro, lanciando poi da lontano occhiate incendiarie.
Il signor Olinto, che l'incontrava spesso, gli disse infine:
- Voglio presentarti alla mia signora. Così ti affiaterai pure con Jolanda -.
Il tu glielo aveva scoccato a bruciapelo, fin dal primo giorno. Ma quel tratto
d'amicizia commosse davvero don Gaetanino. Trovarono la signorina Rosmunda che stava
leggendo accanto al lume posato su di un cassone, colla fronte nella mano, la bella mano
delicata e bianca che sembrava diafana. Aveva i capelli nerissimi raccolti e fermati in
cima al capo da un pettine di tartaruga, un casacchino bianco e un cerchietto d'argento,
dal quale pendeva una medaglina, al polso. Da prima alzò il capo arrossendo e fece un
bell'inchino al figliuolo del sindaco. Gli occhioni scuri e misteriosi sotto le folte
sopracciglia lasciarono filare uno sguardo lungo che gli cavò l'anima, a lui! Ma in
quella comparve la mamma infagottata in una vecchia pelliccia, coll'aria malaticcia, un
fuoco d'artificio di ricciolini inanellati sulla fronte, e le mani, nere di carbone, nei
mezzi guanti.
- Da artisti, alla buona, senza cerimonie - disse il signor Olinto. E
cominciò a parlare dei suoi trionfi e delle famose candele che gli dovevano tanti autori
che adesso andavano tronfi e pettoruti; e delle birbonate che aveva salvato da un fiasco
sicuro, e passavano ora per capolavori.
- Anche quella Vittoria Colonna, vedi, se mi ci mettessi!...
Don Gaetanino assentiva col viso e con tutta la persona. Ma intanto guardava
di sottecchi la figliuola, che aveva il viso lungo e il naso del babbo, ingentiliti da un
pallore delicato, da una trasparenza di carnagione che sembrava vellutata, dalla polvere
di cipria abbondante, e da una peluria freschissima che agli angoli della bocca metteva
l'ombra di due baffetti provocanti. Essa di tratto in tratto gli saettava addosso di
quelle occhiate luminose che lo irradiavano internamente.
- Ah! anche il signore si occupa?...
- Sì. Non hai inteso? Lui è Paggio Fernando...
Essa allora gli piantò addosso gli occhi e non li mosse più, perché egli
vedesse ch'erano proprio belli. Il babbo colse giusto quel momento per passare in cucina;
e don Gaetanino, sentendo di dover spifferare qualche cosa, balbettò col cuore che
battevagli forte:
- Signorina!... son fortunato!... davvero!...
- Oh! Che dice mai?... Piuttosto io!...
- Il bicchiere dell'amicizia! - interruppe il signor Olinto tornando con una
bottiglia in mano e gli occhi già accesi. - Da artisti, alla buona. Scuserai... Non
abbiamo mica il buon vino che bevete voi altri proprietari del paese... -
La ragazza non volle bere. Il giovanetto, per cortesia, bagnò appena le
labbra in quell'aceto, dicendole:
- Alla sua salute! -
Essa alzò gli occhi su di lui, e lo ringraziò con quella sola occhiata.
- Divino!... Squisito! - sentenziò don Gaetanino, che non sapeva più quel
che si dicesse. - Vi manderò domani un po' di quel vecchio... Questo qui è eccellente...
Non c'è che dire... Ma domani... -
La mamma voleva protestare. Il marito le chiuse la parola in bocca:
- Per qualche bottiglia di vino... Non è un gran male. Non è un regalo di
valore. Fra amici... pel bicchiere dell'amicizia. Già verrai a berlo anche tu... la sera,
quando non avrai altro da fare... intanto vi affiaterete con Jolanda -.
Jolanda appoggiò l'invito con un'altra occhiata, e Paggio Fernando balbettò:
- Sì!... certamente!... felicissimo!... -
Stava poi per rompersi l'osso del collo quando imboccò la botola della
scaletta. Fuori c'era un bel chiaro di luna, una striscia d'argento fredda e silenziosa
che divideva la strada in due. Egli camminava in quella striscia d'argento, col piede
leggiero, il cervello spumante, il virginia rivolto al cielo, il cuore che batteva a
martello, e gli diceva: - È tua! è tua! -
A casa trovò una lavata di capo per l'ora tarda, e andò a letto senza cena.
Il povero giovane passò una notte deliziosa, cogli occhi sbarrati nel buio, a veder
pettini di tartaruga e occhiate lucenti che illuminavano la camera. Appena uscito, il
giorno dopo, provò subito una smania di correre dall'amico Renna.
- Una divinità, caro mio! Una cosa da ammattire! -
Renna, ch'era indiscreto, volle sapere a che punto fossero le cose, e lo
costrinse a inventare dei particolari.
- Benone! - conchiuse. - Sai però cosa ti dico? Alla lesta! Non perdere il
tempo a filare il sentimento. Già è donna di teatro; non ti dico altro!
- Io?... Filare il sentimento?... - borbottò Gaetanino, quasi reputandosi
offeso. - Vedrai!...
Ma il signor Olinto era lì ogni sera, a fumare la pipa e centellinare il vino
dell'amicizia. Quando lui usciva a prender aria poi, la mamma, che stava appisolata in un
cantuccio, collo scaldino sotto le sottane, apriva un occhio. Filavano le occhiate, del
resto, che era uno struggimento, e le pedate sotto la tavola, e il fuoco e l'accento di
certe frasi, alle prove:
Io ti guardo negli occhi che son tanto belli!!!
- Così - esclamava il capocomico, picchiando della mazza per terra. - Faremo
saltare in aria il teatro! -
Intanto quel briccone di Barbetti metteva dei bastoni nelle ruote. Erano
giunte due copie della Frusta teatrale con un articolaccio che diceva ira di Dio
della camorra letteraria ed artistica, e fecero il giro del paese. La pianta del teatro
rimaneva mezzo vuota. Don Gaetanino, per onore di firma, dovette prendere un palco ad
insaputa del genitore. C'erano pure delle altre nubi in quel cielo azzurro. Il vino
vecchio scorreva com'olio; e l'amico Olinto qualche volta, conducendolo a braccetto per le
strade remote, gli faceva delle confidenze:
- Sono sulle spese... Otto giorni inoperoso sulla piazza... La recita non
va... - Don Gaetanino dovette carpire le chiavi del magazzino e vendere del grano di
nascosto.
Intanto il capocomico, per rabbonire il corrispondente della Frusta
teatrale e dell'Ape dei teatri, aveva tirato in casa pur lui, a studiare Vittoria
Colonna, insieme alla sua signora e alla ragazza. Quando don Gaetanino trovò anche
Barbetti installato accanto alla Rosmunda, col cappellaccio in testa e il bicchiere in
mano, fece tanto di muso, e andò a sedere in disparte.
- Lei mi deve fare entrare Vittoria alla terza scena - stava dicendo il
capocomico. - C'è più interesse e movimento. Un valletto solleva la tenda, giusto
all'ultima battuta mia: «sulla tua corona superba, il mio piede sovrano di pezzente!...»
e comparisce lei, bella, maestosa, imponente... -
E così dicendo additò la sua signora. Costei al richiamo spalancò gli occhi
di botto, e si rizzò sulla vita, col viso di tre quarti, e un sorriso sospeso all'angolo
della bocca. Rosmunda finse di dover andare di là, e passando vicino a don Gaetanino
disse piano:
- Che seccatore!...
- No! - ribatté Barbetti solennemente. - Non muto neppure una virgola! Mi
farei tagliare la mano piuttosto!
- Ah! Bene! bene! Questo si chiama aver coscienza artistica! Non come tanti
altri che magari vi aggiungono o tagliano degli atti intieri... quasi fosse un giuoco di
bussolotti!... Mi pareva soltanto... pel movimento scenico... per l'interesse... per la
pratica che ci ho!... Ma già, lei è il miglior giudice. Alla sua salute! -
Don Gaetanino vedeva nell'altra stanza lampeggiare al buio gli occhi della
Rosmunda, la quale si voltava a guardarlo di tanto in tanto. Poi essa ritornò con un
lavoro all'uncinetto e gli si mise allato.
- Che hai, Paggio Fernando?... - gli chiese sottovoce, con una musica
deliziosa nella voce, e i begli occhi chini sul lavoro.
Allora senza curarsi di Barbetti, senza curarsi di nessuno, egli le disse il
suo segreto, col viso acceso, colle parole calde che le balbettava all'orecchio come una
carezza. Essa chinavasi sempre più sul lavoro, quasi vinta, scoprendo la nuca bianca.
Poscia si sollevò con un sospiro lungo di cui non si udì il suono, appoggiando le spalle
alla seggiola, colle mani abbandonate sul grembo, la testa all'indietro, il viso pallido,
la bocca semiaperta, gli occhi languidi di dolcezza che si fissavano su di lui.
Ma quello sfacciato di Barbetti non se ne dava per inteso. Sembrava anzi che
si pigliasse da sé la sua parte di confidenza e d'intimità in casa dei comici. Era lì
ogni sera, stuzzicando la ragazza a fare il chiasso, bevendo il vino di don Gaetanino,
giuocando a briscola col signor Olinto, sparlando di questo e di quello. - Da artisti! Una
vita quieta e tranquilla, che si sarebbe dimenticato volentieri di cercar le piazze e le
scritture, in quell'angolo del mondo! - diceva il capocomico. Quando non c'era l'amico
Barbetti, faceva dei solitari, o si esercitava in certi giuochi di mano coi quali
aveva messo sossopra dei teatri. Don Gaetanino, purché lo lasciassero quieto nel suo
cantuccio, portava nelle tasche del cappotto salsicciotti e altri salumi, che piacevano
tanto alla mamma, felicissimo quando poteva starsene insieme alla Rosmunda, colle mani
intrecciate, guardandosi negli occhi, spasimando di desiderio, e volgendo le spalle agli
altri.
- Eh? a che punto siamo? - chiedeva il Renna di tanto in tanto. Don Gaetanino
rispondeva con un sorriso che voleva sembrar discreto.
- Ma c'è sempre Barbetti?
- Ci vado di notte... - confessò finalmente Gaetanino facendosi rosso, -
dalla finestra!... -
Tutto il paese sapeva ch'egli era l'amante della «prima donna» e papà Longo
sequestrò le chiavi della dispensa, vedendo diradare i salsicciotti appesi al solaio, e
avendo anche dei sospetti quanto al grano e al vino vecchio. Fu un affare serio, poiché
l'orologio d'argento messo in pegno non durò neanche quarantott'ore. Per giunta il povero
don Gaetanino era geloso di quella bestia di Barbetti, il quale colla Rosmunda si pigliava
troppa libertà, senza educazione, subito in confidenza, con quelle manacce sudice sempre
per aria, e le barzellette salate che facevano ridere la ragazza. Due o tre volte,
giungendo prima dell'ora solita, li aveva trovati a tavola tutti quanti, mangiando e
bevendo alla sua barba. Vero è che Rosmunda si era alzata subito, con un pretesto, ed era
venuta a dirgli in un cantuccio:
- Quel seccatore!... L'ho sempre fra i piedi! -
Le prove tiravano in lungo, come la vendita dei biglietti per la serata. Il
signor Olinto passava le giornate dal barbiere, al caffè, nelle spezierie, dando anche la
sera una capatina nel Casino di conversazione, cavando fuori ogni momento la pianta,
fermando la gente per le strade col cappello in mano. Aveva pure radunata una Commissione,
«senza colore politico», per proteggere la serata, il presidente della Società
operaia insieme al vice pretore, i quali avevano accettato soltanto per godersi la Partita
a scacchi gratis. A Barbetti poi diceva, con una strizzatina d'occhi che doveva
chetarlo:
- Abbi pazienza! Prima bisogna adescare il pubblico con quella roba lì! Più
tardi poi... se abboccano... fuoco alla grossa artiglieria! E diamo mano all'arte sul
serio! -
Perciò ogni mattina alle 10, tutti in teatro per le prove: lui gesticolando
colla canna d'India in mano e predicando dentro il bavero di pelo; la sua signora, come
una marmotta, colla sciarpa di lana intorno al capo; Rosmunda col nasino rosso sul
manicotto di pelle di gatto, e la veletta imperlata dal freddo.
- Là! Fatemi suonare quei versi! -
Oh! Ma non sai, Jolanda, che ho giuocato la vita?
- Flon! flon! flon! La gamba un po' più avanti! La mani sul petto! Viva
quella mano, perdio! che palpiti e frema! Tu sei innamorato della mia ragazza... -
Il fatto è che a dirglielo in versi dinanzi a tanta gente, don Gaetanino
diventava un minchione. C'erano pure gli altri dilettanti, in posizione, ad aspettare la
loro battuta colla bocca mezzo aperta, e il cappellaccio di Barbetti che andava
svolazzando al buio per la platea, come un uccello di malaugurio.
Jolanda al contrario, padrona di sé e del palcoscenico, si muoveva come una
regina, agitava drammaticamente il manicotto, si piantava sull'anca, col seno palpitante,
il torso audace, gli occhi stralunati sotto la veletta.
Tu giungesti, Fernando, tu che sei forte e bello.
E una voce nell'anima mi gridò tosto: È quello!...
- Perdio! Porca fortuna! - il babbo picchiava con forza il bastone sulle
tavole. - Un insieme come questo!... Il pubblico balzerà in piedi, vi dico!... Dove me lo
trovate?... Li tengo negli stivali tutti quei cavalieri e commendatori, quanto a saper
mettere in scena!... È che la fortuna!... -
Allora se la pigliava colla cabala, col gusto corrotto del pubblico, coi tempi
che non dicevano, e deplorava che ora si corra dietro all'apparato, ai vestiti delle prime
attrici, roba che non ha nulla a fare coll'arte, anzi che la corrompe. Un'artista, per
contentare tutti al giorno d'oggi deve fare quel mestiere!
Don Gaetanino, mortificato, scusavasi col dire:
- Sicuro... quando avrò il costume... Adesso, con questi abiti... mi sento
tutto... -
Finalmente, papà Longo sequestrò anche le chiavi del magazzino. Allora il
signor Olinto accorciò le prove. A Barbetti, che gli ronzava sempre intorno colla Vittoria
Colonna, disse chiaro e tondo:
- Mio caro, se mi dai teatro pieno, volentieri... Ma se no, salutami tanto
donna Vittoria. Da tre settimane son qui sulle spese! -
Sembrava che la sera della recita alla Rosmunda le parlasse il cuore. Nervosa,
irrequieta, correndo ogni momento dinanzi allo specchio per darsi un po' di cipria, o per
accomodarsi meglio la parrucca bionda.
Appena i tre violini della Filarmonica attaccarono il valzer di Madama
Angot, essa stessa si buttò singhiozzando nelle braccia di Paggio Fernando, il quale
aspettava dietro una quinta, irrigidito, e lo baciò sulla bocca, lievemente, tenendolo
discosto per non sciupare il belletto.
- Che hai, Rosmunda?...
- Ora andremo via... fra qualche giorno!... Non ci vedremo più! -
Comparve all'improvviso il babbo, come uno spettro, infarinato, bianco di
pelo, colle calze bianche della moglie tirate sulle polpe, e due ditate nere sotto gli
occhi: - Ragazzi! attenti! Fuori di scena! -
Andò a rotta di collo la Partita a Scacchi. Sia che ci fosse «il
partito contrario»; sia che Paggio Fernando, con quei stivaloni e quella penna di struzzo
dinanzi agli occhi, perdesse la tramontana. Incespicò, s'impaperò, batté i piedi in
terra, tornò da capo: insomma un precipizio. L'amico Olinto, bestemmiando nel barbone di
bambagia, gli faceva degli occhiacci terribili. Jolanda fu lì lì per isvenire. Barbetti
e tre o quattro amici suoi dal cappellaccio repubblicano, in piedi addirittura fischiavano
come locomotive. La mamma di don Gaetanino e tutto il parentado se ne andarono prima che
calasse la tela. Il Sindaco, furibondo, voleva fare arrestare tutti quanti.
Ma fu peggio il giorno dopo, quando il povero innamorato, di sera, pigliando
le strade fuori mano, andò a trovare la Rosmunda, con tanto di muso e bisbetica, che gli
fece appena la carità di un'occhiata e di una parola. Meno male l'amico Olinto, che non
ne parlava più e badava soltanto a fare i conti dello spesato, e con Barbetti, il quale
prometteva mari e monti, e aveva di nuovo intavolato il discorso della Vittoria.
- Se avessi dato retta a me!... Quella è roba che fa ridere oramai... Non
parlo per l'esecuzione... -
Più di una volta, in quella sera disgraziata, don Gaetanino accarezzò l'idea
del suicidio. Girovagò sin tardi per le strade buie come l'inferno. Andò a chinarsi sul
parapetto del Belvedere, scivolando sui mucchi di sterro, colla morte nell'anima. Da per
tutto, nella vallata scura e sinistra, nel cielo nuvoloso, sugli usci neri, vedeva il viso
di lei rigido e chiuso; la vedeva ancora colla parrucca bionda e il bacio sulle labbra di
carminio. Non chiuse occhio tutta la notte, tormentato da quella visione implacabile,
colle stesse parole di Paggio Fernando che gli martellavano le tempie, ridicole, simili
agli sghignazzamenti della platea, che gli facevano cacciare il capo disperatamente fra i
guanciali.
Poi, come tutto passa, anche Rosmunda si calmò; il padre stesso di lei venne
a cercarlo sin nella strada. Ricominciarono a far girare la pianta, e parlare di un'altra
recita con un «lavoro originale di penna paesana».
Il capocomico e Barbetti tornarono a passar la sera discorrendo di Vittoria
Colonna, egli e Rosmunda parlando di tutt'altro, a quattr'occhi, in un cantuccio,
tenendosi le mani, benedicendo a quella Vittoria che tratteneva ancora in paese
papà Olinto e la sua ragazza. Ma la gente non voleva più saperne di mettere mano alla
tasca per simili sciocchezze. Il teatro rimaneva quasi vuoto. Barbetti seguitava a
pigliarsela colla camorra, e don Gaetano era indebitato sino agli occhi. Infine suo padre,
vedendo che quella musica non cessava, ed egli rischiava davvero di perdere il figliuolo
che già gli si ribellava contro, tanto era innamorato, prese un partito eroico: salassò
il bilancio comunale di un centinaio di lire, raccolse un altro gruzzolo per
contribuzione, e mandò i denari ai comici per le spese del viaggio.
Che agonia l'ultima sera! Che schianto mentre Rosmunda preparava i bauli colle
mani tremanti, e la mamma faceva friggere in cucina un po' di pesce per la cena d'addio!
Don Gaetanino seguì la Rosmunda anche lì, dinanzi alla mamma che voltava le spalle,
tenendola per mano, appoggiati al muro tutti e due, la ragazza singhiozzando forte come
una bambina, nei brevi istanti che la mamma discretamente li lasciava soli.
- Addio!... per sempre!... Non ci vedremo più!... Sempre così!... sempre
così!... -
Ora gli parlava a cuore aperto, lamentandosi a voce alta, a rischio d'essere
udita dal Barbetti. Che gliene importava? Non si sarebbero visti mai più! così era stato
sempre, tutta la sua vita, da un paese all'altro, ogni due o tre settimane uno strappo al
cuore, appena il cuore si attaccava a qualcuno...
- Ti ho voluto bene, sai! Tanto bene! tanto! - E lo guardava fisso, accennando
anche col capo, cogli occhi pieni di lagrime.
L'amico Olinto, baciandolo sulle due guance, coi baffi ancora umidi di salsa,
gli disse all'ultimo momento:
- Arrivederci, Paggio Fernando! Le montagne sole non si muovono. Chissà!...
Rammentati l'amico Olinto, in giro pel mondo, e viva l'allegria! -
Don Gaetanino Longo rimase Paggio Fernando: nel paese, all'Università, più
tardi, quando vinse il concorso di notaio, consigliere comunale, maritato, padre di
famiglia: Paggio Fernando! E la moglie, per giunta, gelosa come una tigre per quel
soprannome che gli faceva sospettare non so che infedeltà.
Dopo un gran pezzo, a Roma, dove aveva accompagnato il Sindaco per certo
affare del municipio, rivide in teatro la Rosmunda, acclamata, festeggiata, tutti gli
occhi su di lei, tutte le mani che l'applaudivano. Provò un tuffo nel cuore, soffiandosi
il naso come una trombetta, coi lucciconi di tanti anni addietro che gli tornavano agli
occhi. Ma Renna, segretario comunale, ch'era con lui nello stesso palco, se la rideva
invece nella barba grigia; e Severino, il suo ragazzo, di già alto così, gli fece capire
quant'era sciocco.
- Guarda, papà che piange! Se è tutta una finzione!... -
I ragazzi al giorno d'oggi hanno più giudizio dei vecchi.
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