da "Vita dei campi" (1880)
Fantasticheria
Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi
allo sportello del vagone, esclamaste: - Vorrei starci un mese laggiù! -
Noi vi ritornammo, e vi passammo non un mese, ma quarantott'ore; i terrazzani
che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste
rimasta un par d'anni. La mattina del terzo giorno, stanca di vedere eternamente del verde
e dell'azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione, e
gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il
collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai. In quelle quarantott'ore facemmo
tutto ciò che si può fare ad Aci-Trezza: passeggiammo nella polvere della strada, e ci
arrampicammo sugli scogli; col pretesto di imparare a remare vi faceste sotto il guanto
delle bollicine che rubavano i baci; passammo sul mare una notte romanticissima, gettando
le reti tanto per far qualche cosa che a' barcaiuoli potesse parer meritevole di buscarsi
dei reumatismi, e l'alba ci sorprese in cima al fariglione - un'alba modesta e
pallida, che ho ancora dinanzi agli occhi, striata di larghi riflessi violetti, sul mare
di un verde cupo, raccolta come una carezza su quel gruppetto di casucce che dormivano
quasi raggomitolate sulla riva, mentre in cima allo scoglio, sul cielo trasparente e
limpido, si stampava netta la vostra figurina, colle linee sapienti che vi metteva la
vostra sarta, e il profilo fine ed elegante che ci mettevate voi. - Avevate un vestitino
grigio che sembrava fatto apposta per intonare coi colori dell'alba. - Un bel quadretto
davvero! e si indovinava che lo sapeste anche voi, dal modo in cui vi modellaste nel
vostro scialletto, e sorrideste coi grandi occhioni sbarrati e stanchi a quello strano
spettacolo, e a quell'altra stranezza di trovarvici anche voi presente. Che cosa avveniva
nella vostra testolina allora, di faccia al sole nascente? Gli domandaste forse in qual
altro emisfero vi avrebbe ritrovata fra un mese? Diceste soltanto ingenuamente: - Non
capisco come si possa vivere qui tutta la vita -.
Eppure, vedete, la cosa è più facile che non sembri: basta non possedere
centomila lire di entrata, prima di tutto; e in compenso patire un po' di tutti gli stenti
fra quegli scogli giganteschi, incastonati nell'azzurro, che vi facevano batter le mani
per ammirazione. Così poco basta, perché quei poveri diavoli che ci aspettavano
sonnecchiando nella barca, trovino fra quelle loro casipole sgangherate e pittoresche, che
viste da lontano vi sembravano avessero il mal di mare anch'esse, tutto ciò che vi
affannate a cercare a Parigi, a Nizza ed a Napoli.
È una cosa singolare; ma forse non è male che sia così - per voi, e per
tutti gli altri come voi. Quel mucchio di casipole è abitato da pescatori, «gente di
mare», dicono essi, come altri direbbe «gente di toga», i quali hanno la pelle più
dura del pane che mangiano - quando ne mangiano - giacché il mare non è sempre gentile,
come allora che baciava i vostri guanti... Nelle sue giornate nere, in cui brontola e
sbuffa, bisogna contentarsi di stare a guardarlo dalla riva, colle mani in mano, o
sdraiati bocconi, il che è meglio per chi non ha desinato. In quei giorni c'è folla
sull'uscio dell'osteria, ma suonano pochi soldoni sulla latta del banco, e i monelli che
pullulano nel paese, come se la miseria fosse un buon ingrasso, strillano e si graffiano
quasi abbiano il diavolo in corpo.
Di tanto in tanto il tifo, il colèra, la malannata, la burrasca, vengono a
dare una buona spazzata in quel brulicame, che davvero si crederebbe non dovesse desiderar
di meglio che esser spazzato, e scomparire; eppure ripullula sempre nello stesso luogo;
non so dirvi come, né perché.
Vi siete mai trovata, dopo una pioggia di autunno, a sbaragliare un esercito
di formiche, tracciando sbadatamente il nome del vostro ultimo ballerino sulla sabbia del
viale? Qualcuna di quelle povere bestioline sarà rimasta attaccata alla ghiera del vostro
ombrellino, torcendosi di spasimo; ma tutte le altre, dopo cinque minuti di pànico e di
viavai, saranno tornate ad aggrapparsi disperatamente al loro monticello bruno. - Voi non
ci tornereste davvero, e nemmen io; - ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che
è per certi aspetti eroica, bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte
fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli
cuori. Volete metterci un occhio anche voi, a cotesta lente? voi che guardate la vita
dall'altro lato del cannocchiale? Lo spettacolo vi parrà strano, e perciò forse vi
divertirà.
Noi siamo stati amicissimi, ve ne rammentate? e mi avete chiesto di dedicarvi
qualche pagina. Perché? à quoi bon? come dite voi. Che cosa potrà valere quel
che scrivo per chi vi conosce? e per chi non vi conosce che cosa siete voi? Tant'è, mi
son rammentato del vostro capriccio, un giorno che ho rivisto quella povera donna cui
solevate far l'elemosina col pretesto di comperar le sue arance messe in fila sul
panchettino dinanzi all'uscio.
Ora il panchettino non c'è più; hanno tagliato il nespolo del cortile, e la
casa ha una finestra nuova. La donna sola non aveva mutato, stava un po' più in là a
stender la mano ai carrettieri, accoccolata sul mucchietto di sassi che barricano il
vecchio Posto della guardia nazionale; ed io, girellando, col sigaro in bocca, ho
pensato che anche lei, così povera com'è, vi aveva vista passare, bianca e superba.
Non andate in collera se mi son rammentato di voi in tal modo, e a questo
proposito. Oltre i lieti ricordi che mi avete lasciati, ne ho cento altri, vaghi, confusi,
disparati, raccolti qua e là, non so più dove - forse alcuni son ricordi di sogni fatti
ad occhi aperti - e nel guazzabuglio che facevano nella mia mente, mentre io passava per
quella viuzza dove son passate tante cose liete e dolorose, la mantellina di quella
donnicciola freddolosa, accoccolata, poneva un non so che di triste, e mi faceva pensare a
voi, sazia di tutto, perfino dell'adulazione che getta ai vostri piedi il giornale di
moda, citandovi spesso in capo alla cronaca elegante - sazia così, da inventare il
capriccio di vedere il vostro nome sulle pagine di un libro.
Quando scriverò il libro, forse non ci penserete più; intanto i ricordi che
vi mando, così lontani da voi, in ogni senso, da voi inebbriata di feste e di fiori, vi
faranno l'effetto di una brezza deliziosa, in mezzo alle veglie ardenti del vostro eterno
carnevale. Il giorno in cui ritornerete laggiù, se pur vi ritornerete, e siederemo
accanto un'altra volta, a spinger sassi col piede, e fantasie col pensiero, parleremo
forse di quelle altre ebbrezze che ha la vita altrove. Potete anche immaginare che il mio
pensiero siasi raccolto in quel cantuccio ignorato del mondo, perché il vostro piede vi
si è posato, - o per distogliere i miei occhi dal luccichìo che vi segue dappertutto,
sia di gemme o di febbri - oppure perché vi ho cercata inutilmente per tutti i luoghi che
la moda fa lieti. Vedete quindi che siete sempre al primo posto, qui come al teatro!
Vi ricordate anche di quel vecchietto che stava al timone della nostra barca?
Voi gli dovete questo tributo di riconoscenza, perché egli vi ha impedito dieci volte di
bagnarvi le vostre belle calze azzurre. Ora è morto laggiù, all'ospedale della città,
il povero diavolo, in una gran corsìa tutta bianca, fra dei lenzuoli bianchi, masticando
del pane bianco, servito dalle bianche mani delle suore di carità, le quali non avevano
altro difetto che di non saper capire i meschini guai che il poveretto biascicava nel suo
dialetto semibarbaro.
Ma se avesse potuto desiderare qualche cosa, egli avrebbe voluto morire in
quel cantuccio nero, vicino al focolare, dove tanti anni era stata la sua cuccia «sotto
le sue tegole», tanto che quando lo portarono via piangeva, guaiolando come fanno i
vecchi.
Egli era vissuto sempre fra quei quattro sassi, e di faccia a quel mare bello
e traditore, col quale dové lottare ogni giorno per trarre da esso tanto da campare la
vita e non lasciargli le ossa; eppure in quei momenti in cui si godeva cheto cheto la sua
«occhiata di sole» accoccolato sulla pedagna della barca, coi ginocchi fra le braccia,
non avrebbe voltato la testa per vedervi, ed avreste cercato invano in quelli occhi
attoniti il riflesso più superbo della vostra bellezza; come quando tante fronti altere
s'inchinano a farvi ala nei saloni splendenti, e vi specchiate negli occhi invidiosi delle
vostre migliori amiche.
La vita è ricca, come vedete, nella sua inesauribile varietà; e voi potete
godervi senza scrupoli quella parte di ricchezza che è toccata a voi, a modo vostro.
Quella ragazza, per esempio, che faceva capolino dietro i vasi di basilico,
quando il fruscìo della vostra veste metteva in rivoluzione la viuzza, se vedeva un altro
viso notissimo alla finestra di faccia, sorrideva come se fosse stata vestita di seta
anch'essa. Chi sa quali povere gioie sognava su quel davanzale, dietro quel basilico
odoroso, cogli occhi intenti in quell'altra casa coronata di tralci di vite? E il riso dei
suoi occhi non sarebbe andato a finire in lagrime amare, là, nella città grande, lontana
dai sassi che l'avevano vista nascere e la conoscevano, se il suo nonno non fosse morto
all'ospedale, e suo padre non si fosse annegato, e tutta la sua famiglia non fosse stata
dispersa da un colpo di vento che vi aveva soffiato sopra - un colpo di vento funesto, che
avea trasportato uno dei suoi fratelli fin nelle carceri di Pantelleria - «nei guai!»
come dicono laggiù.
Miglior sorte toccò a quelli che morirono; a Lissa l'uno, il più grande,
quello che vi sembrava un David di rame, ritto colla sua fiocina in pugno, e illuminato
bruscamente dalla fiamma dell'ellera. Grande e grosso com'era, si faceva di brace
anch'esso quando gli fissaste in volto i vostri occhi arditi; nondimeno è morto da buon
marinaio, sulla verga di trinchetto, fermo al sartiame, levando in alto il berretto, e
salutando un'ultima volta la bandiera col suo maschio e selvaggio grido d'isolano;
l'altro, quell'uomo che sull'isolotto non osava toccarvi il piede per liberarlo dal
lacciuolo teso ai conigli, nel quale v'eravate impigliata da stordita che siete, si perdé
in una fosca notte d'inverno, solo, fra i cavalloni scatenati, quando fra la barca e il
lido, dove stavano ad aspettarlo i suoi, andando di qua e di là come pazzi, c'erano
sessanta miglia di tenebre e di tempesta. Voi non avreste potuto immaginare di qual
disperato e tetro coraggio fosse capace per lottare contro tal morte quell'uomo che
lasciavasi intimidire dal capolavoro del vostro calzolaio.
Meglio per loro che son morti, e non «mangiano il pane del re», come quel
poveretto che è rimasto a Pantelleria, o quell'altro pane che mangia la sorella, e non
vanno attorno come la donna delle arance, a viver della grazia di Dio - una grazia assai
magra ad Aci-Trezza.
Quelli almeno non hanno più bisogno di nulla! lo disse anche il ragazzo
dell'ostessa, l'ultima volta che andò all'ospedale per chieder del vecchio e portargli di
nascosto di quelle chiocciole stufate che son così buone a succiare per chi non ha più
denti, e trovò il letto vuoto, colle coperte belle e distese, sicché sgattaiolando nella
corte, andò a piantarsi dinanzi a una porta tutta brandelli di cartacce, sbirciando dal
buco della chiave una gran sala vuota, sonora e fredda anche di estate, e l'estremità di
una lunga tavola di marmo, su cui era buttato un lenzuolo, greve e rigido. E pensando che
quelli là almeno non avevano più bisogno di nulla, si mise a succiare ad una ad una le
chiocciole che non servivano più, per passare il tempo.
Voi, stringendovi al petto il manicotto di volpe azzurra, vi rammenterete con
piacere che gli avete dato cento lire, al povero vecchio.
Ora rimangono quei monellucci che vi scortavano come sciacalli e assediavano
le arance; rimangono a ronzare attorno alla mendica, e brancicarle le vesti come se ci
avesse sotto del pane, a raccattar torsi di cavolo, bucce d'arance e mozziconi di sigari,
tutte quelle cose che si lasciano cadere per via, ma che pure devono avere ancora qualche
valore, poiché c'è della povera gente che ci campa su; ci campa anzi così bene, che
quei pezzentelli paffuti e affamati cresceranno in mezzo al fango e alla polvere della
strada, e si faranno grandi e grossi come il loro babbo e come il loro nonno, e
popoleranno Aci-Trezza di altri pezzentelli, i quali tireranno allegramente la vita coi
denti più a lungo che potranno, come il vecchio nonno, senza desiderare altro, solo
pregando Iddio di chiudere gli occhi là dove li hanno aperti, in mano del medico del
paese che viene tutti i giorni sull'asinello, come Gesù, ad aiutare la buona gente che se
ne va.
- Insomma l'ideale dell'ostrica! - direte voi. - Proprio l'ideale
dell'ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser
nati ostriche anche noi -.
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale
la fortuna li ha lasciati cadere, mentre seminava principi di qua e duchesse di là,
questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia,
che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano -
forse pel quarto d'ora - cose serissime e rispettabilissime anch'esse.
Sembrami che le irrequietudini del pensiero vagabondo s'addormenterebbero
dolcemente nella pace serena di quei sentimenti miti, semplici, che si succedono calmi e
inalterati di generazione in generazione. - Sembrami che potrei vedervi passare, al gran
trotto dei vostri cavalli, col tintinnìo allegro dei loro finimenti e salutarvi
tranquillamente.
Forse perché ho troppo cercato di scorgere entro al turbine che vi circonda e
vi segue, mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei
deboli, nell'istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle
tempeste della vita, e ho cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che deve aver
sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme. Un dramma che qualche volta forse vi
racconterò, e di cui parmi tutto il nodo debba consistere in ciò: - che allorquando uno
di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle
staccarsi dai suoi per vaghezza dell'ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di
conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch'egli è, se lo ingoiò, e i suoi più
prossimi con lui. - E sotto questo aspetto vedrete che il dramma non manca d'interesse.
Per le ostriche l'argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie
del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio.
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