Violante: seduta 86
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        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Discussione della relazione del gruppo di lavoro sulla
destinazione dei beni confiscati:
Violante Luciano, Presidente .................... 3447, 3450
                                            3451, 3452, 3453
Bargone Antonio, Relatore ....................... 3447, 3448
                                      3450, 3451, 3452, 3453
Buttitta Antonino ............................... 3450, 3452
Cabras Paolo .............................. 3448, 3451, 3452
Audizione del ministro per gli affari sociali e di alcuni
procuratori della Repubblica sull'immigrazione clandestina:
Violante Luciano, Presidente........................... 3453
                    3454, 3455, 3456, 3458, 3459, 3460, 3461
                    3462, 3463, 3464, 3465, 3466, 3467, 3468
                    3469, 3471, 3472, 3473, 3474, 3475, 3477
                          3484, 3486, 3487, 3488, 3491, 3492
Beconi Andrea, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova
                                                        3475
                                            3476, 3477, 3478
Cabras Paolo .......................................... 3464
Chiappani Antonio Angelo, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia ....... 3472, 3473
                                                        3474
                                            3475, 3486, 3488
Conte Mario, Sostituto procuratore della Repubblica presso
il tribunale di Bergamo ............................... 3463
                                                  3464, 3490
Contri Fernanda, Ministro per gli affari sociali
                                      3453, 3456, 3475, 3477
                                      3485, 3488, 3490, 3492
Costa Elio, Procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Crotone............. 3476, 3487, 3488
De Martino Diana, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Roma ..................... 3482, 3484
Ferrara Salute Giovanni ............................... 3467
Giordano Pietro, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Roma ........................... 3474
                                                        3479
Giovagnoli Paolo, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Bologna ............ 3465, 3469, 3471
                                                  3472, 3490
Labozzetta Domenico, Procuratore della Repubblica presso
il tribunale di Pordenone
                                                        3462
                                                        3463
Majorano Nicola, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Roma ........................... 3484
                                                  3485, 3486
Marziani Vilfredo, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Firenze ............ 3464, 3465, 3466
                                            3467, 3468, 3469
Massini Elisabetta, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Reggio Calabria .......... 3460, 3461
                                                        3462
Nuovo Antonella, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Cremona ............ 3458, 3459, 3460
Rapisarda Santi ....................................... 3466
Scagliarini Licia, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Milano
                                                        3454
                                3455, 3456, 3457, 3458, 3489
                        Pag. 3446
                        Pag. 3447
La seduta comincia alle 9,40.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Discussione della relazione del gruppo di lavoro sulla
destinazione dei beni confiscati.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione
della relazione del gruppo di lavoro sulla destinazione dei
beni confiscati.
   Do la parola al relatore, onorevole Bargone.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Vorrei formulare
preliminarmente una richiesta. Un quotidiano riporta oggi una
notizia, che mi lascia particolarmente perplesso, circa la
cattura di Riina: si dice che la procura distrettuale di
Palermo, nell'azione che stava conducendo per arrivare alla
cattura di Riina, aveva individuato un covo in via Bernini e
in questo senso aveva dato incarico al ROS di controllare chi
frequentasse quel covo. Successivamente si dice che dopo 18
giorni il covo, aperto ai magistrati, era vuoto, e la vera
sorpresa fu che in quei 18 giorni nessun servizio di
sorveglianza e di osservazione era stato predisposto nella
zona. Se questa notizia fosse vera, sarebbe particolarmente
allarmante; pertanto ritengo necessario, a questo punto,
quantomeno acquisire delle informazioni presso la procura
distrettuale di Palermo in maniera tale da valutare poi quali
iniziative assumere per fare luce su questo episodio.
  PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito
che chiederemo queste informazioni.
(Così rimane stabilito).
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Farò un'esposizione
sintetica, rimandando alla relazione scritta, che si è fatta
carico di verificare lo stato di applicazione della legge n.
575 del 1965, relativa al sequestro ed alla confisca dei beni
mafiosi, e della legge n. 356 del 1992, che ha innovato in
questa materia con l'articolo 12-quinquies. La
Commissione ha ritenuto che fosse particolarmente importante
una valutazione dello stato di applicazione di tali normative
e di eventuali modifiche legislative proprio perché, come è
stato detto durante il convegno sui rapporti tra economia e
criminalità, esiste la necessità di spostare in avanti anche
l'azione di contrasto nei confronti del fenomeno mafioso e di
individuare una nuova frontiera, quella appunto
dell'aggressione alle ricchezze criminali. Tali strumenti sono
particolarmente incisivi in questo tipo di azione di
contrasto.
   Nell'esaminare le notizie che ci sono state fornite e che
abbiamo acquisito nel corso dei nostri lavori ed anche alla
luce delle audizioni che abbiamo svolto, del capo della
polizia e di alcuni rappresentanti istituzionali, sindacali,
degli intendenti di finanza e così via, un primo dato che
emerge è l'esistenza di uno scarto eccessivo tra sequestri e
confische. Si tratta di un limite preoccupante, che deve
suggerirci di porre una particolare attenzione rispetto a
questo tipo di attività; probabilmente occorre verificare se
si tratti di una valutazione diversa, effettuata sulla base di
un'applicazione della legge oppure se, al momento della
                        Pag. 3448
confisca, venga meno il tipo di valutazione fatta nel momento
in cui è stato attivato il sequestro del bene.
   Un altro elemento che balza subito agli occhi è il fatto
che vi è un'attività più intensa nel sud del nostro paese. E
rilevo qui soprattutto una resistenza di tipo culturale tra
forze dell'ordine e magistratura, perché è assolutamente
impensabile che nel sud vi siano le maggiori ricchezze
mafiose; probabilmente nel sud vi sono un radicamento ed
un'estensione maggiori del fenomeno mafioso, soprattutto dal
punto di vista militare. Credo invece, per tutte le ragioni
che abbiamo esposto qui anche nel corso della discussione...
  PAOLO CABRAS. Nel sud sono più visibili. Non le hanno
viste finora, anche se erano visibili! Non le hanno volute
vedere, ma comunque visibili lo erano!
  ANTONIO BARGONE, Relatore. In ogni caso, proprio
per l'analisi che abbiamo condotto sia durante il nostro
convegno sia nel corso della discussione effettuata a seguito
della relazione del senatore Smuraglia, diciamo che l'attività
di riciclaggio e l'inserimento nel circuito
economico-finanziario delle ricchezze di provenienza illecita
avvengono soprattutto nel nord. Quindi, occorre correggere il
tiro rispetto a questo fenomeno, nell'ottica più generale di
non rendere subalterna l'azione contro l'economia criminale
rispetto a quella contro le strutture militari
dell'organizzazione.
   I limiti che abbiamo individuato sono i tempi
eccessivamente lunghi tra il sequestro e la confisca. Abbiamo
un esempio, riportato anche nella relazione: abbiamo ascoltato
i custodi di un'azienda sequestrata nel napoletano, la
Bitum-beton di Agizza e Romano; è intervenuto un provvedimento
di sequestro nel 1988 e poi uno di confisca nel 1992, che
peraltro non è ancora definitivo perché è stato impugnato. A
questi tempi si devono aggiungere quelli necessari per le
indagini e naturalmente la situazione economica reale muta
significativamente dall'inizio delle indagini fino alla
confisca.
   Inoltre, come ho detto, il divario esistente tra sequestri
e confische, che potrebbe attenuarsi con l'applicazione
dell'articolo 12-quinquies della legge n. 356 del 1992,
è al vaglio della Corte costituzionale nella parte relativa
all'inversione dell'onere della prova. Per queste ragioni noi
proponiamo che si possa trasformare questa da norma penale in
misura di prevenzione, legando quindi le misure non alla
commissione di un reato ma al semplice indizio; in tal modo si
supererebbe anche l'obiezione che ha portato questa norma al
vaglio della Corte costituzionale.
   E' bastato studiare la legislazione in materia per capire
che è farraginosa e confusa e che quindi è necessario
predisporre un testo unico. Vi sono sovrapposizione e
confusione di indagini tra le diverse procure ed esistono
problemi di competenza; probabilmente si potrebbe superare
questo limite attribuendo la competenza per le misure di
prevenzione alla direzione distrettuale antimafia. Vi è poi un
problema di gestione del bene confiscato, che prima era
attribuita alle intendenze di finanza e che, dopo la riforma
del Ministero delle finanze, è stata attribuita alle direzioni
regionali di tale Ministero, che però non dispongono di
organici, di mezzi e di strumenti sufficienti. Sostanzialmente
non esiste un organismo all'interno dell'articolazione del
dicastero delle finanze in grado di gestire i beni confiscati
in maniera efficace.
   Vi è poi una legislazione societaria inadeguata, e quindi
si agisce male sul piano preventivo. E' chiaro che i problemi
sono diversi a seconda della natura del bene sequestrato e
confiscato; infatti, come vedremo tra un momento, i problemi
maggiori si presentano per i beni immobili produttivi, cioè
per quelli che necessitano di una gestione economica e che
pongono anche problemi di personale, di inserimento sul
mercato, di accesso al credito e quant'altro.
   Inoltre, proprio durante il lavoro svolto dalla
sottocommissione ci siamo resi conto della mancanza di un
centro unificato, cioè di una banca-dati che
                        Pag. 3449
possa rappresentare anche uno strumento di monitoraggio sul
tipo, sull'entità e sulle caratteristiche dei beni sequestrati
e confiscati. Credo che ciò sia particolarmente necessario.
   Per quanto riguarda i beni mobili, non abbiamo rilevato
grossi problemi: dal punto di vista della gestione, come ho
detto, esiste una questione di tempi per ciò che concerne le
procedure, mentre i problemi più rilevanti sono nel caso di
beni produttivi, intanto perché l'eccessiva durata temporale
del sequestro in questi casi diventa particolarmente dannosa
in quanto amplifica i problemi di gestione dell'azienda e
anzi, mano a mano che il tempo passa, tende a vanificare gli
effetti del provvedimento. Tra l'altro, i custodi giudiziari
vengono nominati tra i professionisti, mentre
l'amministrazione dell'azienda è affidata qualche volta
addirittura ad un dipendente della stessa: ciò fa cadere
verticalmente la capacità di tale azienda di stare sul
mercato, cui si aggiunge naturalmente un ostruzionismo
strisciante, qualche volta visibile e qualche volta meno
visibile, del vecchio titolare dell'impresa mafiosa, che
spesso sta sul mercato proprio per la sua capacità di
intimidazione e per i suoi collegamenti di tipo illecito e
che, naturalmente, deve trovare tutta una serie di
collegamenti diversi nel mercato. Ciò non può accadere con
custodi che siano soltanto dei professionisti, perché questo
garantisce esclusivamente sul piano formale; pertanto vi è la
necessità - e lo proponiamo - di applicare in questi casi la
cosiddetta legge Prodi, prevedendo un amministratore
straordinario individuato tra manager ed imprenditori, tra
persone che in qualche modo possano avviare un processo di
risanamento dell'azienda, così che nel momento in cui questi
beni vengono destinati e rimessi sul mercato siano appetibili
sul piano economico e finanziario.
   Occorre sottolineare - l'ha affermato anche il capo della
polizia Parisi - che le pubbliche amministrazioni non danno
una mano a questo fine, agendo addirittura in senso contrario;
nel momento in cui un'azienda è sottoposta a sequestro, essa
perde addirittura la possibilità di lavorare con la pubblica
amministrazione, che si rivolge ad altri soggetti presenti sul
mercato. Quindi, ci sono questioni che riguardano la capacità
di gestione e i tempi, che devono essere ridotti a non più di
un biennio, nonché quella di gestire i dipendenti in maniera
più adeguata, creando i presupposti perché, al momento della
destinazione successiva alla confisca, si abbia a che fare con
soggetti disponibili.
   Quella del personale è una delle questioni più spinose che
ci siamo trovati ad affrontare; si tratta di un problema che è
stato valutato anche in altre sedi (ricordo per esempio un
convegno del CNEL su questa materia). La proposta più
ragionevole, anche per spezzare un rapporto che può essere di
collusione tra il dipendente ed il vecchio proprietario
mafioso, che fino a quel momento aveva garantito il posto di
lavoro (che invece si perde quando interviene un provvedimento
di carattere giudiziario), è quella di prevedere l'estensione
della disciplina dell'articolo 3 della legge n. 223, cioè la
cassa integrazione temporanea funzionale soltanto alla ripresa
dell'azienda, altrimenti essa si tradurrebbe in una forma di
assistenzialismo a fondo perduto.
   Bisogna inoltre prevedere, insieme a questa modifica
legislativa, anche la possibilità di corrispondere il
trattamento di fine lavoro, che, nel caso di provvedimento
giudiziario di tale natura, non sarebbe corrisposto perché
previsto a carico del fondo dell'INPS soltanto nel caso in cui
l'azienda venga sottoposta ad un procedimento concorsuale; nel
caso del sequestro e della confisca non ci troviamo
formalmente in questa situazione.
   Come ho già detto, abbiamo indicato nella relazione come
emblematico il caso di questa azienda, quindi non mi ci
soffermo oltre. Un'altra questione è rappresentata dal fatto
che il provvedimento di sequestro, per il modo in cui la
legislazione disciplina la materia, può essere travolto da una
sentenza di fallimento. In sostanza, avremmo una situazione
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abbastanza paradossale in virtù della quale si avrebbe un
provvedimento giudiziario che spossessa il mafioso del bene
per darlo in gestione allo Stato mentre poi, non essendovi
alcuna norma che disciplini le questioni relative ai
creditori, potrebbero essere presentate istanze di fallimento
con conseguenti sentenze di fallimento, che vanificherebbero
completamente il provvedimento di sequestro. Esiste al
riguardo una giurisprudenza, che mi sono incaricato di
studiare, non molto chiara; occorre pertanto un provvedimento
legislativo che ponga fine all'attuale situazione.
   Sulla base di queste osservazioni - per esempio
dall'esperienza dell'azienda di Agizza e Romano, che hanno
lamentato la perdita di quote di mercato, l'affanno
finanziario, l'allarme sociale provocato dal sequestro -
abbiamo formulato alcune proposte puntuali: il sequestro non
può superare la durata di un biennio; tutte le procedure vanno
uniformate sotto un'unica disciplina; il sequestro deve essere
affidato ad un amministratore; divieto di ogni azione
esecutiva, compreso il fallimento, nel caso in cui ci sia un
provvedimento di sequestro; procedimento speciale per il caso
di esigenze di riduzione del personale; possibilità di cassa
integrazione per il periodo di sequestro; pubblicazione in
tutte le regioni dell'elenco delle imprese sequestrate e
confiscate; pubblicità per tutte le partecipazioni societarie
di capitali e di persone, con istituzione di un registro
pubblico consultabile. Occorre, come ho detto prima,
modificare la legislazione societaria, perché una delle
questioni più importanti che sono state sottolineate è
rappresentata dal fatto che il sequestro avviene su quote
della società, per cui spesso accade che il maggiore azionista
della società rimane il mafioso, che può per esempio aumentare
il capitale sociale, vanificando il ruolo dello Stato
all'interno della società stessa; è chiaro quindi che bisogna
intervenire in materia societaria.
   E' stata inoltre avanzata la proposta, che ritengo giusta,
di assegnare una quota dei beni confiscati al corpo che ha
attivato il sequestro, proprio per provocare anche una più
razionale dislocazione delle forze sul territorio nell'azione
per attivare i sequestri e per una maggiore possibilità di
acquisizione delle risorse.
  ANTONINO BUTTITTA. Assegnare a chi?
  ANTONIO BARGONE, Relatore. A polizia, carabinieri
e guardia di finanza.
  ANTONINO BUTTITTA. Assegnare in che senso?
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Assegnare una quota del
bene confiscato a questi corpi; poiché dopo il procedimento di
confisca vi è l'assegnazione del bene, una quota di tale bene
può essere assegnata, secondo la proposta, ad uno dei corpi
che hanno attivato il sequestro.
  PRESIDENTE. Se mi permette, onorevole Bargone, oggi la
direzione per la lotta agli stupefacenti ha già per legge, non
ricordo in virtù di quale disposizione, una quota dei beni
sequestrati e confiscati ai trafficanti di stupefacenti, al
fine di utilizzare questi mezzi - si tratta di automobili e
motoscafi veloci - proprio per la lotta contro questo
fenomeno. Se non ho capito male, la proposta dell'onorevole
Bargone è che una quota dei beni sequestrati vada alle forze
di polizia che hanno operato il sequestro, anche al fine di
utilizzare la pluralità delle forze. Visto che abbiamo la
concorrenzialità, almeno che sia utilizzata spronando ad
agire.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. A tale proposito, è
stato lamentato un lasso di tempo troppo lungo tra il momento
in cui viene decisa la destinazione del bene e quello in cui
si attuano le procedure che ratificano questo provvedimento da
parte del Ministero delle finanze; vi è pertanto la
possibilità del deperimento del bene, la difficoltà da parte
dell'organismo a gestire il bene stesso per troppo tempo.
                        Pag. 3451
   Alla confisca dovrebbe conseguire l'immediato rilascio del
bene da parte degli occupanti, in maniera tale da consentire
all'amministrazione finanziaria di averlo subito libero e
sgombro da persone e da cose. E' questo il quadro complessivo
che ci siamo trovati davanti e le proposte che vogliamo
avanzare.
   Un'ultima osservazione, di ordine più generale: dai dati
emerge un'insufficiente azione su questo settore che deriva
secondo me anche da una resistenza di tipo culturale; abbiamo
sentito dire qualche volta che gli uffici giudiziari non
vogliono utilizzare questo strumento perché ritenuto in
qualche modo incostituzionale, perché occorre la prova, perché
non si può spossessare un soggetto di un bene quando non si è
certi che appartenga ad un'organizzazione mafiosa. Vi è una
sottovalutazione negli uffici giudiziari del nord rispetto
alla presenza dell'economia criminale in quelle realtà e vi è
anche una carenza, a mio giudizio, di strumenti - ho indicato
la mancanza di una banca-dati, della possibilità di un
monitoraggio - adeguati e tecnologicamente avanzati anche
nell'azione investigativa in questo settore. Occorre
sicuramente un adeguamento della normativa in questo campo, ma
occorre anche che si lavori in un contesto più adeguato sul
piano culturale e dell'organizzazione e del potenziamento di
strutture e mezzi.
  PAOLO CABRAS. Mi associo al ringraziamento nei confronti
dell'onorevole Bargone per la relazione e per il lavoro
svolto; poiché la relazione è complessa dal punto di vista
tecnico e contiene proposte meritevoli di approfondimento,
sarei favorevole ad un rinvio dell'approvazione definitiva del
documento ad un'altra seduta.
   Dato che parliamo di sequestri e di confische, questa
mattina, come tutti voi, ho appreso dai quotidiani la notizia
del dissequestro di parte del patrimonio di Galasso; mi rendo
conto che Galasso è da tempo un attivo collaboratore di
giustizia, però questa fretta - poiché versiamo in una materia
in cui la fretta non è mai stata una stella polare - nel
dissequestrare, non credo sia molto commendevole. Tra l'altro,
ciò porterà sicuramente acqua al mulino di coloro che
contestano l'utilizzo dei collaboratori di giustizia
sostenendo che si fanno sconti intollerabili ed inammissibili
a persone che notoriamente hanno commesso reati gravi,
addirittura incentivandoli con la restituzione di un
patrimonio che, nel caso di specie, non sarà tutto frutto
dell'asse ereditario della famiglia Galasso ma anche delle sue
attività criminose. Quindi, mi sembra particolarmente
inopportuno dal punto di vista generale il provvedimento che è
stato adottato, anche se, così dicendo, non intendo certo
assumere atteggiamenti censori o trarre da esso considerazioni
di carattere più generale.
   A questo proposito, pregherei la presidenza di richiedere
al tribunale che ha provveduto al dissequestro di alcuni dei
beni di Galasso di inviare alla Commissione copia del
provvedimento, in modo da poter riflettere sulle motivazioni
addotte da quei magistrati.
  PRESIDENTE. E' senz'altro opportuno che tale
documentazione venga acquisita, anche perché alla lunga
rischia di aprirsi un circuito in qualche modo virtuoso per
l'autore dei reati: questi commette numerosi reati, acquista
grandi ricchezze, poi si pente e riesce a mantenere il
ricavato di quei reati; pentirsi diventa, insomma, un'impresa
lucrosa.
   Acquisiamo, quindi, questi dati; l'onorevole Bargone
valuterà se inserire una riflessione in proposito nella
relazione.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. In proposito vi è anche
la necessità di una modifica legislativa perché provvedimenti
di questo genere vengono assunti quando viene meno la
pericolosità sociale del soggetto, cosa che deriva appunto dal
fatto che questi collabora con la giustizia. Peraltro, è un
problema che ci siamo trovati di fronte anche per altri
collaboratori.
  PRESIDENTE. Forse la cosa migliore sarebbe quella di
inserire una previsione
                        Pag. 3452
normativa in proposito nell'ambito delle norme sui
collaboratori perché effettivamente, se il presupposto è il
venir meno della pericolosità sociale, nel momento in cui il
soggetto collabora non è più socialmente pericoloso.
  PAOLO CABRAS. Tuttavia, quella di Galasso è una
collaborazione in corso d'opera, nel senso che va ancora
verificata e riscontrata a livello processuale.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Lo dicevo perché
corriamo il rischio di sentirci rispondere dai magistrati che
hanno assunto il provvedimento di dissequestro che questo è
possibile in quanto la legge lo prevede nel momento in cui
viene meno la pericolosità sociale.
  PRESIDENTE. Se non ricordo male, onorevole Bargone,
nella sua relazione si accenna alla questione della
progressiva separazione delle misure di prevenzione
patrimoniali rispetto a quelle personali. In realtà, la strada
è questa, perché la ragione di un provvedimento di sequestro o
di confisca non è tanto la pericolosità dei beni ma è fondata
su altri presupposti. Evidentemente si è verificato un
traslato tra pericolosità delle persone e pericolosità dei
beni, per cui di una categoria soggettiva - la pericolosità -
si è fatto qualcosa che attiene ai beni, e questo non è
giusto.
   Vorrei ora accennare al fatto che la Presidenza del
Consiglio ha assunto l'iniziativa di elaborare un testo unico,
di cui disponiamo, che non ha valore di legge ma che in
qualche modo mette in ordine le varie disposizioni secondo
criteri orientativi. Trattandosi di un'iniziativa positiva, se
tale sarà considerata dai ministeri competenti, nella prossima
legislatura la si potrà codificare. Credo, quindi, che sarebbe
utile, se il relatore lo ritiene, far cenno a tale positiva
iniziativa del Governo.
   Nell'ambito della parte propositiva della relazione o
anche altrove, onorevole Bargone, si potrebbe forse dare
spazio ad una riflessione: tutta la questione richiede una
riflessione complessiva sul versante finanziario, in quanto
siamo molto deboli ed arretrati dal punto di vista sia
normativo sia delle prassi sul versante finanziario, mentre su
quello militare o comunque operativo e criminale delle
organizzazioni mafiose gli apparati dello Stato hanno
raggiunto una certa raffinatezza anche di investigazione e di
indagine. Si pone, quindi, un problema che riguarda
complessivamente il versante finanziario.
  ANTONINO BUTTITTA. E' un tema sul quale ho sempre
insistito.
  PRESIDENTE. Con ragione, in quanto si tratta di un tema
da approfondire. Rispetto all'azione di contrasto del livello
criminale, a livello finanziario siamo circa dieci anni
indietro.
   Riguardo al punto 14) a pagina 38 (obbligo di
trasferimento delle partecipazioni sociali per scritture
private autenticate o per atto pubblico da sottoporre a
registrazione), vorrei sapere se la recente legge Mancino non
contenga una previsione del genere.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Non mi pare.
  PRESIDENTE. Sarò senz'altro in errore, ma sarebbe bene
controllare.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Condurrò senz'altro una
verifica. Comunque, tale legge prevede qualcosa del genere,
però c'è un limite che è stato rilevato anche in un documento
predisposto da alcuni notai per cui, poiché il mancato
rispetto della legge non è sanzionato con la nullità
dell'atto, si continua a fare esattamente come prima. Quindi,
ritengo necessario un riferimento più specifico, nel senso di
far presente che quella norma deve prevedere una sanzione che
scongiuri la possibilità di operazioni di questo tipo.
  PRESIDENTE. Vorrei inoltre informare la Commissione che
ieri la procura
                        Pag. 3453
nazionale antimafia ha varato una strategia - termine forse
troppo impegnativo - comunque un indirizzo in ordine al
versante finanziario, nel senso che, così come la Commissione
aveva più volte proposto, la procura ha finalmente individuato
questo come un filone prioritario di lavoro; credo che vi
siano state riunioni con procuratori distrettuali antimafia
per coordinare le azioni sul versante finanziario. Credo che
sia il caso di acquisire informazioni in proposito dalla
procura nazionale antimafia al fine di integrare la relazione
anche su questo punto. Se non vi sono obiezioni, così rimane
stabilito.
(Così rimane stabilito).
  Quanto alla relazione dell'onorevole Bargone, potremmo
provvedere all'invio della stessa a tutti i colleghi che oggi
non sono presenti, secondo l'impegno di massima assunto ieri,
eventualmente procedendo da parte del relatore ad apportare
subito le modifiche emerse nella seduta odierna.
Successivamente, valuteremo in quale prossima seduta
proseguire la discussione ed effettuare la votazione.
  ANTONIO BARGONE, Relatore. Nel frattempo
modificherò la relazione anche sulla base delle indicazioni
oggi emerse.
  PRESIDENTE. La proposta di relazione dell'onorevole
Bargone sarà allegata al resoconto sommario della seduta
odierna.
Audizione del ministro per gli affari sociali e di alcuni
procuratori della Repubblica sull'immigrazione clandestina.
  PRESIDENTE. Nel ringraziare il ministro Contri ed i
procuratori intervenuti, ricordo che la richiesta di questa
audizione nasce dall'esigenza, segnalata dal ministro, di
accertare se l'immigrazione clandestina in Italia sia per
alcuni aspetti controllata, manipolata o gestita da
organizzazioni che abbiano caratteristiche affini a quelle
mafiose.
   Si tratta naturalmente di un colloquio sperimentale, nel
senso che siamo andati a cercare nell'ambito di vari uffici
giudiziari, sulla base di una prima indicazione che
cortesemente ci ha messo a disposizione il ministro Contri,
nonché sulla base di un accertamento che gli uffici hanno
condotto presso procure distrettuali ed alcune procure della
Repubblica delle città più importanti. Abbiamo tracciato un
certo quadro, che naturalmente non è esaustivo, ma che credo
consenta in primo luogo al ministro nelle sue responsabilità
e, se emergeranno elementi di interesse e di rilievo per la
Commissione, anche a quest'ultima di condurre un determinato
lavoro.
   Do quindi la parola al ministro per un'illustrazione di
carattere generale.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Vorrei innanzi tutto rivolgere un ringraziamento al presidente
della Commissione antimafia e poi a tutti i suoi componenti.
Come qualcuno di voi sa, perché durante l'estate abbiamo avuto
contatti telefonici, nell'ambito dello svolgimento della
delega di coordinamento sui problemi dell'immigrazione che il
Presidente Ciampi il 13 maggio scorso mi ha affidato, avevo
iniziato ad esaminare un settore che, a mio avviso, è alquanto
trascurato, tanto che - premessa che riguarda poco voi, ma che
mi sento di fare per fornire una spiegazione più precisa - se
non fossimo a fine legislatura, come ho anticipato al
presidente Violante, avrei chiesto la costituzione di una
Commissione parlamentare sul fenomeno, in quanto ritengo che
esso meriti un simile livello di attenzione. Spero, comunque,
che gli atti di questa seduta possano servire anche come
memoria per il prossimo Parlamento.
   Uno dei segnali che più mi aveva colpita era rappresentato
dal fatto che l'immigrazione clandestina - non tanto quella
regolare - avveniva e continua ad avvenire, stando a ciò che
comprendo dalla lettura dei giornali (perché di altri
                        Pag. 3454
strumenti non dispongo), attraverso organizzazioni ben
precise.
   Ho operato in due direzioni: dopo aver costituito una
commissione, che è tuttora al lavoro e che spero per la metà o
la fine di febbraio comunque produrrà una relazione che
consegnerò al Presidente Ciampi e della quale verrà fatto
l'uso che si riterrà più opportuno, ho attribuito ad essa due
incarichi precisi. In primo luogo, quello di tracciare una
carta dei diritti e dei doveri degli immigrati, facendo
evidentemente riferimento agli immigrati regolari, che stanno
legittimamente nel nostro territorio; in secondo luogo, quello
di mettere a punto, se possibile, una procedura che, quando si
dovesse arrivare al doloroso rimedio dell'espulsione, la
rendesse effettiva, cosa che tutti, dal capo della polizia in
avanti, mi hanno detto essere impossibile.
   Inoltre, ho tenuto una serie di riunioni di coordinamento
(l'ultima si è svolta martedì mattina) a Palazzo Chigi dei
ministeri interessati a vario titolo del problema - giustizia,
lavoro, esteri, interno - ed anche con i capi delle varie
forze dell'ordine: polizia, carabinieri, Guardia di finanza,
marina, eccetera. Tutto ciò per valutare la possibilità di
tentare un coordinamento, cosa evidentemente non facile, anche
se siamo riusciti a mettere a punto una serie di cose sulle
quali presenterò una relazione al Presidente del Consiglio.
   Ciò che mi interessava sapere - si tratta di una domanda
che continua ad assillarmi ogni volta che mi occupo di questo
problema - è se (ma spero di essere smentita) la condizione di
irregolarità nasca già nel paese di provenienza. In proposito,
ho acquisito anche personalmente una serie di notizie: sto
seguendo il caso di una bambina albanese di quattordici anni e
due mesi - ma non li dimostra - che insieme con altre undici
ragazzine è stata sbarcata a Lecce su uno di quegli scafi blu
che una volta trasportavano sigarette di contrabbando e che
poi è stata affidata ad un ragazzo ventenne. Delle altre
undici ragazzine si sono perse le tracce; lei veniva sfruttata
in quel di Bergamo e poi in quel di Genova. Per fortuna un
giorno si è buttata nelle braccia di una poliziotta a Genova e
l'abbiamo tirata fuori dal giro. Vi è quindi tutta una serie
di organizzazioni composte, per quel che ne so, da italiani e
da cittadini stranieri che prendono il soggetto nel paese
d'origine e poi lo portano in Italia, dove viene impiegato nei
modi più diversi: dallo sfruttamento della prostituzione al
lavoro nero, al traffico d'armi, allo spaccio di droga; tutte
cose che certamente conoscete meglio di me. Pur ribadendo che
i dati a mia disposizione provengono solo dalle notizie
pubblicate dai giornali, rilevo che questi sbarchi avvengono
soprattutto nel sud, prevalentemente nelle regioni che hanno
problemi di mafia o simili.
   E' questo il percorso da me compiuto; anche a causa del
momento che stiamo attraversando, non ho trovato altre
risposte se non nel presidente Violante, al quale rinnovo il
mio ringraziamento.
  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro Contri. Possiamo ora
procedere con le esposizioni dei magistrati presenti. Ricordo
che della seduta è redatto resoconto stenografico, di cui sarà
loro inviata copia per apportarvi eventuali correzioni.
   Ricordo inoltre che stiamo procedendo in seduta pubblica
ma, se ritenete che qualche aspetto debba essere considerato
riservato, possiamo procedere in seduta segreta.
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Per la verità,
non avrei voluto essere io ad iniziare per un motivo molto
semplice: organizzazioni con carattere di mafiosità, per quel
che risulta all'ufficio della procura di Milano, non ve ne
sono state negli ultimi anni, o forse non sono state
adeguatamente rintracciate. Quello su cui abbiamo indagato
sono stati molteplici ingressi da svariati paesi di
provenienza, e l'unico carattere organizzativo chiaramente
emerso in più indagini è stato quello delle organizzazioni
volte all'ingresso clandestino di cinesi.
                        Pag. 3455
   Per altre nazionalità, non sono emerse organizzazioni del
tipo che si andava prospettando. Questo non significa che non
vi siano state rubricazioni ex articolo 416 (queste sono
avvenute quasi sempre), ma non ex articolo 416-bis del
codice penale.
   Posso quindi parlare, dal momento che me ne occupo in
prima persona da molti mesi, di molteplici organizzazioni,
particolarmente di provenienza sudamericana, con vastissime
ramificazioni, che però forse non rientrano in quel concetto
di ramificazione sul territorio già preorganizzata che si
andava identificando.
   Cercherò di spiegarmi meglio: mi sono occupata (alcune
indagini sono già al dibattimento, altre ancora alla fase di
indagini preliminari, però sono già state emesse misure
cautelari, per cui una certa discovery si è già avuta)
di ingressi di quantitativi numerici altissimi di persone (tra
le duecento e le quattrocento all'anno), con alcuni che
fungono da capi dell'organizzazione; ma lo strumento era la
corruzione di forze dell'ordine, della polizia di frontiera,
dell'ufficio stranieri. Quindi, quella di cui mi sono occupata
ininterrottamente dal mese di marzo fino a ieri (quando ancora
interrogavo in carcere poliziotti in esecuzione di una misura)
è un'immigrazione, per così dire, pulita - se mi si consente
il termine - nel senso che non viene attuata attraverso
imbarchi in stive, né sovraccarichi di motoscafi né di
containers; si tratta invece di ingressi attraverso i
valichi di frontiera, apparentemente regolari, in realtà al
prezzo di tre milioni ad ingresso (tre milioni per entrare
alla frontiera e tre milioni per ottenere successivamente il
permesso di soggiorno). E' chiaro che anche questa è
organizzazione.
  PRESIDENTE. Può spiegare a chi vengano pagate entrambe
queste cifre?
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Innanzitutto,
faccio riferimento a più organizzazioni, e non ad una sola,
con diversi referenti tra le forze dell'ordine ma con modalità
assai simili. I capi delle organizzazioni sono praticamente
sempre stranieri, però ben radicati sul nostro territorio,
coniugati con cittadini italiani, quindi tranquillamente in
regola, ed anche di discreta condizione economica. Grazie alle
molteplici conoscenze rispetto al bacino di utenza originario,
essi organizzano gli ingressi e la successiva regolarizzazione
dei loro connazionali, in una sorta di diffusività sempre
maggiore, perché man mano che si sparge la lieta novella che è
possibile fare ingresso in Italia e poi ottenere il permesso
di soggiorno pagando, in una sorta di colletta tra parenti e
di successiva restituzione rateizzata, praticamente tutti, o
quasi tutti, riescono a mettere insieme i mezzi richiesti per
l'ingresso illegale.
   La fase necessaria è quella dell'aggancio con poliziotti
degli uffici che servono, indispensabili per il fine
desiderato, contatti che vengono tenuti direttamente dai capi
delle organizzazioni, spesso in combutta con i parenti: sono
famiglie che reggono le fila dell'immigrazione clandestina
cercando di evitare ogni contatto diretto tra i singoli
fruitori del servizio e le forze di polizia corrotte. Mi sono
trovata di fronte a tre organizzazioni dello stesso identico
tipo.
   A mio avviso, i problemi sono quelli di una normativa che
forse lascia troppi varchi ad episodi di corruttela, nel senso
che vi sono certe deviazioni della prassi che consentono ad un
singolo poliziotto di far entrare - lo ripeto - quattrocento
stranieri all'anno alla luce del sole e successivamente di
metterli in regola. Il mio osservatorio è quindi quello di
cercare ulteriori controlli, rafforzamenti ed anche mutamenti
della normativa, per fare in modo che un solo poliziotto
corrotto non possa più conseguire questi risultati.
   Vi è una molteplicità di elementi che andrebbero corretti,
ma sono minimali: si tratta di certe prassi di archiviazione
delle pratiche dell'ufficio stranieri, discorso che non va
disgiunto dalla carenza di mezzi che lo stesso ufficio
stranieri lamenta, nel senso che, dovendo ripartirsi
                        Pag. 3456
tra compiti amministrativi e compiti di polizia giudiziaria,
quando si chiede il rintraccio della pratica specifica, salvo
che non si tratti di smarrimento voluto (quindi anche questo
legato al fenomeno criminoso), ci si trova forse di fronte ad
uno smarrimento o ad un mancato rintraccio dovuto alla carenza
di mezzi e quindi all'impossibilità di ordinare compiutamente
le carte.
   Si tratta di un fatto gravissimo, perché il controllo al
terminale non fornisce certamente l'identità fisica dello
straniero. Mi sono sempre scontrata con la mancata
identificazione fisica; si tratta di un discorso che credo
riguardi tutti noi, cioè ogni sostituto procuratore della
Repubblica che fa un turno di reperibilità: se infatti gli
arriva la notizia dello spacciatore, dell'accoltellato o
dell'accoltellatore, non si sa mai chi siano in realtà lo
spacciatore, la vittima e l'autore del reato. A volte neppure
al dibattimento si riesce ad avere compiuta certezza della
reale identità dello straniero.
   Da parte mia, non riesco a vedere che mezzi drastici,
ovvero quello di una identificazione dattiloscopica al momento
dell'ingresso di frontiera almeno degli stranieri provenienti
dai paesi a rischio, identificazione che poi andrebbe
necessariamente riscontrata all'atto del rilascio del permesso
di soggiorno. Si tratta infatti dei due momenti basilari.
   L'ingresso alla frontiera, allo stato attuale, viene
certificato (anzi, io ho rubricato il falso in atto pubblico)
dal controllore di frontiera con un mero timbro di ingresso
apposto sul passaporto dello straniero. Questo rimane l'unico
dato certo dell'ingresso in Italia da un valico di frontiera.
La legge prevede che il timbro debba essere dotato almeno del
"numerino" del controllore, in modo tale da identificare il
controllore che ha prodotto quell'atto pubblico. In realtà,
posso dire con cognizione di causa (dal momento che nel corso
di queste indagini ho visto una miriade di passaporti) che i
timbri, contrariamente al disposto normativo, sono quasi
sempre pressoché tagliati, nonostante le circolari interne dei
dirigenti degli uffici di polizia di frontiera che ho
raccolto; posso quindi testimoniare di un ripetuto richiamo
all'ordine da parte dei dirigenti, ma posso anche continuare
ad attestare un mancato adempimento da parte dei controllori,
i quali si giustificano dicendo che quando arriva un volo con
duecento persone il timbro si mette dove capita. Dico allora
che l'ingresso in Italia non può essere attestato
semplicemente da un timbro male inchiostrato o male apposto.
  PRESIDENTE. Vi è quindi sostanzialmente un problema di
identificazione del soggetto che certifica l'ingresso. Questo
è uno dei punti di fondo.
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Il problema è che
lo straniero non viene identificato nominativamente, perché al
momento dell'ingresso di frontiera si ha una identificazione
formale soltanto dei respinti: ciò di cui resta traccia è il
respingimento, che viene iscritto nel "libro novità" della
frontiera. Per quanto riguarda invece le persone che sono
entrate, non si sa quante siano né chi sia entrato, perché la
normativa non è stata debitamente applicata. Quindi, l'unico
dato che rimane allo straniero e che attesta la sua entrata e
soprattutto la data di ingresso è il timbro sul suo
passaporto, che viene puntualmente smarrito, quando serve;
pertanto, non resta più neanche traccia dell'effettiva data di
ingresso, per non parlare poi delle ulteriori falsificazioni
che su timbri così male apposti si possono costantemente
operare.
   La data di ingresso - ripeto - è importante, perché da
essa decorre il termine di tre mesi per il permesso turistico
e dipende lo stesso rilascio del permesso di soggiorno, per
esempio nei casi di sanatoria.
   Stante l'attuale normativa, pavento moltissimo la
possibilità di una nuova sanatoria.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Io mi sono opposta con tutte le mie forze.
                        Pag. 3457
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Debbo dire questo
perché le inchieste che sto conducendo riguardano
principalmente fatti ricollegabili ancora alla sanatoria, al
31 dicembre 1989; poi ovviamente, esaurita la possibilità di
fabbricare falsi permessi di sanatoria, sono stati inventati
nuovi escamotage, come quello dell'inserimento di falsi
figli sui permessi paterni o materni.
   Vi è una serie di cose che andrebbero maggiormente
controllate, non ultime le dichiarazioni consolari rilasciate
dalle autorità estere in Italia, che vengono pagate (ho
dichiarazioni su dichiarazioni circa il prezzo relativo a
ciascuna dichiarazione consolare) e sono rilasciate su denunce
di smarrimento dei documenti identificativi propri.
   Debbo dire che vi sono molteplici circolari, che partono
dal Ministero dell'interno, in cui si richiamano gli uffici
stranieri periferici al vaglio della credibilità delle
dichiarazioni, anche se rilasciate da autorità consolari
estere.
   Forse non sempre è stato effettuato un attento vaglio e vi
è anche un altro dato: ho rinvenuto nelle pratiche degli
uffici stranieri dichiarazioni in sé formalmente corrette, non
false, rilasciate dal console generale.
   Di fronte a questo stato di cose, vi sono permessi di
soggiorno i cui presupposti sono errati, anche se poi il
rilascio è apparentemente corretto.
   Vi sarebbero - ripeto - molti dati, perché quando si parla
di corruzione di forze dell'ordine occorre sempre verificare
quali condizioni di ufficio (ma anche - ripeto - non di
ufficio singolo ma di normativa generale o di prassi
applicative generalizzate) hanno permesso che una, due, tre
persone corrotte potessero invece avviare traffici di notevoli
proporzioni.
   Non da ultimo, va considerato il fatto che sugli stessi
permessi di soggiorno vengono ancora apposti da varie questure
aggiornamenti e variazioni (che siano di residenza o di
aggiunta di figli) dattiloscritti, senza la ristampa di un
nuovo permesso, quindi senza neanche quella certezza di base
rappresentata almeno dal documento, dal modulo dell'ufficio
stranieri di provenienza. Vi è inoltre il fatto che i permessi
di soggiorno non hanno una qualsiasi forma di numerazione
progressiva: il permesso di soggiorno prende il numero
dall'istanza di soggiorno, la quale ha una numerazione del
tutto casuale, nel senso che il modulo prestampato reca un
numero in bianco e viene lasciato negli uffici stranieri a
disposizione degli interessati che lo possono ritirare,
compilare e poi riconsegnare; da lì prende il numero da quel
modulo in bianco e quindi non viene operato alcun controllo
del momento della presentazione, della successione
cronologica.
   Per quanto riguarda le dichiarazioni dei garanti, la legge
Martelli ha enucleato la dichiarazione di garanzia rilasciata
dalla questura, che è il documento che lo straniero deve
esibire al momento del controllo alla frontiera per dimostrare
di avere un referente in Italia in grado di garantire il suo
sostentamento ed anche i mezzi necessari per il rientro nella
patria d'origine. Non c'è da stupirsi se vi sono pensionati
che si rendono per esempio garanti di tre o quattro giovani
fanciulle alla volta. Anche su questo bisogna fare più
attenzione, perché dietro c'è inevitabilmente un inghippo, c'è
la dichiarazione di garanzia comperata, c'è ancora di peggio;
c'è l'affittacamere abusivo che rilascia la dichiarazione di
garanzia incorporata, presumendo già di poter lucrare sulle
varie aggregazioni più o meno clandestine che si andranno a
formare nella sua abitazione. Ricordo che la dichiarazione di
garanzia occorre per i permessi di tipo turistico, che poi
diventano forme di insediamento clandestino. Un ufficio
stranieri dotato di mezzi potrebbe selezionare dal reparto
amministrativo i garanti sospetti, passarli direttamente al
settore giudiziario ed avviare le indagini: quando gli
stranieri danno tutti lo stesso indirizzo oppure i garanti
garantiscono troppo e per troppi, lì c'è da investigare.
   Spero di non essere uscita troppo fuori dal seminato.
L'avevo però anticipato: il
                        Pag. 3458
mio è un intervento non centrato sull'argomento delineato in
chiave principale.
  PRESIDENTE. Sono cose utilissime.
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Per il resto,
l'esperienza registrata a Milano in ordine alle organizzazioni
di cinesi, connotate da sequestri di persona e da estorsioni,
costituisce una storia veramente vasta: vi sono stati molti
casi e ve ne sono tuttora; tuttavia l'esperienza è la stessa
di quella descritta nel riepilogo che ci è stato consegnato
sull'immigrazione clandestina in Italia di cittadini della
Repubblica popolare cinese. I connotati sono proprio quelli:
il 99 per cento proviene dalla provincia dello Zhejiang, di
solito a Milano le organizzazioni fanno capo ad esercizi di
ristorazione e vi sono aggregazioni a livello subumano perché
le persone vengono tenute in forma di schiavitù, con il
sequestro di tutti i documenti ma anche della stessa persona
fisica, per garantirsi la restituzione delle ingenti cifre
sborsate. D'altronde è una connotazione ovvia: il viaggio
dalla Cina è lungo, bisogna attraversare molteplici paesi, il
prezzo aumenta, l'organizzazione è necessaria e quindi ci si
deve garantire il rientro delle energie e delle spese immesse
nell'ingresso di questi lavoratori.
   Un'ultima annotazione su chi lavoratore non è: senza fare
discriminazioni razziali, bisogna dire che i sudamericani si
integrano (ho visto un gran numero di salvadoregni che si sono
integrati come lavoratori domestici e che, anche se fossero
rimasti clandestini, avrebbero svolto mansioni di governanti o
di donne delle pulizie); i cinesi, grandi lavoratori, sono
trattati come schiavi in laboratori clandestini; i tunisini ed
i marocchini devo dire che li troviamo iscritti nei nostri
registri di notizie di reato come spacciatori e con una serie
di regolamenti di conti spaventosi. Penso che tutti i colleghi
possano testimoniare che in ogni turno esterno, anche se solo
di 24 ore, il tentato omicidio o l'omicidio fra
extracomunitari di provenienza del bacino del Mediterraneo è
un dato di fatto pressoché costante. E' da non sottovalutare
il fatto che non vi sia un'organizzazione di base all'ingresso
che, per quanto mi risulta, non ho mai incontrato: sembra che
entrino alla spicciolata, in maniera diffusa. Mi è stato
riferito (e verbalizzato) da extracomunitari incarcerati per
fatti di droga di essere stati traghettati dal Marocco alla
Spagna con imbarcazioni che partono una volta al giorno, ad un
determinato prezzo; si rifiutano di fare il nome del
traghettatore, tuttavia paiono cose tutto sommato artigianali.
In maniera altrettanto artigianale passano le frontiere che li
separano dall'Italia; certo è che quando sbarcano nel nostro
paese, se non avevano un'organizzazione alle spalle, creano
un'organizzazione del crimine perché i reati di spaccio di cui
sono imputati non coinvolgono quasi mai, se non nei casi degli
episodi da strada da mezzo grammo, uno o due soli indagati. Si
raduna anche una decina di extracomunitari in cascinali
dell'immediata periferia, dove procedono a ripartizioni di
sostanza e di bottino; il dato è anche l'intercambiabilità, da
quanto mi risulta, e quindi è difficile costruire
associazioni, tanto più quelle di cui all'articolo
416-bis. Certo è che l'allarme sociale mi pare comunque
elevato.
  ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Cremona. La mia realtà
provinciale è molto ellittica rispetto alle situazioni in
oggetto, però sto seguendo insieme alla collega Massini di
Reggio Calabria un'istruttoria molto singolare, che riguarda
gli sbarchi clandestini di indiani sikh, cioè gli indiani
provenienti dalla regione indipendentista del Punjab. Si
tratta - in effetti cominciano ad esserci le prove - di
persone che sbarcano in Italia (di solito di venerdì, per un
problema di ambasciate chiuse) sulle coste della Calabria, in
particolare intorno a Reggio; sbarcano in massa, nel senso che
ogni sbarco riguarda dalle 50 alle 70 persone, compiendo
                        Pag. 3459
un tragitto - su questo potrà essere più analitica la
dottoressa Massini - abbastanza standardizzato. Si riesce ad
arrivare via terra in Grecia, vi è tutta una procedura che
riguarda false carte d'imbarco e, per quanto si può dire, o
attraverso la Grecia (in particolare attraverso Cipro) o
attraverso la Turchia, vengono imbarcati in condizioni
subumane, nel senso che vengono stivati alla bell'e meglio su
navi che fanno quella rotta per tutt'altri motivi, e buttati a
nuoto sulle coste della Calabria, dove si disperdono e cercano
di raggiungere ...
  PRESIDENTE. Scusi, dottoressa, questo è un solo episodio
o ...
  ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Cremona. No, sono
ripetuti episodi. Questo ha fatto dedurre due cose:
innanzitutto che esiste un flusso, con un'organizzazione
precisa e dei costi precisi (costa circa 10 mila dollari, a
seconda dei casi, sbarcare in Italia); inoltre, essendo la
zona dove i clandestini sbarcano ad alto controllo delle
organizzazioni della 'ndrangheta calabrese, questi sbarchi non
possono avvenire senza una sostanziale connivenza di tali
organizzazioni; è dato costante per chi vive in quelle zone
che non è possibile altrimenti sbarcare né immettere
manovalanza su quei terreni senza il placet da parte di
queste organizzazioni.
   Il motivo per il quale me ne occupo io, a Cremona, è che
nel bagaglio di una delle persone che siamo riusciti ad
intercettare è stata trovata un'indicazione che riguarda un
indiano Sikh regolare che vive nel territorio del mio
circondario. L'indagine è partita e siamo riusciti a scoprire
che questa persona, pur non essendo né un capo né un livello
intermedio di questa organizzazione internazionale, è comunque
in grado di indirizzare coloro che variamente sono sbarcati
nel nostro territorio verso zone ben più ambite: pare infatti
che lo sbarco in Italia, eccetto che per i più disperati, sia
soltanto uno sbarco intermedio perché le zone più ambite sono
la Germania, il Belgio ed il Canada, dove esistono peraltro,
anche storicamente, comunità Sikh molto più diffuse e molto
più organizzate. Il grosso problema di questa istruttoria
(che, se si volesse fermare ad un livello epidermico, potrebbe
essere sostanzialmente già conclusa con una rubricazione ex
articolo 3, comma ottavo, della legge Martelli) è dovuto alla
peculiarità di queste persone, sulle quali si indaga a vari
livelli e da parte di varie autorità. Infatti, proprio perché
si tratta di persone dedite ad attività terroristica per
motivi religiosi e di indipendenza, le indagini vengono svolte
sicuramente dall'UCIGOS ed anche dal SISDE, come risulta da
rapporti riservati che mi sono stati fatti soltanto sventolare
davanti ma che ovviamente non ho potuto leggere; pertanto il
grande materiale che abbiano trovato nell'ambito di una
perquisizione (materiale cartaceo di una certa importanza e
che reca numeri di telefono ed indirizzi di persone
all'estero, punti di riferimento che danno le coordinate per
esempio della Grecia e della Turchia, che potrebbero essere
utili al fine di individuare effettivamente e quindi
perseguire negli altri paesi coloro che fanno da intermediari
e lucrano cifre spaventose su questa situazione) si scontra
con indagini riservate per altri motivi.
   Per esempio, gli indiani sikh che si trovano sul nostro
territorio nazionale e che hanno costituito due comunità
religiose affiliate al Babbar Khalsa, oltre a raccogliere
soldi per la causa si preoccupano di reperire materiale
elettrico ed elettronico, in particolare timer, il che
fa pensare molto male in relazione all'utilizzo che di queste
cose si vuol fare.
  PRESIDENTE. Scusi l'ignoranza, ma cos'è questa Babbar
Khalsa?
  ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Cremona. La Babbar Khalsa
è l'organizzazione religiosa dei sikh; è una specie di chiesa
che però, oltre ad avere la caratteristica di consentire loro
la pratica religiosa, si occupa anche del finanziamento del
movimento indipendentista e quindi anche dell'acquisto delle
armi.
                        Pag. 3460
  PRESIDENTE. E' politico-religiosa?
  ANTONELLA NUOVO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Cremona. E'
un'organizzazione politico-religiosa, che nel nostro
territorio non ha mai dato problemi, ma che è sicuramente
implicata nell'attentato all'ambasciatore dell'India in
Romania del 1991 e in altri attentati avvenuti in Canada. La
grande difficoltà che si incontra nel portare avanti questa
istruttoria specialmente da parte di chi, come me, è uno
sconosciuto di una piccola procura, è che l'aiuto
dell'Interpol è quasi zero e comunque l'aiuto di chiunque è
molto limitato. Tutti mi chiedono perché io non mi limiti a
perseguire l'immigrazione clandestina; in effetti - ne parlavo
prima con la collega Massini - si potrebbe anche lasciar
perdere tutto, ma esistono sicuramente dei livelli molto più
alti che varrebbe la pena di perseguire e probabilmente anche
qualcosa di diverso e di più interessante da scoprire che non
sia l'ingresso clandestino.
   La situazione è tale per cui di clandestini nel nostro
territorio ve ne sono tantissimi. E' chiaro che anche in
questa istruttoria esiste la prova che questa persona e
un'altra, per lo meno nel mio territorio, fanno
sostanzialmente azione di caporalato, reclutando clandestini.
Nelle nostre zone vi sono aziende agricole che, dovendo
sostituire le persone che fuggono dalla vita dei campi,
tengono presso di loro al lavoro, in modo del tutto
irregolare, i clandestini. Si tratta di un fenomeno che più
volte abbiamo verificato. Ma doversi fermare al livello più
basso, così facilmente raggiungibile, a fronte di un'indagine
che sembra promettente, se non altro perché il materiale
ottenuto con questa perquisizione ed un sequestro a sorpresa
sembra particolarmente interessante, ha fatto sì che vi fosse
una certa delusione, che poi ho rappresentato al ministro
Contri, dovendoci fermare proprio per l'impossibilità di
coordinamento e di aiuti in quanto il tutto si scontra con
lodevolissime indagini che riguardano problemi, anche
gravissimi, del terrorismo internazionale, oppure della tutela
degli obiettivi sensibili (ambasciate e consolati) che pure
sono presenti nel nostro territorio. Tutto ciò rende
estremamente difficoltoso proseguire nelle nostre indagini.
   In tale istruttoria, sia pure più limitata e a se stante,
vi sono quindi due livelli. Innanzitutto vi è il livello di
indagini che potrebbero essere condotte su Reggio Calabria per
verificare come la 'ndragheta calabrese interagisce con questi
sbarchi, come e perché li tollera. Inoltre, ulteriori indagini
potrebbero essere avviate in Grecia e Turchia (sappiamo
quanto, specialmente in Turchia, sia complicato ottenere
assistenza internazionale) per trovare le persone che ad alto
livello hanno messo in piedi tale organizzazione.
  ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria.
L'indagine relativa agli sbarchi clandestini non è stata
ritenuta di competenza della procura distrettuale.
   La procura di Reggio Calabria si è occupata degli sbarchi
in quanto dall'agosto ad oggi si sono verificati sei sbarchi
di cittadini indiani e cingalesi. La dinamica degli sbarchi
riscontrata in tutti i casi è la seguente: lo sbarco viene
effettuato in prossimità della città di Reggio Calabria, in
una località denominata Sabbie bianche.
  PRESIDENTE. Sul versante ionico?
  ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. No,
vicinissimo alla città, vicino all'aeroporto di Reggio
Calabria, ovviamente di notte. A quanto pare non è stato mai
possibile, neanche utilizzando le motovedette della guardia di
finanza e di altri organismi, fermare tempestivamente le navi
che effettuano tali sbarchi. Quindi in un solo caso, in
occasione del primo sbarco, abbiamo una descrizione sommaria
della nave, per
                        Pag. 3461
altro non utile in quanto riferita soltanto in ordine alla
dimensione della nave.
   Il problema deriva dal fatto che a Reggio Calabria avere
un'informazione di qualunque genere è un sogno destinato a
rimanere tale. Quindi, la popolazione che si trovava per caso
sulla spiaggia al momento dello sbarco ha fornito la
descrizione di una nave di piccole dimensioni, con due alberi,
di colore scuro e nulla più. La nave, tramite dei gommoni,
sbarca una notevole massa di cittadini indiani e cingalesi e
al momento dell'intervento della polizia giudiziaria
ovviamente se ne rinviene soltanto una parte.
  PRESIDENTE. Cosa intende per "notevole massa"?
  ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. Ad
esempio, il 27 agosto sono stati fermati 35 indiani e 6
cingalesi, mentre quelli sbarcati erano sicuramente di più.
Nel mese di dicembre sono stati fermati 59 indiani e quindi è
facile immaginare quanti fossero al momento dello sbarco.
Sentiti nell'immediatezza del fermo, i cittadini
extracomunitari per lo più rifiutano qualunque tipo di
collaborazione, per non parlare delle notevoli difficoltà nel
reperire interpreti. Ma anche in presenza di un interprete la
maggior parte di queste persone finge di non conoscere la
lingua inglese e non collabora minimamente.
   I pochi soggetti che hanno collaborato hanno consentito di
ricostruire per sommi capi l'itinerario percorso, per altro
già descritto dalla collega che mi ha preceduto, che ha come
fattore comune questo episodio. Il definitivo imbarco di tutti
i cittadini extracomunitari che poi vengono scaricati a Reggio
Calabria si verifica nell'isola di Cipro, dove pare vi sia
addirittura un appartamento dove vengono tenuti i cittadini
che arrivano prima degli altri (in quanto provengono da
diversi paesi) in attesa dell'imbarco. Ovviamente al momento
dell'imbarco vengono loro requisiti i documenti. Il costo del
viaggio varia dai 3 ai 6 mila dollari, stando alle
dichiarazioni fornite dagli interessati. Queste persone
vengono imbarcate con la promessa di essere condotte in
Francia o in Svizzera; giunte a Reggio Calabria viene loro
detto che sono arrivate in Francia o in Svizzera e vengono
scaricate.
   Da una parte è lecito supporre che ci sia il beneplacito
della 'ndrangheta in quanto sappiamo che Reggio Calabria e
dintorni è controllata a zone dalle famiglie mafiose.
Tuttavia, allo stato non abbiamo alcun elemento che ci
consenta di operare questo collegamento. Comunque, ammesso che
non ci sia il collegamento a priori, questo non tarderà
a realizzarsi poiché Reggio Calabria si sta riempendo di
cittadini extracomunitari, privi di documenti e di denaro, che
nella quasi totalità non conoscono la lingua italiana. Tutto
ciò determinerà seri problemi poiché l'unico sbocco che a loro
rimane in tali condizioni è quello di venire reclutati dalla
'ndrangheta stessa, che d'altra parte ha cominciato a
sfruttare già da tempo i cittadini nordafricani, anche loro
non in regola, numerosissimi nelle nostre zone.
   Questi sono i risultati (in verità ben pochi) ai quali
sono pervenute le indagini, che ovviamente devono ancora
proseguire dal momento che siamo riusciti soltanto a
ricostruire l'itinerario descritto. Le difficoltà sono
numerose: da una parte perché, pur essendo stato individuato
un possibile collegamento con uno stanziamento di indiani in
una zona prossima a Reggio Calabria, che sarà oggetto di
indagine specifica, la zona è tale da non consentire illusioni
circa la possibilità di trovare soggetti che collaborino. Di
qui la difficoltà di reperire prove o quanto meno elementi che
consentano di capire qualcosa di più del fenomeno degli
sbarchi. Dall'altra la difficoltà deriva dalle problematiche
già messe in evidenza dalla collega nell'effettuare indagini
serie e tempestive nei luoghi internazionali interessati. Non
siamo riusciti a capire, anche a causa degli scarsi mezzi a
disposizione delle capitanerie di porto, se le navi
interessate agli sbarchi a Reggio Calabria
                        Pag. 3462
attraversino successivamente lo stretto o proseguano
costeggiando la Sicilia. Si tratta di un ulteriore problema.
  PRESIDENTE. Lo sbarco avverrebbe soltanto in Calabria?
  ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. Stando
alle notizie in mio possesso, sì.
  PRESIDENTE. Lo scalo intermedio è Cipro?
  ELISABETTA MASSINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. E'
quello l'elemento comune.
   In un solo episodio gli indiani sono stati sbarcati
anziché a Reggio Calabria a Crotone. Negli altri casi la sede
prediletta è stata sempre Reggio Calabria.
  DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Pordenone. Mi sono occupato di
questa vicenda, sia pure con un'indagine ancora a livello
informativo che non si è sviluppata in atti palesi, in ordine
ad un problema connesso all'organizzazione sikh che opererebbe
in Italia ma non solo (l'Italia sarebbe una succursale), in
quanto la derivazione principale proviene dalla Francia.
  PRESIDENTE. Derivazione nel senso che vengono dalla
Francia o sono destinati alla Francia?
  DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Pordenone. L'organizzazione ha la
sua sede principale in Francia e negli Stati Uniti.
   Mi pare utile fare un piccolo excursus storico su
cosa sono i sikh e come si collocano. Agli inizi degli anni
ottanta si concretizza in India il problema sikh. Tale
popolazione, sotto la guida del leader religioso Jarnail Singh
Bhindranwale, rivendica l'autonomia della regione
settentrionale dello Stato, il Punjab, chiamata dai
separatisti sikh Khalistan.
   L'intensa attività rivendicativa si esprime attraverso
azioni terroristiche contro indù, personalità politiche ed
oppositori della linea dura dei sikh, provocando dal 1981 al
1984 migliaia di vittime. Per sostenere le aspirazioni
indipendentiste vengono compiuti anche dirottamenti aerei.
   In tale fase i terroristi godono del supporto del Pakistan
e dei sikh residenti all'estero nei paesi occidentali,
principalmente Canada, USA e Germania ovest. Il tempio d'oro
di Amritsar diventa la centrale di raccolta di armi e
munizioni.
   Nel giugno 1984, per sedare ogni proposito di rivolta le
truppe indiane espugnano la fortezza (viene denominata
operazione Blue Star): il leader Bhindranwale viene ucciso e i
superstiti si rifugiano principalmente in Pakistan, ma anche
nei paesi occidentali.
   Nell'ottobre 1984 il Primo ministro indiano, signora
Indira Gandhi, viene uccisa da due guardie del corpo di
origini sikh.
   Il terrorismo sikh raggiunge più da vicino l'opinione
pubblica occidentale l'anno successivo. L'attentato del 23
giugno 1985 ad un aereo dell'Air India, esploso in volo sopra
le coste dell'Irlanda provoca 329 morti. Lo stesso giorno
un'esplosione prematura di un ordigno all'aeroporto di Tokio
causa la morte di due impiegati: si ritiene che in tale evento
l'ordigno doveva essere collocato a bordo di un aereo dell'Air
India.
   Sempre nel 1985 viene scoperto un complotto ai danni del
primo ministro Rajiv Gandhi in visita in USA e in Gran
Bretagna. Nel 1986 avviene una riorganizzazione dei sikh: gli
attentati, che aumentano, colpiscono sempre più vittime
innocenti.
   Nel maggio del 1988 il tempio d'oro viene nuovamente
espugnato dalle truppe indiane (operazione Blue Thunder), ma
l'attività dei separatisti sikh produce tuttora un alto numero
di vittime: oltre 2 mila nel 1988, mille e duecento nel 1989.
                        Pag. 3463
   Questa è storia degli anni ottanta che vede come
protagonista una organizzazione politico-religiosa. Ho
ritenuto di dover fare una breve cronistoria perché l'indagine
avviata, individuava nella zona di Pordenone la centrale o la
direzione centrale dell'organizzazione sikh per quanto
riguardava l'Italia. Ripeto che per motivi di opportunità
siamo ancora in una fase molto riservata, nel senso che non si
è inteso condurre operazioni palesi per cercare di comprendere
meglio il tipo di organizzazione che opera in Italia. Pertanto
si è in possesso solo di elementi informativi e di prevenzione
e non quindi di elementi repressivi. Comunque, attraverso
indagini riservate è stato possibile individuare esattamente i
principali esponenti dell'organizzazione (sono qualche
migliaio in Italia, non mi riferisco agli aderenti
all'organizzazione, bensì ai cittadini indiani di origine
sikh) i quali, peraltro, non hanno effettuato in Italia alcuna
azione terroristica, né risultano collegati con organizzazioni
mafiose o criminali comunque operanti in Italia. L'unica
attività che essi svolgono (come è stato accennato dai
colleghi intervenuti) è quella relativa all'immigrazione
clandestina di chi intende raggiungere i paesi occidentali. Si
occupano quindi della creazione dei documenti necessari per
poter sopravvivere, o comunque per superare le prime
difficoltà, e delle sistemazioni logistiche più appropriate.
  PRESIDENTE. Dottor Labozzetta, può spiegare per quale
motivo il tribunale di Pordenone si è occupato di questa
materia?
  DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Pordenone. In quanto nella zona di
Pordenone si era individuato il principale responsabile
italiano, la persona alla quale faceva riferimento tutta
l'organizzazione.
  PRESIDENTE. L'organizzazione dell'attraversamento
dell'Italia? Oppure quella dell'arrivo? Forse di quella
terroristico-religiosa?
  DOMENICO LABOZZETTA, Procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Pordenone. L'organizzazione provvede
a tutte le necessità; quella dell'introduzione clandestina è
soltanto un aspetto, vi è poi un'altra attività che per
fortuna risulta essere sotto controllo anche dei nostri
servizi di sicurezza, quindi vi è una situazione di relativa
tranquillità.
  MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Bergamo. Sono grato di questa
riunione perché in questa sede ho appreso, dalla collega
Nuovo, che è di Cremona, quindi del mio stesso distretto, che
anche lei si occupa del problema degli indiani sikh, come
altri colleghi. In realtà da circa un anno sono state attivate
indagini ed il mio punto di partenza è stato l'aspetto di
carattere eversivo, nel senso che si ipotizzava che alcuni
indiani sikh, residenti in provincia di Bergamo potessero
offrire supporto logistico per azioni di carattere
terroristico. Si è pertanto attivata una serie di indagini che
ci hanno sicuramente dimostrato che vi è qualcosa di poco
chiaro (usiamo questo termine) nella loro attività, anche se
non abbiamo potuto acquisire dei sicuri elementi di prova.
Sono emersi contatti con la Svizzera, come diceva la collega
di Reggio Calabria, nonché una forma di assistenza logistica
fornita a vari indiani che arrivano in zona e poi ripartono.
   Ho cominciato allora a mutare obiettivo ed ho iniziato a
vedere il fenomeno sotto il profilo della immigrazione
clandestina cambiando così strategia processuale. Proprio in
questi giorni ho sequestrato del materiale cartaceo che sto
esaminando e che, a questo punto, è a disposizione dei
colleghi interessati all'indagine , in maniera tale da poter
fare il punto della situazione. Abbiamo infatti già quattro
uffici giudiziari che si occupano della vicenda, per cui
sarebbe opportuno mettere assieme l'intero patrimonio
informativo per delineare un quadro completo della situazione
che sicuramente presenta degli aspetti poco rassicuranti.
                        Pag. 3464
 Forse il fatto che quattro uffici giudiziari procedono
autonomamente dimostra come anche a livello di organi di
polizia non vi sia un coordinamento...
  PRESIDENTE. Un'attenzione, perché è dall'attenzione che
nasce...
  MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Bergamo. Per la verità le indagini
le sto conducendo con la DIGOS e mi si dice che dal centro
chiedono informazioni ma, pur sapendo forse che ci sono
quattro uffici giudiziari interessati all'indagine, non ci si
preoccupa molto di ridistribuire l'informazione. Il discorso a
questo punto è di coordinamento anche dell'attività propria
delle forze di polizia. Questo per quanto concerne i sikh.
   Per quanto riguarda altre situazioni emerse in
quest'ultimo periodo, devo dire che nell'ambito della
provincia di Bergamo abbiamo verificato il fenomeno dei
nigeriani, con particolare riferimento all'organizzazione ed
allo sfruttamento della prostituzione. In realtà è emerso che
sicuramente vi è un'organizzazione che si occupa dell'ingresso
in Europa (tramite la Svizzera e la Gran Bretagna) di
nigeriane per avviarle alla prostituzione. In realtà, non
abbiamo potuto acquisire elementi di carattere associativo
nell'ambito del territorio di nostra competenza, però possiamo
dire, per ammissione di alcuni detenuti, che effettivamente vi
è un'organizzazione che dal paese d'origine fino al paese
utente (usiamo questo termine) dirige il tutto, anche per
quanto concerne, per esempio, l'uso di passaporti falsi.
Normalmente si prendono dei passaporti autentici e si
sostituisce la fotografia, tanto nessuno li controlla, come
giustamente diceva la collega di Milano. Le rassomiglianze poi
ci sono e quindi tutto fila liscio.
  PAOLO CABRAS. Chi organizza la prostituzione nigeriana?
Essa è diffusa in tutto il territorio nazionale e in alcune
località del Mezzogiorno esiste una gestione camorristica, per
esempio, anche di questo.
  MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Bergamo. Per quanto riguarda
l'organizzazione, sembrerebbe che essa risieda alla fonte,
ossia nel paese d'origine. A Bergamo vi sono nigeriani che si
occupano dello sfruttamento, e in tale illecita attività si
inseriscono spesso gli albanesi. Non abbiamo tuttavia elementi
per poter dire se vi siano organizzazioni mafiose o
camorristiche che gestiscono la situazione sul territorio,
intendendo per esso la provincia di Bergamo della quale mi
occupo. Sicuramente però a monte vi è un'organizzazione.
   Abbiamo poi gli albanesi che si inseriscono, come dicevo,
in questo giro, e in tale contesto si inquadra il triste
episodio, cui faceva riferimento il ministro Contri, di una
ragazzina di quattordici anni avviata alla prostituzione. Come
pure siamo (e questo punto lo dico come ipotesi di lavoro,
anche se fondata su alcune notizie abbastanza attendibili) in
presenza di un traffico d'armi dai paesi dell'ex Iugoslavia;
queste armi, gestite in pratica da fuoriusciti, possono essere
reperite facilmente sui nostri mercati. In conclusione,
concordo pienamente con le osservazioni fatte dalla collega
della procura di Milano sul quadro di carattere generale.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Ringrazio
innanzitutto la Commissione per avermi invitato a questa
riunione e chiedo scusa se la mia esposizione non sarà
completa in quanto il tempo per preparare il materiale è stato
molto breve. Mi limiterò pertanto a dare delle indicazioni
flash di situazioni di cui, nel corso dell'attività che
sto svolgendo presso la procura di Firenze, ho avuto occasione
di prendere atto.
   Mi avvarrò moltissimo di quanto detto dalla collega di
Milano, in quanto la situazione di Firenze ha molti aspetti
                        Pag. 3465
simili a quella milanese, in più accresciuti dalla difficoltà
territoriale. Mi spiego subito. Essendo la provincia di
Firenze situata al centro dell'Italia, il fenomeno
dell'immigrazione è di seconda, di terza battuta, per cui il
rapporto, il canale di collegamento con l'esterno del
territorio nazionale viene mano mano a diradarsi. Credo che i
problemi siano di livello legislativo, per cui un po' tutti
scontiamo la difficoltà di inquadrare immediatamente il
fenomeno dell'immigrazione, soprattutto dei cittadini
extracomunitari, in quanto totalmente diversi sono i fenomeni
legati ad altre forme di immigrazione. Comunque, per quanto
riguarda l'immigrazione degli extracomunitari, credo che il
grosso quadro di raccordo vada sostanzialmente fondato su due
disposizioni legislative: l'articolo 12 della legge n. 943 del
1986 (che per prima ha posto l'accento sullo sfruttamento, in
funzione lavorativa, dei cittadini extracomunitari) e la
cosiddetta legge Martelli, ossia il decreto-legge del 1989,
che ha una forma onnicomprensiva diversa, diversificata
rispetto allo stretto sfruttamento a fini sostanzialmente
lavorativi.
   L'ultimo punto che vorrei toccare è quello relativo al
recentissimo provvedimento assunto quest'estate
sull'espulsione e sui problemi legati all'ambiente
penitenziario ed ai procedimenti in corso riguardanti
cittadini extracomunitari, perché anche quella è una
disciplina che ha provocato momenti di sbandamento in un
sistema che, come abbiamo visto, è caratterizzato da problemi
di interpretazione della legge stessa e si colloca
temporalmente dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di
procedura penale; quindi i problemi sono connessi alla
diversificazione della detenzione con le ulteriori nuove
introduzioni legislative sulla libertà personale dei soggetti
interessati, e come indagati e come imputati.
   Credo che il problema di Firenze sia un po' come quello di
Milano, e mi riallaccio immediatamente a quanto detto dalla
collega all'inizio di quest'incontro. I cittadini
extracomunitari provenienti dal Nord Africa hanno il controllo
quasi totale del mercato dello spaccio al dettaglio della
droga. Chiunque svolga un turno di urgenza, di reperibilità ha
come dato costante la presenza del microspaccio effettuato da
extracomunitari nord africani; se si approfondisce un momento
il problema relativo alla loro identificazione, non c'è dubbio
che l'area di provenienza sia quella che passa, spesso, per il
tramite della Sicilia o della Calabria, che sono appunto le
regioni in cui più facilmente si può raggiungere l'Italia.
   I problemi sono complessi all'interno del sistema degli
extracomunitari nord africani perché, anche in questo caso, è
verissimo e costante che vi è un sistema interno che ha
connotati di omertà e di assoggettamento che, se non è
possibile definire a livello di associazioni per delinquere di
stampo mafioso, a queste però spesso, anche per assonanza, si
rifanno.
   Un grosso problema è legato all'identificazione, e per
quanto riguarda ciò mi rifaccio totalmente a quanto detto
dalla collega di Milano. Si tratta di un problema peculiare...
  PRESIDENTE. Non so se si tratti di una concezione
eccessivamente poliziesca, ma domando se non si sia mai
pensato alla possibilità di fare ricorso alle impronte
digitali.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sarebbe
sicuramente un sistema da porre in funzione...
  PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Bologna. C'è il problema
del confronto. A quelli che prendiamo rileviamo le impronte
digitali, ma con cosa le confrontiamo?
  PRESIDENTE. No, al momento dell'ingresso.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale
                        Pag. 3466
di Firenze. Non c'è dubbio. Infatti mi rifacevo anche per
questo alle osservazioni della collega Scagliarini, che
indicava come punto nodale e passaggio essenziale per la
corretta tenuta del sistema quello di controllare l'identità
della persona. Ad esempio, l'attuale sistema, con la mancanza
di una identificazione certa, per la gran parte rende
sostanzialmente impraticabile la normativa introdotta dalla
legge Martelli relativa al respingimento alla frontiera per
quanto riguarda i reati relativi alle norme sugli
stupefacenti. La difficoltà è ancora maggiore per
l'applicazione della normativa varata a luglio del 1993 perché
in questo caso, al di là del dato normativo legato
all'articolo 275, terzo comma, o al problema dell'imputato con
pena inferiore a tre anni, vi è il problema amplissimo
dell'articolo 73 del testo unico sugli stupefacenti, che rende
difficilissima la sua applicazione. Infatti, noi abbiamo
problemi di microspaccio, sostanzialmente al dettaglio dove si
sa che, in concreto, la pena non supererà mai un termine ampio
come quello dei tre anni, perché sarà applicabile il quinto
comma, mentre abbiamo una disciplina che vede fissato il
minimo edittale con una pena di otto anni e dunque si
presentano sempre problemi di interpretazione nel momento
conclusivo in cui va a definirsi il procedimento.
   Come dicevo, il problema che abbiamo potuto riscontrare
presso la procura di Firenze è effettivamente quello
dell'insediamento dei cinopopolari.
  SANTI RAPISARDA. San Donnino!
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. San Donnino,
indubbiamente. Perché? Perché, forse, vocazionalmente Firenze
è un territorio di imprese artigianali...
  PRESIDENTE. Soprattutto pelletterie.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Pelletterie.
...dove l'insediamento delle comunità cinesi è più penetrante
da un verso, più facilmente utilizzabile dall'altro.
   Devo dare conto in questa sede anche della prima
osservazione che è stata fatta dalla collega di Milano, cioè
di come, in realtà, il problema delle comunità cinesi sia
legato sostanzialmente anche a grossi momenti di perdita di
efficienza, per non dire di sostanziale illegalità, di chi
gestisce gli uffici di polizia. Io sono assegnatario di un
procedimento penale, che è attualmente alla prima proroga dei
termini di indagine e quindi si sta sviluppando da circa sei
mesi, dove tutto è partito da uno strano problema connesso a
variazioni di soggiorno, a problemi di ingresso e di permessi
di cittadini cinopopolari, che vedevano palesemente
l'interessamento, al limite della legalità, di chi gestiva
l'ufficio stranieri di Firenze, quindi a livello anche elevato
delle forze di polizia. E' allo studio - faccio qui ammenda di
quanto già detto in precedenza, cioè che non seguirò un ordine
logicissimo concreto perché non ho avuto tempo di svilupparlo
- l'ipotesi, visto lo sviluppo del fenomeno della comunità
cinese in Firenze...
  PRESIDENTE. Quanti sono i cinopopolari presenti a
Firenze?
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sono moltissimi,
decine di migliaia. Si è assistito anche a grossi mutamenti
sul territorio tra la provincia di Firenze e la neonata
provincia di Prato, quindi ci sono problemi perché Campi
Bisenzio, che è appunto il luogo ove normalmente si producono
artigianalmente i prodotti in cuoio, è al confine tra Firenze
e Prato.
   I problemi si accrescono perché proprio dalle disfunzioni
dei vari centri di polizia, tra questura e commissariati, è
stato aperto il varco, ad esempio, a trasmigrazioni dovute ad
un sistema di illegalità che era stato posto in essere o,
comunque, ad un sistema di mancato rispetto della legalità e
delle circolari ministeriali riguardanti l'immigrazione ed
                        Pag. 3467
il controllo e le variazioni di residenza delle comunità
cinopopolari.
   Come dicevo, a Firenze è in atto uno studio per valutare
quali siano le strutture interne delle comunità cinesi.
Proprio ultimamente da un esame delle prime informazione
rimesse al nostro ufficio e dall'ufficio stranieri della
questura di Firenze e dall'Arma dei carabinieri - che abbiamo
"costretto" a cooperare ed a coordinarsi tra loro - si è
potuto notare come vi siano elementi, forse, per prefigurare
un articolo 416-bis del codice penale. In realtà,
all'interno della così vasta comunità cinese ci sono delle
famiglie egemoni, le quali mantengono il loro potere di fatto
con sistemi di coercizione e di assoggettamento omertoso molto
simili a quelli che si determinano in altre forme di
criminalità organizzata. E' di pochissimi giorni l'iscrizione
di un procedimento che vede indagati oltre venti individui di
nazionalità cinese, insieme con gli italiani che fanno da
canale a questa immigrazione clandestina che poi fa capo al
territorio di Firenze, e credo che a breve ci saranno sviluppi
investigativi abbastanza penetranti.
   Vi è ovviamente difficoltà nei mezzi di investigazione
perché, ad esempio, quelli che sono i mezzi classici di
investigazione per attività di associazione per delinquere
risultano poco penetrabili in una realtà in cui, ad esempio,
l'intercettazione telefonica è pressoché impossibile, come
anche quella ambientale, per problemi di lingua. Per quanto
riguarda la possibilità di ricorrere a forme ordinarie - mi
riferisco ad attività di sequestro, di perquisizione anche in
forma diffusa -, in un contesto legato da un vincolo interno
molto forte, questo tende a far richiudere i possibili canali
di sviluppo investigativo dalla comunità all'esterno, alle
forze di polizia giudiziaria.
   Detto questo, devo ancora far presente, riguardo a questo
procedimento che vede coinvolto anche un livello elevato
all'interno delle forze di polizia, che oltre ad un
coordinamento interno dell'ufficio - perché spesso noi abbiamo
moltissimi procedimenti che riguardano l'articolo 12 della
legge n. 943 del 1986 - spesso abbiamo problemi di
collegamento con uffici giudiziari anche distanti. Il primo
problema che mi sono trovato a dover affrontare è stato quello
di collegarmi con i colleghi di Torino, poiché da questo
procedimento emergeva uno strettissimo collegamento tra la
comunità cinese di Firenze e quella di Torino, e dai canali di
Torino, attraverso la Francia, fino all'ingresso in territorio
italiano.
   Devo ancora riportarmi a quanto diceva la collega per
tutti i problemi connessi alla sanatoria ed a quant'altro
legato allo status...
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Vorrei domandare se vi siano
problemi di immigrazione a Firenze dallo Sri Lanka.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. C'è un problema
di immigrazione da Ceylon ma è molto limitato. Come è molto
limitato quello riguardante la comunità sikh, di cui ho
sentito parlare poco fa dai colleghi. Ci sono, invece, anche a
Firenze problemi per quanto riguarda l'immigrazione
sudamericana e quella dal centro Africa, legata, in effetti,
più alla prostituzione ed allo sfruttamento delle donne...
  PRESIDENTE. C'è anche nella comunità cinese sfruttamento
della prostituzione? Mi pare di no.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Per ora non
abbiamo raccolto indicazioni in questo senso. Mentre sono
molto evidenti problemi di estorsione interna...
  PRESIDENTE. Mi pare che a Roma abbia cominciato a
trattarsi anche di estorsione all'esterno, cioè di cinesi nei
confronti di non cinesi.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze.... di giochi
d'azzardo, di
                        Pag. 3468
bische clandestine, di armi. Molto limitatamente il problema
della droga.
  PRESIDENTE. Limitatamente.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sì, nella
comunità cinese il problema della droga è limitato. Altro
problema, che invece crea allarme sociale, è quello relativo
alle condizioni di lavoro, ma è un problema interno. Molto
diverso da quello che suscita allarme sociale esterno alla
comunità è il problema dell'assoggettamento a condizioni di
lavoro ai limiti del disumano; questo proprio perché il canale
di ingresso - e qui mi rifaccio totalmente a quanto diceva la
collega di Milano - si apre per mezzo di pagamenti e di
prestiti che poi vengono elevati in misura usuraria, con
quanto ne consegue per la parte di prestazione sostanzialmente
in natura, cioè con la manodopera, che deve dare il cinese. Vi
è all'interno della comunità uno scaglionamento per gradi, nel
senso che chi è nella condizione più miserabile quasi mai,
sostanzialmente mai, raggiungerà la possibilità di inserirsi
nel territorio italiano svolgendo un'attività tipo quella
della ristorazione, che pure è un grande sistema di impianto
delle radici nel territorio.
   Un problema ulteriore è quello di vedere se all'interno
della comunità vi siano elementi per far luogo alla
configurabilità di un'associazione di tipo mafioso. Il
procedimento è sostanzialmente ancora allo studio - l'impianto
di questo fascicolo è iniziato appena pochi giorni fa - ma per
il numero degli indagati, per la distribuzione che le forze di
polizia sono riuscite a fare all'interno, stilando già una
sorta di organigramma delle famiglie interessate, è possibile
notare che vi sono molte caratteristiche, all'interno della
criminalità ordinaria della comunità cinopopolare, che fanno
pensare alla possibilità di ricongiungimento ad unità per
gruppi di famiglie e di soggetti esponenziali tale da far
ritenere che possano esserci sintonie con quella che è
l'associazione di stampo mafioso. Questo proprio per il
sistema, per lo sviluppo di microstrutture che al loro interno
sono vincolate da forti legami di omertà, di copertura, e di
intimidazione intrinseci.
   Ulteriori problemi, cui mi rifaccio come ha fatto prima di
me la collega di Milano, sono relativi ad un traffico
concernente il rilascio di permessi di soggiorno e le
variazioni di residenza degli extracomunitari in riferimento
al traffico minorile ed al ricongiungimento con i minori.
Anche in questo caso vi è stata, ed è sostanzialmente
accertata, la complicità degli uffici di polizia
nell'interpretazione in un modo o nell'altro delle
disposizioni nate dall'entrata in vigore della legge Martelli
sulla possibilità di un ricongiungimento, in realtà illegale,
di minori, con il pagamento di personaggi vicini, di cerniera,
tra la comunità cino-popolare e i funzionari di polizia.
   Si tratta di un fenomeno stranissimo, perché il
procedimento di cui parlavo prima, che è già in uno stato
avanzato di indagini preliminari, ha registrato, per una nota
informativa dell'ufficio stranieri della questura di Firenze,
una trasmigrazione massiccia da Firenze a Prato proprio ai
fini di ottenere, ovviamente in maniera abusiva, illegale e
illecita, il riconoscimento del permesso di soggiorno rispetto
ad un traffico di minori cinopopolari. Il fenomeno è stato
evidentissimo, perché da Campi Bisenzio...
  PRESIDENTE. A quale scopo?
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Per i minori lo
scopo è sempre quello, la possibilità...
  PRESIDENTE. Anche lavorativo?
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Ovviamente, lo
scopo è sempre quello lavorativo, per quello che ne sappiamo.
   Ho detto prima dello scotto che tutti paghiamo della
sottovalutazione del fenomeno.
                        Pag. 3469
 Parliamo di sfruttamento lavorativo perché la nostra
legislazione risponde ad una visione ed è sostanzialmente
nata, considerando il fatto illecito ai sensi della
disposizione della legge n. 943 del 1986, cioè mirata al
problema dello sfruttamento del lavoro ed ai problemi connessi
all'immigrazione ed allo sfruttamento del lavoro ad essa
conseguente. Gli strumenti operativi, anche quelli a livello
più alto, quelli di raccordo ordinamentale, si rifanno a
questa prospettiva.
   Credo di poter considerare conclusa la mia esposizione,
riservandomi di fornire ulteriori indicazioni in base a
sollecitazioni provenienti da altri colleghi. Voglio comunque
indicare il grande problema del maggior controllo, non dal
punto di vista della riforma giuridico-ordinamentale, ma da
quello dei controlli alle frontiere e di polizia sociale e
amministrativa in genere. Mi riferisco in particolare al
controllo identificativo dei soggetti, fondamentale se si vuol
conservare un senso ed una portata alla legislazione
riguardante le disposizioni della legge Martelli
sull'immigrazione e le successive norme sui problemi di un
extracomunitario che incappi nella giustizia italiana.
L'operatività e l'incisività di molte di queste disposizioni
sono strettamente collegate alla conoscenza effettiva e
concreta del soggetto che si ha di fronte. Senza una
possibilità di controllo effettivo diventa difficile, se non
impossibile, applicarle.
   Ad esempio, il problema dell'espulsione prevista dal
decreto-legge di quest'estate consiste nel fatto che la misura
è sostanzialmente impraticabile perché spesso i soggetti sono
sedicenti, sono privi di fissa dimora, non hanno neppure il
passaporto che è stato loro sottratto dalle organizzazioni
all'ingresso in Italia come strumento di pressione per farli
rimanere assoggettati a certi vincoli. In tale situazione o la
disposizione diventa in sé impraticabile, non esistendo gli
strumenti operativi per applicarla, oppure non ne risulta
possibile l'attuazione pratica, una volta espulsa e richiamata
la persona ai fini del procedimento, non esistendo alcuna
certezza che essa sia la stessa persona fisica precedentemente
espulsa.
   Un ultimo problema riguarda la necessità di un
coordinamento con la polizia penitenziaria perché tale
coordinamento oggi avviene solo per vocazione personale. Molto
spesso riceviamo rapporti dalle case circondariali di Firenze,
di Prato o di Pistoia. Firenze è una provincia che ha vicino a
sé molti centri importanti dotati di case circondariali nelle
quali l'ufficiale dell'ufficio matricola è in grado di
riconoscere il soggetto. Quando invece vengono declinate
generalità totalmente diverse è impossibile comprendere e
rapportare se questo...
  PRESIDENTE. Mi scusi se torno su una questione un po'
"sbirresca" (lo riconosco): le impronte digitali vengono prese
almeno ai detenuti, come vengono prese ai fermati nel corso di
operazioni di polizia; c'è un archivio di queste impronte? Se
esiste, potrebbe essere utilizzato.
  VILFREDO MARZIANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Firenze. Sì, ma i tempi
sono molto lunghi. In caso di arresto in flagranza i tempi di
definizione del procedimento rendono assai difficile, per
problemi di convalida e delle successive misure nonché,
spesso, per la definizione istantanea del procedimento,
effettuare questi controlli. L'arresto in flagranza ha il
vantaggio di far apprezzare l'elemento probatorio
immediatamente e quindi vi può essere, soprattutto quando la
pena è ridotta ai minimi, essendo applicabile il comma 5
dell'articolo 73 del testo unico delle leggi sugli
stupefacenti, l'impossibilità quasi materiale, storica, salva
la possibilità di una conoscenza dell'ufficiale di polizia
della matricola che riconosca il soggetto, di
un'identificazione dell'interessato.
  PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Bologna. Mi ricollego in
primo luogo alla questione dell'identificazione, che è uno dei
problemi generali, stando agli
                        Pag. 3470
interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Farò
riferimento anche a quest'ultimo aspetto delle impronte
digitali.
   Per quello che so (noi orecchiamo, mentre gli esperti veri
sono gli appartenenti alla polizia, presso i quali si potrebbe
effettuare un controllo), le impronte digitali sono raccolte e
schedate dal carcere e dall'ufficio stranieri presso le
questure, ma di esse non vi è un archivio nazionale.
   L'ufficio stranieri di Bologna funziona abbastanza bene,
per quanto ci è dato di comprendere, nel riferirci delle
precedenti azioni compiute sotto nome diverso dallo stesso
soggetto in base al riconoscimento delle impronte; non vi è
però, a quanto ne so, la possibilità di un controllo su base
nazionale.
   Questo problema si pone anche più ampiamente per quanto
riguarda gli stranieri, perché, da quanto ho compreso nel
corso di riunioni nazionali di magistrati, non c'è neanche un
sistema di schedatura uniforme delle impronte digitali dei
pregiudicati italiani in generale. Non è quindi possibile un
controllo elettronico per sapere se vi sia corrispondenza
rispetto alle impronte già prese: bisogna confrontare le
impronte un po' per volta fino a trovare quelle
corrispondenti.
   Il problema dell'identificazione è centrale ed il nostro
ufficio stranieri ci dice di essere in grado di fare qualcosa
solo se esiste il passaporto del soggetto individuato. Solo il
passaporto, infatti, consente di collaborare con le polizie
degli stati esteri d provenienza, che altrimenti non
riconoscono l'appartenenza al loro paese del soggetto, anche
se in possesso di documenti apparentemente ufficiali diversi
dal passaporto.
   La schedatura delle impronte digitali all'ingresso del
paese sarebbe una soluzione radicale molto efficace, ma
rispetto al nulla di adesso sarebbe anche molto importante ed
efficace la fotocopiatura mediante scanner elettronico
del passaporto, che non richiede tempo e che consente la
gestione elettronica dei dati.
   La nostra esperienza ci dice che molti di questi stranieri
entrano in Italia con passaporti regolari, ma poi li
nascondono. Non ci sono solo le organizzazioni criminali che
sottraggono i passaporti per esercitare un controllo
sull'immigrato, ma vi è anche l'interesse personale dello
straniero che voglia commettere dei reati o comunque sostare
in Italia senza permesso di soggiorno ad evitare il
ritrovamento del suo passaporto, che ne consente l'espulsione
e il reimpatrio nel paese d'origine. Senza passaporto il paese
di origine non accetta la persona.
   Detto questo in termini generali, per quanto riguarda le
esperienze del nostro ufficio, mi rifaccio ai discorsi svolti
dai colleghi che mi hanno preceduto.
   Nel nostro ufficio non c'è una suddivisione per materia
con riguardo agli stranieri e quindi le informazioni che
abbiamo raccolto in questa occasione sono state messe insieme
artigianalmente, consultando i colleghi che a memoria ci si
ricordava essersi occupati di qualcosa di attinente. Se questa
iniziativa proseguisse, saremmo probabilmente in grado di far
riferimento ad un maggior numero di esperienze di quelle oggi
raccolte sommariamente e in fretta.
   Anche da noi vi è il problema della presenza dei cinesi,
caratterizzata come hanno detto i colleghi: scarsissima
attività criminale esterna (a differenza di altri gruppi
etnici), ma un'attività criminale legata all'arrivo illegale
degli stranieri ed allo sfruttamento della manodopera.
   Si sono manifestati i problemi cui il collega che mi ha
preceduto ha fatto cenno in sede di svolgimento delle
indagini, non solo perché la lingua è in generale complicata,
ma anche perché esiste una varietà di dialetti e non viene mai
usata la lingua conosciuta dai pochi cinesi presenti
istituzionalmente nel nostro paese, quali quelli che lavorano
all'università e che possono essere utilizzati come
traduttori. Gli altri, anche quelli ormai radicati nella
realtà cittadina come i ristoratori, probabilmente vivono in
una situazione omertosa e
                        Pag. 3471
pertanto non si prestano a fungere da interpreti per le
operazioni di investigazione.
   I cinesi, oltre che nel campo della ristorazione, operano
anche da noi nel settore della pelletteria. Questo è tutto
quanto posso dire. Non abbiamo avuto esperienze rispetto a
questo campo specifico di corruzione negli apparati di
polizia. C'è stato, a quanto mi ricordo, un processo di
corruzione concernente l'ufficio stranieri di Bologna ma
riguardante gli stranieri in generale, in particolare i
nordafricani: la vicenda era legata al periodo della sanatoria
e del riconoscimento della presenza da un certo tempo e
coinvolgeva un livello bassissimo degli addetti, cioè lo
stesso agente che aveva il compito di fotocopiare i timbri e
che era in condizione di falsificare le fotocopie (fatto
questo molto semplice) e rilasciare i permessi di soggiorno.
Questa persona poteva mettere in grado l'interessato di
ottenere un permesso di soggiorno falso e quindi il processo
ha riguardato solo lui ed alcuni nordafricani che lo pagavano.
   Il resto della nostra esperienza, a Bologna, in materia di
criminalità legata agli stranieri e in particolare alla
introduzione clandestina e allo sfruttamento delle persone
introdotte clandestinamente nel nostro paese è relativo alla
prostituzione. Per quanto sappiamo, i filoni principali sono
essenzialmente due: uno è quello delle prostitute di origine
slava, l'altro quello delle nigeriane. In entrambi i casi,
stando all'esperienza acquisita nei processi, lo sfruttamento
è attuato da parte di soggetti della stessa nazionalità delle
persone sfruttate. Forse, i processi legati alla tratta di
prostitute slave sono stati i maggiori, e non mi riferisco
alle sole iugoslave, ma anche a quelle della Cecoslovacchia,
della Russia, eccetera, quindi a quelle di lingua slava.
Probabilmente, le prostitute iugoslave sono più numerose per
due motivi: il primo è dovuto alla vicinanza della Iugoslavia
e alla situazione di guerra e di disordine di quel paese; il
secondo è riconducibile ad un fattore indiretto, nel senso che
molte prostitute provenienti da altri paesi slavi hanno
interesse ad apparire iugoslave perché, per motivi umanitari
legati alla situazione di guerra di questo paese, non vengono
rimpatriate. Quindi, l'esperienza ci ha dimostrato che persone
russe, ceche e boeme, venivano regolarmente in Italia con il
passaporto, il quale veniva poi ritirato da chi, dopo aver
reclutato queste persone nei paesi d'origine per portarle in
Italia, provvedeva poi a consegnare falsi documenti (non
passaporti) iugoslavi dopo che avevano raggiunto il nostro
paese.
   Lo sfruttamento della prostituzione viene attuato nel
senso più brutale del termine, anche se spesso le prostitute
vengono reclutate con la promessa di un lavoro lecito o
comunque non legato alla prostituzione (ve ne sono alcune,
comunque, che asseriscono di essere venute in Italia proprio
per prostituirsi da subito).
   Una volta in Italia, le prostitute vengono cedute da un
gruppo all'altro, vendute dietro pagamento di danaro, spostate
da una piazza all'altra, dove, per migliorare il livello di
mercato, stazionano, mediamente, per non più di quindici
giorni.
  PRESIDENTE. I gruppi di sfruttamento e di
intermediazione sono solo italiani?
  PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Bologna. No, dicevo che
sostanzialmente non sono italiani, perché sono pochi quelli
che riescono ad inserirsi in gruppi di gente che, come
importatori prima e come reclutatori poi, spesso sono del
paese di origine dei soggetti reclutati: vi sono molti
iugoslavi di varia origine e cecoslovacchi, mentre non vi sono
russi, per quanto mi risulta, nonostante siano invece presenti
donne russe. Quando giungono in Italia, queste donne vengono
quasi sempre cedute a persone di origine iugoslava, le quali
spesso sono nomadi, zingari che le tengono presso i loro
accampamenti. Non sempre è così, ma comunque questo è uno dei
mercati principali. L'altro è invece quello di persone
                        Pag. 3472
di origine iugoslava che risiedono negli alberghi e che sono
in contatto - lo stesso che si ha con i venditori di droga,
per esempio - con gruppi presenti in altre città proprio per
vendere queste ragazze. Casi simili ne abbiamo verificati
molti, assieme a fenomeni di criminalità indotta, come gli
omicidi per la compravendita o il controllo delle prostitute
(ve ne è stato uno quest'estate).
   L'altro settore della prostituzione, quello delle
nigeriane, di cui mi sto occupando personalmente, mi ha
consentito un'esperienza piuttosto interessante, perché alcune
hanno parlato di un reclutamento a livello internazionale, di
un'organizzazione che sostanzialmente esisterebbe in Nigeria;
alcune prostitute hanno fatto i nomi ed i soprannomi dei
reclutatori, i quali fungono anche da accompagnatori delle
ragazze dalla Nigeria in Italia, ma non sono in grado di
fornire la generalità esatta di questi soggetti. In genere, le
nigeriane sono ragazze reclutate quando hanno terminato le
scuole superiori, per cui si tratta di persone che spesso
hanno studiato e che il più delle volte accettano di venire
nel nostro paese dietro la promessa di lavoro lecito; quando
acconsentono si chiede loro soltanto di fornire due
fotografie, dopo di che i reclutatori si occupano di procurare
i passaporti falsi. Da quanto ci hanno detto non appare del
tutto chiaro se vi sia una complicità anche da parte di
personale nigeriano che lavora presso l'ambasciata italiana -
c'è stato un accenno in questo senso - o comunque di
funzionari amministrativi nigeriani. A queste ragazze viene
pagato il biglietto aereo; arrivano generalmente all'aeroporto
di Roma, da dove sono poi indirizzate in altre città, come
Bologna, per esempio. In genere, gli accompagnatori consegnano
i passaporti di queste ragazze a persone che fungono da punto
di riferimento: nel caso di Bologna, si trattava di due donne
nigeriane, le quali si servivano anche di un italiano, ma
sembra che ciò avvenisse solo per garantirsi con una figura
maschile, che però non era dominante, in quanto
l'organizzazione era nelle loro mani. Alle ragazze che vengono
avviate alla prostituzione generalmente viene detto che devono
pagare un debito di venti milioni - la somma corrispondente
alla spesa sostenuta per farle venire in Italia -, per cui
tutti i proventi del loro lavoro devono devolverli ai
reclutatori; soltanto quando avranno pagato i venti milioni
sarà restituito loro il passaporto e potranno fare ciò che
vorranno.
  PRESIDENTE. E questo...
  PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Bologna. Per quanto è a
mia conoscenza, non è mai accaduto. Però, svolgendo queste
indagini, mi risulta che alcune prostitute nigeriane pur
avendo il passaporto asserivano di essere rimaste in Italia
continuando a prostituirsi. In questo caso, erano entrate in
contatto con lo stesso gruppo che dietro pagamento di una
somma di tre milioni aveva assicurato loro il posto dove
potersi prostituire senza essere disturbate. Quindi, ad
eccezione di questa somma, non consegnavano i propri guadagni
a nessuno.
   Abbiamo cercato di coinvolgere l'Interpol per fare
chiarezza sul traffico delle prostitute nigeriane. Siccome ci
è stato detto da dove aveva origine tale traffico (da un un
albergo di Kano, una città della Nigeria) e ci sono stati
fatti i soprannomi delle persone che lo hanno organizzato,
abbiamo chiesto all'Interpol se era in grado di fornirci
qualche notizia: finora non ne sono arrivate, e per esperienza
sono scettico che possano giungerne.
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Non penso di
dover ripetere tutto quello che è stato detto dai colleghi.
Direi che oltre a Brescia posso rappresentare parte del
Veneto, visto che ieri sera mi sono sentito per telefono con
il collega Della Costa di Venezia, che non ha potuto
partecipare a questa audizione, e che trattiamo assieme un
certo procedimento relativo, ancora una volta, ahimé, ai
cinesi.
                        Pag. 3473
   Per quanto riguarda il problema della prostituzione di
origine nigeriana, sudamericana - di cui ho sentito parlare
poco in questa riunione - e slava, mi rimetto completamente a
quanto già detto. Non voglio ripetere i problemi tecnici ma
consentire a voi di affrontarli da tutta un'altra visuale,
cioè della metodologia di indagine e dell'intervento di
carattere sociale (è presente il ministro per gli affari
sociali).
   Mi sono permesso di fotocopiare e di distribuire ai membri
della Commissione una nota della compagnia della Guardia di
finanza di Brescia, a proposito della quale chiedo scusa
dell'informalità...
  PRESIDENTE. No, è molto chiara.
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Questa nota, che
è il risultato di un lavoro che abbiamo svolto con la Guardia
di finanza di Brescia, credo sia utile ai fini della
conoscenza della metodologia e degli aspetti economici e
fiscali. Parlo di aspetti fiscali perché ad essi voglio
improntare il mio intervento.
   Purtroppo, svolgo un'attività che potrei definire
minimalistica: di fronte al ministro per gli affari sociali ed
al presidente della Commissione antimafia, quasi mi vergogno a
dire che sono arrivato alla Triade partendo dalla cosiddetta
legge sulle manette agli evasori fiscali (articolo 1, comma 6,
della legge n. 516 del 1982), cioè alla mancata tenuta delle
scritture contabili. Questo è l'aspetto che voglio
sottolineare, questo è il taglio che, in un certo senso,
intendo dare al mio intervento.
   Provengo da una provincia piuttosto ricca, caratterizzata
da un tessuto economico anche un po' prepotente, se vogliamo,
dove gli interessi economici hanno un certo valore, dove certe
categorie economiche hanno un loro grossa forza, dove anche
noi dobbiamo comunque seguire determinati interessi. Intendo
dire che dove lavoro io c'è gente alla quale non sta bene
comprare al supermercato una maglietta a ventimila lire, non
sta bene soprattutto ai venditori, considerato che i costi,
normalmente, sono di trenta, quaranta o cinquanta mila lire.
In altri termini, c'è una situazione di fomentazione, anche
sociale, nei confronti di tutta questa attività economica
illegale, che ci ha indotto a svolgere interventi in questo
campo.
   Nella procura di Brescia non vi è una diversificazione di
compiti, tant'è che da anni io stesso mi occupo del settore
tributario, fiscale, societario, di quello dei reati di
bancarotta o dei reati "economici". Nello svolgimento della
mia attività, mi è capitato di accedere in un laboratorio
semiclandestino e di trovarvi un gran numero di cinesi che
vivevano in una situazione incredibile, tanto che è dovuta
intervenire la USL e si sono dovute svolgere attività di
supporto di vario genere (le quali non hanno interessato chi è
riuscito a fuggire attraverso i campi perché non lo abbiamo
più trovato...).
   Durante lo svolgimento di questa verifica di carattere
fiscale abbiamo trovato un italiano che, per captatio
benevolentiae, ha cercato di far capire cosa accadeva a
proposito delle bolle di accompagnamento che erano nel
laboratorio e che erano intestate a personaggi cinesi dai nomi
assurdi. Con la Guardia di Finanza abbiamo ipotizzato un
intervento di cui poi vi spiegherò il perché: abbiamo compiuto
un intervento coordinato in circa 23 laboratori clandestini,
proprio perché quel signore ci aveva detto - captatio
benevolentiae- dove aveva portato i macchinari, chi faceva
lavorare, eccetera; abbiamo pensato di portare avanti, in
contemporanea, un intervento anche di carattere dimostrativo,
esemplare nella città. Credo che a proposito di tale
intervento siate già a conoscenza, dopo aver sentito i miei
colleghi, delle ire del questore di Brescia nei miei confronti
quando nella stessa giornata in questura si è trovato di
fronte 80 cinesi dello Tse kiang: non sapeva più che pesci
pigliare e ha chiesto addirittura se i soldi per l'aereo
glieli avrei dati io o il Ministero
                        Pag. 3474
di grazia e giustizia! Qual era la tesi della mia procura,
logicamente condivisa anche dal mio capo? Io non ho cercato la
mafia, anche se so che vi è un organizzazione clandestina, che
vi è la Triade. Al riguardo, ho portato con me l'originale di
un recentissimo fascicolo, dal quale risulta che per un
sequestro di persona della Triade a Rotterdam i soldi sono
stati chiesti in provincia di Mantova, per cui, essendo a
Brescia la sede distrettuale antimafia...
  PRESIDENTE. Il sequestrato dove si trovava?
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. A Rotterdam. E'
stato portato in Italia, prima a Roma (abbiamo le targhe delle
macchine, per cui sentirò poi i colleghi di Roma)...
  PIETRO GIORDANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Non lo abbiamo
trovato.
  PRESIDENTE. Quindi, la persona sequestrata...
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. E' stata
introdotta clandestinamente in Italia da questa
organizzazione, è passata per Roma e poi è stata portata nel
bresciano e nel mantovano, dove hanno sede i laboratori di cui
parlavo prima. Dopo di che è andata a Rotterdam e qui è stata
sequestrata dall'organizzazione, la quale per liberarla voleva
112 milioni di lire.
  PRESIDENTE. Li voleva in Cina?
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. No, li voleva
nel bresciano, ecco perché la competenza era di Brescia. E'
accaduto poi che la persona sequestrata, una ragazza, si sia
buttata dal terzo piano di una casa dopo essere riuscita a
liberarsi, per cui in questo momento si trova in ospedale a
Rotterdam.
   Ma torniamo alla filosofia dell'intervento, di cui dicevo
poc'anzi. La mafia si forma dove vi è un forte tessuto
omogeneo di persone della stessa provenienza, dove le
condizioni di dipendenza e di clandestinità, come nel caso dei
cinesi, danno luogo ad un'organizzazione molto chiusa.
   Se teniamo sotto controllo l'attività economica
clandestina dei cinesi, con un controllo territoriale
sull'attività economica concernente la trasformazione delle
pelli, come avviene a Bologna e a Firenze, oppure nel caso
bresciano - e grosso modo nella Lombardia - su chi
lavora e trasforma i vestiti per conto terzi, se creiamo
dicevo una pressione di carattere economico e sociale con
interventi delle unità sanitarie locali, disincentiviamo il
flusso migratorio anche perché diminuisce l'interesse.
   Quell'intervento ha fruttato un miliardo di lire di
recupero fiscale per omissione dei ricavi. Può sembrare
minimale, ma queste persone subiranno determinate conseguenze,
nel senso che le ditte iscritte nei registri italiani vedranno
iscrivere un terzo nel ruolo dell'ufficio delle imposte.
Subiranno anche l'intervento delle unità sanitarie locali e
dell'ispettorato del lavoro per l'igiene e la prevenzione del
lavoro, così come saranno oggetto dell'intervento dei colleghi
della procura presso la pretura per quanto riguarda la materia
infortunistica. Il nostro intervento rappresenta un tentativo
di controllo sul territorio di queste persone affinché quelle
in regole si integrino - perché è giusto che lo facciano - ma
alle condizioni e con le finalità dei lavoratori italiani.
Profondano pure la loro bravura nel lavoro - sono molto bravi
soprattutto nelle imitazioni delle "firme" - ma in un contesto
di legalità. Quindi, abbiamo colpito anche economicamente
queste persone. La metodologia seguita è diversa rispetto a
quanto hanno illustrato i colleghi: colpire la gente nella
tasca forse può fungere da disincentivo.
                        Pag. 3475
   La metodologia posta in essere è descritta nella nota che
ho distribuito. Abbiamo svolto un lavoro del genere: sono
state censite le ditte cinesi iscritte alla camera di
commercio (capisco, comunque, che Brescia non è Roma, Milano o
Palermo, dunque fare questo nei centri più grossi è
difficile)...
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Quante sono?
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Sono meno di un
centinaio a fronte di un milione 40 mila abitanti della
provincia che corrisponde al territorio del circondario del
tribunale di Brescia.
   Dicevo, abbiamo effettuato il censimento delle ditte alla
camera di commercio, seguito da quello presso l'ENEL (per i
macchinari), l' INPS e l'ispettorato del lavoro. Poi abbiamo
censito le utenze telefoniche, scoprendo - eseguendo la
sovrapposizione - le ditte clandestine. Si è scoperto che
determinati soggetti avevano un'utenza telefonica intestata a
se stessi, mentre quella ENEL era intestata ad un'altra
persona che lavorava presso la stessa ditta ma ubicata in
un'altra traversa. Esiste, secondo me, un intreccio
classicamente cinese (Le scatole cinesi), senza servirsi delle
società schermo come si usa in Italia per evadere il fisco,
bensì delle persone. Tramite la sovrapposizione abbiamo
individuato i siti del lavoro clandestino: su questo abbiamo
eseguito l'intervento a seguito del quale sono state
controllate 80 persone, denunciate moltissime e 52 sono
risultati gli espulsi.
  PRESIDENTE. A quanto capisco ora sono tutti a Prato.
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. In conclusione,
desidero solo sottolineare la minimalità dell'intervento
bresciano: la Triade esiste, la mafia c'è ma l'organizzazione
non è stata trovata. Per quanto riguarda l'organizzazione
rimando agli studi effettuati, ai quali ha partecipato anche
un ufficiale francese. Non so a quale consorella della Guardia
di finanza appartenga, ma si interessa ai flussi immigratori
di quel paese.
   Sappiamo che la Triade esiste e ne abbiamo avuto conferma
dall'introduzione clandestina di questi soggetti. I centri
possono essere Trieste, Milano, Firenze, Roma. Qualcuno dà una
destinazione finale ai flussi. Questo è il lato di raccordo
con gli italiani: la nostra fonte "confidenziale" è un
italiano. Chi sfrutta le persone è italiano: non dimentichiamo
che tutti parlano, dimostrano intolleranza nei confronti di
queste persone, però c'è chi fornisce macchinari in una sorta
di leasing "artigianale", chi ritira la merce, chi dà la
merce da lavorare e immette sul mercato la camicia firmata al
prezzo di 20 mila lire. Ripeto, sono partito dalla camicia
firmata da 20 mila lire per arrivare alla Triade: la
metodologia utilizzata può essere interessante come spunto,
senza grandi prospettive di sgominare L'anno del dragone
come ha fatto Mickey Rourke.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
L'importante è rendere il lavoro difficile e competitivo.
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Certo, rendere
il lavoro difficile e competitivo e soprattutto consentire a
queste persone di adeguarsi alle nostre regole e di integrarsi
per avere i diritti che spettano anche ai cinesi.
  ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova. Mi sono imbattuto in alcuni
procedimenti aventi ad oggetto flussi migratori indotti
provenienti soprattutto dai paesi dall'est e dalla Nigeria.
Non parlo in rappresentanza dell'ufficio in quanto si tratta
di procedimenti che ho seguito personalmente; per quelli
riguardanti la Nigeria il discorso sarà diverso.
                        Pag. 3476
   In realtà non abbiamo mai avuto l'opportunità di
concentrare tutti i procedimenti aventi ad oggetto stranieri e
organizzazioni comunque dedite al loro sfruttamento, in quanto
non si sono registrati procedimenti per reati ai sensi
dell'articolo 416. Quindi non si è mai avvertita l'esigenza di
concentrare in uno o due sostituti procuratori questo tipo di
lavoro. Si tratta sempre di procedimenti per reati commessi
all'interno o all'esterno del gruppo etnico e trattati per
singoli fatti. Tuttavia, in alcuni procedimenti si intravede
quanto può esservi dietro anche se dal punto di vista
processuale i risultati sono scarsi: di questo cercherò di
spiegare le ragioni.
   Un primo flusso migratorio ha riguardato donne provenienti
dai paesi dell'est, ossia Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria.
In questo caso si trattava probabilmente di un'organizzazione
italiana ed i personaggi emersi a Genova sono due. Costoro
avevano formato un'associazione culturale, che si poneva
essenzialmente ed ufficialmente come scopo lo scambio
reciproco di soggetti interessati a visitare rispettivamente i
paesi esteri e l'Italia.
  ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Crotone. Vorrei conoscere i nomi.
  ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova. Sì, posso citarli in quanto
è stata emessa richiesta di rinvio a giudizio: sono un certo
Bufanio e una certa Rossi.
   In sostanza, ai carabinieri di Genova si è presentata una
ragazza la quale ha raccontato di aver fatto parte di un
gruppo di 40 polacche entrate regolarmente in Italia a bordo
di un pullman. Dico regolarmente perché non risultano percorsi
clandestini, anche se la ragazza non è stata molto lucida nel
descrivere le strade seguite. Genova rappresentava soltanto
una tappa, in quanto nella città il pullman si è fermato per
scaricare due o tre persone: il resto era destinato a Cirò
Marina dove esisteva un'altra società, con lo stesso oggetto,
che a sua volta si è rivelata collegata con un'altra società
intestata ad un soggetto straniero, mi sembra un certo
Christopher Fuller, con sede a Roma. Dalla dinamica della
importazione delle ragazze polacche si intravedeva
un'organizzazione estesa su tutto il territorio nazionale, con
centro in Calabria e con collegamento a Roma. Personalmente ho
trattato soltanto lo spezzone genovese, quindi ho trasmesso
parte degli atti ai colleghi di Crotone e di Roma per quanto
di loro competenza. A Genova, al di là delle due persone che
avevano costituito la società, non si è andati oltre.
   Le donne introdotte sul territorio italiano non risulta
fossero destinate alla prostituzione, a differenza di quanto
emerso circa le nigeriane, bensì a svolgere un'attività
lavorativa, sia pur clandestina, presso esercizi pubblici,
famiglie private e così via. Questo è successo anche per le
ragazze sbarcate a Genova, che sono state rinvenute a lavorare
presso ristoranti o abitazioni private. Lo stesso mi risulta
sia avvenuto a Crotone, in Calabria.
   In un altro procedimento, avente sempre ad oggetto ragazze
provenienti dall'est, le donne erano destinate alla
prostituzione. A differenza di quanto dirò per le nigeriane,
in questo caso si è trattato di ragazze contattate all'estero
per esercitare la prostituzione, che venivano in Italia con
questo scopo. L'attività era gestita da una connazionale
cecoslovacca, la quale si avvaleva per l'introduzione in
Italia di collegamenti cecoslovacchi o comunque stranieri.
   La caratteristica dell'attività consisteva nel fatto che
queste ragazze, venute in Italia consapevoli di esercitare la
prostituzione, si trattenevano per il periodo del permesso
turistico, viaggiando tra diverse case di prostituzione
disseminate sul territorio italiano. Anche in questo caso non
abbiamo riscontrato elementi per ritenere l'esistenza di una
vera e propria organizzazione tra i gestori delle case di
prostituzione, tuttavia vi era un interscambio per cui in ogni
luogo le ragazze non si fermavano più di quindici
                        Pag. 3477
giorni, con soddisfazione della clientela delle case di
prostituzione locali. Anche in questo caso ho provveduto ad
eseguire diversi stralci per mettere al corrente le varie
procure interessate delle case di prostituzione, emerse
nell'ambito delle indagini, esistenti sul territorio di loro
competenza.
   Quanto al procedimento sulle nigeriane, che sto trattando
attualmente (tema che sapevo essere trattato dalle procure di
Brescia e di Bergamo, non anche da quella di Bologna) la
dinamica dell'introduzione è stata descritta, perciò ve la
risparmio. Da noi è emerso qualche altro elemento ricattatorio
in più rispetto alla trattenuta del passaporto. In sostanza,
al fine della restituzione dei 20 o 30, ora pare siano
diventati 50, milioni necessari per l'introduzione nel
territorio italiano - che non avviene sempre e direttamente
dalla Nigeria, ma può verificarsi anche attraverso altri paesi
europei quali l'Olanda e l'Inghilterra, dove in prima battuta
vengono trasferite queste persone - un altro strumento
ricattatorio è per esempio un elemento "magico". Le nigeriane
sembrano più atterrite dai riti voodoo celebrati nei
loro confronti piuttosto che dal ritiro del passaporto o dalla
mancanza del permesso di soggiorno. Dei riti voodoo è stata
trovata traccia durante le perquisizioni e sono stati
sequestrati feticci, lucchetti con chiave e fotografia annessa
e altro. Per noi questi oggetti hanno un significato culturale
difficile da apprezzare e capire mentre queste persone ne sono
terrorizzate.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Mi pare sia stato aggredito un poliziotto perché volevano
strappargli il cuore.
  PRESIDENTE. Mi scusi, ma questi riti voodoo sarebbero
fatti dagli sfruttatori nei confronti delle ragazze che
volessero sottrarsi...
  ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova. Alcune hanno raccontato che
vengono fatti, in prima battuta, già in Nigeria, ossia nel
luogo di partenza...
  PRESIDENTE. A quale scopo?
  ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova. Allo scopo di garantire la
restituzione dei soldi che vengono anticipati per il viaggio.
Non sempre viene loro detto che in Italia eserciterebbero la
prostituzione; anzi, normalmente le ragazze vengono attratte
con la promessa, il miraggio di un lavoro più o meno legale.
   In Italia, questi riti vengono ripetuti dalle singole
sfruttatrici; credo che ciò sia legato a delle figure che
hanno questa capacità di gestire tali riti.
   L'altro elemento ricattatorio che è emerso, ovviamente non
generalizzato per la sua intrinseca natura, ha riguardato il
caso di un bimbo appena nato, trattenuto dalla sfruttatrice
come pegno, come strumento di ricatto. E' poi intervenuto il
tribunale dei minorenni.
   Questa è la punta dell'iceberg. Recentemente vi è
stata anche una denuncia da parte della divisione di
ginecologia dell'ospedale di Sampierdarena: si è notato negli
ultimi tempi un aumento clamoroso degli interventi di
interruzione volontaria di gravidanza, soprattutto da parte di
extracomunitari, e in particolare di nigeriane. Evidentemente,
l'esercizio della prostituzione da parte di queste persone,
che diventano sempre più numerose, e che evidentemente non
fanno ricorso nemmeno agli strumenti normali di protezione,
provoca questo tipo di conseguenze. Se sul piano legale c'è un
aumento delle interruzioni volontarie di gravidanza, non oso
pensare a cosa possa accadere sul piano non legale.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
So perfettamente che gli ospedali, che hanno l'obbligo di
ricevere tutte le persone che hanno diritto alle cure (per
quest'anno è stata anche rinnovata una convenzione con il
ministro della sanità), stanno compiendo un altro gesto, ossia
quello di segnalarle alle
                        Pag. 3478
questure, per cui queste che hanno paura di essere espulse e
rimpatriate si rivolgeranno alle mammane e non più agli
ospedali.
  ANDREA BECONI, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Genova. D'altra parte noi ci siamo
trovati dinanzi ad alcuni casi in cui la persona che si
presenta per sottoporsi all'interruzione volontaria di
gravidanza presenta, normalmente, un passaporto non proprio ma
di altra persona. Evidentemente i controlli effettuati dalla
struttura amministrativa ospedaliera sono molto blandi.
   Questi episodi di sfruttamento si sono, specialmente negli
ultimi due anni, moltiplicati e credo che all'interno del
nostro ufficio almeno cinque o sei sostituti si siano occupati
di denunce a piede libero o in stato di fermo nei confronti di
donne nigeriane per sfruttamento della prostituzione.
   Ci siamo posti il problema di vedere se alla base dei vari
casi di sfruttamento non vi fosse un minimo comune
denominatore. All'interno di un mio fascicolo (credo che
riguardi uno degli ultimi casi accaduti) si è dato inizio ad
un discorso più approfondito per cercare di andare al di là
del singolo caso di sfruttamento della prostituzione. E' qui
che sono cominciate le difficoltà, che volevo in qualche modo
illustrare. Si tratta anzitutto di difficoltà di ordine
operativo. Questo tipo di indagini viene di solito effettuato
dagli uffici stranieri delle questure; normalmente viene
delegato. Magari in prima battuta sono le volanti che
procedono, lungo le strade, a fermi o arresti a seguito di
resistenze, lesioni e altri reati riguardanti nigeriane;
successivamente, però, le indagine vengono delegate agli
uffici stranieri delle questure. A Genova - ma ritengo che la
situazione sia generale - tali strutture, dal punto di vista
della polizia giudiziaria, sono certamente carenti, non hanno
servizi e soprattutto non hanno personale. Per fare
un'indagine di questo tipo il dirigente dell'ufficio stranieri
della questura di Genova ha dovuto richiedere personale da
altre sezioni, provocando le ire dei rispettivi dirigenti.
Tale personale viene impiegato da due o tre mesi, per cui
ormai bisogna cercare di chiudere le indagini perché non c'è
più la possibilità di trattenere oltre tale personale.
   Cosa è emerso da questa indagine? La conferma, in qualche
modo, dei sospetti che dietro ci dovesse essere qualcosa di
più; ma si tratta pur sempre di sospetti o di indizi molto
blandi. Con l'arresto di alcune di queste sfruttatrici,
diverse nigeriane hanno cominciato un po' a rompere il muro di
omertà che normalmente vige al loro interno. Hanno così
cominciato a fare i nomi delle persone che le hanno aiutate ad
entrare in Italia e che le hanno aiutate ad inserirsi nel giro
della prostituzione, accompagnandole sul posto, poi
sfruttandone i relativi proventi e spesso ledendone
l'integrità fisica, tutte le volte che per un qualche motivo -
anche solo per malattia - qualcuna di loro non si fosse recata
sul luogo del lavoro.
   Questo tipo di indagini ha portato ad individuare, come
conoscenza comune di numerose donne nigeriane che hanno
parlato e come conoscenza comune di alcune delle donne
indicate come sfruttatrici di queste nigeriane, delle persone
che sono legittimamente presenti sul territorio italiano,
spesso integrate anche in attività economiche, in quanto
componenti di società, non saprei dire se operanti
concretamente, ma regolarmente denunciate presso la camera di
commercio, persone il cui ruolo appare esclusivamente quello
di costituire un punto di riferimento dell'intera comunità. In
altre parole, difficilmente emerge che queste persone ricevano
i soldi delle prostitute o delle sfruttatrici delle
prostitute; non c'è un coinvolgimento diretto nell'attività
delinquenziale e nel reato commesso dalle sfruttatrici;
costituiscono un punto di riferimento sociale, direi. Se c'è
una difficoltà nel trovare casa, ci si rivolge a Tizio; se c'è
una difficoltà a trovare lavoro, ci si rivolge ad una certa
signora. Queste persone hanno un certo carisma (vengono
chiamate "papà" e "mamma"). Lei è una ex prostituta che non
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esercita più; lui è un personaggio che ha determinate
caratteristiche di prestigio (non ne faccio i nomi perché
siamo ancora in sede di indagini preliminari, peraltro non è
ancora aperto un modello 21, questo per dirvi quanto siano
scarsi gli elementi a carico di tali persone). Probabilmente
tali persone costituiscono l'elemento di collegamento; vedremo
a cosa porteranno le indagini, ma certamente c'è un qualcosa
che unisce tutti i singoli casi di sfruttamento. Non è un caso
che nelle varie città, come abbiamo sentito oggi, la
metodologia di ingresso e di sfruttamento sia sempre la
stessa. Si parla sempre dei 20 o 25 milioni, del trattenimento
del passaporto, dei voli diretti alla Nigeria, del cambio
delle fotografie sui passaporti. Non può dunque trattarsi di
un singolo soggetto. Forse i singoli soggetti operano
localmente; il problema è quello di identificare un tipo di
attività associativa, ma non so se riusciremo a farlo proprio
per le difficoltà di carattere investigativo cui facevo
riferimento. Difficoltà che non sono soltanto di struttura
operativa e di personale, ma riguardano anche il ricorso a
certi strumenti.
   In primo luogo mi riferisco alla difficoltà dell'uso dei
normali strumenti investigativi, come ha detto poc'anzi un
altro collega. Quello delle intercettazioni, per esempio,
potrebbe rilevarsi assai utile, ma in questo caso non viene
nemmeno preso in considerazione. C'è poi una difficoltà di
identificazione, su cui non mi soffermo. C'è altresì una
difficoltà nel rintracciare le persone, soprattutto quelle
lese. Infatti, non appena viene fuori un episodio del genere,
le parti lese vengono immediatamente fatte sparire. Uno degli
interventi solitamente posti in essere dall'organizzazione è
quello di cercare di convincere, con le buone o con le
cattive, le persone ad andare via tutte le volte che queste
risultano essere coinvolte in un procedimento o in
un'inchiesta condotta dalla polizia. Quando si sa che una
persona ha sporto denuncia, ha parlato, si cerca di
convincerla ad espatriare immediatamente. La conseguenza è
quella di rendere ancora più difficile, qualora vi fosse la
necessità di avere dei chiarimenti, di allargare le indagini e
di sapere qualche altra notizia, il reperimento di quella
persona. Tutto ciò senza poi contare le difficoltà di
carattere processuale e dibattimentale.
   Altra difficoltà è quella di carattere culturale. Da parte
degli investigatori a volte non si riesce a cogliere ciò che
può costringere una persona ad una completa soggezione. Sono
emersi, infatti, anche episodi di compravendita tra persone di
diverse città. Per esempio, c'è stato uno scambio tra
sfruttatrici di Torino e Genova; una persona che è stata
venduta ad un certo prezzo ed è stata poi nuovamente ceduta
all'originaria sfruttatrice. Sotto il profilo della
qualificazione giuridica si tratta anche di vedere se non vi
sia qualcosa di più del reato di sfruttamento; se cioè non si
possa addirittura parlare del reato di riduzione in schiavitù.
Però la difficoltà è proprio di carattere culturale nel
cercare di comprendere il significato degli strumenti usati
per la costrizione, la vita, la mentalità completamente
diversa. E' difficile riuscire a scavare, anche a causa del
normale silenzio opposto quasi sempre dalle persone che sono
oggetto di indagine o che dovrebbero collaborare alle stesse.
  PIETRO GIORDANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Premetto che
l'organizzazione della nostra procura, pur essendo formata per
gruppi, per pool, non prevede uno specifico gruppo per
questa materia. E' tuttavia stato creato un apposito gruppo,
variamente denominato ma incentrato sui reati che hanno per
oggetto la violenza sui minori, sulle donne e in generale sui
soggetti deboli. A tale gruppo appartengono due colleghi che
mi hanno quest'oggi accompagnato. Questi si soffermeranno
sull'attività di tale gruppo. Roma, oltre alla caratteristica,
che ben comprendete, della dimensione della città capitale e
dell'essere ovviamente il centro di tutti i poteri statali, è,
dal punto di vista che
                        Pag. 3480
ora ci interessa, contemporaneamente transito, meta finale e
frontiera (almeno frontiera aerea). Non va sottovalutato il
fatto che Roma sia sede di transito, quanto meno per
l'entroterra. I circondari di Velletri e di Latina registrano
molti fenomeni criminali, più o meno marcati, ma certamente
anche marginali. E' certamente meta finale per gli ingressi di
tutti i lidi italiani ed è certamente frontiera aeroportuale
internazionale specialmente per l'introduzione della droga.
   A Roma, l'attenzione da parte della procura nei confronti
di casi di violazione della cosiddetta legge Martelli è stata
piuttosto sollecita ma ha dato scarsi risultati. Gli inizi
sono stati addirittura classici. Il primo processo, in cui ho
svolto il ruolo dell'accusa, ha riguardato un gruppo di
marocchini, accompagnato da un algerino che li presentava come
turisti; questi si spacciava come operatore turistico. Ma era
sufficiente vedere in fotografia i marocchini vestiti da
turisti per capire che si trattava sostanzialmente di
braccianti agricoli. Vi furono anche problemi procedurali,
perché fu uno dei primi casi in cui le sommarie informazioni
assunte sul predellino dell'aereo valsero in dibattimento, in
quanto i marocchini furono immediatamente rimpatriati.
   Roma sconta anche difficoltà interpretative - si tratta di
un giudizio personale - da parte del tribunale che, nelle
poche volte in cui si è trovato a trattare violazioni alla
legge Martelli, ha stentato a recepire quello strumento
farraginoso - scusate, ma io tale lo giudico - che è il comma
8 dell'articolo 3, nel quale sostanzialmente si delinea un
reato di favoreggiamento che, per la solita difficoltà
interpretativa e per quella dell'accusa di dimostrare,
favorisce la commissione di qualcosa che reato non è.
   A Roma vi sono poi fenomeni, alcuni conclusi, altri in via
di sviluppo, certamente gravidi di interesse. Ricorderete
tutti la Pantanella, uno dei rari casi di insediamento sul
territorio nel pieno del tessuto urbano di una grande
metropoli, una sorta di situazione controllata e tollerata
dalle forze di polizia in cui la criminalità si atteneva a
livelli veramente minimi (quasi da fantascienza) di
sopravvivenza, perché l'omicida era sempre a un passo dalla
rissa. Comunque, tutta questa vicenda è culminata nello
sgombero della Pantanella, che avvenne in modo del tutto
incruento; vi furono circa 200 o 300 ricorsi contro quelle
espulsioni, ma nessun fatto di sangue e solo 3, 4 o 5 denunce
contro poliziotti per maltrattamenti, riguardanti soprattutto
la fase in cui le persone ospiti della Pantanella furono
portate a Castro Pretorio per l'identificazione.
   Altro fenomeno tutto in fieri al quale accenno
soltanto è quello del completamento della costruzione della
moschea. Non sembri peregrino, ma è noto che in grandi città
come Parigi e Londra l'esistenza da tempo di un centro
culturale funge da placebo sociale per la gran parte di quei
flussi migratori che si riconoscono nella religione islamica e
che usano quel centro come punto d'aggregazione ma anche come
soluzione ordinata, ordinaria e lecita di numerosi problemi
che spesso non vengono risolti, donde il ricorso anche a
strutture illegali pur di risolverli.
   A Roma, ovviamente, vi sono tutti i flussi migratori, da
quello nordafricano a quello dall'est (diversificato tra
quello dal vicino est e quello dall'estremo oriente) a quello
dei cinesi e dei sudamericani. In proposito, è difficile
classificare e quantificare, anche perché non disponiamo di
una mappa completa. L'ufficio stranieri è stato trasformato
nella divisione stranieri per la pletoricità dei compiti e la
quantità di lavoro ad esso assegnato; il dirigente è sempre lo
stesso e credo che altrettanto valga anche per il personale
che vi presta servizio.
   Per trattare alcuni di questi argomenti solo a volo
d'uccello, desidero far presente che l'immigrazione cinese a
Roma ha avuto varie scansioni temporali, nel senso che si è
cominciato dall'aspetto softcore della presenza
criminosa dei cinesi, cioè dalla violazione della legge
Martelli attraverso falsi nei passaporti, nel flusso di
passaporti in uscita per via
                        Pag. 3481
postale ed in rientro con una nuova fotografia attaccata. Che
vi fosse un legame tra quello che ho definito un livello
morbido e la realtà ufficiale, ordinaria della presenza cinese
in Italia è dimostrato dal fatto che all'epoca, pur dopo molte
sofferte riflessioni, fu disposta la perquisizione di alcuni
locali di Italia-Cina, che è uno degli organi ufficiali
dell'amicizia italiana-cinopopolare in Italia. Per continuare
la metafora, il livello hardcore del fenomeno è stato
trattato dalla stampa che ha parlato di mafia cinese a Roma e
la vicenda è stata seguita da un collega che oggi non è
presente. Il forte legame con la realtà ordinaria e lecita dei
cinopopolari è dimostrato dal fatto che è stato arrestato -
non so attualmente in quale condizione si trovi - Zui Ping,
che è il capo riconosciuto della comunità cinopopolare in
Roma, per espressa dichiarazione, non come risultato di
indagini, perché quest'ultimo si è sostanziato in una misura
cautelare. Vi è, infine, un terzo modo di presentarsi del
fenomeno piuttosto isolato (di certo a me ne risulta uno
pervenuto al dibattimento): quello della corruttela della
questura. Fu un processo che fece un certo scalpore, ma il
fatto singolare era che in quel caso l'"intraneo"
all'amministrazione era ignoto, quindi i cinesi rispondevano
di corruzione in concorso con ignoto intraneo
all'amministrazione. In sostanza, la parte più succulenta era
sfuggita alle indagini.
   Molti, anche in questura, sono convinti che vi siano -
cerco di sintetizzare in mancanza di dati dettagliati - due
fasce fondamentali di ingressi clandestini: una diretta
comunque all'occupazione lecita, intendendo con tale
espressione il lavoro, che è comunque lecito al di là del modo
di ingresso; l'altra diretta ad occupazione del tutto
illecita. La prima è decisamente fuori del controllo della
polizia, che la tollera totalmente, può avere su di essa
qualche dato quantitativo e che è diretta - non
sottovalutatelo - anche all'entroterra laziale, come ho già
detto il velletrano, tutta la provincia di Latina o anche solo
l'entroterra romano, dove questa massa di clandestini viene
adibita all'agricoltura. Vi è poi una grandissima occupazione
illecita nei vasti campi della droga e della prostituzione. Vi
è inoltre una fascia intermedia tra questi due grandi filoni,
quella che crea problemi di ordine pubblico: le comunità anche
piccole (penso a quelle, pur operose, dello Sri Lanka e della
Polonia) creano però problemi di ordine pubblico che poi
sfociano nelle nostre aule come reati di rissa o di
ubriachezza o come episodi di intolleranza razziale ma
extraitaliana, ad esempio pakistani con egiziani, e via
dicendo.
   Per fare un passo indietro e tornare alla mafia cinese, il
dato per il momento (rispondo all'onorevole Violante che a
questo aveva prima accennato), stando a quanto mi è stato
riferito poiché, ripeto, non abbiamo un pool adibito
esclusivamente all'immigrazione clandestina, è che il fenomeno
sia cinese su cinese, nel senso che, come rilevavo in
precedenza, tale fenomeno di alta criminalità sia comunque non
disgiunto da quello della bassa criminalità. Normalmente
l'iter è quello di essere arruolati dalla cosiddetta mafia
cinese e quindi svolgere attività nel campo delle estorsioni o
del racketing; poi, via via, in seguito ad una sorta di
promozione, si può aprire il ristorante o l'esercizio
commerciale, ma si è sempre controllati sia economicamente sia
socialmente dalla parte più criminale dell'organizzazione.
   Quanto al problema dei controlli, sollevato da alcuni
colleghi, vorrei rilevare che forse a Roma il fenomeno è meno
marcato rispetto ad altre città, ma tutti abbiamo la certezza
che la gran parte degli ingressi avvenga o su strada (per cui
il controllo è quasi impossibile), ad esempio dai varchi di
Trieste; perfino la nostra prima indagine sui cinesi iniziò da
un arresto a Trieste. Tali ingressi su strada avvengono in
roulottes o camper; i colleghi vi diranno di casi
di prostitute fatte entrare clandestinamente e materialmente
coperte alla vista di un eventuale controllore. Vi sono poi
gli ingressi per mare: il flusso dai paesi arabi passa molto
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spesso dalle coste del sud ed anche in questo caso il
controllo è quasi impossibile. Sicuramente - vi ho già
accennato prima - vi è poi il fenomeno del riutilizzo dello
stesso documento cartaceo che esce dall'Italia per posta e
rientra con un'altra persona e con una fotografia più o meno
probabile. Vi sono dei controlli, alcuni vengono fermati alla
frontiera, ma i dati quantitativi che ci vengono forniti dalla
polizia di frontiera possono essere considerati alla stregua
della punta di un iceberg.
   In secondo luogo, mi è sembrato molto interessante - e ne
faremo certamente tesoro - ciò che ha detto il collega di
Brescia. La realtà romana non ha applicato assolutamente
questo criterio alquanto sconfortante, ed in proposito porto
un esempio: la famosa signora Maria, che era l'apparente
titolare di circa 200 esercizi come "La casa del dragone" ed
altri e di lavanderie a Roma, finalmente portata in giudizio e
condannata in primo grado ad una pena tutto sommato mite, non
ha avuto alcun trattamento particolare in sede tributaria.
Abbiamo inviato alla Guardia di finanza l'elenco dei 200
esercizi a suo nome, essendo evidente il sospetto che qualcosa
bisognasse fare, ma vi è stata grande freddezza da parte della
Guardia di finanza; forse in questo caso abbiamo scontato
anche il nostro non essere organizzati nei confronti del
fenomeno nel suo insieme. Questi in linea di massima i dati
che non siamo in condizioni di quantificare particolarmente.
   Quanto al lavoro del pool relativamente ai reati di
violenza, ne parleranno i colleghi qui presenti.
  DIANA DE MARTINO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Come ha già
accennato il collega, a Roma è stato recentemente costituito
un gruppo di lavoro che si occupa, tra le altre cose, anche
del traffico della prostituzione. In questa sede è già stato
detto moltissimo in proposito e quindi non ripeterò ciò che è
già stato sottolineato. Direi che la nostra esperienza è
sostanzialmente sovrapponibile a quella che ha ben illustrato
il collega di Bologna, nel senso che anche a Roma vi sono aree
di competenza: le nigeriane battono nella zona di Magliana, i
transessuali brasiliani a Roma nord, mentre nella zona
dell'Eur vi sono soprattutto polacche e comunque donne
provenienti dai paesi dell'est.
   Anche per la nostra esperienza lo sfruttamento è omogeneo,
nel senso che l'introduzione in Italia ed il vero e proprio
sfruttamento vengono compiuti da connazionali, ad eccezione
forse delle donne provenienti dai paesi dell'est che vengono
introdotte da connazionali ma poi, come qualcuno ha ricordato,
vengono cedute ad organizzazioni di nomadi di origine slava.
   A mio avviso, questo è il fenomeno più grave e
preoccupante, almeno stando alla nostra esperienza, perché,
mentre in Nigeria o in Brasile la prostituzione è estremamente
diffusa e vi è quindi una sorta di accettazione da parte delle
donne o dei transessuali che arrivano in Italia nei confronti
di questo tipo di lavoro, l'esperienza ci dice cose molto
diverse per le donne dei paesi dell'est, che di solito vengono
introdotte con la prospettiva di lavorare nei night come
ballerine o cameriere, nei bar o nei locali pubblici e poi
immediatamente, appena arrivano, vengono violentate da tutti i
componenti della banda di slavi, in modo da togliere loro ogni
remora d'ordine morale, e poi buttate per strada. Le modalità
sono violentissime, perché le donne durante il giorno vengono
segregate in carrozzoni, in una sorta di camper situati
nei campi nomadi e poi portate a battere. Viene imposto loro
un tetto di clienti che debbono assolutamente avere (qualcuna
parla di 50-60 rapporti sessuali a sera, per di più per
retribuzioni bassissime) e poi ritirate la sera. Ripeto che
questo è senz'altro l'aspetto più grave ed inquietante del
fenomeno.
   Come si può affrontare? Com'è stato già ricordato, le
indagini sono difficilissime ed è quanto mai esigua la
modalità operativa, posto che le intercettazioni telefoniche
non esistono, le infiltrazioni
                        Pag. 3483
sono impossibili da attuare e gli appostamenti quanto mai
difficoltosi perché le donne sono tenute nel campo nomadi.
Addirittura, in un processo di cui mi sono occupata è emerso
che esse erano sorvegliate da cani e che venivano alimentate
passando loro il cibo attraverso la porta del camper per
evitare che chiunque le vedesse. Quindi, l'unica modalità
operativa investigativa è quella delle dichiarazioni della
parte lesa. Gli agenti delle volanti, come intervento di
routine, intervengono nel momento dello sfruttamento
della prostituzione, quando la donna consegna i soldi allo
sfruttatore che, durante la serata, passa ciclicamente, oppure
nel momento in cui si vede che la donna è sorvegliata ed
operano l'arresto della persona, anche se naturalmente questi
non è il capo dell'organizzazione, ma solo uno degli emissari.
Una volta operato l'arresto, si porta in caserma la ragazza,
la quale in qualche circostanza non è terrorizzata al punto da
non voler rendere le dichiarazioni da cui abbiamo tratto
queste convinzioni.
   La difficoltà fondamentale è poi quella di dove collocare
le donne che hanno reso queste dichiarazioni. A Roma non vi
sono molte strutture disposte ad accoglierle e questo è un
problema centrale perché, non avendo la possibilità di
toglierle dal circuito della prostituzione, le ragazze
rimangono in qualche modo nel raggio d'azione
dell'organizzazione e quindi, se il loro sfruttatore è
detenuto, prima o poi arriva una lettera in carcere, di solito
una lettera d'amore di questa ragazza, in cui esplicitamente
si fa capire che il rapporto sentimentale presunto è ancora in
piedi, cosa che serve a vanificare le dichiarazioni rese. E'
vero che si può applicare l'articolo 512-bis e che
quindi si possono utilizzare le dichiarazioni prodotte, ma
regolarmente la ragazza non si trova più e questo produce
effetti devastanti dal punto di vista processuale unitamente a
questa sorta di ritrattazione epistolare. Quindi, un problema
fondamentale che desidero segnalare è quello di individuare la
possibilità di canali privilegiati per collocare le donne che
decidono di fare questa scelta.
   Ancora più difficile si presenta ovviamente la situazione
quando le donne, in qualche caso eccezionale, approfittando di
un momento di allentata sorveglianza, riescono a liberarsi e
quindi vengono a presentare la denuncia. La situazione -
dicevo - è ancora più difficile perché nella maggior parte dei
casi le donne non conoscono i nominativi dei loro seviziatori
(parlano di Tarzan, di Hrustic, di Alukic e così via); diventa
quindi difficilissimo emettere una misura cautelare ed è quasi
ridicolo pensare ad un incidente probatorio con notifica al
campo nomadi nei confronti di Tarzan.
   Per quanto riguarda il fotosegnalamento, desidero
innanzitutto rilevare che non vi è alcun collegamento con gli
istituti di pena, visto che le impronte prese da questi ultimi
non vengono mai trasmesse alla divisione centrale di polizia
scientifica. Ricordo che l'arrestato viene prima fotosegnalato
presso la locale questura. La questione avrebbe pertanto
un'importanza relativa, se non che a Roma, e credo anche in
qualsiasi altra città, vi è un archivio che ha una dimensione
regionale (quello che comprende Roma mi pare copra anche
l'Umbria) e le risposte provenienti da questo archivio
richiedono un tempo di attesa di due-cinque giorni. Ma quello
che è fondamentale è che l'archivio centrale, che si trova
presso la divisione centrale di polizia scientifica e
raccoglie i cartellini segnaletici di tutta l'Italia, ha
invece tempi di risposta molto più lunghi; inoltre - fatto
forse ancora più preoccupante - è che anche i tempi di
inserimento sono lunghi: la trasmissione dalle questure locali
all'archivio centrale è molto lenta. Tra l'altro, se i tempi
di risposta sono lunghi per la procura di Roma, posso
immaginare quali saranno per le procure decentrate.
   Infine, per quanto riguarda il segnalamento alla frontiera
attraverso la rilevazione dattiloscopica, si tratta certamente
di un fatto utile, però innanzitutto
                        Pag. 3484
si perde ovviamente tutta la grandissima tranche di
clandestini, che nessuno mai segnalerà. Inoltre, quando viene
arrestato il solito Amilovich, è certamente utile sapere
quando sia entrato in Italia e se abbia dato un altro nome,
perché questa è già un'indicazione, ma quello che per noi è
fondamentale è vedere se quella persona sia già stata
denunciata, se abbia già commesso reati sotto altri nomi.
Pertanto, quello che a mio avviso è fondamentale è
incrementare e velocizzare l'archivio della divisione
centrale.
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Mi resta, per la
verità, poco da aggiungere rispetto a quanto già detto dalla
collega.
   Traggo comunque un elemento di conforto dal confronto di
questa mattina, perché constato che tra la realtà di Roma e
quelle di Bologna e di Genova, soprattutto stando a quanto
hanno affermato i colleghi, vi sono molti tratti comuni.
   Per quanto riguarda quello che era il mio sconforto
iniziale, basato sul fatto che la nostra attività si fermava
sempre all'episodio singolo, vedo che anche altrove si
verifica la stessa cosa. L'elemento di conforto consiste
invece nel fatto che la tendenza, da parte di tutti, è quella
di cercare di capire quali siano i tratti comuni, i flussi ed
anche le persone che probabilmente capeggiano queste
organizzazioni. Infatti, più o meno tutti sospettiamo che il
fenomeno possa essere ricondotto, non dico alle stesse
persone, ma ad organizzazioni criminali.
   Debbo dire che a Roma, per quanto riguarda un'ipotesi
investigativa, non abbiamo trovato una risposta molto
confortante da parte delle forze dell'ordine: i nostri
contatti con la questura (abbiamo cominciato con loro)
tendevano proprio a sensibilizzare questa forza di polizia ad
intervenire sul territorio in maniera non così frazionata.
Dopo che la nostra procura si era dotata di uno strumento
agile (di un pool composto da tre persone), volevamo
avere nella questura un referente altrettanto agile, che
potesse darci questo tipo di risposta: innanzitutto,
predisporre una mappa della prostituzione a Roma. Ci siamo
accorti che i singoli commissariati si sono dotati di una loro
mappa, perché a Roma vi è una suddivisione del territorio
molto "fiscale".
  PRESIDENTE. E' quella cui accennava la dottoressa De
Martino?
  DIANA DE MARTINO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, esattamente.
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Sappiamo che gli
albanesi, che si distinguono nell'attività di sfruttamento
violento della prostituzione, hanno a Roma due strade
consolari di loro esclusiva pertinenza.
   Sappiamo inoltre che gli iugoslavi, o ex iugoslavi, si
muovono tra la via del Mare e la via Appia.
   Tutta questa serie di ripartizioni sul territorio sfugge
però ad un quadro complessivo e noi purtroppo non abbiamo
ricevuto una risposta neppure in termini concreti, di
strumenti, da parte delle forze di polizia, nonostante il
nostro input investigativo sia più volte arrivato. Ci
troviamo quindi di fronte al singolo processo, con le tre o
quattro ragazze la cui provenienza è sempre la stessa (le
ragazze sfruttate sono ex iugoslave, polacche, ungheresi,
cecoslovacche e, in misura minore, romene) che arrivano, come
si è detto, attraverso i varchi nord orientali (Austria, ex
Iugoslavia e Trieste, attraverso il confine con la Slovenia).
   I centri di smistamento sono sempre gli stessi (Milano e
Bologna), dove queste persone pervengono e da dove sono poi
cedute o inviate al grande mercato di Roma, in cui agiscono
determinati soggetti, in particolare gli albanesi, che
sembrano - come dicevo prima - i più efferati in questa
attività, che spesso determina la consumazione e la
contestazione di reati come quelli - lo rilevava già la
collega - di violenza carnale, sequestro di persona,
estorsione; in un
                        Pag. 3485
caso è stata contestata addirittura la riduzione in
schiavitù, proprio perché la limitazione delle libertà di
queste ragazze era tale da indurre la terza collega che fa
parte del pool, che oggi non è presente, a contestare
quel capo di imputazione. Il processo non si è ancora svolto e
vedremo in seguito quale sarà il vaglio processuale.
   La prostituzione porta quindi alla consumazione di molti
altri gravissimi reati; tra l'altro, notiamo che attualmente a
Roma anche gli zingari hanno cominciato a praticare questa
attività di sfruttamento e favoreggiamento della
prostituzione, che è abbastanza fuori dalla loro mentalità. A
me infatti è capitato il caso di un campo nomadi in cui
venivano tenute, con le modalità già descritte (quindi molto
restrittive e selvagge) sette o otto ragazze ex iugoslave, non
zingare.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
E' da qui che si è introdotta l'anomalia, perché sono partiti
da non zingare.
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, sfruttando non
zingare.
   Gli zingari praticavano altri tipi di attività, lecite o
criminose: a Roma li conosciamo come calderai e giostrai,
mentre ora si stanno inserendo anche loro su questo mercato,
perché esso è sicuramente fiorente. Tra l'altro, come rilevava
la collega, le prestazioni sessuali da parte di queste ragazze
sono pagate con somme modiche (quindi, esse hanno un mercato
anche in quanto la loro pretesa è molto bassa); però, vista
l'attività frenetica che esse svolgono, perché costrette,
attraverso doppi turni (dalle 14 alle 20 e dalle 22 alle 2 di
notte - questo non è un caso isolato perché cerco sempre di
individuare le linee generali -), alla fine della giornata
portano a casa tra le 500 e le 800 mila lire, che vengono
immediatamente versate nelle tasche del o degli sfruttatori, i
quali provvedono al loro mantenimento, il che significa dare
loro da mangiare e da vestire, anche con abbigliamento
ricercato, in virtù del tipo di lavoro che svolgono.
   Si tratta di ragazze molto giovani e quindi, anche in
considerazione di questo, oltre che per la controprestazione
che richiedono, hanno una clientela vasta; abbiamo tra l'altro
la buona abitudine di sentire queste ragazze nell'immediatezza
dei fatti, anche perché - come ha rilevato la collega - le
ritrattazioni sono molto frequenti. Per quello che può valere
sul piano processuale, le sentiamo immediatamente e
constatiamo che si tratta di ragazze completamente
disorientate, buttate per strada con una violenza ed una
crudeltà uniche.
   Non intendo drammatizzare il problema ma voglio soltanto
drammatizzare il fatto che vi è probabilmente una
sottovalutazione del fenomeno, perché la prostituzione fa un
po' ridere. Spesso la collega De Martino ed io abbiamo avuto
modo di dolerci con il procuratore perché i colleghi ci
chiamano "violentatori" e così via, forse perché verso questo
tipo di reati non vi è un'adeguata sensibilità. Naturalmente,
non rivendico all'attività che svolgo una particolare nobiltà,
ma voglio soltanto sottolineare l'atteggiamento delle forze di
polizia; in particolare, il nostro primo contatto é stato con
la settima sezione della squadra mobile, che ha una struttura
organizzata, trattandosi della vecchia buoncostume che adesso
si è riciclata e si occupa di gioco d'azzardo e di
prostituzione. Però la risposta del questore in prima persona
non è stata probabilmente così attenta a questo tipo di
fenomeno, che forse viene sottovalutato.
   Cosa c'è dietro la prostituzione? Consideriamo, per
esempio, i brasiliani, il fenomeno dei viados, dei
travestiti, dei transessuali, che penso abbia a Firenze una
grande rilevanza, così come la ha anche a Roma. Questi
soggetti portano gravissimi problemi di droga perché sono
persone che ne fanno uso e al loro interno ne spacciano.
   Rispondendo ad una domanda del presidente, devo rilevare
che in questo settore non vi è invece spazio per i cinesi,
                        Pag. 3486
o almeno non ne ho mai sentito parlare, sulla piazza di Roma,
per quanto riguarda in particolare lo sfruttamento.
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Non hanno tempo.
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. A sentire il
collega di Brescia, i cinesi hanno attività più lucrose a cui
dedicarsi, ma penso che sia anche difficile inserirsi nel
mercato della prostituzione di strada a Roma.
   Un'altra caratteristica consiste nel fatto che ormai a
Roma la prostituzione di strada viene effettuata da straniere,
mentre le italiane non sono più sulla strada ma operano in
strutture più coperte, che è quasi più difficile individuare:
i centri estetici, per esempio. Questi sono l'ultima novità
per quanto riguarda lo sfruttamento della prostituzione
italiana, che non si è ridotta ma si è soltanto "ricoverata",
è salita di livello e viene esercitata più o meno in case
chiuse, la cui forma più recente è - appunto - quella dei
centri estetici.
   Per quanto riguarda l'attività di polizia giudiziaria,
purtroppo il rapporto con le forze di polizia a Roma è
difficile, perché non abbiamo la possibilità di conoscere
tutti i singoli operatori, dal maresciallo della piccola
stazione al commissario. La nostra raccomandazione è quella di
non arrivare subito al risultato di servizio (questo confligge
con il loro interesse) ma di svolgere un'attività più vasta,
che porti a conseguire risultati maggiori proprio per
collegare quelli che sono sicuramente i fili di un'unica
matassa.
  PRESIDENTE. Vi sono casi di perquisizioni a sorpresa in
campi nomadi?
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Purtroppo
l'attività della polizia giudiziaria è sempre un po' legata al
fatto singolo. La polizia non va molto volentieri nei campi
nomadi; io, infatti, ho apprezzato un commissariato che a Roma
ha cominciato a schedare (anche se il termine può essere
brutto), a individuare le varie persone che si muovono
all'interno di un campo nomadi, perché effettivamente
l'attività di contrasto non è così efficace.
   Per quanto riguarda un'ultima considerazione, devo
rilevare che i processi sono anche dedicati (la nostra
attività non è solo investigativa ma ha anche una proiezione
successiva), dal momento che, come rilevava la collega, le
ritrattazioni sono all'ordine del giorno, anche perché,
qualora lo sfruttatore venga poi beneficiato in qualche modo e
torni in libertà, dispone di sistemi molto persuasivi per far
cambiare idea a chi inizialmente l'ha denunciato.
   Da un lato, quindi, avvertiamo la necessità di
approfondire tali processi e, dall'altro, di affrontarli nel
più breve tempo possibile. Lo strumento del giudizio immediato
riesce a volte a conciliare le due esigenze (se avessimo la
risposta più pronta sarebbe meglio), proprio perché il
trascorrere del tempo e soprattutto il ritorno in libertà, che
prima o poi avviene, di questi efferati sfruttatori nuoce al
giudizio stesso.
   Anche le prostitute, quindi anche le persone offese dal
reato, fanno spesso perdere le loro tracce, quindi non è solo
difficile inseguire...
  PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Majorano, dopo
l'interrogatorio la persona offesa se ne torna al campo
nomadi?
  NICOLA MAJORANO, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Roma. Come diceva la
collega, vi è una difficoltà nel trovare collocazioni diverse.
Questo è un grosso problema perché, anche se in quel momento
l'imputato è in galera, ci sono tutti i parenti che
intervengono sulla sventurata per farle cambiare idea. Nel
momento in cui l'imputato torna in libertà è difficilissimo
infliggergli una sanzione e fargliela espiare,
                        Pag. 3487
come del resto è difficile ottenere la presenza costante e
sicura delle persone offese.
  ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Crotone. Crotone è una piccola città e quindi
le dimensioni del fenomeno non sono così vaste come a Roma o a
Genova. La nostra esperienza riguarda soltanto due diverse
organizzazioni. La prima è un'organizzazione serba che, più o
meno con le modalità descritte dal collega che mi ha
preceduto, ha condotto alcune donne bulgare in Italia,
avviandole alla prostituzione a Crotone. La caratteristica di
questa organizzazione è l'uso costante della violenza; siamo
stati addirittura tentati di applicare la famosa norma sulla
riduzione in schiavitù e solo per timore che in tribunale
questa impostazione non potesse reggere, non l'abbiamo
applicata; ci siamo quindi limitati semplicemente a colpire,
ricorrendo all'articolo 416 del codice penale ed alle norme
concernenti lo sfruttamento della prostituzione, l'intera
organizzazione. Gli imputati sono ancora detenuti, è stato già
fissato il procedimento che quanto prima dovrà essere
celebrato. Anche per noi vi sono state difficoltà per
assicurare la presenza delle donne, parti offese, al
dibattimento siamo arrivati alla conclusione che forse, tutto
sommato, il ricorso all'incidente probatorio è l'unico
strumento per risolvere diversi problemi.
  PRESIDENTE. C'è stato il dibattimento?
  ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Crotone. No, ancora non c'è stato. La
stranezza di questa organizzazione è che di essa facevano
parte anche due donne, che insieme ai loro uomini reclutavano
con violenza ragazze bulgare che non erano nomadi, le
introducevano in Italia attraverso la frontiera di Farnetti
oppure attraverso il Tarvisio e le facevano arrivare a
Crotone. L'epicentro dell'organizzazione era in un campo
nomadi, da dove, nel tardo pomeriggio le ragazze venivano
dislocate in paesi diversi, precisamente a Catanzaro Lido, a
Catanzaro e a Copanello. La sera qualcuno provvedeva a
riprendere le donne ed a riportarle a Crotone, dove veniva
proseguita la gestione violenta, con l'uso di mezzi di
coercizione. Ho portato le copie delle misure cautelari e
dell'informativa, nell'ipotesi che potessero interessare i
nomi.
   L'altra organizzazione è completamente diversa: è
un'organizzazione internazionale con agenzie che fanno capo ad
italiani, inglesi e polacchi, che si è occupata e continua in
parte ad occuparsi in violazione della legge del 1986 ma anche
della legge Martelli, dell'avviamento al lavoro mediante la
preventiva stipula di due contratti di adesione. Il primo,
sottoscritto all'estero, è un modulo di adesione per lavoro
culturale e consiste in una serie di quiz, che vengono
proposti alla ragazza, formulati in modo convincente in
inglese ed in polacco: "Vorresti lavorare?", "Lasci la
campagna o la città?", "Quando vuoi iniziare?", "Per quanto
tempo?", "Mi puoi dare il nome, il cognome e l'indirizzo dei
tuoi genitori?", "Hai avuto malattie?", "Mi dai la data di
nascita?".
  PRESIDENTE. Sembra una cosa seria!
  ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Crotone. Sì, è abbastanza serio come
impostazione.
   L'altro è un vero e proprio contratto di adesione,
attraverso il quale il titolare di un bar, di un villaggio
turistico, di un negozio, di una discoteca, in cerca di
manodopera sottopagata, si obbliga a corrispondere all'agenzia
una certa somma, non appena il personale richiesto sarà
arrivato sul posto di lavoro. Più o meno suona come segue:
"Firmando questo contratto confermo che tratterò tutto il
personale fornitomi dall'agenzia Union Center con il rispetto
dovuto e che adirò ai termini di lavoro mostratimi. Confermo
di pagare la quota di registrazione iniziale in lire 50 mila
più IVA, valida per l'anno 1991, 1992, 1993 e così via". La
                        Pag. 3488
quota di agenzia per ogni persona era di lire 350 mila.
L'agenzia Union Center, è risultata collegata al Christopher
Fuller, del quale ha parlato il collega, e che è il titolare
del Centro culturale universale - questa è la denominazione -
che si è occupato dell'immigrazione, non solo di cittadine
extracomunitarie non di colore, ma a volte anche di cittadine
provenienti da paesi facenti parte della Comunità. L'ingresso
avviene mediante l'esibizione del passaporto turistico; dopo
di che, poiché sono già stati stipulati i contratti di
adesione, esse vengono portate con pullman da turismo in Cirò
Marina e di qui dislocate in Calabria ed in Sicilia. Questa
organizzazione è stata in grado di smistare almeno 1000
ragazze, quasi tutte studentesse, in Calabria ed in Sicilia;
quando siamo intervenuti c'erano in Cirò 200 ragazze, alle
quali venivano tenuti corsi di lingua inglese da parte di una
signora polacca inviata dal Centro culturale universale.
Ciascuna ragazza corrispondeva per entrare in Italia una somma
che oscillava dai 100 ai 200 dollari; il datore di lavoro, la
somma di lire 350 mila; l'orario lavorativo oscillava dalle
otto alle dieci ore giornaliere per una retribuzione di circa
100 mila lire alla settimana. Era quindi un discorso
abbastanza conveniente per il datore di lavoro, il quale aveva
la possibilità, con una somma minima, di avere una dipendente
per sette giorni, laddove invece il compenso ordinario sarebbe
stato di 100 mila lire per un solo giorno. Anche contro questa
organizzazione sono state emesse misure cautelari, ed il
processo...
  PRESIDENTE. Con quale imputazione?
  ELIO COSTA, Procuratore della Repubblica presso il
tribunale di Crotone. Associazione a delinquere, violazione
della legge del 1986 e della legge Martelli, e più
specificamente dell'articolo 3 di tale legge che, con tutte le
difficoltà interpretative, ci è sembrato l'unico strumento per
colpire situazioni simili, anche se forse non era questa
l'idea del ministro Martelli nel momento in cui ha voluto a
tutti i costi quella determinata norma. Proprio ieri,
discutendo con i sostituti del mio ufficio, siamo arrivati a
conclusioni piuttosto pessimistiche: ci è parso di cogliere
una certa demagogia nel modo con cui finora è stato affrontato
il problema degli immigrati in Italia. Perlomeno a Crotone
abbiamo vissuto il rapporto con gli immigrati in modo non
esaltante: una parte era sfruttata da un'organizzazione
straniera, l'altra è stata invece sfruttata costantemente da
organizzazioni italiane. Probabilmente bisogna rivedere la
posizione italiana in relazione all'intero problema.
  PRESIDENTE. Qualcuno vuole aggiungere qualche
osservazione?
  ANTONIO ANGELO CHIAPPANI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Brescia. Visto che ci
troviamo in sede di Commissione antimafia vorrei sapere se
qualcuno è in grado di specificare i rapporti - se vi sono -
anche di conflitto con le organizzazioni tradizionali
italiane.
  PRESIDENTE. Ci sono indici di conflitto o di
cooperazione? Credo che l'indice dovrebbe in realtà venire
dalla Campania, dove c'è un raccordo tra camorra...
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Mi stupisce molto che non siano presenti magistrati della
Sicilia, della Campania e della Calabria, perché credo che
anche in quelle zone si siano verificati quei fatti. In
particolare in Campania ci sono Villa Literno, Caserta...
   Per quanto riguarda Milano, vorrei sapere se si sia a
conoscenza di un traffico di peruviane, del quale mi è giunta
notizia da parte di religiosi che si sono occupati di costoro,
nonché del fatto che, con un meccanismo abbastanza simile alle
rimesse ai sikh di cui alle indagini svolte in Calabria, vi
sarebbero state addirittura rimesse a Sendero luminoso.
                        Pag. 3489
  LICIA SCAGLIARINI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. Nel mio primo
intervento ho omesso di parlare di tutto il vasto campo della
prostituzione e debbo dire, al termine degli interventi dei
colleghi, che i processi anche di grande rilevanza che si sono
svolti presso il tribunale di Milano hanno ripercorso passo
passo tutte le descrizioni modali sentite dai colleghi; direi
quindi che i meccanismi di analogia sono assolutamente veri.
   Per quanto riguarda le peruviane, debbo dire di aver
anch'io orecchiato voci confidenziali; inoltre sono già stati
eseguiti numerosi arresti nel periodo immediatamente
precedente l'estate da parte di almeno due colleghi della
procura, nei confronti di soggetti uruguaiani che adescavano,
violentavano, introducevano in Italia e ponevano in commercio
loro connazionali. Si trattava di un vastissimo traffico
poiché la prima retata è stata di ben 17 persone a livello di
organizzatori; un'altra retata è stata di sei e poi di otto
persone. Questo per dare la dimensione dei "reggitori" e
quindi delle persone gestite con modalità di assoluta
brutalità, con episodi punitivi che hanno visto anche colpi di
arma da fuoco; si sono anche inseriti sia episodi omicidiari e
di tentato omicidio sia di scontro fra bande rivali, o
perlomeno tra antichi complici poi diventati rivali per
maggior lucro una volta giunti in Italia, sia episodi punitivi
nei confronti dei ribelli.
   Per quanto riguarda le nigeriane, ho trattato anch'io
episodi di lesioni fatte ai danni di queste donne proprio
perché non si "ammorbidivano"; tuttavia, direi che il dato
saliente nel milanese è rappresentato proprio dalla tratta
delle uruguaiane, con caratteristiche di vera e propria tratta
e con episodi di sangue estremamente violenti. Non ho idea se
si sia già andati al dibattimento penale; tuttavia sono sicura
che vi è già stato il rinvio a giudizio e credo che fra poco
vi sarà anche la celebrazione del vero e proprio processo
penale.
   Un altro caso del quale mi sono occupata personalmente è
l'introduzione di brasiliane tramite i caratteristici riti
voodoo, che servono a tenere ancora più sottomesse
quelle povere donne; una di esse si è gettata dal terzo piano
perché terrorizzata dalla prospettiva che alle sei del mattino
dopo sarebbe arrivato lo stregone a farle il rito di magia
nera, mentre la poverina sapeva fare solo la magia bianca e
quindi non avrebbe potuto efficacemente opporsi.
   Effettivamente c'è un meccanismo subculturale che aiuta
chi usa la forza a tenere praticamente sottomesse queste
persone, anche usufruendo di altri meccanismi coercitivi e
persuasivi.
   Vorrei, sia pure brevemente, parlare ora della riduzione
in schiavitù dei minori di nazionalità straniera. La famiglia
dei Hrustic è a noi nota grazie ai tanti processi a carico di
componenti di questa famiglia in Corte d'assise per riduzione
in schiavitù e nel corso del 1993 ulteriori fermi sono stati
eseguiti, in quanto sono stati rintracciati in campi nomadi
alla periferia di Roma componenti della famiglia Hrustic. E'
un dato assolutamente pacifico che si tratta di persone
specializzate nella tratta dei bambini zingari con i corollari
che sempre si incontrano in questi casi: li rendono ciechi,
storpi in maniera da poter raggiungere migliori risultati nel
campo delle elemosine. Io stessa ho incaricato diversi
consulenti di accertare la datazione delle lesioni che si
riscontravano sui corpicini di questi bambini proprio per
attestare la cronologia delle lesioni (ipotesi di
maltrattamenti aggravati di tutti i tipi) fin dalle epoche più
risalenti dell'infanzia e poi sempre continuate. In questi
casi non abbiamo avuto soverchie difficoltà nel rubricare la
riduzione in schiavitù, anche perché l'intervento effettuato
efficacemente dall'ufficio stranieri, spesso trasferitosi
anche a Roma per inseguire i nomadi nei loro spostamenti, ha
consentito di cogliere sul fatto le condizioni brutali di vita
in questi campi. E' ovvio che il riscontro diretto,
fotografico o comunque a livello di sopralluogo, il cogliere
questi bambini con segni di lesioni recentissime, ancora
scoperte, indubbiamente corrobora la dichiarazione
                        Pag. 3490
 del bambino stesso che, opportunamente distolto da
quell'ambiente con grande fatica, si apre con gli operatori e
comincia a riferire tutto ciò che ha dovuto subire
dall'infanzia. A tutto ciò si associa il discorso necessario
sull'incremento e sul miglioramento dei centri di accoglienza
sia per donne sia per minori. Una piccola notazione che sento
di dover fare è che spesse volte gli uni non possono andare
dove sono le altre; cioè, i centri di accoglienza per le
giovani donne sono vietati ai minori e viceversa. In questo
modo spesso si finisce per interrompere il rapporto
madre-figlio, zia-nipote, che comunque consente di conservare
quel minimo di famiglia. Sarebbe opportuno, quindi,
individuare forme di accoglienza, di assistenza che consentano
di tenere aggregati quelli che possono rimanere tali.
Pertanto, il capofamiglia o il torturatore dovrà essere
debitamente assicurato alle patrie galere, mentre gli altri
dovrebbero avere l'opportunità di riaggregarsi, di ritrovarsi,
per ricreare un piccolo centro di vita comune. Sono
assolutamente d'accordo nel sostenere che bisogna giungere al
processo con le parti lese presenti. Si tratta di un discorso
non soltanto processuale ma che va a favore delle parti lese,
in quanto ne traggono beneficio. E' come lasciare il lavoro a
metà dell'opera se non si giunge al processo con le parti lese
che devono avere la possibilità di vedere giudicati e
condannati gli autori delle violenze. Tutto ciò vale nei
processi di violenza carnale, ma vale tanto di più in
occasione di processi in cui si giudica su traumi riportati da
minori, abituati ad un certo tipo di trattamento fin
dall'infanzia. Questi minori devono poter constatare che è
possibile un rovesciamento della situazione che vivono e che
il tutto può tradursi in un momento di crescita per loro. In
occasione di processi in cui è stata presente la parte lesa a
distanza di tempo incontrando per caso in strada il minore
quest'ultimo ha dimostrato la propria riconoscenza con un
abbraccio. Quindi, scene incredibili di rinascita, di nuova
crescita, di rieducazione morale.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Vorrei chiedere molte cose e spero di averne l'occasione in
futuro. Gradirei sapere se, nelle vostre indagini, vi siete
mai imbattuti in traffici di armi.
  MARIO CONTE, Sostituto procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Bergamo. Nel mio intervento ho
riferito che la situazione politica venutasi a creare nella ex
Iugoslavia lasciava presupporre che effettivamente da quei
paesi potessero giungere armi sul nostro territorio. Sotto
questo profilo abbiamo predisposto indagini ed accertamenti
per verificare quella che per ora prudenzialmente possiamo
definire una ipotesi di lavoro.
  PAOLO GIOVAGNOLI, Sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Bologna. Nel mio
intervento non ho fatto riferimento al traffico di armi in
quanto somigliante di più ad un altro tipo di reato, commesso
da stranieri, quale quello del traffico di droga non collegato
all'immigrazione. Per esperienza possiamo dire che vi sono
stranieri che portano armi così come portano la droga per poi
andar via dal nostro paese dopo aver riscosso quanto a loro
dovuto.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Ascoltando i diversi interventi mi sono convinta della
necessità di organizzarci in modo generale ma soprattutto in
maniera specifica. Mi riferisco soprattutto alla tutela da
riservare alle persone che collaborano. In ordine
all'intervento svolto dalla dottoressa De Martino sarà
opportuno svolgere una riflessione circa i luoghi dove inviare
le persone da tutelare che devono essere protette in tutti i
modi.
   Evidentemente le persone alle quali mi riferisco non hanno
alcuna analogia con in pentiti, dal momento che costoro tutto
possono fare fuorché pentirsi. Volevo riferirmi ad un
eventuale trattamento premiale, incentivante traendo il danaro
necessario da eventuali provvedimenti di sequestri di beni
(evidentemente
                        Pag. 3491
si tratta di una ipotesi di legislazione futura) di proprietà
di organizzazioni clandestine.
   L'aspetto giudiziario dell'emigrazione non è che una delle
facce del complesso problema del quale per la prima volta mi
sono occupata scontrandomi, in verità, con moltissime
difficoltà, intanto perché nessuno nel nostro paese ha mai
affrontato il problema nella sua totalità continuando ciascuno
ad andare nella propria strada: la polizia applicando misure
repressive, gli organi preposti al lavoro esaminando quanti
immigrati far entrare nel paese, la giustizia perseguendo i
trasgressori, eccetera. Viceversa, il problema è assolutamente
complesso e con moltissime facce. La speranza, di un povero
ministro che ha il coordinamento per gli affari sociali, è
quella di una maggiore incisività e concretezza.
   Dalla seduta di oggi è emerso che i reati commessi dai
soggetti dei quali ci siamo occupati sono il lavoro nero,
l'estorsione, lo sfruttamento della prostituzione, il traffico
di droga e, come avevo sempre immaginato, la riduzione in
schiavitù, che peraltro aleggia su tutte queste fattispecie di
reati.
   Per concludere, vorrei ribadire quanto affermato in
svariate occasioni ufficiali e precisamente che le istituzioni
hanno il dovere di correggere il modo in cui viene presentato
al paese il problema dell'immigrazione. Dobbiamo presentare
gli immigrati più come oggetti di reato che non come soggetti
di reato. Anche se vi sono stranieri, come è stato
sottolineato, che trafficano, non sono costoro ai quali ci si
riferisce quando si parla di immigrati (gli immigrati, il "vu
cumprà", il clandestino, l'irregolare), che viceversa vengono
presentati come coloro che commettono i reati. Ritengo sia
doveroso sottolineare all'attenzione della gente che queste
persone prima di tutto rappresentano le vittime dei reati.
   In ordine al modo in cui queste persone entrano in Italia
si potrebbero ipotizzare due metodi: il primo tramite treno e
quindi da paese precapitalistico, il secondo tramite aereo da
paese postcapitalistico. Ritengo si tratti di un fenomeno
assolutamente interessante al quale fino ad ora si è prestata
scarsa attenzione.
   Sono soddisfatta di aver individuato nella relazione che
presenterò al Presidente del Consiglio alcuni rimedi che fin
d'ora è possibile applicare senza ricorrere ad una nuova
legislazione. Nella relazione di cui sopra si parla del visto
turistico che deve essere reintrodotto stabilendo un tetto;
del controllo rigoroso nel rilascio dei visti di ingresso per
turismo esaminando con il massimo rigore le richieste
presentate da persone di età inferiore ai trent'anni che non
siano in grado di documentare e provare il movente dichiarato
della visita in Italia; delle riduzioni, fino alla abolizione,
dei visti collettivi ed ogni intermediazione da parte delle
agenzie di viaggio; di un minuziosissimo controllo degli
ingressi che avvengono con pullman ed autobus; della
limitazione del visto ad un massimo di quindici giorni.
Inoltre, si può esaminare la possibile esclusione del visto
turistico per le nazioni di emigrazione verso l'Italia,
prevedendo il visto tessera non falsificabile, in ordine al
quale ho ricevuto un pregevole apporto da parte della Guardia
di finanza.
   E' mia intenzione riassumere il risultato di quegli
incontri in una relazione conclusiva che, se anche non potrà
sfociare in una proposta legislativa, è tuttavia doveroso
presentare al Presidente del Consiglio. Chiedo al presidente
della Commissione, se possibile, di utilizzare anche i lavori
di oggi per arricchire il materiale che rassegnerò a chi di
dovere. Per concludere, ringrazio gli intervenuti.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda quest'ultima richiesta,
la Commissione è assolutamente disponibile a fornire al
ministro il resoconto stenografico della seduta odierna, che
sarà disponibile in un paio di giorni.
   Per quanto riguarda più specificamente le competenze della
Commissione antimafia, emerge una mancanza di coordinamento in
chi si occupa dell'attività repressiva ed una sottovalutazione
complessiva
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 del problema sia dal punto di vista, giustamente
sottolineato dal ministro, della tutela delle persone,
minorenni o maggiorenni che siano, sia dal punto di vista
dell'analisi della crescente organizzazione che si va
insediando sul territorio, anche grazie agli utili che rende
questo tipo di attività.
   Per quello che ci riguarda, credo che sia doveroso
segnalare al ministro dell'interno l'opportunità che le
questure destinino maggiori risorse nella direzione indicata;
al Consiglio superiore della magistratura l'opportunità di
dedicare una sessione dei propri lavori a questo tema, in modo
che sia possibile individuare una sede propria e programmata
in cui far confluire le vostre esigenze.
   Alcune tra le questioni più specifiche sono già stata
sottolineate dal ministro, tra le quali ricordo quella della
identificazione, che rappresenta un problema di fondo sul
quale decidere, dopo averlo estrapolato dal complesso della
problematica.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Il ministro dell'interno potrebbe intervenire in esecuzione
degli accordi di Schengen.
  PRESIDENTE. In realtà il blocco non è pragmatico, ma
riguarda l'ipocrisia di fondo che grava su tale questione, per
cui non si capisce bene se la regola è che dobbiamo tenerli o
cacciarli. Se decidiamo qual è il principio, naturalmente
dovrà essere di carattere politico e quello che verrà fuori
sarà in coerenza. Lasciare volta per volta alla magistratura
il compito di decidere quale debba essere l'asse politico
ideale, credo sia sbagliato. D'altra parte la mancanza di
questo chiaro indirizzo credo si traduca anche in una
sottovalutazione che, a mio giudizio, non dipende da una
scelta programmata, bensì dal fatto che non è chiaro a nessuno
quale sia l'indirizzo di fondo. Ecco il motivo per il quale si
cerca di non affrontare di petto il problema, in quanto in
questo modo si rischierebbe di esporsi a scontri con vari
organismi.
   Per quanto riguarda la Commissione, credo sia utile
operare nelle due direzioni cui prima facevo riferimento:
Ministero dell'interno, Consiglio superiore della
magistratura. Se lo ritenete opportuno potremo inviare al
Consiglio superiore della magistratura il resoconto
stenografico della seduta odierna, permettendo così a chi si
occupa della questione (credo sia Fassone) di acquisire il
quadro dei rilievi oggi mossi, in modo che si possa avviare
una sinergia.
  FERNANDA CONTRI, Ministro per gli affari sociali.
Ringrazio l'onorevole Violante che presiede l'unica
istituzione che ha dato ascolto alle mie grida disperate;
speriamo che da oggi vi sia un ascolto maggiore su questi
temi.
  PRESIDENTE. Sono io che ringrazio il ministro Contri per
la sua cortesia e disponibilità.
La seduta termina alle 13,40.

 


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