Codificazione non-lineare della realtà

Un celebre studio negli anni '50 condotto dall'antropologa Dorothy Lee, cercò di dimostrare come la lingua del popolo delle isole Trobriand manchi di "una codificazione lineare del reale". (Lee in Carpenter, McLuhan 1960, 119-147). Secondo la Lee la realtà è diversamente puntualizzata e categorizzata da membri di civiltà diverse. Quindi attraverso un'analisi attenta di ogni aspetto della cultura, si possono individuare maniere specifiche per esprimere la realtà. "Una parola trobriandese si riferisce ad un concetto autonomo. Ciò che noi consideriamo attributo o predicato è, per il Trobriandese un ingrediente. Noi, ad esempio, diciamo "un bravo giardiniere" o "il giardiniere è bravo", la parola trobriandese corrispondente dovrà comprendere sia "giardiniere" che "bravo"; se il giardiniere perde la bravura, perde con ciò un elemento essenziale, un ingrediente della sua definizione, diventa qualcosa di diverso.". Le varie attività non sono collegate tra loro come mezzo e fine, non si ha alcun rapporto di causa e di fine. Mancano sia i tempi verbali, sia le congiunzioni, quello che noi consideriamo un rapporto di causa in una successione di fatti collegati tra loro, diviene per il Trobriandese un ingrediente di una struttura generale.


Figura 5 "Quello che noi consideriamo un rapporto di causa in una successione di fatti tra loro collegati è, per gli abitanti delle Trobriand, un ingrediente di una struttura generale. Questo ingrediente viene chiamato u'ula. Un albero ha un tronco, che prende nome di u'ula; una casa ha i suoi u'ula, gli stipiti," La nave avrà il suo u'ula nel comandante, colui che la organizza e la conduce.

Malinowski, il primo studioso della lingua Trobriandese, sottolinea come essa si presenti "spezzata", configurata in punti, non in linee di collegamento. Egli rilevò anche la caratteristica disposizione circolare dei villaggi indigeni. I Trobriandesi non parlano mai però di cerchio e di anelli, definiscono i loro villaggi piuttosto come "protuberanze". Un Trobriandese non vede strade colleganti due punti, i suoi sentieri sono autonomi, definiti come unità indipendenti: "non sono concepiti come "da...a", sono "in...".

Anche lo studio seguito da Fileni sulle comunità italo-albanesi insediate nella provincia di Cosenza, evidenzia una diversa organizzazione spaziale rispetto agli standard della cultura occidentale. Le varie parti del paese non vengono riconosciute dagli abitanti con i nomi delle vie, ma bensì tramite le gjitonie, gruppi fondati su relazioni sociali di vicinato. La gjitonia accoglie un gruppo di case i cui abitanti si sentono legati da un vincolo di vicinato. Nei percorsi compiuti dai ricercatori, è apparso evidente come la gjitonia sia fondamentale nell'organizzazione spaziale comunitaria. Il vincolo sociale di vicinato è così forte, che un'anziana intervistata chiama "famiglia" tutti gli appartenenti alla sua gjitonia. "Uno spazio sensoriale, collettivo, talmente importante che in alcune occasioni il gjiton è più importante di un parente che non vive nel nostro stesso vicinato." (Fileni 1996, 232). Ad un osservatore esterno le abitazioni appaiono disposte in maniera assolutamente caotica, un vero e proprio labirinto. "Ciò che è risultato più interessante però è lo snodarsi della struttura viaria. Normalmente in una città e nella maggiore parte dei paesi "nazionali", la via corrisponde ad uno spazio che unisce due punti più o meno in linea retta, ma in ogni caso lontani tra loro. Nelle comunità italo-albanesi quasi tutti i percorsi viari invece differiscono da questa costante: essi tendono a racchiudere uno spazio piuttosto che a collegarlo." (Ibidem)


Figura 6 Differenza tra l'organizzazione lineare delle strade di New York (a sinistra) e la disposizione "a spazi concentrici" della gjitonia albanese. (da Fileni 1996)

Ritorna all'indice