da "Don Candeloro e C." (1894)
Epopea spicciola
Ecco come lo zio Lio raccontava poi quella faccenda:
Mancava dove andare ad ammazzarsi? Nossignore, proprio qui; ché per dieci
miglia in giro ne fecero piangere degli occhi! E anche loro ne seminarono delle ossa a far
concime, lungo la strada, fra le siepi, dietro i muri, uomini e bestie mietuti a fasci,
talché un mese dopo, a dar un colpo di zappa, ne saltavano ancora fuori, ossa di
cristiani! Figuratevi i campi e gli orti! E la povera gente del paese che non c'entrava
per nulla in quella lite, e non voleva entrarci. Alcuni vi lasciarono la pelle, infine -
per difendere la sua roba. - La roba e la vita, perse!
Basta. Molti se l'erano data a gambe il giorno prima, a buon conto, come
sentivano: - Vengono! - Gli svizzeri! - La cavalleria! - E chi non gli era bastato l'animo
di piantar subito casa e paese, all'ultimo momento disse pure: - Meglio il danno che la
pelle - e via: uomini, donne, bestie, quello che si poteva mettere in salvo insomma; le
vecchie col rosario in mano.
Io non avevo nessuno al mondo, soltanto quei quattro sassi al sole, la casa,
l'orto, lì proprio sulla strada, con tanti soldati che passavano - chi li diceva dei
nostri - chi di quegli altri - ciascuno che voleva mangiarsi il mondo - certe facce! Cosa
avreste fatto? Rimasi a guardia della mia casa, lì accanto, seduto sul muricciuolo. - A
svignarsela, poi, c'è sempre tempo - pensai. Intanto passa un'ora, ne passano due. I
nostri avevano tirato dei cannoni sin lassù sulla collina, in mezzo alle vigne.
Figuratevi il danno! A un tratto giunge uno a cavallo, tutto arrabbiato, che pareva
volesse mangiarsi il mondo anche lui - uno di quelli che insegnano a farsi ammazzare agli
altri - e si mette a gridare da lontano. Allora uomini, cannoni, muli, via a rompicollo
dall'altra parte; povere vigne! Però stavolta quello del cavallo aveva pure la testa
fasciata; segno che si picchiavano diggià, in qualche luogo. Però non si vedeva nulla
ancora, dalle nostre parti. Il paese quieto, la via deserta, la città che pareva
tranquilla anch'essa, come se non fosse fatto suo, sdraiata in riva al mare, laggiù, e le
fregate che andavano e venivano innanzi e indietro, fumando. - Questa è l'ora d'andare a
mangiare un boccone, - dico io, dall'alba che stavo piantato lì come un minchione.
In quella si mette a tuonare, lassù nella montagna. Uno, due, tre, infine un
temporale a ciel sereno, in quella bella giornata di Venerdì Santo che dovevano succedere
tanti peccati. - Buono! Addio voglia di mangiare un boccone! Lo stomaco se n'era già
bell'e sceso in fondo alle calcagna, con quella solfa. A buon conto è meglio correre a
casa, e stare a vedere come si mettono le cose da dietro l'uscio. Scendo quatto quatto dal
muricciolo, e filo carponi lungo la siepe. Le Proscimo allora mi vedono passare; la
vecchia apre un po' di finestra, e si mette a strillare: - O zio Lio - Cosa succede? - Per
amor di Dio! - C'era anche la figliuola, Nunzia, dietro la madre, più morta che viva
anche lei; tutt'e due che non sapevano far altro: - Signore! - Madonna! - Ahimé! - Bene -
dico io - chiudetevi in casa. Stiamo a vedere -.
Mi chiudo in casa mia anch'io, e stiamo a vedere. Niente. Non passa un cane.
La pace degli angeli da queste parti. Soltanto lassù che si divertono sempre a cannonate.
- Buon pro vi faccia! Tanto, qui il sangue non arriva, quando vi sarete accoppati tutti -.
Poteva essere mezzogiorno, a occhio, ché il sagrestano non si arrischiava certo sul
campanile quella volta. Quasi quasi m'arrischio a mettere il naso fuori di nuovo,
quand'ecco, crac, il tetto dei Minola che rovina, e poi un altro, lì a due passi. Le
palle ci piovono sui tetti, adesso!
Che vedeste! Chi è rimasto a fare il bravo va a cacciarsi sotto il letto.
Altri che s'erano rintanati nelle cantine o in qualche buco, saltano fuori all'impazzata.
Pianti, grida, un baccano d'inferno. Io andavo correndo di qua e di là per la casa, senza
sapere dove ficcarmi, talmente ogni colpo me lo sentivo fra capo e collo. - Aiuto! -
Cristiani! - gridavano le Proscimo. C'è cristiani e turchi in quel momento? Maledette
donne che ce li tirano addosso, ora! Eccoli infatti che arrivano, prima dieci, poi venti,
poi, che vi dico? un fiume. Soldati e poi soldati che si vedono passare dal buco della
chiave, per più di un'ora, a piedi, a cavallo, con certi cannoni di qua a là. Povera la
città che se li vede capitare addosso!
Intanto, se Dio vuole, di qui se ne vanno, a poco a poco; ché quando pareva
fossero passati tutti, ne giungevano altri ancora, a frotte, alla spicciolata, zoppi,
sfiniti, strascinandosi dietro il fucile e le gambe, con certe facce nere e arse. E a un
tratto ecco che si mettono a bussare in mala maniera dalle Proscimo, alla mia porta, qua e
là alle poche case lungo la strada, volendo da bere, coi sassi, coi fucili, e minacciano
di sfondare ogni cosa. Al vedere che lo fanno davvero, dove non rispondono subito, aprono
le Proscimo, apro io pure, e ci mettiamo alla fune del pozzo. Acqua all'uno, acqua
all'altro; ne vengono sempre! Bisogna vedere come vi si buttavano, colla faccia, colle
mani, coi berretti, e spinte, e busse, una ressa indiavolata. Delle facce, Dio ne scampi,
che avevano gli occhi come brace. E alcuni si lasciavano cadere giù in fascio col fucile
dove c'era un po' d'ombrìa. Altri si cacciavano nelle case e mettevano le mani da per
tutto. - Ah le mani! - Questo poi! Sì e no. - Tira e molla. - Si cercava di persuaderli
colle buone e colle cattive: - Caporale! - Che fate? - Siamo poveri campagnoli! - Noialtri
non c'entriamo colla guerra -. A chi dite! Come parlare al muro. E a capire ciò che
dicevano loro, peggio, con quel linguaggio di bestie che hanno. Andare a far sentir
ragione alle bestie! La Proscimo che ci s'era provata con uno che le sembrava più faccia
da cristiano, un ragazzo addirittura, biondo come l'oro, fine e bianco di pelle che
sembrava una donna, cercava di addomesticarlo narrandogli guai e miserie - Sono una povera
vedova - con due orfani sulle spalle! - Ci avrete la mamma anche vossignoria, laggiù al
vostro paese!... - Sissignora che quello invece le adocchia la figliuola, e tirava a farsi
intendere colle mani, giacché colla lingua non si capivano né lei, né lui. L'uno peggio
dell'altro, in una parola. Gente venuta da casa del diavolo ad ammazzare e farsi ammazzare
per un tozzo di pane. Dopo che ebbero bevuta l'acqua, vollero bere il vino, e dopo vollero
il pane, e dopo volevano anche la ragazza. Ah, le donne, poi! Qui non si usa! Pazienza la
roba, e tutto il resto. Ma anche le donne adesso? proprio sotto il mostaccio? Allora era
meglio pigliare lo schioppo anche noi, e come finiva, finiva. Vero ch'erano in tanti, e
facevano tonnina nel villaggio intero! La Nunzia, però - una ragazza onesta - quel
discorso sotto gli occhi della madre e dei vicini per giunta... - Urli, graffi, morsi, si
difendeva come una leonessa. E la vecchia! Avete visto una chioccia, che è una chioccia,
se la toccano nei pulcini? Insomma, sul più bello salta in mezzo anche il ragazzo dei
Minola, che stava abbeverando quei porci lui pure - con quel bel costrutto. - Salta in
mezzo, e si mette a dar botte da orbi con un pezzo di legno che trovò lì nel cortile - o
che gli premesse la ragazza, vicini come erano, oppure che gli sia andato il sangue agli
occhi finalmente, dopo tante soperchierie. Botte da orbi, a chi piglia, piglia.
Ma chi le pigliò peggio fummo noi poveri diavoli del paese. Le case arse, i
poderi distrutti, il ragazzo Minola con una baionetta nella pancia, la mamma Proscimo
ridotta povera e pazza, e Nunzia con un figliuolo che non sa di chi sia, adesso.
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