CAPITOLO VI

RITORNO A "LA FORMICA ELETTRICA" : RITORNO AL FANTASTICO

La SF: Razionale o irrazionale?

Alcuni critici sono rimasti sconcertati dalla "mutazione" che ha portato sempre più numerose opere di SF da Bradbury a Lem, fino a Dick e oltre, a privilegiare le zone della disgregazione mentale e fisica del personaggio, dell'allucinazione, dei diversi piani di realtà che si intersecano e si annullano.

Ad esempio Vita Fortunati, in un saggio sulla letteratura utopica, ha scritto che la SF è una forma degradata dell'antica utopia: "E' veramente paradossale che nella fantascienza, che sembrerebbe dover celebrare la scienza e la visione razionale di problemi e fenomeni, si assista invece alla regressione della scienza e magia, alchimia e comunque a qualcosa di irrazionale e, al limite al religioso (..) Si tratta quindi di una letteratura permanentemente conservatrice, consolatoria ed evasiva" (1) Critiche simili si sono appuntate per molto tempo contro scrittori come Bradbury e Dick: di quest'ultimo in particolare sono risultate fastidiose e incomprensibili, agli occhi dei tradizionalisti della SF, le narrazioni frammentate, le scene dislegate, le continue distorsioni dei meccanismi di percezione, la sospensione del senso logico degli eventi. Abbiamo visto come l'universo in Dick si disgreghi continuamente facendo precipitare i protagonisti nel caos cognitivo. Inoltre per il normale lettore di SF risultavano pesanti i nuclei tematici di Dick, vicini a quelli della letteratura "alta", ed il tessuto letterario e mitico che questo autore sovente utilizza.

Sconcerta soprattutto il fatto che Dick apparentemente non riconosca uno degli assunti della science fiction, cioè l'esistenza di un sistema logico, un principio di coerenza interna che il lettore possa usare come punto di riferimento.

Ma è poi vero che ciò significhi irrazionalità, e significhi porsi fuori dalla scienza? Ecco in che modo uno scienziato, il prof. Marvin Minsky, esperto di intelligenza artificiale, caratterizza i processi cerebrali: "Non c'è un solo mondo comune a tutti noi. Il nostro cervello è chiuso dentro la scatola cranica, non ha occhi per vedere, mani per toccare, orecchie per sentire. Tutte quelle sensazioni sono mediate e indirette. (...) In altre parole, quello che comunemente si chiama il mondo non è altro che un'illusione creata nel nostro cervello. Naturalmente non si tratta di una fantasia creata arbitrariamente. La struttura genetica del nostro cervello, risultato di millenni di evoluzione, ci forza infatti ad inventare oggetti molto simili alla realtà. " Questo scienziato esprime poi il suo parere sulla religione:" La religione (..) è un meccanismo mentale inteso a prevenire il rischio che la gente perda la testa tentando di trovare risposta a quelle che io definisco domande circolari (..) Le domande circolari sono domande a cui non si può mai trovare una risposta definitiva e finale, del tipo di: "Chi ha creato il mondo?". Perché quale sia la risposta si può sempre chiedere". Chi ha creato il creatore del mondo?(2) 

Le parole di Minsky, autore del libro La società della mente(3), del 1988, conferma quanto già accennato nel capitolo precedente, cioè che il modo con cui il neuro-scienziati descrivono le percezioni e le costruzioni, spesso illusorie, della mente, richiama molto il concetto dei tanti "universi personali" di Dick. Il quale affermò in una conferenza, riguardo alla pluralità dei mondi:" Considerando la mia teoria dei cambiamenti laterali o ortogonali mi difendo dicendo: " Perlomeno è meno assurda sul piano intellettuale del concetto di eternità". E tutti parlano dell'eternità, a proposito e a sproposito."(4)

U. k. Le Guin e il recupero della tradizione mitica.

Anche Ursula Kroeber Le Guin, oltre che Dick, ha tentato di rinnovare le tipiche formule della SF. Professoressa di Letteratura del Rinascimento italiano e francese, essa è stata influenzata sia dagli studi del padre, celebre antropologo, che dalla ricerche di sua madre sui miti e le fiabe. Ritornando alle domande "circolari" di Minsky, vediamo che U.K. Le Guin ne parla nel suo romanzo La mano sinistra delle tenebre a proposito della filosofia degli Handdarata, i quali cercano di imparare: "quali domande non hanno risposta": " Non rispondere ad esse: questa qualità è la più necessaria in tempi di tensione e di oscurità.(5) 

E ancora: "Conoscete la storia del Lord di Shorth, che costrinse i Profeti della Fortezza di Asen a rispondere alla domanda Qual è il significato della vita?(..) I Profeti rimasero nelle tenebre per sei giorni e sei notti. Alla fine, tutti i Celibi erano in coma, i Pazzi erano morti..."(6)     

L'autrice dunque ci fornisce delle istruzioni d'uso al proposito, e presuppone la necessità, per conservare una stabilità mentale e una pratica comunicazione con gli altri, di porsi dei limiti, non superarli continuamente come propone Dick: non cercare cioè le risposte a domande "impossibili". La mano sinistra delle tenebre può essere definito un vero "romanzo filosofico", un'opera "chiusa" (nel senso a suo tempo enunciato da Umberto Eco), con cui la Le Guin cerca di calare dentro la struttura della S.F la dimensione del fantastico e del fiabesco. E' l'affresco, poetico e profondo, del pianeta Gethen (Inverno), costruito con grande maestria in tutti i suoi aspetti e nell'intera cultura (linguaggio, proverbi, abiti, ecologia, abitudini sociali, strutture politiche, religioni), con uno stile limpido, ma tenendo sempre presente una complessa problematica culturale e morale; mentre racconti e leggende nello stile " fiabesco" tipico del Nord Europa intervallano il racconto.

Si tratta infatti di un apologo sull'intera condizione umana, e parlando di Gethen ci si riferisce sempre in realtà al nostro pianeta. Il romanzo è stratificato, a diversi livelli di lettura. Il punto centrale, il nucleo semantico del libro, sta nelle parole ombra e tenebre, che assumono un gran numero di significati (oscurità, morte, mistero, protezione, influenza, potere). E nella dicotomia/unione tra luce e ombra essa ricerca, pur nelle ambiguità e nelle oscurità dell'esistenza umana, un equilibrio, una maturità di comportamenti. La "morale" che ci viene offerta è questa: occorre accettare che sempre, e ovunque, la luce e le tenebre sono indissolubili, che ogni cosa contiene il suo contrario.

Nel momento in cui i due protagonisti compiono l'epica traversata del Ghiacciaio di Gobrin, simbolo di morte e rinascita, essi osservano: "La paura è molto utile. Come le tenebre; come le ombre (..) E' strano che la luce del giorno non basti. Abbiamo bisogno delle ombre, se vogliamo camminare"(7)  

La scrittrice ha in comune con Dick la comprensione che non può essere mostrata una "oggettività, comunque falsa, che la realtà deve essere esaminata attraverso il filtro, la sensibilità di un individuo; infatti il libro è a struttura binaria, e la narrazione poggia alternativamente sul punto di vista dell'uno e dell'altro protagonista.Infatti inizia così: "Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la verità è una questione d'immaginazione ... (..) In certi momenti i fatti parranno cambiare, con una voce cambiata.. " E più avanti: " Noi abbiamo visto i medesimi eventi con occhi diversi; ho erroneamente pensato che ci sarebbero apparsi gli stessi."(8) 

U.K. Le Guin si è occupata anche di critica fantascientifica, ed ha scritto il saggio Il linguaggio della notte, ove distingue tra il linguaggio della luce solare inteso come razionalità, da quello dell'inconscio(9) .

In una conferenza del 1975, ella sosteneva:" una piena rivalutazione di una dimensione fantastica e visionaria nella narrativa... (..) L'opera di autori come Zamjatin e Lem ha mostrato che quando la fantascienza usa la sua illimitata gamma di simboli e di metafore narrativamente con il personaggio al centro, può mostrarci chi si siamo, dove siamo, quali scelte sono di fronte a noi con chiarezza insuperata e con una grande e preoccupante bellezza. (10) 

Inoltre essa sostiene che la SF ha conquistato una sua maturità, e da fantasia tecnologica hardware può e deve diventare "romance" filosofico software.Questa scrittrice effettua il tentativo, riuscito, di tessere insieme i fili della tradizione fantascientifica, di quella utopica e quella di denuncia sociale e ambientale, ai viaggi nello spazio, recuperando insieme le strutture narrative del mito e della fiaba.

Considerandola in parallelo con Dick (il cui Ubik è stato scritto nello stesso anno di La mano sinistra delle tenebre, il 1968), vediamo che essa si rifiuta di oltrepassare dei limiti che lei stessa si dà, mentre l'universo di Dick può risultare talmente alterato da indurre nel lettore esperienze quasi allucinatorie. Egli si interroga fino in fondo su quanto vi è di illusorio nelle nostre percezioni del mondo e non si adegua al "sistema convenzionale delle supposizioni". Soltanto una delle opere di U.K. Le Guin presenta chiari influssi da Dick, e precisamente La falce dei cieli (11),   ove i sogni del protagonista modificano la realtà.

Ogni volta che egli sogna , si sposta in un universo parallelo ove la stessa storia dell'umanità è mutata, e ne risulta un mondo fluido, vicino alle estreme allucinazioni di Dick.

Philip K. Dick e il racconto fantastico

Tzvetan Todorov nel suo classico saggio(12) sul racconto fantastico, mostra come questa forma miri a coinvolgere il lettore introducendolo in un mondo familiare e pacifico, e come poi faccia scattare l'apparizione dell'inquietante (o perturbante, come diceva Freud), il quale produce i meccanismi della sorpresa, del disorientamento, della paura.

Dice Todorov: "In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l'avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili. O si tratta di una illusione dei sensi, di un prodotto dell'immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l'avvenimento è realmente accaduto., è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. (..) Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; non appena si è scelta l'una o l'altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso . Il fantastico è l'esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente sopran-naturale." (13

Egli afferma quindi che il fantastico si trova alla frontiera fra due generi, il meraviglioso e lo strano, a seconda se gli avvenimenti per-turbanti, o, inquietanti, ricevono alla fine una spiegazione razionale oppure no. Lo schema di Todorov è stato nel corso del tempo più volte criticato come rigido e astratto; inoltre si tende adesso a porre l'accento sul fatto che il fantastico non è un genere letterario, bensì una modalità dell'immaginario, che può essere utilizzata in vari codici linguistici, in diversi generi artistici e letterari, per trascrivere in termini efficaci e suggestivi delle esperienze umane: come scrive Remo Ceserani, nel suo studio Il fantastico(14).

E' sorprendente notare come gran parte dei temi tipici del "fantastico" si ritrovino costantemente nelle opere di Philip Dick, non sappiamo con quale grado di consapevolezza dell'autore.Ad esempio Il passaggio di soglia e di frontiera , dalla dimensione della realtà a quella del sogno, o dell'incubo, o della follia; e si può citare lo "scivolamento" del signor Tagomi nella realtà alternativa, in La svastica sul sole, o lo scoppio della bomba in Ubik.

Poi la presenza di "oggetti mediatori", così chiamati dai critici del fantastico, che testimonino e possano attraversare in entrambi i sensi diversi piani di realtà; l'opera di Dick ne è piena, e ricordiamo solo la chiave da cui riemerge il passato in La città sostituita e i tanti oggetti regrediti di Ubik.

Inoltre sono comuni in Dick i mondi oscuri, l'inferno, la vita dei morti; basta pensare al mondo glaciale della semi-vita in Ubik, o a quello di Redivivi S. pa. (Counter - Clock WorldS, 1967), in cui si verifica una reversione temporale, e i morti risuscitano. Sono inoltre presenti i problemi mentali della percezione e della follia, allorchè con "l'esperienza del limite" si arriva alla lacerazione schizofrenica della personalità (ed in questo senso si tratta di una esperienza potentemente conoscitiva), Lo sdoppiamento in sosia, in "copie", è forse il motivo più sentito e ricorrente nella sua opera: la duplicazione oscura che vi è in ogni individuo, che trova la sua espressione massima negli androidi - replicanti.

In Dick possiamo trovare in massimo grado i temi dell'Io enunciati in Todorov, come la rottura del limite tra spirito e materia, per cui la personalità psicotica non è più in grado di distinguere tra loro i diversi schemi di riferimento individuandoli uno per volta. Todorov riferisce la definizione psichiatrica della schizofrenia, per cui "L'attitudine (..) a separare la sfera della realtà da quella dell'immaginario è notoriamente ridotta. (..) Il pensiero degli schizofrenici non ubbidisce alle esigenze di un unico riferimento."

Anche l'esperienza della droga, continua Todorov, produce il cancellarsi di quei limiti. La deformazione inserita nelle nostre reti di riferimento porta ad es. alla moltiplicazione di personalità, per cui ci sentiamo come diverse persone, e ciò ci appare una realtà fisica incontrovertibile. Un'altra conseguenza è la cancellazione del confine tra soggetto e oggetto. Non vi è più distinzione tra una persona e l'oggetto con cui essa entra in relazione, e ci si sente in comunicazione diretta con il mondo circostante. Infatti nel capitolo precedente abbiamo parlato della identificazione proiettiva dell'Io in Dick (la "porta parlante", ad esempio). Inoltre si modificano le categorie temporali e il tempo può risultare "sospeso" per lo psicotico che vive in un eterno presente, senza idea di passato né di avvenire (come gli astronauti rinchiusi nell' "anello temporale" in Dick.)

L' "esperienza del limite" come forma di conoscenza.

Possiamo affermare che Philip K. Dick., l'esponente più radicale della SF ancora oggi, richiama espressamente i temi e i modi narrativi di Egdar Allan Poe. In effetti gran parte delle opere di fantascienza possono essere situate nell'ambito dello "strano", cui appartiene Poe secondo le categorie di Todorov.

Poe non presenta mai esseri soprannaturali, e non esclude la soluzione dell'enigma in termini razionali, anche se si tratta di una razionalità sconosciuta, che non rientra nell'esperienza comune.

Poiché la vicenda è vista in soggettiva, attraverso un protagonista spesso ottenebrato dall'esaltazione febbrile o dall'alcool, attraverso la sua mente allucinata o la sua sensibilità acuta, essa viene descritta come tutta interna alla sua mente, alla sua coscienza.

Risulta facile confrontare questi due grandi esponenti della letteratura americana; per esempio anche per Dick (come è avvenuto in passato riguardo a Poe e il suo noto alcoolismo) si è molto esagerato nell' attribuire rilevanza tematica e stilistica all'assunzione di droghe e di allucinogeni, che secondo alcuni sarebbero stati determinanti per costruire le incredibili trame delle sue opere.Entrambi poi hanno messo al centro della loro opera il tema del "doppio" e del sosia, che, originato in Gli elisir del diavolo di Hoffman, viene ampliato e approfondito da Poe in gran parte dei suoi racconti (William Wilson, Morella, Ligeia, Il ritratto ovale, ecc.), ed inoltre senza dubbio Dick ha portato avanti quello che viene spesso definita la grande scoperta effettuata da Poe nell'ambito della moderna letteratura: la "disintegrazione della personalità". (15)

Dick e Poe esaltano nella loro narrativa l'audacia intellettuale, l'infrazione delle regole, il non porre limiti alla natura delle esperienze. D. H. Lawrence definì Poe " piuttosto uno scienziato che un artista", che "decompone il suo io come uno scienziato che decompone un sale nel suo crogiuolo. E' un'analisi quasi chimica dell'anima e della coscienza.." (16

Tra le tante definizioni del "fantastico" che hanno inteso completare gli enunciati di Todorov, è rilevante quella di Irène Bessière, che attribuisce comunque al fantastico una elevata valenza conoscitiva.

Ella scrive: "La narrazione fantastica non definisce una qualità effettiva degli oggetti o degli esseri esistenti, e tanto meno costituisce una categoria o un genere letterario; essa piuttosto presuppone una logica narrativa al tempo stesso formale e tematica che, sorprendente o arbitraria per il lettore, riflette, sotto il gioco apparente dell'invenzione pura, le metamorfosi culturali della ragione e dell'immaginario sociale (..)

Il fantastico può essere così trattato come la descrizione di certi atteggiamenti mentali (..) Corrisponde alla messa in forma estetica dei dibattiti intellettuali di un particolare momento relativi al rapporto del soggetto con il sovra sensibile o del sensibile(...)

La narrazione fantastica installa l'irrazionale nella misura stessa in cui sottopone l'ordine e il disordine, che l'uomo intuisce nella natura e nella sovranatura, allo scrutinio di una razionalità formale.

Per questo inevitabilmente essa si nutre del  reale ,del quotidiano, di cui sottolinea le contraddizioni, e porta la descrizione sino all'assurdo, al punto in cui i confini stessi (..) essendo invenzioni dell'uomo, sono relativi e arbitrari. Le apparenze, le apparizioni e i fantasmi sono il risultato di uno sforzo di razionalizzazione.Il fantastico, nella narrazione, nasce dal dialogo del soggetto con le stesse credenze e le loro incongruenze."

Non c'è, quindi, un rovesciamento del razionalismo in irrazionale, come molti pensano. "Sembra più opportuno - conclude I. Bessière - collegare il fantastico con una ricerca, condotta da un punto di vista razionalista, sulle forme della razionalità."(17

Che nel fantastico si possa individuare strutturalmente un forte impegno conoscitivo è un'opinione che, attraverso modernissime riflessioni, nel 1925 faceva il grande Robert Louis Stevenson, colui che attraverso il doppio Jekyll / Hyde ha saputo indagare in modo ancora insuperato i meandri della coscienza. Egli diceva che il freddo realismo e la pura oggettività scientifica non possono bastare a darci la conoscenza.

"Ci saranno, infatti, sempre delle ore in cui rifiuteremo di essere tacitati da quella parvenza di spiegazione che ha il nome di scienza, e pretenderemo invece una qualche palpitante immagine della nostra situazione umana, capace di rappresentare l'elemento incerto e inquietante in cui abbiamo dimora, e di soddisfare la ragione per mezzo dell'arte.La scienza scrive del mondo come se usasse il braccio freddo di una stella di mare; è tutto vero; ma cosa diviene quando lo si paragona con la realtà di cui parla? Quando i cuori battono forte in aprile, e la morte colpisce, e le colline sobbalzano scosse dal movimento tellurico..."(18

Le parole di Stevenson riecheggiano quelle tante volte pronunziate da Dick sulla equiparazione, per lui, tra scrittore di science fiction e scienziato impegnato a scavare sotto la superficie illusoria di un evento. Tutte le volte in cui Dick parla di SF lo fa in termini conoscitivi. Ad esempio: "Quello che mi aiuta, se di aiuto si tratta, è scoprire il granello del comico all'interno dell'orribile e del futile.

Studio da cinque anni solenni tomi di teologia, per il mio romanzo, e gran parte della saggezza del Mondo è transitata dalla carta stampata nel mio cervello, per essere qui elaborata e distillata sotto forma di parole nuove: parole che entrano, parole che escono, e, in mezzo, il cervello, che cerca stancamente di trovare un senso in tutto quanto... (..) Lo scrittore di fantascienza non vede solo possibilità, ma possibilità assurde."(19

Un saggio di Domenico Gallo è incentrato proprio sul problema della conoscenza in Dick. Egli cita una affermazione di Italo Calvino: ("L'opera letteraria potrebbe essere definita come un'operazione nel linguaggio scritto che coinvolge contemporaneamente più livelli di realtà") (20), per cui la letteratura non conoscerebbe la realtà, bensì solo i livelli. In molte opere di Dick i personaggi scoprono che il livello di realtà che conoscono non è quello oggettivo; e la trama si sviluppa come tentativo di acquisire informazioni sulla struttura della realtà, una crescita del sapere. Secondo le teorie di Karl Popper l'unico procedimento corretto, che dà garanzie di scientificità, è la pratica della falsificazione, che sottopone a prova le teorie per evidenziare le eventuali contraddizioni. Si rapportano teorie con la realtà per collaudarle, e i livelli di realtà potrebbero essere definiti come un'unica realtà oggettiva interpretata da teorie falsificabili e via via più adeguate.

"I personaggi di Dick dispongono di una teoria della realtà.

Essa, nello svolgimento della trama, viene falsificata. La vecchia teoria viene accantonata e sostituita con la nuova che è in grado di spiegare, all'interno di relazioni tra le proprie proposizioni, l'avvenimento falsificante. Nella nuova teoria della realtà Runciter di Ubik si tiene in contatto con il gruppo psi e Joe Chip.. (..); la teoria che contiene la proposizione "Runciter è morto nell'attentato" viene falsificata. Analogamente, in The Man in the High Castle, Juliana Frink scopre che gli Alleati hanno vinto la guerra e l'Asse, invece, è stato sconfitto"(21

La mutazione del fantastico

Se vi erano affinità tra Poe e Dick, si presenta ancora più stretto il legame di continuità tra quest'ultimo e Kafka, colui che ha prodotto una vera mutazione nel fantastico del XX secolo.

Todorov, nelle sue osservazioni al riguardo, osserva che, fino ad un certo punto, la maggior parte del testo fantastico appartiene al reale. Infatti, fino all'apparizione del "perturbante", si vive nella realtà normale e quotidiana. Vediamo invece che cosa succede nel testo La metamorfosi di Kafka.

L'avvenimento soprannaturale è riferito in tutta la prima frase del testo: "Nel destarsi, un mattino, da sogni inquieti, Gregorio Samsa si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto."

Gregorio dapprima crede di sognare, ma quando capisce che non è così cerca comunque una spiegazione razionale. Davanti ad un avvenimento tanto inaudito, incredibilmente non mostra una eccessiva sorpresa; si abitua piano piano alla sua condizione animale, distaccandosi da ciò che è umano, e infine si rassegna anche al fatto di dover morire. La famiglia accoglie la sua morte con sollievo e si risveglia alla "voluttà" della vita.

Ecco secondo Todorov la spiccata novità che differenzia La metamorfosi dalle precedenti storie fantastiche:

"Il racconto fantastico partiva da una situazione perfettamente normale per giungere al soprannaturale; La metamorfosi parte dal soprannaturale per dargli, nel corso del racconto, un'aria sempre più naturale; e la fine della storia è quanto di più lontano dal soprannaturale si possa immaginare .. (..) Qui viene ad essere descritto un movimento contrario: quello dell'adattamento, che segue l'avvenimento inesplicabile; ed esso caratterizza il passaggio dal soprannaturale al naturale.

(..) In La metamorfosi, si tratta proprio di un avvenimento conturbante , impossibile; ma che, paradossalmente, finisce per diventare possibile. In questo senso, i racconti di Kafka rientrano insieme nella sfera del meraviglioso e dello strano, sono la coincidenza di due generi apparentemente incompatibili. (..)

Nel fantastico, l'avvenimento strano o soprannaturale era percepito sullo sfondo di ciò che viene giudicato normale e naturale; la trasgressione delle leggi della natura ce ne rendeva ancor più consapevoli. In Kafka, l'avvenimento soprannaturale non provoca più esitazione poiché il mondo descritto è tutto quanto bizzarro, altrettanto anormale dell'avvenimento a cui fa sfondo. Qui ritroviamo dunque (capovolto) il problema della letteratura fantastica - letteratura che postula l'esistenza del reale, del naturale, del normale per poi batterlo in breccia - ma Kafka è riuscito a superarlo. (..) Tutto quanto il suo mondo ubbidisce a una logica onirica, se non da incubo, che non ha più niente a vedere con il reale."(22

Todorov osserva anche che strutture simili a questo racconto di Kafka sono passate nella migliore fantascienza, dove :"I dati iniziali sono soprannaturali: i robot, gli esseri extraterrestri, la cornice interplanetaria. Lo svolgimento del racconto tende a farci vedere quanto in realtà siano vicini a noi questi elementi meravigliosi .. (..) Qui è il lettore a subire il processo di adattamento: messo dapprima di fronte a un fatto soprannaturale, finisce con il riconoscerne la "naturalità".(23)  

Non si può dire se questa affermazione sia applicabile alla maggior parte delle opere di SF; ma sicuramente si applica totalmente a Philip K, Dick. Già all'inizio del racconto o del romanzo, infatti, i suoi personaggi si trovano immersi in un mondo angoscioso e da incubo. Come altro definire la tetra città invasa dalla polvere radioattiva, dal kipple proliferante, e dalla fitta pioggia acida, in Do Androids Dream of Electric Sheep? E come la realtà cupa e spettrale di Ubik, contesa a brani tra "inerziali" e "precog", ove i tristi semivivi lottano per un barlume di esistenza?

Nel primo capitolo abbiamo esaminato la impressionante somiglianza che il racconto La formica elettrica di Dick ha con La metamorfosi. Praticamente Dick non fa che aggiornare la straordinaria mutazione; non più verso il bestiale, perché il nuovo mostro è l'essere inanimato e meccanico.

Differiscono invece i due finali, probabilmente anche per il diverso atteggiamento che Dick e Kafka sentivano verso il resto dell'umanità. Il sentimento di inadeguatezza, il terrore della vita che possedevano Kafka lo spingono ad auto-annullarsi, in quanto è lui l'elemento perturbatore e disturbante per quelli intorno a sé.

Scriveva di lui la sua amica Milena Jesenská, chiamandolo Frank :  " "Frank (..) non può vivere. Frank non ha la capacità di vivere. Frank non guarirà mai. Frank morirà presto. Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell'entusiasmo, nell'ottimismo, in una convinzione.... (..) Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo. (..) Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. E' come un individuo nudo tra individui vestiti.

(...) E' un uomo costretto all ‘ascesi della sua spaventosa chiaroveggenza, purezza e incapacità di scendere a compromessi."    (dal libro "Tutto è vita" di Milena Jesenská)

Il protagonista di Kafka si isola quindi dal genere umano, sapendo che bene o male gli altri continueranno a vivere; invece in Dick la morte dell'androide fa a brandelli una larga fetta di realtà fenomenica, di cui appare tutta l'illusorietà. In questo senso il mondo di Dick appare molto più disgregato; manca tuttavia la tremenda solitudine di Kafka in quanto Dick ritiene che i problemi riguardino tutto il genere umano, nessuno escluso, e che per questo le esistenze siano legate l'una all'altra.

Ha detto una volta Dick: "Se solo potessi osservare il mondo da un satellite, avrei una prospettiva globale, vedrei tutti quanti che si alzano e, in qualche modo più o meno simile, inciampano in una sedia e si rompono qualcosa. E' come se.. se tutti fossimo parte di un destino comune, capisci? (..) Siamo tutti legati, i nostri destini sono legati .. sì, è quello che sento."(24

Nei testi di Dick anche la follia non è solitaria, ma si mostra come un contagio che ridisegna i bordi del reale, muta il linguaggio e stravolge l'ambiente fenomenico. Nel racconto La formica elettrica, contrariamente a ciò che avviene altrove, l'androide non è il lato freddo e oscuro dell'uomo, ma partecipa della sua ansia conoscitiva.

Anzi è quasi un campione, un martire che si sacrifica pur di raggiungere vertigini conoscitive mai provate

Dick nella teoria del romanzo

Risulta interessante inserire brevemente l'opera di Dick nel quadro di quella sociologia del romanzo che ha esaminato la progressiva dissoluzione del personaggio nelle opere narrative del ‘900. Soprattutto Lucien Goldmann ci espone come l'integrità del soggetto sia minata nei testi di Kafka, Musil, Proust, Joyce, e allo stesso modo sia disintegrata la sintassi narrativa. Possiamo applicare una tale descrizione anche a Dick, che ci offre tutta una serie di personalità frammentate.

Quasi mai vi è un unico protagonista nei suoi romanzi, costruiti come un complicato intreccio ove si intersecano una pluralità di esperienze e di percezioni da parte di vari soggetti. Capita che uno stesso evento venga vissuto da personaggi diversi, secondo punti di vista lontani e incomunicabili. Qualche critico , nonostante le profonde differenze sia tecnico-formali che culturali, tra Robbe - Grillet , ad esempio, e Dick, accosta quest'ultimo all' esperienza del nouveau roman, vedendo in lui una proliferazione di coscienze che si alternano tra mondo interiore ed esteriore, producendo alla fine un labirinto inestricabile di linguaggi e di comportamenti.

Si esprime poi con forza in Dick quello che Goldmann ha definito il processo di reificazione portato all'estremo, ove l'universo reificato degli oggetti domina il tutto.

Leggiamo da Goldmann, che si riferisce al nouveau roman nella forma stabilita da Robbe-Grillet: "I sentimenti umani (che sono e sono sempre stati espressione delle relazioni infraumane e delle relazioni tra gli uomini e il mondo materiale, naturale o manifatturato) esprimono ora relazioni in cui gli oggetti hanno una durata e una autonomia che i personaggi vanno a mano a mano perdendo. (..)

Sul piano letterario, la trasformazione essenziale riguarda in primo luogo (..) l'unità strutturale personaggio - oggetti, modificata nel senso di una scomparsa più o meno radicale del personaggio e da un correlativo (..) rafforzamento dell'autonomia degli oggetti..."(25). 

Goldmann, come è noto, si rifà alle teorie marxiste sul concetto di alienazione e di reificazione, per cui il dominio delle leggi di mercato comporta la riduzione del lavoro umano e dell'individuo stesso a un oggetto di scambio, a una cosa.

Studiando le trasformazioni della vita sociale, Marx si soffermava sul binomio individuo - oggetto inerte e notava che il coefficiente di realtà si trasferiva via via dal primo al secondo. Questo fenomeno è stato definito feticismo della merce e in seguito, attraverso Lukàcs, reificazione. Mentre gli individui e gli elementi della loro vita psichica e intellettuale diminuiscono di peso, gli oggetti inerti vengono caricati di proprietà nuove (valore di scambio, il prezzo) e le funzioni attive si trasferiscono dagli uomini agli oggetti: una fantasmagorica illusione, la chiama Marx.

Secondo Goldmann, lo scrittore Robbe - Grillet: "constata che il personaggio è già sostituito da un'altra realtà autonoma: (..) l'universo reificato degli oggetti. (..) Quel che però importa (..) è la struttura di un mondo nel quale gli oggetti hanno acquistato una realtà propria, autonoma, in cui gli uomini, lungi dal dominare quegli oggetti, sono ad essi assimilati, e in cui i sentimenti non esistono più se non nella misura in cui possono ancora manifestarsi attraverso la reificazione."(26)  

Nelle opere di Dick, e non sembra un caso, gli oggetti acquistano vita propria, diventano creature vive, e sono talmente decisivi nell'economia del romanzo da essere l'unica garanzia per stabilire se i personaggi siano o no in regressione temporale, o in quale piano di realtà si trovino, addirittura se siano vivi o morti. In Ubik il protagonista Joe Chip si ribella all'invadenza degli oggetti parlanti e discute con l'altoparlante che gli chiede denaro.  " Un postcredito, prego, disse l'altoparlante, e prese a ticchettare minacciosamente. "Oppure tra dieci secondi avviserò la polizia". Joe inserì il postcredito. Il ticchettio cessò. "Possiamo fare a meno di persone come lei" - disse l'altoparlante. "Uno di questi giorni" - disse Joe indignato, "le persone come me si scuoteranno e vi abbatteranno, e sarà la fine delle macchine omeostatiche. Torneranno i giorni dei valori umani e della compassione, della cordialità fraterna... "(27).

  Ed ancora, sempre in Ubik, la prova decisiva per stabilire " chi è vivo e chi è morto", per affermare la propria esistenza in vita, alternativamente Runciter e Joe Chip  la ricevono dal denaro, precisamente dal profilo che vi è inciso. "La cosa più strana che abbia mai visto. Molte cose nella vita possono trovare una spiegazione. Ma .. Joe Chip sulle monete da cinquanta centesimi?"

Era il primo denaro Joe Chip che avesse mai visto. Ebbe l'intuizione, raggelante, che se avesse cercato nelle altre tasche (..) ne avrebbe trovato dell'altro. Questo era soltanto l'inizio" (28)

Non si può fare a meno nell'incontrare queste iper-reali monete di Ubik, di pensare che l'autore voglia pesantemente sottolineare il dominio, incontrastato e mortifero, del capitale. Ubik stesso si presenta attraverso messaggi pubblicitari che riprendono in modo iper-realistico e ferocemente sarcastico quelli che giornalmente sforna l'industria della comunicazione.

Questi messaggi, avvolgenti e adulatori, hanno la caratteristica di terminare in maniera minacciosa e inquietante.

Come si può quindi sostenere - come qualcuno fa - che Philip K. Dick tratti di una generale condizione umana degradata e non di aberranti situazioni sociali? Eppure, c'è chi lo considera "apolitico".

Leggiamo ad esempio: "Dick è fondamentalmente - lo si sarà intuito - un impolitico. Egli ha abbandonato le categorie classiche sulle quali si modellano le prestazioni sociali: lavoro, denaro, riconoscimento, efficienza. Ha rinunciato peraltro alla Terra Promessa."(29

Dick come "critico sociale"

Non è così: Dick, due anni prima della sua morte, si richiamava ancora a una precisa tendenza politica e diceva: "Sono cresciuto a Berkeley, e qui ho ereditato quella coscienza sociale che poi si è sparsa per tutto il paese negli anni Sessanta, ha provocato la fine di Nixon e ha fatto finire la guerra nel Vietnam, più un sacco di altre cose buone, compreso l'intero movimento per i diritti civili"(30).  

Pensiamo alla vita di Dick, che spesso si è svolta tra gli emarginati e i barboni; molti morti di droga,. E alle sue reiterate affermazioni di temere sopra ogni cosa l'autorità oppressiva, le mistificazioni e le menzogne del potere. In La svastica sul sole, I simulacri, Episodio temporale ha tratteggiato temibili stati dittatoriali. In "Noi Marziani" l'incubo è dato dalla cinica società capitalistica che è in gestazione su Marte.

Le espressioni di disgusto per la società monetizzata sono continue, e non riguardano solo Ubik. Anche nel racconto La formica elettrica vi è continuamente l'accenno al denaro: la clinica vuole essere pagata, la mano in riparazione ha un costo elevato, il computer aziona immediatamente il targaregistraspese. Fa ricordare gli ospedali americani dove per prima cosa chiedono la carta di credito.

Leggere Ubik (scritto nel 1968) significa proiettarsi nel futuro verso cui ci stiamo avviando, un mondo dove si paga tutto, e tutto ha un marchio registrato.

I protagonisti di Dick hanno tutti problemi di denaro, e vivono l'oppressione di questo disagio. La loro è una vita fatta di isolamento, di frustrazioni sul luogo di lavoro, di rapporti disturbati e matrimoni falliti. Gli oggetti per loro non sono che i fantasmi della loro alienazione; testimoniano ad esempio il viaggio su Marte o lo smentiscono, affermano la loro esistenza in vita o li ricacciano tra i poveri esseri in semi-morte.

In La metamorfosi di Kafka si parla di un commesso viaggiatore, terrorizzato dell'incertezza del posto di lavoro e del possibile rimprovero del principale. Si tormenta al pensiero che all'ufficio lo ricerchino, notino il suo scarso rendimento e ciò scateni le ire del direttore. Allo stesso modo Poole, protagonista in La formica elettrica, è un dipendente della ditta, anzi sua proprietà, e all'inizio sente il dovere di non auto-danneggiarsi per questo motivo; si colpevolizza perché dovrebbe essere in ditta, al lavoro. Non è altro che uno schiavo meccanico, e diventare un essere meccanico costituisce il massimo della "reificazione". L'unica libertà possibile per lui è, invece di ripararsi, "liberarsi" con la morte.

Questo autore, dunque, può essere considerato un geniale critico sociale nel mostrare come ogni cosa possa venire mercificata, e questo pur servendosi del grottesco e del fantastico. Ciò ribadisce il mistero per cui scrittori "fantastici" come Kafka e Poe riescono a volte a parlare del proprio tempo (e del tempo futuro) con una precisione e una profondità uguale o anche superiore a tanti autori "realistici".

Se a lungo Dick è stato emarginato da gran parte della science fiction forse il motivo è che era troppo in anticipo sui tempi: è stato infatti chiamato "uno scrittore che entrò nel futuro americano dal buco temporale degli anni '60 e ne descrisse tutta la violenza.."(31 )

Tramite il film "Blade Runner" tratto da un suo romanzo, sono diventate immagini collettive le metropoli in cui prolifera la degradazione urbana accanto a grattacieli di ieratica bellezza, sporche e piovigginose ma brulicanti di luci, babele di razze e di lingue. Si legge nei titoli: "Tokio Blade Runner, il futuro comincia qui" ("Repubblica" 25/09/96) oppure "Napoli è la nostra Blade Runner".

Inoltre, affascina attualmente il mondo che le opere di Dick ci presentano, fondato sulle forme della ripetizione; e sulla riproduzione di un originale svuotato dell'essere continuamente replicato e moltiplicato (da schermi, macchine fotografiche, fotocopiatrici, fax, scanner).

Scrive Alessandro Baricco nel citato articolo su Tokyo come Blade Runner: "Senti la vertigine di un mondo fatto a pezzi, e esploso in infinite ripetizioni, espanso in una galassia di repliche perfette, e sparato in miliardi di occhi orecchie mani menti."

Dick ha colto molto bene lo spirito dei nostri tempi, con largo anticipo, proseguendo nella tradizione distopica e di critica sociale della SF. Smascherando le categorie del reale come luogo di alienazione, spesso creata da gruppi di potere, e proiettando sulla scienza e sulla tecnologia la sofferenza umana e l'ambiguità dei risultati, egli prima di altri ha negato l'automatica equazione tra avanzata tecnico-scientifica e migliori condizioni umane. Le sue allucinazioni sul futuro trovano eco nella paura generalizzata per la mondializzazione, nella diffidenza che gran parte dell'umanesimo progressista nutre ormai per la tecnologia proliferante, nella percezione di nuove schiavitù e di nuove povertà. In La formica elettrica Garson Poole crede di essere un dirigente, forse il proprietario stesso della "Tri-Plan Elettronica", situato ai massimi livelli della scala sociale. All'improvviso, senza responsabilità né colpa, si trova ad essere non solo un dipendente, ma un androide, addirittura una "proprietà" della ditta : uno schiavo meccanico. All'inizio del racconto, intorno a Poole è crollato tutto: la sua posizione sociale, perfino la sua identità umana. Viene disprezzato, insultato con il termine dispregiativo di "formica elettrica". Egli si trova così sul più basso gradino della scala sociale, al massimo livello di reificazione.

" Sono un mostro, si disse. Un oggetto senz'anima che ripete i gesti di un essere umano". (...) Penso che mi ucciderò, si disse. Ma probabilmente sono programmato a non farlo : sarebbe una grossa perdita per il mio padrone. C'è anche la probabilità che (..) tentino in qualche modo di bloccarmi. Dato che, probabilmente, sto mettendo in pericolo la loro proprietà, .me stesso. "(32)  Si prefigura forse in lui la nuova classe dei "non garantiti", delle persone che ad ogni attimo possono venire espulse dal processo di produzione, e in definitiva, dalla realtà sociale ?In questa classe noi tutti possiamo (e ancora di più potremo ) ritrovarci, nel momento in cui le reti di protezione sociale stanno crollando a poco a poco, e ciascuno di noi è immesso "sul mercato".Questa condizione precaria , che certo coinvolge di più i ceti umili, può toccare anche coloro che si ritrovano ai livelli medio-alti, anche dirigenziali, del ciclo produttivo. Robert S. Dombroski, nella relazione " Paure postmoderne: i deliri di Blade Runner " ,presentata nel corso del Convegno Internazionale su Il Fantastico tenutosi a Napoli nel 1992,ha fatto anch'egli una ipotesi simile : che in Dick sia stato rappresentato il livello massimo di reificazione del lavoro.(33

Egli qui si sofferma sulla condizione misera degli androidi di Blade Runner , i quali nel corso del film gridano la loro rabbia al cacciatore e spiegano "in che cosa consiste essere uno schiavo", denunciando il terrore di " vivere una vita che non è una vita."  Essi sono infatti presentati come schiavi ribelli, quasi riprendendo l'antica lotta di Spartaco.

Dombroski cerca di interrogare- com'egli dice - la base sociale della narrazione di Dick, esaminando una condizione sociale tragica la quale genera, nel film, uno stato di profonda angoscia. Angoscia data dall'esistenza precaria unita all'agitazione continua. Nel capitalismo odierno, dagli anni '80 in poi, il capitale finanziario internazionale ha assunto il potere reale. La produzione è diventata in gran parte ri-produzione, per di più molto decentrata; l'economia predominante non sta più nella manifattura ma nei servizi. Questa svolta economica ha determinato una condizione molto più aleatoria , sia al livello delle merci che della forza-lavoro.

I "replicanti" (gli "androidi", nel romanzo), dotati di intelligenza e di forza fisica superiori agli umani, sono stati forniti di una vita di breve durata (limitata a 4 anni),perché non possano sovvertire l'ordine sociale e per impedire loro eventuali ribellioni ; allo stesso modo una procedura in qualche modo simile si è attuata per un certo tipo di forza-lavoro, che Dombroski riconosce nei quadri tecnici intermedi, anche quelli di livello medio-alto. Nel racconto di Dick che stiamo considerando, i "veri proprietari" della "Tri-Plan" : " volevano che la società fosse diretta da una formica elettrica sotto il loro controllo " , ma volevano anche " un elemento capace ed energico ."(34)   Nell'attuale economia internazionale, infatti, la forza-lavoro, pur essendo altamente qualificata e specializzata, in grado di gestire la complessa organizzazione industriale, le continue innovazioni tecnologiche e le variazioni in tempo reale del mercato, è caratterizzata da una provvisorietà finora sconosciuta, da un continuo e forzato ricambio.

La produzione accelerata, dovuta a una tecnologia sempre più efficiente,comporta sempre di più una accelerazione nei processi di consumo e di scambio. I nuovi sistemi di comunicazione e di informazione permettono una circolazione delle merci sempre più veloce e tutto (processi di lavoro, tecniche produttive, ma anche i valori morali, i rapporti tra le persone, le ideologie ) ha acquistato una condizione di istantaneità, di "vuoto a perdere". Appena nata, ogni cosa è già pronta per essere sostituita. I replicanti quindi, che vivono in un flusso di tempo accelerato,sarebbero la metafora di una vita effimera e accelerata nello stesso tempo, la quale non consente alcuna stabilità.L'esistenza è talmente frammentaria da non costituire più una vita decente e accettabile : " E' una vita che non è una vita ", dice il replicante Leon nel film di Ridley Scott.

Dick ha saputo efficacemente tratteggiare una condizione di vita profondamente disumana nei suoi personaggi fantastici, insieme al desiderio struggente di integrità, di rapporti umani caldi e stabili, di "empatia", come lui diceva, cioè partecipazione comune di dolori e di gioie, quasi una "compassione" in senso buddista. La ricerca di sentimenti tra le persone e, insieme, il rifiuto della freddezza e della meccanicità "da androide" costituisce uno dei motivi fondamentali della poetica di Dick: il messaggio che ci ha trasmesso nel momento in cui ha cercato, mediante la sua opera, di descrivere e analizzare l'inferno che ci circonda.

Come epigrafe all'opera di Dick potremmo mettere le frasi conclusive del libro Le città invisibili di Italo Calvino : " L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso, ed esige attenzione e apprendimento continui : cercare, e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio ".

Dunque i replicanti, metafora di un certo tipo di lavoratori, hanno acquistato le caratteristiche della merce di consumo: deperibili, facilmente sostituibili, senza né potere né importanza né solidità né significazione dell'esistenza. In effetti, che Dick abbia saputo in certo qual modo tratteggiare le caratteristiche di reificazione del lavoro , appare ormai una sensazione diffusa: anche il sindacalista Sergio Cofferati, recentemente, ha affermato in alcune interviste che la lettura dei libri di Dick lo ha molto stimolato. Probabilmente perché queste opere consentono di intuire i pericoli connessi all'alienazione del lavoro e allo sfruttamento tecnologico, come e anche più di quanto possano fare testi teorici sull'argomento.(35) Nel momento attuale, sono le paure per l'avvento di un sistema economico ed informatico " globalizzato a porre in primo piano le tematiche sociali di Dick.

Un mondo globalizzato

Nel passato fu lo scoppio della bomba atomica a rivelare, come in un lampo di luce, le qualità predittive, e talora anche visionarie, della science-fiction. Allo stesso modo, tra gli anni che vanno dal 1989 al 1993 si sono quasi improvvisamente realizzate, più o meno all'unisono, antiche visione della tradizione fantascientifica. Si è stabilita una connessione economica mondiale, grazie al crollo (deflagrante o sommesso) dei regimi "separati" di ideologia comunista, e insieme una globalizzazione tra le reti informatiche: la ragnatela ("WEB") di Internet.

Per quanto riguarda Internet, essa fino a questo momento appare permeata di connotazioni non solo positive, ma entusiastiche, e sembra aprire possibilità di conoscenze finora impensabili. Ecco una definizione: "E' Internet, la Rete delle Reti, spina dorsale planetaria cui ogni centro locale si collega. Una grande ragnatela che si stende sul mondo, invisibile, percorre le terre e gli oceani. (..) Elettrica, silenziosa, immobile, su di essa corrono ad ogni istante a velocità impensabili correnti di dati, di informazioni, lettere, giochi, libri, immagini, musica"(36).  

Internet, pensata per lo scambio di segreti militari su finanziamento del Pentagono, nel 1972 si impose come velocissimo sistema di posta elettronica tra ricercatori, con "gruppi di Interesse" collegati tra loro.

Il primo gruppo in assoluto fu, come era prevedibile, quello di "SF lovers", cioè "amanti della fantascienza". Nel 1993 la svolta decisiva, con un giovane studente dell'Università dell'Illinois che inventa il Mosaic, il primo programma che rende facile navigare in rete, in cerca di immagini e di documenti. Con questo software e con il successivo Netscape è il boom, definitivo e stupefacente, di Internet.

Lo scrittore inglese di SF John Brunner è stato un anticipatore scrivendo nel lontano 1973 (pubblicandolo nel 1975) un libro in cui immaginava "nazioni coperte da una fitta rete di canali dei dati", computer nei quali vengono immagazzinati tutti i dati relativi ai cittadini, i quali hanno validità di esistenza solo nella memoria dei computer, come bit nei terminali. Il titolo del libro è "The Shockwave Rider", ed infatti tratta proprio dello shock del cambiamento, da dover sopportare e a cui doversi adattare(37).

La premessa su cui si basa tale libro, ispirato dalla letteratura di uno dei più famosi testi di futurologia, The Future Shock (Lo shock del futuro) di Alvin Toffler, è che sarebbe iniziato presto uno stile di vita terribilmente complicato e sarebbe cambiato molto anche il modo di lavorare, con la gente costretta a cambiare residenza, a spostarsi inseguendo il lavoro, oggi in un luogo, domani in un altro. Lo shock deriva dalla grande difficoltà di abituarsi al ritmo frenetico dei cambiamenti tecnologici e alle ripercussioni sociali che ne conseguono.Tanto che Brunner esclama a pag. 9, parafrasando Huxlev: "C'è tanta infelicità nuova, nel nostro mondo nuovo!"

Adesso possiamo capire questi timori, attanagliati come siamo dall'angoscia a causa del nuovo mostro, la "Globalizzazione dei mercati".Il "New York Review of Books" analizzava così la situazione il 20 Febbraio 1996: c'è sempre meno lavoro nelle aree industriali del mondo.

Lo straordinario sviluppo dell'informatica rende superflui numerosissimi tipi di lavoro.La Texas Instruments, uno dei cuori della produzione americana, si affida, per il disegno dei nuovi chip per computer, a tecnici e ingegneri indiani, pagati secondo la scala degli stipendi indiani. Infatti sono alle dirette dipendenze dell'azienda, ma in India.

Un numero crescente di industrie, anche italiane (ad es. la Bianchi, la Puma) spostano la loro sede nell'Est europeo o addirittura  a Singapore, a Taiwan. In quei paesi tutto, dai compensi agli affitti, ha costi venti, trenta volte più bassi. I livelli universitari dei giovani assunti nel Terzo Mondo sono confrontabili; non è invece confrontabile il costo del lavoro.

Dunque il lavoro diventa una conquista  difficile e  a volte irrangiungibile.    Si divarica immensamente la distanza, di ricchezza e di potere, tra classe media e la nuova aristocrazia tecnologica che compensa se stessa con vasti guadagni in Borsa.Separata dai consumatori, dai lavoratori e dai politici, questo nuovo tipo di impresa non deve più misurarsi con il rischio e il costo delle tensioni sociali. I grandi poteri corporati, vale a dire il capitale finanziario e le banche corporate tra loro e con l'industria tecologica avanzata dominano sempre di più la scena concentrando anche l'industria della comunicazione (i "media") nelle loro mani.

Questa terribile corsa all'efficienza sta avendo effetti devastanti sulle società occidentali, aggravando gli squilibri di reddito, con l'emarginazione senza speranza di interi strati di popolazione, condannati alla disoccupazione, mentre il codice di efficienza rende l'assistenza pubblica tanto  più avara.

Tanto che nel Luglio 1996 le Nazioni Unite pubblicavano un agghiacciante Rapporto sullo sviluppo umano, chiedendosi: ma che razza di crescita è quella che si accompagna con la disoccupazione, con lo sradicamento sociale, con la devastazione ambientale? Con la spietatezza di una diseguaglianza crescente? La conseguenza è che i ricchi stanno diventando sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri; Giovanni Piepoli del Cirm (un Istituto di Statistica) illustrava recentemente in TV la situazione citando cinicamente il Vangelo: "A chi più ha più sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha". Poiché il rapporto non è più a tre vie (l'impresa, i lavoratori, i consumatori), ma tra capitali e remunerazione di Borsa, i lavoratori escono dalla scena perché non più necessari, e il lavoro esiguo indebolisce i consumatori che non sanno contrapporsi al potere dei nuovi imprenditori tipo Bill Gates. Mentre i grandi colossi della finanza e dell'industria, liberi ormai dai confini nazionali, possono spadroneggiare in tutto il mondo. Il Rapporto delle Nazioni Unite paventa a breve termine tensioni sociali sempre maggiori, a meno che gli Stati non promuovano lo sviluppo di vasti settori di economia sociale autogestita, che crei lavoro e aumenti la qualità sociale: metta cioè la crescita al servizio dello sviluppo umano.

Non intervenendo, potremo avere in futuro, come prosecuzione di questa tendenza, il tipo di scenario prefigurato anche dal romanzo "I mercanti dello spazio" (autori Pohl e Kornbluth), ove la gran parte della popolazione è ridotta al rango di "consumatori", impossibilitati a difendersi dai tre o quattro colossi multinazionali che concentrano in sé i poteri dell'economia, della politica, dell'informazione e della pubblicità. E non si tratta di un libro recente: fu scritto nel lontano 1951 addirittura(38)

Il Cyberpunk

Abbiamo visto come Philip K. Dick abbia largamente adoperato, nella sua opera, le tematiche e le modalità della letteratura fantastica. Possiamo chiederci se questo emergere del fantastico sia stato circoscritto a lui o a pochi altri autori,oppure se sia ormai una costante della migliore fantascienza. Ricordiamo che Dick è morto nel 1982, nel momento stesso in cui usciva sugli schermi il film "Blade Runner", che ne è stato la più luminosa consacrazione . E proprio in quegli anni, nasceva e andava affermandosi il cosiddetto "cyberpunk", l'avanguardia della odierna SF, un fenomeno molto innovativo che è quasi subito diventato multimediale, coinvolgendo la musica, le arti visive, il cinema.

La parola cyberpunk intende unire l'elemento tecnologico e cibernetico con la trasgressività della ideologia punk, il senso di ribellione verso il controllo politico. Questo movimento è iniziato ed è subito esploso con l'uscita nel 1984 di uno straordinario romanzo di William Gibson, "Neuromante"(39). Con uno stile estremamente avvincente, denso e visuale (definito "un misto di romanticismo new-wave e di eccellente estrapolazione tecnologica") Gibson si ispira alla cupa ambientazione del film Blade Runner, , e ci presenta città del futuro in cui convivono una sfrenata ricchezza e allucinanti povertà.

Per la prima volta - dice Delio Zinoni in un articolo - la SF coglie perfettamente, sintonizzandosi sul presente, il rapporto fra progresso tecnologico ed evoluzione della società. "Ci si è accorti che il processo non è così semplice, che l'interazione tecnologia - economia - politica genera complessità e non processi lineari. In particolare, genera la convivenza fra alta tecnologia e degrado urbano, villaggio globale e comportamenti tribali, multinazionali e povertà diffusa. Cyber e punk."(40

Un altro esponente di punta del cyberpunk, Bruce Sterling, ha detto di Gibson: "Nelle sue opere ci ritroviamo nelle strade e nei vicoli, nel regno della lotta per la sopravvivenza, dove l'alta tecnologia è un ronzio costante, come un esperimento impazzito di darwinismo sociale (...) La scienza, in questo mondo, non è la fonte di bizzarre meraviglie, ma una forza onnipresente, diffusa, implacabile. E' un flusso di radiazioni mutagene che si diffondono tra una folla (...) Le estrapolazioni di Gibson mostrano, con enorme nitidezza, la massa nascosta di quell'iceberg che è il mutamento sociale. L'iceberg scivola in questo momento con sinistra maestosità sulla superficie del tardo ventesimo secolo, ma le sue proporzioni sono immense e oscure."(41)   

E' soprattutto il linguaggio immaginifico e la tensione serrata dello stile di Gibson - " dice Stefano Di Marino" - a dipingere con straordinaria visionarietà l'atmosfera fumosa e decadente delle città del futuro: enormi megalopoli sovrappopolate di personaggi sordidi, mutati dalla tecnologia e abbrutiti dalla droga. Un universo colorito che emerge dalla pagina scritta come fotografato da un obiettivo iper-realista (42.) Per capirlo basta citare la frase iniziale di "Neuromante":

"Il cielo sopra il porto aveva il colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto."

E sono entrate ormai nell'immaginario collettivo e nel linguaggio corrente le sue descrizioni riguardo al vertiginoso sviluppo delle realtà virtuali e agli stessi mutamenti biologici dell'umanità che portano ai "cyborg", interazioni tra uomo e macchina. La parola "cyberspazio", ormai usata comunemente, è stata inventata da Gibson." Cyberspazio: un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione (...) Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non - spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano..." (43

In "Neuromante" Gibson adopera  il termine "microsoft", che è stato curiosamente usato anche da  Bill Gates per l'omonima produttrice di software con posizione dominante nel mercato dei personal computer. Per Gibson tuttavia i microsoft sono qualcosa di molto più avanzato, visto che  si inseriscono direttamente nella testa. " Pareva che tutti avessero delle prese di carbone impiantate dietro l'orecchio sinistro (...) I banchi sul davanti degli stand esibivano centinaia di schegge di microsoft, frammenti angolosi di silicio colorato...( 44

Il comune denominatore tra Gibson e gli altri autori che si ispirano al cyberpunk è l'interesse concentrato sul nostro pianeta e sulle ripercussioni sociali, biologiche e psichiche del velocissimo sviluppo tecnologico. Sono assenti battaglie spaziali, mostri, alieni. Infatti - conclude così Delio Zinoni il suo articolo - i veri alieni non sono i mostri di Aldebaran, ma i nostri figli fra vent'anni. I racconti e i romanzi tipici del genere "cyberpunk" si distaccano dalla fantascienza del passato, la quale tratteggiava mondi futuri(esaltanti o allucinanti che fossero) mediante processi sociali tutto sommato lineari. Mentre in essi viene mostrata la esplosiva miscela tra il vecchio e il nuovo: una sorta di incubo socio-tecnologico-culturale che però si richiama strettamente alle scienze che sono oggi all'avanguardia: le reti informatiche, la cibernetica, le bio-tecnologie.

Darko Suvin ha osservato acutamente che William Gibson: " ha allargato l'orizzonte di un genere (e addirittura della letteratura moderna) con la creazione di un nuovo vocabolario lirico per i fenomeni delle interfacce informatiche..(...) Dire, come si legge in Neuromante : "Il cielo sopra il porto aveva il colore di un televisore sintonizzato su di un canale morto " significa porre in primo piano le interfacce elettroniche come una natura acquisita che si è sviluppata al punto da diventare una vera e propria prima natura. "(45) 

Il cyberpunk getta sguardi lucidi sulla condizione umana nell'era dell'iper-informazione, su un mondo sociale snaturato dalla tecnologia. Secondo Gibson: "Il nostro mondo, ormai, è diventato fantascienza" ed inoltre: "Nessuno è più immune dalla tecnologia. Siamo noi la tecnologia."(46

In queste opere si guarda con compatimento alla antica SF, in cui il progresso tecnologico era dispensatore di pace e di prosperità : al contrario, esso è sempre più separato dalle condizioni di vita. Non hanno più significato concetti come emancipazione umana e uso partecipativo, "umano" dei nuovi ritrovati. In una parola, viene immancabilmente tratteggiato un mondo sociale d'incubo, in cui vigono il senso di solitudine e la paranoia diffusi, tra la confusione e il caos di culture, di razze e di lingue, in cui, nel mondo onirico del cyberspazio, si perdono le coordinate di tempo e di spazio.

In una realtà sociale estremamente spietata, occorre ritagliarsi l'esistenza all'ombra dei colossi multinazionali e sotto la continua minaccia di bande criminali, mentre si aggirano esseri umani modificati dalla bio-ingegneria , con sovrastrutture di trapianti muscolari, lame d'acciaio inserite nei ricettacoli sotto le unghie, trapianto di denti di cane o di squalo. Nelle pagine del cyberpunk ritroviamo continuamente passaggi di soglia, confusioni percettive tra reale e irreale, l'apparizione di esseri mostruosi e di situazioni d'incubo.

Ciò deriva dall'assorbimento, soprattutto attraverso Dick, dei temi e dei modi del fantastico, oppure dal fatto che un tale universo sociale (da cui ormai quasi nessuna opera di SF prescinde) fa ormai parte dello scenario quotidiano, fino a costituire sempre più quell' "inferno tecnologico " di cui trattava Dick, e a cui, come umanità, siamo forse condannati ?

I vertiginosi avanzamenti tecnologici costituiscono un ausilio, un'espansione delle possibilità umane, oppure ci conducono ad una disumanizzazione, ad una riduzione alla mostruosità meccanica da cyborg, ad un appiattimento cerebrale (derivato dalla troppa informazione, dal bombardamento di dati), come hanno paventato Bradbury, Lem e Dick nelle loro opere ? I ritrovati tecnologici, sempre più stupefacenti ma che possono diventare sempre più costosi, saranno a disposizione di tutti oppure approfondiranno un drastico gap, l'abisso tra la ricchezza profusa e le povertà miserabili?  Ci chiediamo questo con apprensione, nel momento in cui il progresso tecnologico , con la sua forza pervasiva e onnipresente, ci "muta" momento per momento, e muta velocissimamente il nostro territorio mediatico, le comunicazioni, i linguaggi, i rapporti tra i gruppi sociali.

Così come ha sempre fatto, la science fiction ci dà stimoli e suggerimenti per poterci interrogare sulle problematiche del nostro presente e del nostro futuro, proiettandoci nei molteplici livelli delle percezioni e delle possibilità.


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Note al capitolo VI

1) Vita Fortunati, "Dall'utopia alla fantascienza: la metamorfosi di un genere letterario", in N. Matteucci, a cura di, L'uomo e le sue forme, 1982, pp. 255-269.

2) Claudio Gatti, "A mente fredda", in "L'Europeo" n° 19, 12/05/1989, pp. 135-137

3) Marvin Minsky,La società della mente, Adelphi, Milano, 1984.

4) Philip K. Dick, Se questo mondo vi sembra.., cit. p. 21 .

5) U.K. Le Guin, La mano sinistra delle tenebre (The left hand of darkness, 1969) tr. Di Ugo Malaguti, Libra editrice, 1977, p. 85.

6) Idem , p. 77

7) Idem , p. 266.

8) Idem , p. 1 ; p. 200

9) U.K. Le Guin, Il linguaggio della notte (The language of the Night, Essays in Fantasy and Science Fiction, 1979) Editori Riuniti, Roma, 1986.

10) U.K. Le Guin, "Science Fiction and Mrs Brown", 1975, in U.K. Le Guin, "I dodici punti cardinali, (The wind twelve quarters,1975), tr. di Roberta Rambelli, ed. Nord, Milano, 1979.

11) U.K. Le Guin, La falce dei cieli (The lathe of Heaven, 1971), trad. di Riccardo Valla, ed. Nord, Milano, 1974.

12) Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica (Introduction à la littérature fantastique, 1970), Garzanti, Milano, 1977.

13) Idem, p. 28.

14) Remo Ceserani, Il fantastico, Il Mulino, Bologna, 1996.

15) Allen Tate, La fantasia angelica: Poe come Dio, in Nemi D'Agostino, a cura di, Saggi, Ed. di storia e letteratura, Roma, 1957, p. 74.

16) D. H. Lawrence, Studies in Classical American Literature, New York, 1922, p. 96.

17) I. Bessière, Le récit fantastique. La poétique de l'incertain, Larousse, Paris, 1974, pp. 10-12.

18) R. L. Stevenson, " Pan's Pipes", in Virginibus Puerisque, London, 1925, pp. 108-109.

19) Philip k. Dick, Introduzione a Non saremo noi ,cit.

20). Calvino," La letteratura, e la Realtà dei Livelli", in AAVV, Livelli di realtà, Feltrinelli, Milano, 1984.

21) Domenico Gallo," Il sogno di Galileo e l'incubo di Philip K. Dick ", in Il sogno dei simulacri, cit., p. 78.

22) Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, cit; p. 176

23) Idem, p. 175

24) Paul Williams, Conversazione con Philip. K. Dick, in "Cosmo" n° 1/ 1993 Ed. Nord, Milano

25) Lucien Goldmann , Per una sociologia del romanzo (Pour une sociologie du roman, 1964 ), trad. di Giancarlo Buzzi, Bompiani , Milano, 1967, p. 182

26) Idem, pp. 190-198

27) Philip K. Dick,  Ubik, cit, p. 97

28) Idem, p. 246

29) Antonio Gnoli, "L'agente segreto del caos", cit.

30) U. K. Dick, Introduzione a Non saremo noi, cit. P. 10.

31) Stefano Benni, Introduzione a Se questo mondo, cit., p. 10

32) Philip Dick , La formica elettrica , cit. p. 515 - 526

33) Robert S. Dombroski , " Paure postmoderne: i deliri di Blade Runner " , Convegno internazionale su Il Fantastico , I.U.O. Napoli, 28-30 aprile 1992

34) Philip Dick, La formica elettrica , cit. , p. 519

35) Daniela Pasti , " Sergio Cofferati a caccia di androidi " in "La Repubblica " 2/8/1995

36) Renata Moné, "Il mondo in una rete", " Repubblica", 9/12/1994

37) John Brunner, Codice 4gh (The shockwave Rider, 1975, Fact and Fiction Ltd) trad. di Roberta Rambelli, Ed. Nord, Milano, 1970.

38) F. Pohl e C. Kornbluth, I mercanti dello spazio, cit.

39) William Gibson, Neuromante (Neuromancer, 1984)m trad. G. Cossati e S. Sandrelli, Ed. Nord, Milano, 1986.

40) Delio Zinoni, "Dieci anni di cyberpunk", in "Urania" n° 1217, 31/10/1993.

41) Bruce Sterlinas, Prefazione a La notte che bruciammo Chrome, A. Mondadori, Milano, 1994.

42) Stefano Di Marino, "Cinema e cyberpunk", Urania, ° 1217, cit.

43) William Gibson, Neuromante, cit, p. 54.

44) Idem, p. 58.

45) Darko Suvin , "On Gibson and Cyberpunk SF " , " Foundation " 1986

46) Gualtiero Peirce " Noi, la tecnologia " in " Il Venerdi " di "Repubblica"