Violante: seduta 77
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      PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Comunicazioni del Presidente:
Violante Luciano, Presidente .............. 3219, 3228, 3229
Boso Erminio Enzo ..................................... 3229
Buttitta Antonino ..................................... 3229
Cappuzzo Umberto ...................................... 3228
D'Amato Carlo ......................................... 3229
Florino Michele ....................................... 3228
Ranieri Umberto ....................................... 3228
Tripodi Girolamo ...................................... 3229
Seguito della discussione della relazione sulla
camorra:
Violante Luciano, Presidente,
Relatore ................ 3219, 3231, 3233, 3234, 3235, 3237
        3238, 3239, 3240, 3241, 3243, 3244, 3245, 3247, 3248
        3249, 3250, 3251, 3252, 3253, 3255, 3257, 3260, 3262
Buttitta Antonino ......................... 3244, 3245, 3246
                                            3247, 3248, 3253
Cabras Paolo .................................... 3219, 3241
Cappuzzo Umberto .......................... 3134, 3235, 3248
                                            3249, 3250, 3251
D'Amato Carlo ................. 3226, 3234, 3235, 3236, 3240
              3244, 3252, 3253, 3255, 3257, 3258, 3259, 3260
               Ferrara Salute Giovanni3246, 3252, 3259, 3260
Florino Michele ..................... 3224, 3233, 3234, 3235
                                      3236, 3237, 3240, 3247
Imposimato Ferdinando ............... 3238, 3239, 3240, 3241
                                3242, 3257, 3258, 3259, 3260
Matteoli Altero ....................................... 3219
Ranieri Umberto ........................... 3229, 3231, 3257
Sorice Vincenzo ........................... 3223, 3224, 3226
Tripodi Girolamo ...................................... 3253
Sui lavori della Commissione:
Violante Luciano, Presidente .................... 3238, 3262
Ferrara Salute Giovanni ............................... 3262
Pagina  3218
Pagina  3219
La seduta comincia alle 9,40.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
              Comunicazioni del Presidente.
  PRESIDENTE. Il Presidente della Camera e quello del
Senato verranno oggi pomeriggio per visionare il sistema di
informatizzazione degli atti della Commissione; la nostra è
infatti la prima ad aver adottato questo sistema, che consente
un'immediata consultazione della documentazione.
Seguito della discussione della relazione sulla
                         camorra.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della
discussione della relazione sulla camorra.
   Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteoli. Ne ha facoltà.
  ALTERO MATTEOLI. La relazione predisposta rappresenta
sicuramente un passo avanti rispetto al silenzio del
Parlamento per tanti anni di fronte alla criminalità
organizzata. Abbiamo detto questo anche quando si è trattato
della relazione mafia-politica, ma questa volta devo dire che
la relazione sulla camorra ha degli aspetti di verità molto
più pregnanti di quelli che il mio gruppo aveva potuto
verificare nella relazione mafia-politica.
   Alcune parti sono state volutamente dimenticate
soprattutto nei rapporti politici che si sono istaurati alla
fine degli anni settanta, in Campania e in particolare a
Napoli. Cercherò di spiegare quello che intendo. Il massacro
della Campania in generale e di Napoli in particolare, la
politica, l'economia, la morale, persino la Chiesa: tutto è in
discussione, tutto ruota intorno alla camorra. Ecco allora una
prima domanda: che democrazia ci può essere in una città
ridotta così? Che tipo di democrazia ci può essere in una
città e in una regione dove tutto ruota intorno alla
criminalità organizzata? Il degrado di quella zona è dato
anche dall'impossibilità, da parte delle persone per bene che
ci vivono, e sono tante, di essere libere, di poter scegliere,
di potersi muovere.
   Nel caso Cirillo è lo stesso sistema ad essere messo sotto
processo. I sindaci di Napoli sono appartenuti a quasi tutti i
partiti politici: sono stati democristiani, socialisti,
comunisti, laici...
  PAOLO CABRAS. Anche della destra!
  ALTERO MATTEOLI. Sì, anche della destra, ma era più
lontano nel tempo. Del resto, ho parlato di tutti i partiti
politici. Anche i monarchici hanno governato Napoli per tanti
anni; non vi è un partito che non abbia avuto un proprio
esponente sindaco di Napoli. Quanto è stata pilotata
l'ingovernabilità della città e dei comuni? Nella relazione ho
trovato spesso una contraddizione: l'ingovernabilità presa a
scusante dell'inoperosità, mentre io ritengo che essa sia
voluta, al fine di far "passare dalla maglia" tutte le
operazioni camorristiche possibili e immaginabili. Quanto è
servita l'ingovernabilità per favorire il passaggio della
criminalità organizzata? A queste domande dobbiamo dare una
Pagina  3220
risposta. Non si può operare perché c'è instabilità politica
oppure si crea instabilità politico-amministrativa per poter
fare accordi con il mondo criminale? Ho trovato nella
relazione alcuni passaggi che rispondevano nel primo senso ed
altri nel secondo.
   Nessuno conosce il reale deficit di Napoli. La situazione
è simile soltanto a quella di Palermo: il sindaco Orlando,
appena eletto, già parla di sciogliere il consiglio comunale
per dissesto economico. Quindi se tutto questo è vero, in
Campania e a Napoli in particolare, tutto è camorra, lo Stato
è camorra. Questa è la risposta, perché nulla è casuale. Non
ci sono colpevoli? Sono tutti colpevoli dello sfascio -
politici, magistrati, amministratori, uomini dello Stato -,
perché Napoli, la Campania, lo Stato è camorra. Ci sono 18
consiglieri comunali inquisiti: 14 si sono dimessi e a loro
sono subentrati i primi tra i non eletti. Gli elettori hanno
votato per un consiglio e se ne sono trovati un altro, perché
i subentranti non avevano ottenuto la fiducia degli elettori
o, comunque, ne avevano ottenuta meno. Anche qui, la
governabilità, la democrazia, la volontà popolare, tutto "va
alle ortiche". Infatti, se siamo costretti, per non dover
sciogliere il consiglio comunale, a far dimettere gli
inquisiti e a far subentrare i primi non eletti, la volontà
popolare non è rispettata.
   Il 21 novembre scorso la città ha votato per il
cambiamento; certo, ha votato anche emotivamente. Ma cosa si
presenta al nuovo sindaco, sia che vinca l'esponente di destra
o quello di sinistra? Lo Stato dov'è? Qui ritorna sempre il
vecchio discorso: se non riusciamo a rendere lo Stato
efficiente, uno Stato che protegga, chiunque vinca non potrà
comunque rispettare questa esigenza di rinnovamento che la
città di Napoli ha chiesto con il voto. Attenzione, poi, che
attraverso le "ammucchiate" si torna al consociativismo, che
tanto danno ha provocato in Italia e soprattutto in Campania.
   Dunque, se non è vero che la camorra ha assicurato la
stabilità politica per far procedere le grandi operazioni
economiche, essa ha bisogno di instabilità per operare, a
nostro avviso, e quindi nella relazione c'è questa
contraddizione. Nella relazione è scritto che la regione
campana ha avuto 19 giunte in 23 anni; anche qui vi è una
risposta precisa a quanto accade in questa città. Non è
possibile avere un Governo che duri mediamente poco più di un
anno: ripeto, l'ingovernabilità quanto è pilotata? Non mi pare
che dalla relazione ciò appaia chiaro. All'inizio della
relazione si parla dell'instabilità politico-amministrativa
degli enti locali e così via; nella parte conclusiva, quando
si riprende questo aspetto, si mette in bocca agli
amministratori che sono stati ascoltati l'impossibilità di
operare a causa dell'ingovernabilità: sarebbe necessario un
chiarimento a questo proposito nella relazione, perché
certamente la camorra è pervasiva, certamente è presente in
ogni angolo, però è diversa dalla mafia. La camorra non ha
ucciso un politico come Lima, come Mattarella o come Reina,
perché l'organicità del sistema politico con la camorra è
ancora più pregnante rispetto a quello della mafia: non vi è
stata alcuna opposizione. In Sicilia - l'abbiamo ripetuto
spesso - i politici collusi con la mafia sono tanti; abbiamo
visto molti nomi di parlamentari, di consiglieri comunali,
provinciali e regionali. Però una linea di demarcazione è
sempre esistita tra la mafia e i politici: quest'ultima ha
operato, i politici hanno operato, hanno concluso accordi, ma
con una linea di demarcazione precisa. In Campania no: spesso
camorristi e politici sono le stesse persone.
   Voglio fare un'affermazione forte, per far capire cosa
intendo dire: Riina non è mai diventato sindaco di un comune
della Sicilia, mentre in Campania camorristi e omicidi hanno
rivestito questa carica. Quindi, la camorra governa il
disordine sociale, così è scritto nella relazione. Sì, ma non
saremmo capiti se non aggiungessimo che la camorra governa
tutto: la politica, gli appalti, la sanità, l'urbanistica.
Napoli si è unita ai comuni vicini grazie all'aggressione
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urbanistica; non esiste più un confine, hanno costruito così
perché così voleva la camorra. Mi ha fatto piacere che nella
relazione presentata dall'onorevole Violante si sia richiamata
quella del senatore Saredo dell'inizio del secolo; io ho
ritenuto di allegarla addirittura alla mia relazione di
minoranza perché, leggendo quelle pagine, ci si rende conto
che dopo cento anni non è cambiato praticamente niente da un
punto di vista politico-amministrativo; la camorra è diventata
più feroce, se vogliamo, c'è più sangue, ma non è cambiato
nulla.
   La liberazione dalla camorra esige una radicale azione
sociale: siamo d'accordo con questa parte della relazione, ma
ho dei dubbi che intendo esternare. L'azione di contrasto
dello Stato nei confronti della criminalità resta il punto
determinante, altrimenti dare lavoro in Campania e fornire
servizi sociali in questo caso significa investire denaro che
la camorra è pronta ad intercettare ancora. Certo che occorre
lavoro in Campania, certo che occorrono servizi sociali, ma
attenzione: se non vi è prima l'azione di contrasto finiamo
per portare linfa vitale alla camorra; sono terrorizzato. I
517 miliardi stanziati dallo Stato per costruire a Nusco il
nuovo stabilimento della Piaggio stimoleranno l'appetito della
camorra; se lo Stato non darà vita prima ad una forte azione
di contrasto, la criminalità non potrà essere sconfitta.
   Abbiamo saputo, da pentiti e da non pentiti, cosa hanno
rappresentato le carceri per la criminalità organizzata; anche
in questo caso la camorra supera la mafia: le carceri non
costituiscono più un luogo di pena ma sono diventate un
salotto dove si incontrano camorristi, politici, servizi
segreti; nelle carceri si attuano vendette, condanne a morte.
E' accaduto di tutto. Nessun'altra regione d'Italia ha 19
magistrati inquisiti a vari livelli, nemmeno la Sicilia o la
Puglia; si tratta di un dato peculiare della Campania: 8
politici di vertice, centinaia di politici con incarichi
locali, ma il dato più inquietante è rappresentato dai 19
magistrati inquisiti e dal livello in cui alcuni sono
inquisiti. Spesso - e ciò è scritto nella relazione - sotto la
liceità formale si nascondono gravi irregolarità sostanziali.
In Campania si sono scritte le pagine più vergognose della
magistratura, non ci sono dubbi.
   Per tornare un attimo al caso Cirillo, vorrei tentare di
ricostruire quegli anni, sia pure sinteticamente, anche per
quanto riguarda i rapporti intercorsi tra la democrazia
cristiana e il partito comunista in Campania. Il Parlamento
proprio in quegli anni presentava parallelamente il primo
progetto di legge sul pentitismo relativo al terrorismo; il
caso Cirillo scoppia nel momento in cui le più alte cariche
dello Stato ruotano intorno ad una massima: con il terrorismo
non si tratta. Era stata la vicenda Moro a far effettuare tale
scelta ai massimi vertici dello Stato. Sono gli anni in cui
Camera e Senato si occupano di stendere il primo provvedimento
sui pentiti; in quei giorni, un articolo di Leonardo Sciascia
definisce questa legge un "misfatto giuridico" e un "attentato
alla Costituzione". Il Parlamento, con il voto contrario
soltanto dei radicali e dei missini, approvò in quel momento
una normativa che io definisco ancora mostruosa, che portò
pluriomicidi fuori dal carcere. Tutto quello che è accaduto
altro non è che la conseguenza di ciò che fu partorito a Roma:
il marcio quindi resta tutto sommato qui. Terrorismo, mafia,
camorra, non sono fatti estranei al palazzo, è il palazzo che
li genera, è il palazzo che li alimenta e finché non si
cambiano le regole e non si rigenera il palazzo, si rischia
che la mafia e la camorra continuino a vivere.
   Ma a Napoli si è scritta in quegli anni anche un'altra
pagina che vale la pena di ricordare, che vede protagonisti i
due più grandi partiti italiani, cioè democrazia cristiana e
partito comunista. Alla fine degli anni settanta la stampa
nazionale cominciò a dipingere il senatore Gava come il
padrino, il padrone, il capo clan, tant'è vero che nel 1978,
mentre il partito comunista si accingeva a dare il voto nel
Governo di solidarietà nazionale ad Andreotti, pretese che il
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senatore Gava non entrasse a farne parte, altrimenti non
avrebbe dato il suo appoggio esterno. Poi però i giudizi
cambiarono, e da doroteo Gava si fa portavoce del linguaggio
di solidarietà nazionale con il partito comunista: i comunisti
si adeguarono, così come avvenne per l'onorevole Lima in
Sicilia. E' la stessa, identica vicenda di Lima, fanfaniano
anticomunista, che diventa andreottiano filocomunista, e i
comunisti smettono di attaccarlo. Così avviene a Napoli; non
interessa più che Gava sia divenuto il padrone di Napoli,
servendosi delle banche, degli istituti finanziari, degli enti
di sviluppo, dei consorzi industriali, dei consigli di
amministrazione, tutti dominati attraverso i suoi uomini. La
sinistra allora cambiò idea e disse: come si fa a fare
politica a Napoli senza sporcarsi? E' una necessità! Nacque
così l'accordo tra Geremicca, comunista, e Salvatore Russo,
gavianeo, per la costruzione di 20 mila alloggi, un comitato
politico cittadino DC-PCI tutto improntato alla spartizione
del potere, affari sui quali prospera la camorra. Andiamo a
vedere le aree in cui le scelte urbanistiche ricaddero: erano
aree in cui comandava e comanda la camorra più sanguinosa.
   Il sindaco Valenzi, proprio in quei giorni, si recò
dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini per
chiedere solidarietà nella battaglia contro la camorra e
contro lo sfascio morale di Napoli. Nel frattempo Vincenzo De
Rosa (del partito socialdemocratico) e Alfredo Arpaia (del
partito repubblicano) continuarono a restare nel consiglio
comunale nonostante fossero condannati per il racket sui
cimiteri voluto dalla camorra. Se leggiamo gli articoli di
quegli anni, di quei mesi, di quelle settimane su
Rinascita, che portano la firma di Bassolino, di Mauro,
di Calise, di Emanuele Macaluso sul caso
camorra-Cirillo-brigate rosse, non troviamo mai una volta
citato il senatore Gava.
   Insomma, nessuno dei partiti di regime può dire di essere
immune da colpe; come faceva la Repubblica italiana a
sconfiggere la mafia e la camorra quando promuoveva a rango di
"consigliori" di Stato camorristi pluriomicidi come Cutolo,
per di più pagandoli? Quindi la camorra, non tanto con i suoi
uomini quanto con i suoi spietati sistemi, diventa l'anello di
congiunzione tra il potere politico e il potere economico,
pubblico o privato che sia.
   Infine, quando nella relazione si parla
dell'imprenditoria, a pagina 93, si dice "Di diversa natura,
ma grave dal punto di vista dell'etica imprenditoriale, è
l'episodio che coinvolge una cooperativa della Lega nazionale
delle cooperative". Nutro rispetto, pur nelle polemiche, nei
confronti del presidente di questa Commissione, altrimenti
definirei ridicola questa frase, perché non ha supporti etici.
Come si fa a sostenere che si tratta soltanto di un problema
di etica imprenditoriale, quando nella relazione, alcune righe
sopra, si dice che l'imprenditoria non ha praticato alcuna
iniziativa per moralizzare il sistema? Quest'imprenditoria
comprende anche la lega delle cooperative. Il colore rosso
delle cooperative non può trasformare il problema in semplice
etica imprenditoriale; vi è stata acquiescenza - si dice - da
parte dell'imprenditoria: soltanto per le cooperative si è
trattato di un problema di etica? No, non ci siamo. Nella
relazione va scritta la verità; così come in Sicilia lo sbarco
americano fu favorito da tutte le forze politiche che
barattarono lo sbarco e la gestione dello stesso con
l'accreditamento di certa imprenditoria e, tra
quest'imprenditoria, anche le cooperative rosse, così in
Campania la collusione delle istituzioni con la camorra ha
portato a favorire parte dell'imprenditoria e, in questa,
anche le cooperative rosse, che vanno al di là del fatto
specifico che ci ha raccontato il pentito; non possiamo
sostenere nella relazione che nulla si tocca se la camorra e
la mafia non sono d'accordo, che non si costruisce una strada,
un ponte, un grattacielo o una casa se la mafia e la camorra
non sono d'accordo e se non si paga la tangente, e nello
stesso tempo affermare che quando si tratta delle cooperative
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rosse questo diventa un problema di etica imprenditoriale e
basta.
   Sostengo questa tesi non per il caso specifico che ci ha
raccontato il pentito ma perché le cooperative rosse hanno
vinto in Campania una miriade di gare d'appalto e se le hanno
vinte vuol dire che erano d'accordo con la camorra, così come
è avvenuto in Sicilia. Il pentito Messina fu, sotto questo
profilo, di una chiarezza esemplare quando affermò che non si
scarica un carrello sollevatore se prima non sia stata pagata
una tangente alla mafia; se le cooperative rosse in Sicilia,
come a Napoli e in Campania, scaricano i carrelli sollevatori,
è evidente che hanno pagato le tangenti alla camorra.
Altrimenti crolla tutto! Dobbiamo fare una relazione diversa,
in cui affermiamo che esiste un'imprenditoria corrotta con
politici e mafia che va individuata; se noi diciamo invece che
tutto è camorra - perché dalla relazione viene fuori che tutto
in Campania è legato al mondo della criminalità organizzata -
non possiamo poi sostenere che questo concetto va bene per
tutta l'imprenditoria mentre per quanto riguarda le
cooperative rosse si tratta soltanto di una diversa natura. In
questo passaggio si nota la bravura del presidente Violante,
"vecchio" magistrato e uomo politico; però, consenta anche a
noi di leggere fra le righe. Si afferma: "Di diversa natura,
ma grave dal punto di vista dell'etica imprenditoriale", ma
poi si dice che "coinvolge una cooperativa". Si sottolinea il
fatto che sia "una", facendola passare come una cosa marginale
rispetto ai legami tra l'imprenditoria di tutti i tipi con la
camorra ed il mondo politico campano e napoletano.
   La relazione, come ho detto all'inizio, costituisce
indubbiamente un passo avanti; se nel corso del dibattito sarà
manifestata la volontà di modificare questi passaggi che ho
sottolineato - e dopo di me lo farà il collega Florino -,
potremo decidere di votarla, ma se la relazione dovesse
rimanere nella stesura attuale, pur rappresentando un passo
avanti, difficilmente potremo farlo.
  VINCENZO SORICE. Nella relazione vi è un punto sul quale
occorre fare una riflessione generale per arrivare a delle
conclusioni; mi riferisco alla parte in cui si parla della
sottovalutazione del fenomeno camorristico. Bisogna chiarire
se la sottovalutazione, riguardi quest'ultimo periodo in cui
la camorra ha avuto un'accentuazione bellica o i tempi che si
sono succeduti. E' evidente infatti che se andiamo all'origine
della camorra dobbiamo riferirci all'origine spagnola della
stessa, che ha visto poi un susseguirsi di avvenimenti.
   Allora, un fatto dobbiamo accertare, proprio dall'origine
spagnola della camorra, cioè che la camorra non ha mai avuto
una natura verticale e gerarchica. La differenza tra camorra e
mafia è rappresentata dal fatto che quest'ultima ha avuto una
struttura verticale gerarchica e quindi era un'organizzazione
criminosa, mentre la camorra invece si muoveva su fatti
temporali occasionali e non aveva una dimensione organizzata.
   Due fatti sono importanti per comprendere il fenomeno
camorristico: il primo è il processo Cuocolo all'inizio del
novecento, il secondo è la nascita della nuova camorra
organizzata da Cutolo.
   Per quanto riguarda il processo Cuocolo, nel 1906 un
camorrista e sua moglie vengono uccisi - si dice - da un certo
Enricone, ritenuto il capo della camorra. Scatta una serie di
azioni, anche allora vi è un sospetto sulla polizia di Stato,
i carabinieri si impossessano della pratica, vengono arrestate
80 persone. Durante il processo di Viterbo - il primo
maxiprocesso della storia - queste 80 persone vengono
condannate all'ergastolo. Si scopre poi che ad uccidere i due
coniugi non erano stati questi camorristi; si tratta del primo
atto di ingiustizia nei confronti della camorra, ma era un
fatto molto marginale. Dal quel momento la camorra fu
completamente sbaragliata.
   Intervenne poi il fascismo. Mussolini non ammetteva
l'esistenza della camorra, per motivi suoi e principalmente
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perché appariva come un fatto che offendeva l'organizzazione
da lui data allo Stato. Trovò quindi un modo per uscirne:
cominciò gradatamente a scarcerare, con successive grazie,
tutti gli ergastolani condannati in quel famoso processo. Per
Mussolini e per il fascismo ormai la camorra non esisteva più.
Ecco qual è la storia di questa organizzazione che nasce
addirittura con la dominazione spagnola e durante il fascismo
scompare.
   Cosa succede nel dopoguerra? Arrivano con gli americani
due personaggi: Lucky Luciano e Vito Genovese. Il primo si
occupa della mafia in Sicilia e il secondo dell'organizzazione
camorristica. Anche in questo periodo, però, non si struttura
una organizzazione vera e propria perché Vito Genovese, che
mantiene comunque collegamenti con Lucky Luciano e con la
mafia, si occupa soltanto di due settori importanti: quello
del contrabbando delle sigarette e quello della prostituzione.
Nella visione che ne ha Vito Genovese la camorra non è ancora
quella che sarà con Cutolo.
   Quando nasce la camorra? Durante il periodo dominato da
Vito Genovese, contrariamente a quanto si può immaginare, la
camorra non è fenomeno urbano, anche se alla fine si radicherà
a Napoli, perché si occupa soprattutto del mercato
ortofrutticolo, vale a dire dell'hinterland. Un certo
Pascalone di Nola diventa il primo capo camorrista che avvia
una vera e propria organizzazione e che poi viene ucciso in
uno scontro con Antonio Esposito di Pomigliano d'Arco.
  MICHELE FLORINO. Quello è il mandante perché l'uccisore
vero fu Gaetano Orlando detto Tanino 'o bastimento.
  VINCENZO SORICE. Antonio Esposito era l'altro capo.
   In questo quadro ancora confuso nasce la prima esperienza
politica, quella di Lauro, intorno agli anni tra 1950 ed il
1953. La prima domanda che mi pongo è la seguente: vi è stato
fra Lauro e la camorra un collegamento organico? A questo
interrogativo dobbiamo trovare una risposta. La figura di
Lauro è emblematica della vicenda napoletana. Qualcuno
sostiene che facesse soltanto leva sul populismo, sul
qualunquismo, sulla solidarietà verso il popolo napoletano, ma
ciò non toglie che il primo interrogativo che dobbiamo porci
per comprendere le vicende successive è, a mio giudizio, se
quel consenso elettorale per Lauro sia stato o meno immune da
ogni collegamento con la camorra. Per inciso dico che qualche
dubbio del genere può nascere anche oggi: ad esempio, dobbiamo
porci qualche domanda per quello che è accaduto in questi
giorni in Sicilia. A proposito dell'ampio consenso ottenuto da
Orlando nella competizione comunale, a fronte del 75 per cento
dei voti, dovremmo domandarci dove sia andato a finire il voto
mafioso, se c'era ed oggi non c'è più.
   Risolto questo problema sotto il profilo storiografico,
dobbiamo passare ad analizzare dove e come nasca la prima vera
organizzazione della camorra. Il personaggio chiave è Cutolo.
Cosa capisce Cutolo? Una cosa molto importante, cioè che la
vecchia camorra ottocentesca era stata distrutta perché non
aveva collegamenti, né politici né sociali: era soltanto il
frutto di azioni di forza. Cutolo capisce anche che la camorra
doveva rivolgersi ad affari lucrosi e soprattutto avere il
controllo degli appalti e della droga. Dico per inciso che
quest'ultimo problema va considerato proprio in quest'ottica,
visto che nella relazione andrebbe fatto un maggiore
approfondimento.
   Cutolo compie così un doppio salto di qualità. A ciò si
aggiunga che egli si impossessa anche di un certo "laurismo",
di quello che viene considerato il terzo elemento della
camorra, vale a dire la solidarietà. Non dobbiamo perciò
meravigliarci del fatto che Cutolo dal carcere possa gestire i
suoi affari. In ragione di quella solidarietà, stare dentro o
fuori dal carcere era la stessa cosa; e ciò valeva per Cutolo
e per tutti quelli che operavano all'interno del sistema
camorristico. La relazione comunque svolge intorno a Cutolo
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un'analisi condivisibile. Si arriva quindi alla famosa guerra
con Alfieri.
   Se questo è il quadro storico, l'elemento da ricercare è
quello dei rapporti fra politica e camorra. Al di là delle
possibili terapie, occorre infatti comprendere bene tale
fenomeno. Ho l'impressione che nella relazione vi sia la
tendenza ad immaginare l'ambiente politico o, perlomeno,
alcuni suoi spezzoni, come promotore della camorra, come
soggetto che la utilizza per i suoi fini illeciti. Questo,
presidente, è il punto fondamentale sul quale appuntare la
riflessione.
   Quando abbiamo discusso del rapporto tra politica e mafia
in Sicilia, ci siamo convinti della sua organizzazione
gerarchica e finalizzata che, ovviamente, finisce per dare
ordini ai politici. Nel contempo, nella relazione riferita a
questo argomento, era contenuta un'impostazione che faceva
comprendere come i politici utilizzassero la mafia. In
Campania il problema è identico ed esattamente contrario nel
senso che è la camorra ad utilizzare i politici,
occasionalmente, affare per affare; molte volte gli stessi
politici sono costretti a difendersi dalla camorra. Si pensi
alla morte di Torre, sindaco di Pagani.
   Si verifica poi un secondo passaggio evidenziato dal
Galasso nella sua deposizione. Egli afferma che la camorra non
sostiene i partiti politici, ma singole persone ed aggiunge
che è indifferente alle ideologie, guarda solo alla
convenienza ed ai suoi progetti economici. L'obiettivo della
camorra è dunque di trarre profitto da quelle amicizie. Al
pari della mafia, la camorra è molto ben inserita nella
struttura sociale. E questo dato, a mio avviso, è stato
sottovalutato. Si arriva al punto - ed è detto anche nella
relazione - che due parroci danno un giudizio positivo dei
fratelli Pavone, due terribili capi camorristi cutoliani. Per
loro si trattava di persone più che perbene che andavano in
chiesa e davano l'obolo.
   Proprio il fatto che il sistema carcerario fosse
permeabile significa che al suo interno vi erano numerose
collusioni. A prescindere dal fatto che potesse ricevere
visite nel corso del sequestro Cirillo, il dato saliente è che
Cutolo continuava a gestire dal carcere i suoi affari. E non
dobbiamo dimenticare che sono più gli anni in cui è stato in
carcere che fuori, considerato anche il periodo della
fanciullezza. Ciò dimostra - lo ripeto - l'esistenza di
collusioni. Si tratta di un fatto molto importante perché la
camorra, a differenza di cosa nostra, non contrappone un
ordine alternativo a quello dello Stato, ma governa il
disordine e l'ordine sociale. Quindi, ne è parte integrante.
   La relazione - ed in questo credo sia abbastanza obiettiva
- penetra poi nell'amministrazione della giustizia. Ci sono
ben 19 magistrati bene o male indagati, chi dal Ministero di
grazia e giustizia, chi dal Consiglio superiore della
magistratura, chi dalle procure competenti. Esistono
dichiarazioni di Galasso circa "aggiustamenti" di processi che
si affiancano alla partecipazione di magistrati alle
commissioni di collaudo. Si tratta, quindi, di una grossa
partecipazione.
   Nella relazione è contenuta un'analisi abbastanza
approfondita che dimostra la penetrazione della camorra. C'è
però un punto di essa che va separatamente affrontato: quello
delle forze dell'ordine. Non dimentichiamo che Garibaldi, dopo
l'unità d'Italia, affidò ad un camorrista l'organizzazione
dell'ordine pubblico. Per chiarire bene il quadro va dunque
considerata l'impostazione delle forze dell'ordine, la loro
permeabilità.
   La relazione ha ben evidenziato anche il filo sottilissimo
che lega l'abusivismo bancario, l'usura, l'estorsione, il
riciclaggio.
   A quale conclusione tutto ciò mi fa giungere? Che vi sia
una collusione tra la camorra e la società civile.
Quest'ultima, se mi è consentito dirlo, è rappresentata da
tutti gli spaccati socio-economici: dall'ambiente politico
all'attività giudiziaria, dall'attività inquirente a quella
economica ed imprenditoriale. E' un cancro che ha contagiato
tutto il paese e che, non avendo la camorra un progetto
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alternativo allo Stato, viene sottovalutato da tutti. Esso si
è trasformato, dunque, in un male endemico: la società campana
convive con la camorra come il malato convive con la sua
malattia.
   L'ultimo passaggio della relazione - questo è il punto
fondamentale - cerca di accentuare la responsabilità politica
amministrativa. Su questo punto, si deve dare atto che nella
relazione il presidente non esprime giudizi ma, con la sua
intelligenza, pone dichiarazioni e confronti e si limita
quindi ad esporre i fatti.
   Ritengo pertanto che sia quanto mai pertinente
un'audizione del senatore Gava perché ci troviamo di fronte
soltanto ad una sia pur rispettabile ipotesi accusatoria, ma
non abbiamo sentito la difesa. Siamo di fronte a dichiarazioni
di pentiti, di soggetti coimputati e quindi interessati.
Tuttavia, siccome alla fine si dà una valutazione politica del
problema, che ha dei risvolti giudiziari, appare opportuno
sentire la difesa, secondo l'impostazione tracciata dal
presidente.
   Per quanto riguarda alcune osservazioni finali, desidero
sottolineare che dobbiamo anche avanzare delle proposte. Vi è
sempre stata in Parlamento una vecchia contrapposizione tra
maggioranza e minoranza, a seconda dei ruoli che si
esercitavano nel Parlamento stesso: mentre la maggioranza
tendeva ad accentrare le competenze nello Stato e nel Governo,
vi è sempre stata una tendenza delle minoranze a delegare in
periferia, perché attraverso questo tipo di delega si
consentiva una maggiore partecipazione dei cittadini alla
gestione della cosa pubblica. Di qui tutte le osservazioni
svolte quando si sosteneva che gli enti locali non erano
idonei a sviluppare alcuni tipi di funzioni e la nascita del
cosiddetto consociativismo.
  CARLO D'AMATO. Può ripetere questo concetto, che non ho
ben compreso?
  VINCENZO SORICE. Mi riferivo al decentramento non
amministrativo ma politico. Mentre le forze di Governo
tendevano a far rientrare nel concetto di unità dello Stato
una gestione centralizzata basata sulle competenze dello
Stato, in Parlamento si è sviluppata, soprattutto durante gli
anni della collaborazione tra DC e PCI, ossia nella fase della
solidarietà nazionale, una tendenza a prevedere una maggiore
partecipazione perché le opposizioni erano più presenti a
livello locale. Questo è d'altronde il frutto di tutta la
situazione.
   E' evidente che poi la conseguenza di quella legislazione
ha portato ad un'autonomia degli enti locali in materie
delicatissime come la gestione del terremoto, di grossi
finanziamenti, che ha creato naturalmente un tipo di
corruzione strisciante e un tipo di condizionamento locale per
cui mi chiedo se vi fosse un indirizzo a livello nazionale.
   Il decentramento dei poteri ha creato dei centri
decisionali a livello periferico politicamente più gracili e
più facilmente permeabili rispetto alla criminalità
organizzata. Questo vale per la Sicilia ma vale soprattutto
per la Campania. Quindi, la classe burocratica ha assunto una
dimensione ed un'importanza maggiori (mi riferisco alla classe
burocratica di basso livello) e gli amministratori hanno avuto
una permanenza in carica più lunga rispetto al ciclo di un
deputato: facendo l'"anagrafe" degli amministratori locali in
queste zone, si constata che vi sono sindaci che restano in
carica per 15, 20 o 25 anni. Vi è poi la collusione di alcuni
amministratori con l'interesse specifico dell'appalto, la
collusione dell'imprenditoria su fatti specifici e facilmente
gestibili a livello locale perché mancava un indirizzo
nazionale; vi era quindi un coinvolgimento generale.
   Se questa è l'analisi dei fatti, accetto l'impostazione
del presidente nel momento in cui egli fa una dichiarazione in
cui divide la responsabilità penale da quella politica, dal
momento che la responsabilità penale è soggettiva, mentre
(sono le parole del presidente) "per responsabilità politica
si intende la responsabilità per eventi lesivi di interessi
fondamentali di singoli o di una comunità, che dipendono da
Pagina  3227
scelte di autorità politiche; tali scelte possono consistere o
in atti specifici riconducibili all'esercizio di funzioni
politiche o in omissioni di comportamenti ritenuti
politicamente doverosi". Si tratta di un'impostazione che
condivido.
   Alla fine però lei, presidente, conclude questa bella
relazione con la seguente frase, che si legge a pagina 127:
"Nel quadro generale dell'esposizione spiccano tra gli altri i
rapporti del senatore Antonio Gava con dirigenti locali della
sua corrente che raccoglievano per lui il consenso elettorale
e controllavano le amministrazioni locali mediante organici
collegamenti con gruppi camorristici".
   Questa è l'ultima osservazione che intendo svolgere ed il
dubbio che mi pongo è il seguente: ho provato più volte a
leggere questa frase e onestamente essa, in sé e per sé, può
essere asettica. Se la si rilegge con molta attenzione, si può
constatare che la relazione prende in esame alcuni fatti
(penso a quelli di Sant'Antonio Abate e di Poggiomarino); il
presidente prende quindi in considerazione alcuni fatti,
evidenzia alcuni collegamenti degli amministratori con la
camorra e l'imprenditoria, taluni fatti penalmente rilevanti;
questi soggetti si dichiarano o vengono dichiarati amici del
senatore Gava e quindi la relazione si conclude con questo
tipo di impostazione.
   La domanda che allora mi pongo è la seguente: Antonio Gava
è il punto di riferimento oggettivo di una dichiarazione
altrui, come fatto di corrente, di amicizia di partito, e
quindi risponde del fatto di avere questi amici oppure il
senatore Gava è l'organizzatore di questa azione di
collegamento con la camorra, per cui diventa attuabile la
prima impostazione, cioè quella secondo cui, come è stato
denunziato, è il potere politico ad organizzare e ad
utilizzare la camorra?
   La frase che ho citato può essere - lo ripeto - asettica
perché il presidente ha dato tutta una impostazione basandosi
sulle deposizioni ed affermando alla fine che alcuni amici di
Gava erano in collegamento con la camorra. Il presidente,
quindi, prende atto di una realtà. Siccome non si parla più di
altri parlamentari, sia pure citati en passant, ma si
parla soltanto di Gava, mi domando quale sia la funzione di
quest'ultimo. La sua posizione è quella, comune a tanti
deputati impegnati nelle campagne elettorali, di avere amici
che poi sono inseriti nella struttura civile, che appaiono
persone perbene mentre poi, alla fine, si scopre che tali non
sono o perlomeno si sottovaluta il fatto, come si diceva in
precedenza. Questa è una prima interpretazione, mentre la
seconda è quella secondo cui Gava è il punto di riferimento
operativo e quindi il soggetto che organizza tutta
l'impostazione e utilizza sue persone e strumenti operativi
per realizzare fini illeciti penalmente rilevanti.
   Questo è un dubbio che vorrei fosse eliminato, per cui
l'audizione del senatore Gava è un atto di giustizia nei
confronti della verità e non a difesa né di una parte politica
né di un'altra.
   Sulla conclusione, sono d'accordo con l'impostazione del
presidente laddove egli afferma che l'opera di contrasto alla
criminalità organizzata non può essere fondata solo sulla
repressione. Se mi consente, presidente, devo rilevare che
nella sua relazione lei ha staccato eccessivamente Napoli e la
Campania dal contesto del Mezzogiorno in termini generali, per
cui credo che un raccordo vada realizzato, poiché altrimenti
non si comprende quale sia il problema reale del Mezzogiorno e
quindi i problemi sociali, soprattutto oggi che ci troviamo di
fronte ad un tentativo politico di smantellamento globale
dello Stato sociale. Infatti, nel passaggio dallo Stato di
diritto allo Stato sociale siamo scivolati nello Stato
assistenziale, che ha prodotto questi elementi negativi ed
ora, nell'ambito di una specie di reazione nei confronti dello
Stato assistenziale, si scavalca lo Stato sociale e si
risponde al puro Stato di diritto in cui ovviamente viene
abbandonato a se stesso ogni problema di solidarietà sociale
nei confronti di alcune zone del nostro paese.
   Credo che un approfondimento vada fatto ed il collegamento
con il Mezzogiorno può offrire uno spaccato più importante per
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quella che può essere poi l'azione propositiva e per quelli
che devono essere gli impegni sia governativi sia delle altre
autorità per un riscatto sociale del Mezzogiorno.
   Ritengo, in conclusione, che mai come in questo momento
occorra ripristinare la cultura della legalità, perché a
Napoli ed in Campania studiando il fenomeno della camorra ci
siamo resi conto di tale necessità. L'esempio più banale può
essere rappresentato dal fatto che quando si va a Napoli
bisogna sempre offrire un prezzo inferiore o addirittura
dimezzato rispetto a quello chiesto dal venditore. Si tratta
di un fatto banale, di folclore, ma è anche il sintomo di una
cultura dell'illegalità che ha permeato tutto il sistema
sociale campano.
   Credo che in questo quadro dovremmo ristabilire ad ogni
livello la cultura della legalità e ritengo che la scuola sia
l'unico strumento che abbiamo a disposizione per dare vita a
questo tentativo di socializzazione all'interno del
territorio.
              Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che è pervenuta in
questo momento una lettera del generale De Sena indirizzata al
presidente e ai componenti della Commissione, in cui lo stesso
generale afferma che la stampa quotidiana riporta ampi stralci
della relazione di codesta onorevole Commissione sulla
camorra. "Nell'articolo citato, inoltre - prosegue la lettera
- si fa riferimento agli 'uomini di Gava che erano adusi
incontrare con frequenza regolare i maggiori capi camorra:
come il generale De Sena, candidato sindaco di Nola, che ha
confermato tutto".
   "Ritengo che sia mio dovere, nell'interesse della
giustizia, nonché mio diritto poter precisare ed illustrare la
verità su fatti e circostanze riportati in un atto di natura
istruttoria".
   "Chiedo, pertanto, un'urgente audizione personale innanzi
codesta onorevole Commissione".
  UMBERTO CAPPUZZO. Questa mattina il generale De Sena mi
ha fatto una telefonata accorata annunciando l'invio di questa
lettera (si tratta di un ufficiale già vicecomandante
dell'Arma dei carabinieri). Nella relazione si fa, infatti,
riferimento a notizie inesatte, perché il verbale di
interrogatorio del generale De Sena dice tutt'altra cosa.
Quanto è stato riportato in un altro documento, sul quale si
basa la relazione, non sarebbe esatto. Quello che egli
sottolinea è, pertanto, un fatto fondamentale ed è in linea
con quanto l'onorevole Sorice ha ricordato alla fine del suo
intervento. Mi riferisco all'ipotesi di un candidato che va,
per le elezioni, in un certo contesto, nel quale si trova
presente uno di questi camorristi. Il fatto occasionale si
ritorce contro di lui; si tratta di un camorrista che egli non
conosceva. Peraltro, nell'attività amministrativa portata
avanti dopo l'elezione lo stesso generale ha causato danno
all'Alfieri perché, per un debito nei confronti dello stesso
di 120 milioni, che risaliva al 1980, furono pagati 80
milioni. Il che dimostra chiaramente, secondo il generale De
Sena, che egli non aveva nulla a che spartire con Alfieri e
con la camorra.
  PRESIDENTE. Comunque, mi pare che egli non neghi di
essere andato a chiedere voti ad Alfieri.
  UMBERTO CAPPUZZO. Il comportamento da amministratore è
importante.
  PRESIDENTE. Comunque, poi vedremo. Il punto è questo: sì
o no e se sì, quando. Non possiamo a questo punto sbriciolare
la cosa. Vorrei sentire l'opinione dei colleghi, uno per
gruppo.
  MICHELE FLORINO. Dico di no, perché è di competenza del
tribunale, dei magistrati, altrimenti ci sostituiamo
all'indagine e al giudizio dei tribunali se sentiamo tutti.
Sono del parere che non si debba ascoltare più nessuno.
Bisogna dare corso alle procedure previste dall'ordinamento.
  UMBERTO RANIERI. Non escludo che possa essere utile
ascoltarlo.
Pagina  3229
  GIROLAMO TRIPODI. Non sono d'accordo. Già stamattina mi
sono pronunciato anche contro la richiesta del senatore Gava,
ritenendo che fosse possibile ascoltarlo successivamente alla
conclusione di questa relazione. Non credo che possa avvenire
altrimenti, perché rischieremmo di non concludere più.
  ANTONINO BUTTITTA. Il problema può essere risolto: che
invii un appunto scritto.
  PRESIDENTE. Scusate, colleghi, c'è solo un problema: non
vorrei ci fosse una disparità di trattamento tra un
parlamentare e un non parlamentare.
  CARLO D'AMATO. Sono d'accordo perché venga sentito.
  ANTONINO BUTTITTA. Si tratta di un fatto particolare.
  ERMINIO ENZO BOSO. Non sono d'accordo, l'ho detto anche
prima: qua o noi...
  PRESIDENTE. E' inutile che motiviamo. Diciamo solo sì o
no.
  ERMINIO ENZO BOSO. Dico di no.
  PRESIDENTE. Mi pare che dal punto di vista dei gruppi,
la DC, il PDS ed il PSI siano favorevoli ad ascoltarlo. C'è un
indirizzo prevalente per ascoltarlo. Però, c'è un punto: se
ascoltiamo anche lui venerdì o se dobbiamo anticipare il
tutto. Venerdì abbiamo la finanziaria ed abbiamo deciso di
ascoltare il senatore Gava alle 8,30. Però, tra l'esposizione
del senatore Gava, le domande, le risposte che egli darà, c'è
il rischio che si impieghino parecchie ore.
  CARLO D'AMATO. Diamogli dieci minuti per illustrare la
sua posizione.
  PRESIDENTE. Anche lui venerdì?
  CARLO D'AMATO. Sì, spostiamo di dieci minuti o un quarto
d'ora l'audizione del senatore Gava perché, da quello che ho
capito, il generale De Sena deve solo fare alcuni chiarimenti.
  PRESIDENTE. Possiamo ascoltare alle 8,30 il generale De
Sena e alle 8,45 il senatore Gava. Se non vi sono obiezioni,
rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  ANTONINO BUTTITTA. Ci sarà sicuramente il presidente.
  PRESIDENTE. E il generale Cappuzzo. Anche il senatore
Imposimato.
Si riprende la discussione della relazione sulla
                         camorra.
  UMBERTO RANIERI. Confesso di aver letto le pagine della
relazione del presidente Luciano Violante anche con un po' di
commozione: c'è in quelle pagine la ricostruzione della storia
tormentata di una delle città più antiche e nobili dell'Europa
ed il dispiegarsi di un fenomeno, quello camorristico, che ha
trasformato questa città in un inferno. La relazione ci parla,
con cifre impressionanti, dei traffici dei clan, delle vittime
e del degrado cui sono giunte la città di Napoli, l'area
napoletana, la Campania.
   La relazione del presidente Violante giunge a conclusione
di un serio lavoro di ricerca, di approfondimento di fonti,
dopo la visita della Commissione antimafia a Napoli, le
audizioni di numerosi collaboratori di giustizia, di uomini
dello Stato. Insomma, non è un caotico assemblaggio di fatti e
in tempi di annusatori di notizie che si spacciano per
sofisticati ricercatori di storia è un fatto di straordinario
rilievo. E' un testo che aiuta a superare la sottovalutazione
colpevole che vi è stata del fenomeno camorristico.
   Mi sembra di cogliere un filo rosso nella ricostruzione
del fenomeno operata nella relazione: la pervasività della
camorra è il tratto che la distingue e la caratterizza.
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Scriveva Giustino Fortunato nelle Corrispondenze
napoletane di oltre un secolo fa: "La camorra, forse meno
audace della mafia, ma più intima e connaturale della mafia,
tende di giorno in giorno ad assumere forme legali e a
penetrare nei più gelosi rapporti della vita". C'è in queste
parole una chiave fondamentale per intendere l'individualità
storica del fenomeno camorristico: la sua pervasività.
   Così come del tutto giusto è affermare la illegibilità,
fuori della storia di una città come Napoli, della camorra. E
quali sono - c'è da chiedersi - le costanti della storia di
Napoli unitaria che producono un fenomeno come la camorra?
Sono quelle individuate - ahimè - già alla fine del secolo
scorso con l'inchiesta Saredo e che permangono poi nel corso
del secolo: il mancato decollo economico; l'estraneità, in una
certa misura, di Napoli ai fenomeni di trasformazione
economica, di modernizzazione e un deficit di moralità
pubblica e in particolare di moralità delle classi dirigenti.
   Napoli del dopoguerra è condizionata da questi due
fenomeni. Così come, riflettendo sulla Napoli del decennio
ottanta (il decennio nel quale i fenomeni di corrompimento
della vita pubblica si sono manifestati in maniera più cruda,
in cui il declino civile della città e dell'area napoletana è
stato più grave), questi due fenomeni permangono, e si
stagliano sopra gli altri nella valutazione dello stato della
città.
   E' in questa atmosfera - ecco il punto su cui vorrei
concentrare alcune riflessioni - si è dispiegata l'offensiva
devastante di una criminalità, quella napoletana, che nel
decennio si trasforma. A me sembra che in maniera efficace sia
ricostruito nella relazione un punto nevralgico di analisi e
di valutazione del fenomeno, cioè la trasformazione della
criminalità napoletana in una associazione capace di condurre
traffici in tutte le direzioni, di condizionare, influenzare
scelte politiche e comportamenti delle istituzioni, di
costituire il vero problema che compromette il futuro e la
ripresa di ruolo di Napoli. Mutano i caratteri della
criminalità napoletana.
   C'è un passaggio ben ricostruito nella relazione (in
coerenza anche con tutte la analisi più accorte): quello
relativo alla resa dei conti all'interno della camorra.
Avviene nella prima metà degli anni ottanta, quando vengono
messi a ferro e fuoco i territori e gli uomini della camorra
di Cutolo, che aveva fondato il proprio dominio sulla
estorsione generalizzata, e la camorra si riorganizza intorno
ad una strategia più ambiziosa: investire in iniziative
economiche i proventi derivanti da attività criminali,
invadendo i mercati legali dell'edilizia, del commercio, dei
traffici finanziari. Mi pare che intorno a questo asse avvenga
la mutazione e si determini un circuito tra attività illecite,
riciclaggio e riconversione dei profitti, che mette capo ad
un'imprenditoria di matrice camorristica. Le famiglie
camorristiche diventano una sorta di holding, di imprese
produttive; cambia anche l'organizzazione criminale; si
determina addirittura una separazione, secondo alcuni
studiosi, del livello imprenditoriale da quello criminale.
   Credo che siano fondate le analisi dei giovani studiosi
del fenomeno camorristico, da Lamberti a Sale: la
disponibilità di capitali ingenti, a flusso continuo,
derivanti dall'estendersi del traffico della droga favorisce
la riconversione della camorra in una sorta di imprenditoria.
La camorra non è più la "triste compagnia" del secolo scorso,
né solo un'anonima assassini ma si trasforma e diventa più
difficile contrastarla, combatterla, perché assume i caratteri
di una potenza economica che tocca una varietà di attività. Le
cifre di Arlacchi sono note: egli scrive che il 50 per cento
dei proventi viene da attività economiche.
   Qui credo che si determini il mutamento nel rapporto tra
sistema criminale e politica, perché, se la camorra assume
tali caratteri, essa deve condizionare più direttamente le
Pagina  3231
amministrazioni pubbliche che regolano la vita economica della
comunità. Lo deve fare per creare condizioni favorevoli
all'accesso della propria imprenditoria alle risorse
pubbliche. E non c'è dubbio allora che giocano, da un lato, i
proventi della irruzione nella realtà napoletana del traffico
di droga - che produce enormi ricchezze finanziarie utilizzate
dalla camorra - ma, dall'altro, un ruolo decisivo ha anche la
dimensione eccezionale delle risorse finanziarie che negli
anni successivi al terremoto giungono a Napoli e in Campania e
costituiscono fattori scatenanti per le mire e le ambizioni
della camorra.
   Qui credo che torni indiscutibilmente - ed è un tema su
cui la riflessione va avanti da un po' di tempo ed è
indispensabile portarla ulteriormente avanti e la relazione
aiuta in questa direzione - il grande problema del sistema
politico, dei suoi comportamenti negli anni dei grandi flussi
di denaro senza qualità giunti a Napoli e in Campania nel
corso del decennio. Cosa accade su questo punto nevralgico?
Negli anni successivi al terremoto c'è una legislazione che
determina un'eccezionale concentrazione del potere
istituzionale e politico in cerchie sempre più ristrette di
uomini e di gruppi. Anche al di là degli anni in cui era
necessario per la drammaticità dei problemi successivi al
terremoto avere una concentrazione di potere, per decidere e
scegliere...
  PRESIDENTE. Non ho capito.
  UMBERTO RANIERI. Voglio dire che anche negli anni
successivi al terremoto si protrae questa abnorme
concentrazione del potere istituzionale e politico.
   Accade anche che la preoccupazione dominante dei gruppi
politici di governo diventi quella di dirottare risorse
finanziarie sempre maggiori in questo sistema di potere
straordinario, in un meccanismo discrezionale che si consolida
con riferimento agli appalti ed agli affidamenti di lavori.
Penso che in tale meccanismo vada individuata la causa della
distorsione subita dal sistema politico ed istituzionale a
Napoli ed in Campania.
   In questo modo, vengono sempre più a mancare le
possibilità di governo, perché le scelte si restringono a
pochi gruppi, e, nel contempo, si riducono anche gli spazi per
condurre un'opposizione e per esercitare una possibilità di
controllo. Si registra, di conseguenza, uno scadimento del
ruolo e della funzione delle istituzioni, i cui compiti
programmatici e di selezione si riducono, fino a scomparire.
In questa situazione nell'ambito dei gruppi politici di
governo diventa preponderante la spinta a considerare
prioritari per l'area napoletana gli interventi in opere
pubbliche tradizionali, come dimostrano le conclusioni cui
giungono le riflessioni critiche alle quali è stato sottoposto
il decennio ottanta. In sostanza, si ripercorre un'antica
esperienza della storia napoletana, si è indotti a ritenere
che tutto si possa risolvere con spese finalizzate ad opere
pubbliche tradizionali. In questo modo si alimenta un ceto
edilizio-burocratico, favorito dall'assenza di controlli e dai
meccanismi straordinari, che trae profitto dalle condizioni
del mercato dominato da poche grandi imprese e caratterizzato
dal sistema del subappalto, dalla distorsione dell'istituto
delle concessioni e dalla dissipazione di risorse conseguente
ad una continua revisione dei prezzi con riferimento ad opere
la cui realizzazione molto spesso non viene conclusa. In
definitiva, si afferma un mercato malsano nella realtà
napoletana e campana, un mercato non competitivo. Si determina
inoltre uno svuotamento della dialettica democratica, essendo
il potere politico concentrato in ambiti nei quali vi è
straordinaria discrezionalità di funzioni.
   Questa è l'atmosfera nella quale si aprono ampi spazi e
maturano la corruzione, il sistema delle tangenti,
l'accresciuta influenza delle forze criminali. In questo
quadro emerge sulla scena politica napoletana e campana - si
tratta di un aspetto sul quale si è concentrata un'ampia
Pagina  3232
riflessione - un personale politico scadente, spesso corrotto,
preoccupato unicamente della propria riproduzione elettorale;
un personale politico accaparratore, al quale è stata affidata
la gestione di una spesa pubblica enorme, che non ha
precedenti nella storia politica napoletana e meridionale, una
spesa pubblica gestita senza controlli. Si tratta di un
personale politico che difficilmente assume decisioni
indipendentemente da alcuni interessi particolari di gruppo.
Penso che su tale fenomeno tutti debbano svolgere un'attenta
riflessione. In particolare, mi permetto di affermare che una
riflessione specifica deve essere condotta sul ruolo assunto
dalle forze di governo, dalla democrazia cristiana, da
personalità di particolare rilievo nella storia politica
napoletana e campana della DC.
   Tutte le analisi, le ricerche e gli studi effettuati
dimostrano come nel decennio 1983-1993 il sistema
politico-istituzionale si deforma e, contemporaneamente,
cresce il grado di corrompimento della vita pubblica, che
raggiunge livelli estremi. In tale decennio si afferma il
predominio politico delle forze che governano l'intero paese.
Ecco perché occorre riflettere sul ruolo della DC e di
personalità democristiane sulle cui responsabilità oggi si
discute e anche su quello dell'onorevole Gava,
indiscutibilmente la personalità più rilevante della
democrazia cristiana napoletana e campana. L'accertamento
delle responsabilità penali spetta alla magistratura; in
questa sede discutiamo di serie responsabilità politiche,
anche alla luce dei dati acquisiti sulla base del lavoro
svolto dalla Commissione. Del resto - bando alle ipocrisie! -
non è forse di questo che la parte più sensibile della
democrazia cristiana discute nell'ambito di una riflessione
critica della propria storia, al fine di evitare che
quest'ultima si esaurisca soltanto - cosa che non sarebbe
giusta - in una storia di corrompimento e di malversazione?
   Mi sto riferendo ad un decennio nel quale si è affermato
un asse tra democrazia cristiana e partito socialista su scala
nazionale, che ha avuto effetti anche nella realtà napoletana.
Quanto agli anni delle giunte di sinistra a Napoli, va
considerato che la riflessione politica è andata avanti e che
ormai esistono interi volumi che si riferiscono a quella
complessa esperienza. Furono anni difficili, caratterizzati
anche da compromessi politici finalizzati a reggere una realtà
tanto precaria. Non bisogna tuttavia - per l'amor di Dio! -
mettere tutto nella stessa barca perché, ove ciò accadesse,
negheremmo la realtà dei fatti. Nessun consociativismo ha mai
offuscato - neanche a Napoli - il conflitto di fondo tra la
sinistra (l'allora PCI) e la DC. A tale riguardo è emblematica
la vicenda Cirillo. All'epoca delle giunte Valenzi, fu la
sinistra, il PCI, a mantenere aperta la strada per capire
meglio come fossero andate le cose, grazie all'iniziativa
tenace di uomini quali Antonio Bassolino e Macaluso. Penso sia
anche opportuno ricordare i colpi che a quella forza molti
tentarono di infliggere nei giorni dell'intrigo del falso
documento passato a l'Unità.
   Quanto alla richiesta di dimissioni del ministro
dell'interno Gava, essa fu riproposta da noi in epoca non
sospetta, nel corso degli anni ottanta. A tale riguardo,
ricordo le critiche che furono rivolte al nostro partito,
l'allora partito comunista italiano, quando ripropose la
richiesta delle dimissioni di Gava in relazione alla vicenda
Cirillo.
   Per quanto concerne le scelte relative alla ricostruzione
a Napoli, si può certo riflettere criticamente sulle decisioni
urbanistiche che costituirono oggetto di un tormentato
dibattito tra esperti e politici. Tuttavia, quelle scelte
furono effettuate proprio per tentare di invertire una linea
di politica urbanistica che a Napoli aveva portato al
disastro.
   Mi avvio alla conclusione, affrontando un punto che mi
assilla e che dovrebbe rappresentare materia di riflessione
critica per i protagonisti del governo succedutisi nel corso
del decennio. I risultati di dieci anni di ricostruzione (che
ha visto affluire a Napoli risorse finanziarie ingenti, così
come mai era accaduto in quella città) sono rappresentati da
Pagina  3233
un'aggravamento e da un declino produttivo e civile di Napoli:
questo è il punto, questa è la conclusione amara e dolorosa di
quell'esperienza! Va considerato infatti non soltanto l'uso
affaristico delle risorse - a tale riguardo è chiaro come
siano andate le cose - ma anche l'aspetto crudo di una vicenda
che ha portato a sprecare un'occasione irripetibile ai fini
dell'ammodernamento delle infrastrutture e del consolidamento
dell'apparato produttivo. Sotto questo profilo, va individuata
una grande responsabilità.
   In conclusione, ritengo che dalla relazione, che considero
equilibrata ed efficace, si debba trarre uno stimolo per
lavorare intorno a quelli che - anche nel corso del nostro
sopralluogo a Napoli - abbiamo individuato essere i problemi
fondamentali dell'area napoletana. E' necessario che siano
affrontati i problemi della ripresa produttiva ed economica di
tale area e che si contribuisca, attraverso un recupero del
ruolo della scuola napoletana, a contrastare quel clima di
tolleranza per l'illecito che si è diffuso in quella realtà è
che è all'origine di tanti problemi e di tanti guai. Per
fortuna, la storia di Napoli non è scritta soltanto nel
degrado e nel delitto: vi è anche un altra storia positiva
sulla quale bisogna fare leva per avviare il riscatto.
  MICHELE FLORINO. Prendo atto con soddisfazione del fatto
che, dopo reiterati miei interventi, finalmente si comprende
il fenomeno camorra. Ricordo che molti commissari e lo stesso
presidente nutrivano apprensioni - se possiamo così definirle
- quando io sostenevo con forza che la camorra è molto più
pericolosa della stessa mafia, per il modo in cui essa si
inserisce negli apparati e nella politica e per come riesce a
gestire anche le piccole forme di illegalità.
   Oggi, di fronte alle considerazioni di autorevoli colleghi
i quali continuano a soffermarsi sul carattere sociologico dei
fenomeni della mafia e della camorra, debbo dichiarare che,
per poter essere affrontata decisamente, la questione - come
suol dirsi - va affrontata di petto, nel senso che le
discussioni sociologiche non servono più a niente.
Attualmente, la camorra non è più configurabile in base alla
definizione storica che l'ha sempre considerata sinonimo di
tangente. Qualche collega in questa sede ha citato passaggi
del recente libro sulla storia della camorra scritto da
Vittorio Paliotto, facendo un po' di confusione. A mio avviso,
la camorra è attualmente una società mista, composta da
capitale criminale e, soprattutto, da capitale istituzionale.
Presidente, la pregherei di prestare attenzione...
  PRESIDENTE. La sto ascoltando!
  MICHELE FLORINO. Stavo dicendo che la camorra non è più
definibile alla luce della definizione storica che l'ha
considerata sinonimo di tangente, ma è una società mista a
capitale criminale ed istituzionale. In sostanza, il sistema
camorristico è, insieme, criminale ed istituzionale. Dico
questo assumendomi tutta la responsabilità dell'affermazione.
   Le dichiarazioni di Galasso hanno aperto uno spaccato
nuovo rispetto alle conoscenze che avevamo. I fatti che
coinvolgono uomini della giustizia dimostrano chiaramente che
la giustizia non esiste o, addirittura, che essa va a
braccetto con il potere criminale. Senza riportarmi indietro
nella storia - come ha fatto l'onorevole Sorice, quando si è
riferito alle origini della camorra spagnola - vorrei
richiamare la commissione Saredo, che già nel 1901
tratteggiava la questione giustizia a Napoli (tanto che ho
voluto dedicare un riferimento ad essa nella relazione di
minoranza sui rapporti tra mafia e politica). Oltre al sistema
della connivenza dei magistrati, che qualcuno qui non vuol
fare apparire per amicizia - diciamo così - con una
lobby che oggi appare, in alcuni casi, che voglia fare
piazza pulita, ma non la fa affatto, vi è un'altra componente,
quella dei complici dei criminali, cioè gli avvocati (non
tutti, si intende). Quindi, il primo apparato istituzionale
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che deve combattere realmente la criminalità è associato
interamente al sistema malavitoso. I patteggiamenti sono
numerosi nelle aule dei tribunali e non mirano a mandare in
galera i delinquenti: sono patteggiamenti che mirano a far
uscire i delinquenti dalla galera previo esborso di
300-400-500 milioni, secondo la natura del reato per cui è
stato denunziato il malfattore. E qui sono venuti fuori tanti
episodi, ma questi piccoli episodi non danno l'immagine della
grande tragedia che esiste nei palazzi della giustizia, e
soprattutto nel palazzo di giustizia di Castelcapuano.
   Allora, mi domando: se è venuto meno il principio, il
caposaldo della giustizia, come potete più soffermarvi su un
fenomeno di sociologia rispetto ad un'infiltrazione che ha
raggiunto tutti gli apparati istituzionali? Non sto qui a
descrivervi gli altri aspetti miserevoli; li definisco così
perché, rispetto al sacrificio dei tutori dell'ordine, che
pagano anche con la vita, nella stragrande maggioranza dei
casi c'è una corruzione che raggiunge anche vette altissime
delle forze preposte a debellare la criminalità. Ma, guarda
caso, queste vette altissime preposte al debellamento della
criminalità si piegano, come sempre, al potere politico, in
quell'afflato, in quella connivenza che vede queste forme
istituzionali - ecco perché il richiamo al sistema criminale
istituzionale - togliersi le persone scomode dai piedi. E cito
il caso del maggiore Tommasone a Napoli, uomo che combatteva
la camorra, uomo che combatteva la collusione tra politici e
camorra ma che, su ingerenza dei politici (oggi è apparso),
quindi per quel legame che unisce le varie forme istituzionali
quando devono colpire qualcuno che combatte la criminalità
(non sto qui a citare i casi storici come quello di Falcone),
viene trasferito nel pieno della sua gioventù, a 34 anni
appena, a fare l'addestratore di giovani carabinieri a Chieti,
rispetto all'azione incessante che aveva condotto contro la
criminalità.
  UMBERTO CAPPUZZO. Quando è avvenuto?
  PRESIDENTE. L'anno scorso.
  MICHELE FLORINO. Otto mesi fa. Quindi qui appare molto
più chiaro ed evidente il legame che unisce questo trittico
magistrati-forze dell'ordine-politica: quando si devono
sbarazzare di qualcuno, lo fanno.
   Perché questo avviene? Perché certamente la criminalità,
caro presidente, non è quella a cui fa riferimento l'onorevole
Sorice parlando di decentramento che ha reso più permeabile il
processo dell'infiltrazione della collusione e della
connivenza. Non è vero, perché è il livello centrale, con le
direttive estese agli uomini di cordata, che consente questo,
perché appartiene alla strategia delle istituzioni che fanno
parte dei sistemi di appalto, dei sistemi di acquisto, dei
sistemi di costruzione di interi rioni, di intere contrade, di
intere città, per quanto riguarda la selvaggia speculazione
edilizia. Non commettete l'errore di ritenere che è solo la
camorra e la criminalità che agisce e guadagna! Dietro c'è
tutto l'apparato istituzionale: forze dell'ordine, avvocati,
magistrati, politici.
   In questo caso, voglio porre una domanda (ecco il livello
centrale). Per quale motivo il decreto-legge che proroga le
amministrazioni straordinarie è stato emanato a ottobre,
quando già si era stabilito di indire le elezioni nei comuni
ad alta infiltrazione malavitosa? Non era stata questa
Commissione a porre l'accento sulla questione relativa ai
tempi, che erano troppo brevi, e pertanto in certi comuni ad
alta infiltrazione malavitosa quel tempo andava esteso? Perché
allora il Governo lo emana a ottobre e non l'ha emanato prima?
Perché intendeva conquistare comuni che ancora oggi hanno
un'alta infiltrazione malavitosa, come Marano, dove, guarda
caso, il sindaco è stato colpito da una comunicazione
giudiziaria. E' colui che domenica va al ballottaggio.
Poggiomarino, Casapesenna, ed ecco che...
  CARLO D'AMATO. Terzigno.
  MICHELE FLORINO. Terzigno.
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  PRESIDENTE. Non era stato sciolto?
  CARLO D'AMATO. No, c'è un unico candidato.
  MICHELE FLORINO. E Mondragone, per ricordarne ancora un
altro. Allora, la strategia è quella che viene dal potere
centrale, che intende mantenere un elettorato fedele alla
cordata, fedele ad un determinato partito politico.
  PRESIDENTE. Ma al comune di Terzigno non si è presentato
quello paralizzato...?
  CARLO D'AMATO. No, è un medico, tal dottor Annunziata.
  UMBERTO CAPPUZZO. Di che partito?
  CARLO D'AMATO. Hanno fatto una lista civica.
  MICHELE FLORINO. Ritengo che vi siano inesattezze, ma
solo sotto il profilo storico, caro Sorice, sulla questione
laurismo-Cutolo. Il laurismo aveva una funzione di tipo
assistenziale, possiamo definirla così, ma non di solidarietà
con dei criminali, perché il sistema cutoliano, all'interno
delle carceri, era un sistema di solidarietà che egli aveva
recepito proprio per l'abbandono in cui versavano i carcerati
ristretti in galera. Non vedo quale attinenza possa avere con
un uomo che era non un criminale, non un delinquente, ma che
forse ha potuto anche sbagliare: ci sono trattati sul percorso
amministrativo di Lauro, soprattutto quello legato
all'abusivismo edilizio, su cui, da qui a poco, darò anche
un'altra informativa per collegare diversi periodi storici, ma
anche per collegare direttamente alcune responsabilità.
   Ho potuto notare che nella relazione, proprio per questa
voglia di difendere (posso anche rendermi conto, vista la
professionalità dei nostri esperti) la magistratura, a pagina
54, rispetto alla denuncia che era chiaramente espressa da
altri magistrati nella prefettura di Napoli sulla sezione
fallimentare, si liquida la vicenda facendo riferimento al
signor Di Capua, sezione fallimenti, senza articolare un
insieme...
  PRESIDENTE. C'è più avanti, se mi permetti. Si esprime
il giudizio che è una "fogna".
  MICHELE FLORINO. "Svolge un'indagine sulla sezione
fallimentare del tribunale... vera fogna, con magistrati che
svolgono attività imprenditoriali". "I problemi si sono
aggravati rispetto all'ultima visita della Commissione
antimafia". "I vertici del tribunale... non funzionali". "Nel
campo civile e penale siamo allo sfascio". "Udienze che
saltano per inadeguatezza dell'organizzazione della
giustizia". "Nel palazzo di giustizia esiste il marcio".
"Denuncia che presenterò all'Associazione magistrati" (questo
disse un magistrato). Il signor Di Capua è l'asse centrale di
tutta l'impostazione della sezione fallimentare. Vi sono
giudici che fanno capo a cooperative edilizie (qui non l'avete
inserito). E' evidente la volontà di magistrati, anche
esperti, di voler coprire questa responsabilità della
magistratura, nell'ambito della città di Napoli complice della
criminalità, d'accordo con gli avvocati per farli uscire di
galera con i patteggiamenti, non sui reati ma sulle libertà e
su cose di altro genere che riguardano questi delinquenti.
   Ecco perché si è sfaldata la società civile di Napoli, si
è sfaldata perché si mira esclusivamente a quello che poi non
è stato affrontato in questa Commissione: voi potete anche
fare sociologia, ma il problema di fondo non l'avete
affrontato. Mi riferisco alla società dei consumi, che porta
tutti a voler vivere bene, a voler vivere meglio. Il popolo
era in una situazione che portava Saredo, nel 1901, a parlare
di condizioni popolari in pieno disagio economico. Questa
gente il disagio economico non ce l'ha più, lo ha superato con
attività illegali e non intende più tornare indietro. Rispetto
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a queste attività illegali non posso nemmeno fare riferimento
a una cultura della legalità che non potrà mai avvenire a
Napoli se prima non crolla il sistema della cultura
dell'illegalità a livello verticistico, con tutte le forze
istituzionali, che ha tratto guadagni dalla cultura
dell'illegalità costruendo palazzi, ville personali,
costruendosi posizioni finanziarie.
   Ed ecco che poi diventa di fatto il metro di comparazione
rispetto a quello che il popolino va dicendo in giro: rubano i
grandi, rubiamo anche noi. E' questo il termine semplice,
semplicistico che usa la gente del popolo, ma che arriva poi
alla conclusione, che è quella del sistema ormai totalmente
inquinato e che non dà - questa è una mia affermazione -
nessuna speranza di ritorno. Dico questo perché mentre
discutiamo, mentre affrontiamo la questione legata solo alla
democrazia cristiana e alle responsabilità che sono emerse, o
che devono essere ancora vagliate dal giudizio dei magistrati,
dimentichiamo che una parte di un partito come quello
socialista ha avuto una grossa funzione nella città di Napoli.
Non dimentichiamo che durante la giunta Valenzi, vicesindaco
era Di Donato; non dimentichiamo che il caso Bertone è un caso
socialista. Nella relazione non appare il caso Crispino,
medico-manager ucciso a Napoli con l'incriminazione di alcuni
socialisti ma, guarda caso, con la copertura...
  CARLO D'AMATO. Che centra l'incriminazione di
socialisti...?
  MICHELE FLORINO. Incriminazione non per l'assassinio, ma
per un tentativo di concussione. Chiedo scusa.
  CARLO D'AMATO. Non ci siamo ancora arrivati...
  MICHELE FLORINO. Non ci siamo ancora arrivati però,
guarda caso, la magistratura ferma le indagini solo al
tentativo di concussione e non avvia un processo di indagini
risolutivo per arrestare gli assassini. Uno Stato di diritto
mira ad eliminare dal contesto sociale gli assassini. Per il
resto, poi, sarà il magistrato... Ma la magistratura ha
fermato le indagini: vi sono molti casi in cui la magistratura
ha fermato le indagini per ingerenze, non solo della stessa
magistratura, ma anche della carta stampata (vedi delitto Anna
Grimaldi, vedi altri delitti).
   Le istituzioni che dovrebbero di fatto garantire la
legalità sono alla pari dei criminali, con l'aggravante che
dovrebbero prevenirla, per un dettato deontologico dovuto alle
professioni e al giuramento fatto allo Stato. Non lo fanno;
allora, il caso Crispino resta là. Il maggiore Tommasone, che
stava per dare l'ultimo colpo all'indagine con l'arresto degli
assassini o dei mandanti, viene trasferito per ingerenza
politica. Di questo non se ne parla...
   Si parla invece del problema dei vani abusivi. E qui devo
correggere la relazione, perché i 300 mila vani abusivi sono
stati costruiti dal 1973 al 1988, quando si costruisce ancora;
quindi, non dal 1980. Si è trattato di 300 mila vani abusivi,
soprattutto a Pianura, con le amministrazioni ferme.
   Non voglio assolutamente fare un attacco politico, ma
voglio ricordare questo dato proprio per ricollegarlo al mio
passaggio relativo alle "mani sulla città". Ecco, Francesco
Rosi dovrebbe essere rimesso in pista per rivedere Napoli
anche sotto il profilo del disordine provocato dall'abusivismo
che si è registrato dal 1973 al 1988. E' vero che abbiamo
oltre 60 mila pratiche inevase; però nessuno dice che per
varie ingerenze, collusioni e connivenze istituzionali queste
pratiche non vengono vagliate ed il comune non riesce a
percepire 100 miliardi di lire: tanto potrebbe ricavare il
comune in dissesto da questo sistema di connivenze, di
collusioni e di complicità.
   C'è la questione della cultura dell'illegalità avanzata
dall'onorevole Sorice, che mi affascina soprattutto quando, a
pagina 34, leggiamo a proposito dell'occupazione delle case, o
meglio di quella che c'è stata menzionata diverse volte come
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un'occupazione ma che io in epoca non sospetta ho segnalato
come pilotata dalla camorra. Oggi, se andiamo sul posto, non
troviamo più la camorra presente ma troviamo gente che esprime
il bisogno di casa.
   Per contrastare questa operazione, indicata anche dalla
Commissione di inchiesta sulla ricostruzione, chi doveva
intervenire se non le istituzioni? Il prefetto non lo ha
fatto, così come non lo fa ora con i disoccupati cosiddetti
organizzati, all'interno della cui organizzazione si svolge il
mercato dei posti nel senso che alcuni accoliti di queste
ditte vanno a vendere posti di lavoro a poveri ingenui che
sono presenti nel territorio. Questo vi può far sobbalzare
dalla sedia perché siete lontani dalla conoscenza della realtà
di Napoli! Il mercato della casa ha dato miliardi alla
camorra! Il prefetto patteggia con l'illegalità - e non sto
qui a ricordarvi i dati - proprio perché non ha voluto
liberare le case! E qui apro una parentesi, colleghi: quando,
nel marzo 1990, furono liberati 700 alloggi i nuclei familiari
non andarono - come sono soliti fare - a palazzo San Giacomo o
in prefettura perché non avevano più la casa; non si trovarono
più, si dissolsero: era evidente che non avevano bisogno di
case.
   Non c'è stato dunque alcun intervento delle istituzioni e
si è consentito alla criminalità di ingrossare il sacco. Oggi
si verifica la stessa situazione con i disoccupati organizzati
che, ancora memori di un'organizzazione che poteva andare bene
nel 1973 ma che certamente non va bene nel 1993, ritengono di
poter usufruire di una corsia preferenziale per mille unità da
avviare a corsi professionali in base all'articolo 26 della
legge n. 845, che invece dice cose ben diverse. E addirittura
il comune, per rispondere alla logica del voto di scambio,
perché ha fatto solenne proposta di dare lavoro a questi
signori, inventa dei progetti per ultraquarantacinquenni...
  PRESIDENTE. Sono progetti che non sono mai diventati
esecutivi?
  MICHELE FLORINO. Stanno per diventarlo perché il
Governo, proprio in virtù dell'articolo 26 della legge n. 845
ha attribuito il finanziamento. Li ho bloccati io con una
serie di interrogazioni alle quali il ministro del lavoro ha
risposto che nell'ultimo decreto si parla di procedure
oggettive.
   Nella relazione vengono nominati episodi concernenti
comuni ad alta densità malavitosa, ma non vi ho trovato
l'aspetto sconcertante che venne a galla durante il nostro
sopralluogo a Caserta che è quello dell'insediamento di
Fontanableu a Coppola Pineta Mare. E' evidente che dovremmo
rivolgere la nostra attenzione a questo insediamento di
migliaia di unità immobiliari sul suolo demaniale. Peraltro,
visto che la stampa ha dato risalto anche alla scena
folcloristica del prelievo da Mergellina dei chioschi gestiti
da gente che da trent'anni pagava il relativo canone e che si
trovavano in una condizione che le amministrazioni comunali
succedutesi non hanno mai sanato, e visto che la motivazione
per cui il magistrato ha preso questo provvedimento è che
occupavano suolo demaniale, non si può non tener conto che sul
suolo demaniale si costruiscono migliaia di alloggi e di
locali destinati ad attività commerciali. Di tutto ciò non c'è
però traccia nella relazione.
   Questa storia, cari colleghi, è lunga. Io rimango fermo
nella mia convinzione - che scaturisce da un uomo che non mira
allo sfascio ma che vive la città - che oltre a tutte le
indagini sociologiche che è possibile fare ed oltre all'invito
che certamente si deve rivolgere alla scuola, alle persone
oneste, ai magistrati onesti che combattono, ai tutori
dell'ordine che cadono, il nostro impegno deve essere mirato
soprattutto a sconfiggere il potere istituzionale, che è il
capo vero...
   Attenzione alla vostra indagine sull'associazione
camorristica, che soprattutto nella prima parte non mi piace
troppo perché commettete l'errore di dire che la camorra non
ha organizzazioni verticistiche, che ha una serie di clan e
che pertanto sul territorio c'è una certa divisione. La
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camorra ha istituito - e Galasso ce lo ha detto - un vertice,
che è classico di Cosa nostra (e qui si collega direttamente a
Cosa nostra) e che è poi quello che ha vinto con l'efferatezza
dei delitti e con lo sconvolgimento delle bande che facevano
parte di alcuni clan. Allora, anche se Alfieri e Licciardi
sono ristretti in galera, è il vertice formato da Alfieri,
Licciardi e Mallardo che ha il dominio nella città e ad esso
le varie diramazioni, quella dell'area flegrea e delle aree
dei quartieri a più alta densità mafiosa, sono sottoposte come
luogotenenze. Rispetto a questa operatività criminale di mano
armata ancora una volta responsabilmente, senza con questo
mirare ad attaccare partiti o altro, ritengo che Napoli abbia
oggi una società mista criminale-istituzionale. Il primo
compito è quello di debellare la criminalità istituzionale che
alberga in tutti i campi che per dettato costituzionale
dovrebbero sconfiggere la criminalità. Se non facciamo questo
perdiamo solo tempo.
Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Informo che gli orari dei lavori
dell'Assemblea della Camera dei deputati nella discussione del
disegno di legge finanziaria si articoleranno dalle 9 alle 13
e poi dalle 14 o dalle 15 alle 21. Possiamo realisticamente
immaginare di cominciare a votare dalle 9,20 o dalle 9,30.
Dobbiamo inoltre concentrare i nostri lavori nella giornata di
venerdì perché andare a sabato per i senatori sarebbe
complesso, tenuto conto che il Senato non tiene seduta. Senza
dimenticare che c'è un problema di rispetto per le persone che
ascoltiamo (non possiamo scappare via perché dobbiamo andare a
votare), eventualmente possiamo sospendere la seduta
nell'imminenza delle votazioni e riprenderla durante
l'intervallo del pranzo, appunto per evitare di lavorare
sabato.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
Si riprende la discussione della relazione
                      sulla camorra.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Signor presidente, colleghi,
anzitutto vorrei esprimere il mio convinto apprezzamento per
la relazione che è stata sottoposta all'esame dei membri della
Commissione, per l'analisi condotta, per il riferimento a
molti episodi significativi della storia della criminalità
organizzata a Napoli, per la capacità che essa ha avuto di
sintetizzare, pur nella grande quantità di fatti che si sono
verificati a Napoli negli ultimi anni, avvenimenti che
sembrano diversificati e scollegati gli uni dagli altri.
   Sottolineo che la parte più importante secondo me riguarda
l'accentuazione di una caratteristica fondamentale della
camorra, cioè che si tratta di un fenomeno di massa, che si
alimenta dell'illegalità di massa che è stata la strada
attraverso la quale decine di migliaia di napoletani sono
stati costretti ad operare per sopravvivere.
   E' anche importante il riferimento all'aspetto ideologico
della camorra - e questo mi sembra un punto di collegamento
fra camorra e mafia - che riesce ad espandersi grazie alla
presa che sulle masse di emarginati hanno alcuni messaggi
lanciati dai massimi esponenti della camorra, tra cui Cutolo.
In diversi processi ci sono prove documentali che Cutolo
riuscì ad assoldare all'interno del carcere moltissime persone
facendo opera di propaganda, nel senso che riuscì a convincere
molti detenuti per reati di lieve entità che quello pubblico è
un potere ingiusto (tutto questo è messo in evidenza in un
libro scritto da Santacroce, pubblico ministero di Salerno) e
che bisognava ribellarsi ad esso attraverso l'affiliazione
alla camorra.
  PRESIDENTE. Di che libro si tratta?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. E' un libro scritto dall'attuale
procuratore della Repubblica di Sala Consilina sulla sua
esperienza in fatto di camorra. E' un libro che dedica
moltissime pagine alla organizzazione che si occupa di
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reclutare decine di migliaia di piccoli delinquenti nelle
carceri di Poggioreale ed altri istituti di pena, facendo
presa sulla capacità ideologica di Cutolo di convincere i
detenuti della necessità di ribellarsi allo Stato attraverso
l'affiliazione alla camorra.
   Questo aspetto è parzialmente messo in evidenza nella
relazione, però bisogna anche convincersi del fatto che una
relazione ha dei limiti per i quali non si possono affrontare
ed esaurire tutti gli episodi che si sono verificati
dall'inizio della storia della camorra fino ad oggi,
altrimenti la relazione diventerebbe un documento sterminato.
Quindi, pur condividendo - questo per rispondere al collega
Florino che giustamente ha posto in evidenza il problema -
l'esigenza di inserire altri fatti ed altri avvenimenti,
dobbiamo renderci conto che una relazione ha limiti spaziali e
temporali che non possono essere superati.
   Vorrei dire che occorre mettere in evidenza il dato
riguardante il consenso di massa alla camorra che, peraltro,
in parte sta per essere demolito per il nuovo modo di essere
dello Stato. Dobbiamo riconoscere che questo consenso è stata
una diretta conseguenza della sfiducia di molti cittadini ed
emarginati napoletani verso lo Stato, verso le pubbliche
istituzioni. Non c'è dubbio che il problema della corruzione,
della diffusione del malcostume e del malaffare è strettamente
collegato con quello della diffusione della camorra. A questo
proposito avrei dedicato un paragrafo della relazione al
rapporto tra corruzione amministrativa, corruzione politica e
camorra. Vero è che nella relazione viene fatta un'ampia
sintesi delle vicende legate al caso Cirillo, che è un caso
emblematico e che giustamente rappresenta la summa di
tutte le deviazioni che si sono verificate a Napoli nel corso
di questi anni, perché vi è un collegamento tra la camorra di
Cutolo, i servizi segreti deviati, gli esponenti del mondo
politico, della criminalità organizzata, addirittura del
Ministero di grazia e giustizia; è anche vero però che quando
si parla degli enti pubblici della Campania (della regione,
del comune e della provincia) si dovrebbero sottolineare
alcuni aspetti particolari. Innanzitutto che, oltre ai
consiglieri, sono stati incriminati per fatti di camorra anche
gli assessori del comune, della provincia e della regione,
cioè gli organi di governo di questi enti pubblici. Inoltre,
bisogna dire che sono stati arrestati il sindaco di Napoli, il
presidente della provincia e il presidente della giunta
regionale.
   Forse questo aspetto mi è sfuggito nella relazione ma
credo che essa debba anche fare esplicito riferimento al
numero esatto di consiglieri indagati, cioè dei responsabili
diretti del governo degli enti pubblici. Occorrerebbe inoltre
ricordare il coinvolgimento nelle indagini della magistratura
napoletana anche di importanti enti pubblici, come l'ufficio
dell'occupazione, il provveditorato alle opere pubbliche, il
provveditorato agli studi, il CORECO, poiché dalla disfunzione
di questi organismi essenziali per la vita della città sono
scaturite conseguenze negative anche dal punto di vista della
diffusione della camorra.
   Sappiamo che l'occupazione a Napoli è stata spesso gestita
da organizzazioni camorristiche proprio per la loro capacità
di influire sull'ufficio del lavoro e della massima
occupazione di Napoli.
   Tornando al caso Cirillo, che nella relazione è trattato
ampiamente, vorrei porre in evidenza un dato che potrebbe
essere utile per illuminare le responsabilità di Gava in
questa vicenda, e cioè che due dei funzionari (mi sembra che
nella relazione si faccia riferimento solo al dottor Del Duca,
al quale si aggiunge anche il dottor Ciliberti, commissario di
polizia che si occupò...
  PRESIDENTE. Del prelievo di Cirillo.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Costoro, subito dopo la chiusura
del caso Cirillo hanno lasciato la polizia e si sono
presentati, uno come candidato della democrazia cristiana a
Torre del Greco o a Torre Annunziata (non ricordo con
precisione in questo momento) e l'altro...
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  PRESIDENTE. Del Duca sì, ma non Ciliberti che è stato
questore...
  MICHELE FLORINO. E' stato nominato questore a Potenza.
  CARLO D'AMATO. Del Duca è stato candidato per la
democrazia cristiana ed è stato commissario straordinario alla
USL di Pompei.
  MICHELE FLORINO. Lo è ancora.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Bisognerebbe seguire la carriera
di due personaggi chiave della vicenda Cirillo che hanno in
qualche modo concorso all'inquinamento delle prove.
   Detto questo, credo che si debba fare un altro riferimento
allorquando si parla della magistratura. Non sono molto
critico nei confronti della relazione perché essa giustamente
fa una necessaria distinzione tra la magistratura che si è
seriamente impegnata e che si sta impegnando nella lotta alla
camorra (particolarmente la direzione distrettuale antimafia
della quale fanno parte magistrati valorosi come Roberti,
Mancuso, Lucio Di Pietro ed altri ancora) e quella che nel
corso di questi anni ha contribuito all'espansione della
criminalità organizzata. Una certa attenzione è dedicata dalla
relazione al pubblico ministero Lancuba laddove si fa
riferimento alle dichiarazioni fatte da Galasso. Io
aggiungerei anche quelle molto importanti fatte da Migliorino
che, come sappiamo, è un affiliato a Cosa Nostra attraverso la
famiglia di Gionta. Tutto questo, anche se è ancora sub
iudice e merita un approfondimento, dimostra come certi
magistrati, per fortuna pochi ma collocati a volte in uffici
chiave della procura di Napoli, abbiano potuto in qualche modo
impedire allo Stato di compiere quell'azione che avrebbe
dovuto attuare.
  PRESIDENTE. L'ufficio denunce è stato abolito?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Sì, ma è esistito per decenni e
non si riusciva ad abolire. Un'altra circostanza da tenere
presente è che pubblico ministero nel caso Cirillo è stato
Lancuba, il quale fece una requisitoria che è stata totalmente
disattesa non solo dal giudice istruttore ma dallo stesso
tribunale e dalla corte d'appello. E' un dato importante che
dimostra come un magistrato chiave, che purtroppo si trova
ancora a reggere, se non erro, la procura della Repubblica di
una importante città del sud e che ancora non è stato rimosso
dal suo ufficio, abbia in qualche modo caratterizzato
negativamente l'azione della magistratura a Napoli in quegli
anni.
   Non dobbiamo però correre il rischio di fare di tutta
l'erba un fascio perché va dato atto ai magistrati napoletani
di aver saputo, proprio con la loro azione imparziale ed
indipendente, condurre un'opera di analisi, di ricerca dei
fatti, di repressione degli illeciti a tutti i livelli e senza
distinzione di parti e di partiti (non mi risulta infatti che
siano stati trattati con favore esponenti di gruppi politici e
di partiti politici). I fatti, che sono notori, dimostrano
chiaramente l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura
napoletana.
   Giustamente la relazione pone in evidenza la drammaticità
delle condizioni vergognose in cui sono costretti ad operare i
magistrati napoletani. Recentemente mi sono recato a
testimoniare in un ufficio della procura della Repubblica di
Napoli e ho verificato di persona come ancora oggi in una
stessa stanza i magistrati sono costretti ad operare in
presenza di cinque, sei o sette persone con assoluta mancanza
di personale sia ausiliario, capace di stenografare o di
scrivere a macchina, sia amministrativo. Chiedo quindi alla
Commissione antimafia, anche se un accenno alla necessità di
rafforzare l'ufficio della procura di Napoli si ritrova nelle
conclusioni della relazione, di farsi carico di accelerare i
tempi per l'acquisizione del nuovo tribunale e successivamente
di potenziare l'ufficio della procura della Repubblica
Pagina  3241
attraverso i 65 funzionari amministrativi che mancano e un
aumento del ruolo di magistrati. Infatti, moltissimi
magistrati non sono in grado di esaminare la maggior parte
degli atti giudiziari assunti attraverso centinaia di
deposizioni e di interrogatori.
   Se non vogliamo che si vanifichi l'azione meritoria
avviata dai magistrati napoletani, non possiamo lasciarli in
un stato di impotenza che certamente si ripercuoterebbe non
solo sui magistrati ma sull'intera collettività napoletana e
in definitiva sull'intero paese. Non c'è dubbio infatti che
Napoli sia stata una città colpita in maniera spaventosa dal
fenomeno della criminalità organizzata, ma anche la meno
capace di reagire in passato dal punto di vista delle risposte
istituzionali. Tutto questo sta per finire ma dobbiamo
richiedere allo Stato uno sforzo eccezionale.
   La relazione ha trattato con particolare attenzione il
problema degli incarichi extragiudiziari. Al riguardo vorrei
ricordare che tutti nel tempo abbiamo denunciato la gravità ed
il pericolo per l'indipendenza della magistratura derivante da
questi incarichi; qui però c'è una responsabilità del Governo
e del Parlamento perché non si riesce a varare la legge che li
vieti.
  PRESIDENTE. L'abolizione degli incarichi non era
prevista dal disegno di legge di accompagnamento alla legge
finanziaria?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. E' vero che al Senato è stata
approvata la proposta che vieta questi incarichi, ma mi è
giunta notizia della volontà del Governo di stralciare questa
parte.
  PAOLO CABRAS. Il Governo stralcia molte altre cose; si
tratta di un'intesa intervenuta tra Governo e gruppi
parlamentari della Camera. E' un'intesa che giudico del tutto
inopportuna, non solo in merito a questo, perché stravolge nel
sistema bicamerale e nel passaggio tra una Camera all'altra
una legge importante come questa. Tutto questo però attiene
alla politica generale e non ai temi che stiamo qui
affrontando.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. La relazione pone in evidenza
questa necessità ma è una speranza che, a mio giudizio, non si
realizzerà perché so che alla Camera questa parte sarà
stralciata. Aggiungo che in Commissione giustizia era in
discussione in sede deliberante il provvedimento sugli
incarichi extragiudiziari, già approvato all'unanimità dalla
Camera nella scorsa legislatura. Ebbene, questa legge è stata
bloccata per responsabilità della maggioranza (devo
dichiararlo con un certo disappunto) perché nonostante
all'approvazione manchino solo tre articoli non siamo in grado
di approvarla. Per la pressione di alcuni magistrati
amministrativi collocati presso vari ministeri ancora una
volta ci sarà un rinvio della legge che vieta gli incarichi
extragiudiziari.
   A questo punto l'attacco alla magistratura diventa quanto
meno inopportuno se il Parlamento ed il Governo non riescono
ad approvare questa legge. Allo stato, infatti, dobbiamo
riconoscere che gli incarichi non sono vietati.
   Sottopongo all'attenzione dei colleghi l'opportunità di
sopprimere il riferimento al giudice Di Pietro insieme a
Lancuba perché, mentre Di Pietro è un magistrato che si è
impegnato al massimo nella lotta alla criminalità organizzata,
Lancuba abbiamo visto...
  PRESIDENTE. Anche lui ha ricevuto degli incarichi, però!
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Sì, però, si potrebbero mettere i
nomi di tutti i magistrati che hanno ricevuto gli incarichi, e
sono numerosi, ma l'hanno fatto in base a una legge che lo
consentiva (a quanto pare il TAR ed il Consiglio di Stato
hanno deciso sulla base di giudizi assunti da magistrati
anch'essi investiti di incarichi extragiudiziari); in caso
contrario rischiamo di mettere insieme Lancuba e Di Pietro,
pur essendo personaggi completamente non comparabili.
Pagina  3242
   Mi permetto, quindi, di suggerire la necessità di
affrontare questo problema senza fare riferimento al dottor Di
Pietro, dal momento che la stessa relazione prende atto
dell'impegno con cui la direzione distrettuale antimafia ha
affrontato la lotta alla criminalità organizzata.
   Un'altra osservazione che desidero fare riguarda i comuni
del casertano. Giustamente si parla di infiltrazioni della
camorra in molti comuni e si fa riferimento a Maddaloni,
Marcianise e Santa Maria Capua Vetere. A questo proposito,
vorrei dire - e non certo per spirito campanilistico - che a
Maddaloni il consiglio comunale all'unanimità ha deciso la
rescissione dell'appalto per la nettezza urbana che la
Sudappalti era riuscita a vincere, apparentemente in modo
regolare. Da circa 4 anni si è instaurata una controversia,
dinanzi al TAR della Campania, fra il comune di Maddaloni -
anche dietro sollecitazione di chi vi parla - e la Sudappalti;
sembra addirittura che il TAR della Campania, che si è sempre
distinto per decisioni inopportune, abbia dato o stia per dare
ragione alla Sudappalti.
   Pertanto, o cambiamo le regole di aggiudicazione degli
appalti e facciamo in modo che il TAR non dia ragione alle
imprese della camorra, tali riconosciute ormai da numerosi
provvedimenti giurisdizionali, oppure evitiamo di
criminalizzare quei comuni, come quello di Maddaloni, che
coraggiosamente hanno da tempo deciso di rescindere i
contratti con le ditte in odore di camorra.
   La relazione fa riferimento, in modo un po' marginale, al
ruolo rivestito da tale Ferdinando Cannavale nell'ambito della
criminalità organizzata campana. Questo signore, titolare
della Trafermar S.r.l. di La Spezia, grazie alle sue
conoscenze politiche nell'ambito del partito liberale, è
riuscito ad ottenere dall'assessore all'ecologia della
provincia di Napoli, Raffaele Perrone Capano, l'autorizzazione
alla ricezione di rifiuti extraregionali; autorizzazione che,
peraltro, non rientrava nella competenza di tale assessore.
Ferdinando Cannavale, com'è stato giustamente scritto nella
relazione, appartiene alla loggia Mozart di Genova del Grande
oriente d'Italia. E' a mio avviso opportuno mettere in
evidenza anche che un altro imputato - che ha avuto una parte
nella vicenda dei rifiuti tossici urbani della Campania, uno
dei fatti più devastanti per la regione perché si tratta di
rifiuti tossici gestiti da imprese della camorra - tale
Pelella Ermanno, presidente dell'Azienda consortile trasporti
pubblici, ha dichiarato che Nunzio Perrella, quando stabilì un
primo contatto con lui, gli chiese se fosse massone,
aggiungendo che De Lorenzo aveva sollecitato più volte lo
stesso Pelella Ermanno ad affiliarsi alla massoneria.
  PRESIDENTE. Quella era la loggia "nettezza urbana".
  FERDINANDO IMPOSIMATO. La cosa sconvolgente e che fa
quadrare il cerchio è che uno dei protagonisti di questa
vicenda, tale Cerci Gaetano, titolare della Ecologica 89
S.r.l. che aveva come cointeressati Bidognetti Francesco,
Schiavone Francesco e Zagaria Vincenzo, si è certamente recato
ad Arezzo, il 4 febbraio del 1991, per incontrare Licio Gelli.
Inoltre, fu uno dei partecipanti alla riunione di Villaricca
ove sono stati presi gli accordi sullo smaltimento dei rifiuti
e dove è stata stabilita la spartizione delle tangenti.
   Senza voler anticipare il giudizio della magistratura,
bisogna dire che tutto ciò mette in evidenza una realtà
sconvolgente, anche per quel che riguarda la camorra, vale a
dire il collegamento fra pubblici amministratori, politici ed
esponenti della criminalità organizzata con i vertici della
massoneria ufficiale e piduista. Questa è una realtà che può
senz'altro essere messa in evidenza nella relazione e che
contribuirebbe a dare un quadro d'insieme più completo, tenuto
conto che noi abbiamo giustamente dedicato molta attenzione ai
rapporti tra mafia e massoneria nella relazioni riguardanti
specificamente la prima.
   Bisogna anche aggiungere che lo stesso Pasquale Galasso, a
proposito dei rapporti con la massoneria, ha dichiarato di
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aver conosciuto un generale, del quale ha detto soltanto il
nome e non anche il cognome, nell'ambito di rapporti che si
concretavano in questa intesa: i massoni si mettevano a
disposizione dei gruppi o di singoli camorristi chiedendo in
cambio compensi monetari o altre prestazioni. Ebbene, ho letto
le dichiarazioni di un altro esponente della criminalità
organizzata, implicato e processato per l'uccisione di
Casillo, tale Cillari, il quale ha in parte confermato le
dichiarazioni di Galasso, facendo il nome di quel generale dei
servizi segreti, che era iscritto alla massoneria e che aveva
rapporti con la camorra. Non solo: egli ha dedicato decine di
pagine della sua deposizione alla descrizione dei rapporti fra
massoneria, criminalità organizzata di tipo mafioso e
camorristico ed esponenti istituzionali, politici e dei
servizi segreti.
   Si tratta di affermazioni da verificare ma che, già per
quel che risulta a me, trovano conferme negli atti del
processo alla banda della Magliana perché egli fa riferimento
a Flavio Carboni e ad una loggia da lui costituita. I rapporti
tra Flavio Carboni ed esponenti della massoneria emergono
chiaramente proprio dagli atti di questo processo,
considerato, ad esempio, che Carboni ebbe costanti rapporti
sia con Calvi, iscritto alla P2, sia con Gelli; se non ricordo
male tutti e tre erano stati incriminati nello stesso processo
di Milano ed erano stati condannati per la bancarotta
fraudolenta del Banco ambrosiano.
   Il senatore Florino ha giustamente cercato di introdurre
elementi di precisione in ordine al problema dell'abusivismo,
certamente collegato alla camorra. Sulla base di notizie
fornite anche dai sindacati, possiamo dire che l'origine del
fenomeno è ancora più lontana nel tempo perché risale agli
anni 1970-1971, com'è agevolmente verificabile. La giunta
Valenzi, tra il 1975 e il 1983, ha assunto una serie di
iniziative per la demolizione degli alloggi, che hanno portato
alla requisizione di una parte degli alloggi. Per altra parte
sono fallite perché vi è stata una vera e propria rivolta
popolare contro la demolizione di alloggi che giustamente non
avrebbero dovuto essere abbattuti poiché erano stati
realizzati per ragioni di necessità.
   Mi sia concessa un'altra considerazione relativa alla
questione delle cooperative e dei rapporti tra società del
gruppo IRI e società della camorra. Non c'è dubbio che in
questi anni uno dei fatti più negativi sia stato il
conferimento a società concessionarie dell'incarico di fare da
intermediarie tra le società IRI e quelle della camorra, di
modo che molte di esse hanno fatto da coperture della camorra
nella gestione degli appalti; cosa, questa, che ha dato
origine al cosiddetto fenomeno degli appalti "a cascata". In
tale operazione sono state purtroppo coinvolte non solo
imprese che facevano capo alla democrazia cristiana,
soprattutto a Cirino Pomicino per quel che riguarda la
costruzione della terza corsia dell'autostrada, ma anche ad
esponenti di altri partiti di Governo. Bisogna anche
riconoscere che sono state coinvolte società cooperative delle
quali ha parlato, oltre a Galasso, anche Migliorino facendo un
preciso riferimento.
   Occorrerà, dunque, completare il quadro innanzitutto
spiegando i meccanismi di utilizzazione delle società per
investire imprese della camorra dell'incarico di realizzare
opere pubbliche - penso, oltre alla terza corsia
dell'autostrada, anche ai Mondiali 90 - e poi cercando di
stabilire quale fosse l'entità dei compensi percepiti da
quelle società finanziarie, che nulla facevano per la
realizzazione delle opere perché si limitavano a subappaltare
le opere alle imprese della camorra che, a loro volta,
subappaltavano ad altre imprese, quelle dei cosiddetti
"padroncini". Occorrerà anche cercare di stabilire quale sia
stato il ruolo delle commissioni di collaudo - delle quali
molto spesso hanno fatto parte magistrati amministrativi,
contabili ed avvocati dello Stato - nella verifica della
regolarità della determinazione dei prezzi, delle procedure
per la loro revisione, della dilatazione a dismisura dei
prezzi stessi, al punto da arrivare ad una loro
Pagina  3244
quintuplicazione rispetto a quelli inizialmente fissati.
   Concludendo, desidero esprimere il mio apprezzamento per
il lavoro estremamente positivo svolto per redigere la
relazione che riferisce una serie di fatti, con nomi e
collegamenti che altrimenti sarebbe stato difficile
verificare. Aggiungo che, pur non potendo ovviamente celebrare
processi, non possiamo non tener conto di circostanze di fatto
che emergono comunque dagli atti dei processi, quale che sia
stato il loro esito. Giustamente, la relazione ha introdotto
questi elementi: penso sia giusto integrarli con altri utili a
fornire un quadro più completo.
  PRESIDENTE. Vorrei pregare l'onorevole Imposimato di
fornire alla Commissione i dati in suo possesso relativi alla
nettezza urbana che potrebbero essere molto utili.
  CARLO D'AMATO. Fino a che ora, presidente, pensa di
protrarre i nostri lavori?
  PRESIDENTE. Usque ad effusionem sanguinis.
  CARLO D'AMATO. C'è il rischio che io, che sono l'ultimo
iscritto a parlare, alla fine interloquisca soltanto con lei.
Avrei gradito moltissimo la presenza del senatore Ranieri.
  PRESIDENTE. Il senatore Ranieri sta per tornare.
Comunque, si potrebbe risparmiare tempo se i colleghi
riterranno di contenere i propri interventi.
  ANTONINO BUTTITTA. Desidero innanzitutto fare una prima
osservazione che si ricollega a quanto avevo già notato a
proposito di altri documenti prodotti dalla Commissione. Si
avverte chiaramente dagli esiti del susseguirsi del lavoro
della Commissione una progressiva crescita qualitativa dei
documenti stessi. Questo mi pare, se non il migliore, uno dei
migliori prodotti. Ciò che colpisce subito favorevolmente è
l'organicità dell'impostazione. La stessa organicità non si
riscontrava, invece, nella relazione sulla situazione del
crimine mafioso in Sicilia. Al contrario, in questa relazione
tutte le connessioni del fenomeno ed il suo spessore, non solo
storico ma anche sociale ed economico, vengono colti nella
loro interezza.
   La relazione si fonda su un metodo assolutamente corretto,
e in ordine al metodo si possono svolgere soltanto
considerazioni di carattere positivo che risparmierò ai
colleghi.
   Quanto al merito, invece, credo che si debba fare una
notazione che consenta di approfondire, se non per l'oggi
almeno per l'avvenire, gli orientamenti in ordine allo studio
e alla rappresentazione del fenomeno osservato. Intendo dire
che la relazione, sullo sfondo, mantiene come suo criterio una
distinzione a mio avviso troppo netta tra il fenomeno mafioso
e quello camorristico: i due fenomeni sono, a mio giudizio,
eccessivamente distanziati. E' vero che al livello delle
strutture apparenti (quelle che i francesi chiamano strutture
di surface, mentre noi potremmo usare l'espressione
sovrastrutture) i due fenomeni si presentano in termini
diversi, con tratti distintivi diversi. E' vero che, come
viene illustrato molto bene nella relazione, il fenomeno
camorrista presenta una maggiore elasticità strutturale
rispetto a quello mafioso; è anche vero che esso ha una
maggiore pervasività sociale, fatto che lo rende più
pericoloso. In questo senso, meriterebbe una considerazione
critica l'attenzione dedicata ai due fenomeni che è stata
assolutamente diversa e diseguale, nel senso che non solo
giornalisticamente e politicamente, ma soprattutto
scientificamente quello mafioso è stato presentato come un
fenomeno centrale dal punto di vista della pericolosità,
mentre al contrario quello camorrista è stato presentato come
un fenomeno marginale.
Pagina  3245
   La relazione dimostra esattamente il contrario, ossia che,
proprio per la sua pervasività sociale, la camorra costituisce
un pericolo maggiore e anche più difficile da combattere e da
estirpare rispetto al fenomeno mafioso.
   Un altro tratto distintivo che non vedo sottolineato nella
relazione è quella che definirei la omogeneità sociale del
fenomeno camorrista: mi riferisco al fatto che, a differenza
del fenomeno mafioso, che è radicato anche nelle fasce sociali
borghesi per non dire aristocratiche, il fenomeno camorrista,
al contrario, è esclusivamente presente nelle fasce sociali
subalterne. Mentre quello camorrista è un fenomeno che muove
dal basso e nel basso rimane, il fenomeno mafioso, al
contrario, muove contemporaneamente dall'alto e dal basso e in
alto e in basso esercita la propria presenza.
   Dunque, è vero che a livello delle strutture apparenti i
due fenomeni si presentano con tratti distintivi diversi. Non
è così, invece, a livello delle strutture profonde, perché i
valori su cui i due fenomeni si fondano sono analoghi: per
esempio, l'omertà e la solidarietà sono due valori che
connotano profondamente i due fenomeni, i quali per questo
aspetto sono lo stesso fenomeno.
   Un altro carattere comune è, per esempio, l'organizzazione
strutturale: la camorra si fonda su una struttura federativa e
nel suo insieme, osservata dall'alto, su una struttura
confederativa, con tutta la dialettica che questo tipo di
strutture praticamente comporta. Lo stesso accade nella mafia,
visto che anch'essa si fonda su un'organizzazione strutturale
di tipo federativo.
  PRESIDENTE. Però con un vertice unico.
  ANTONINO BUTTITTA. No, non è così; questo è l'errore.
Non è vero che la cosiddetta commissione (intendo quella di
Palermo) governa tutto il sistema mafioso; abbiamo potuto
constatarlo quando abbiamo osservato (e l'abbiamo osservato
proprio noi, grazie alle informazioni che ci sono state date)
come contemporaneamente e in situazione dialettica rispetto
alla commissione crescessero e si espandessero altre
organizzazioni che avevano lo stesso carattere ed esprimevano
gli stessi comportamenti. Intendo riferirmi al cosiddetto
fenomeno delle "stelle". A mio avviso, dunque, la struttura, a
livello delle sue connessioni e articolazioni è una struttura
di tipo federativo o confederativo analoga.
   Il non aver osservato il livello strutturale profondo
delle due organizzazioni porta all'affermazione contenuta
nelle prime pagine che la camorra è priva di regole. Ma se un
fenomeno sociale ha dei valori ideologici che lo fondano, se
ha una struttura, non può essere privo di regole, perché
queste ultime sono sempre e soltanto l'esplicitazione di
valori e di un'organizzazione. Non esiste, non può esistere,
nella realtà sociale un fenomeno privo di regole; semmai, si
può dire che esistono fenomeni, che sono propri delle società
cosiddette fredde (come dice Lévi Strauss) che si fondano su
sistemi di regole inerti mentre vi sono fenomeni, quelli delle
società cosiddette calde, che si fondano su sistemi di regole
dinamici. Ma ciò che a mio avviso rende omologhe le due forme,
ossia quella camorrista e quella mafiosa, è l'analogia dei
comportamenti e dell'obiettivo. In sostanza, la camorra, non
diversamente dalla mafia, è un insieme di comportamenti
diretti a conseguire profitto mediante la violenza; né vi è
diversità in ordine al ruolo storico dei due fenomeni. Si è
osservato che in momenti storici diversi della camorra si sono
serviti lo Stato e la classe dirigente per governare,
attraverso essa, il sociale. Si tratta di un'osservazione
giusta e corretta, ma lo stesso è accaduto nel caso della
mafia.
   Il generale Corrao, illustre e famoso generale
garibaldino, non a caso, quando si normalizzarono le cose,
venne processato e condannato per mafia. Il generale Corrao
era un esponente del mondo mafioso, di cui il generale
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Garibaldi si servì per poter conquistare la Sicilia, a meno
che non si voglia credere alla favola che abbiamo appreso dai
libri delle scuole elementari secondo cui mille uomini valenti
e coraggiosi furono in grado da soli di conquistare un'isola
dove in quel momento vi erano da 50 a 60 mila soldati in armi.
   E' noto allora che attraverso la massoneria (ritorna
ancora una volta la massoneria) il generale Garibaldi prese
contatti con l'universo mafioso e fu aiutato dalla mafia: le
squadre dei picciotti erano governate da capimafia. Per citare
la più importante, ricordo che la squadra di Monreale, quella
dei Miceli, era governata, appunto, dal signor Miceli, che era
un capomafia ed era padre, nonno e avo degli altri Miceli che
poi nel prosieguo furono capimafia nella cittadina di
Monreale.
   Venendo a tempi più vicini, che cosa fecero gli alleati
quando decisero di occupare la Sicilia?
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Stai facendo veramente dei
grandi complimenti alla mafia: ad essa dovremmo l'unità
d'Italia e la liberazione del nostro paese.
  ANTONINO BUTTITTA. No, non voglio dire questo.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Hanno dato solo manovalanza!
  ANTONINO BUTTITTA. Non farmi dire cose che non solo non
ho detto ma non penso neppure. Osservo semplicemente che si è
notato giustamente che vi sono stati momenti nei quali lo
Stato si è servito della camorra per governare la società.
Questo fatto viene assunto come distintivo rispetto alla
mafia. Dico allora che questo non è vero, perché in altre
situazioni storiche, talora anche cronologicamente
coincidenti, è accaduto lo stesso rispetto alla mafia. Stavo
ricordando l'aiuto, a mio avviso inutile e assolutamente
irrilevante (stavo per dire proprio questo), che venne dato
dalla mafia agli alleati quando questi decisero l'occupazione
del nostro paese.
   Sono d'accordo circa il fatto che si trattava di un
espediente (definiamolo così) di cui gli alleati potevano
tranquillamente fare a meno.
   Passerò ora ad un aspetto che interessa più direttamente
la Commissione, quello dei rapporti tra universo politico e
camorra. Dalla lettura della relazione emerge un quadro
inquietante. D'altra parte, se la camorra, come si sottolinea
nella stessa relazione, è un fenomeno sociale che pervade in
forma partecipativa assai estesa l'universo sociale, poiché i
fatti politici sono radicati nel sociale ed esprimono il
sociale, c'è da inquietarsi ma non da sorprendersi nel momento
in cui si constata che il mondo politico napoletano e campano
è profondamente colluso con l'universo camorristico.
   Penso che proprio per questa ragione l'oggetto
dell'osservazione probabilmente avrebbe dovuto essere
allargato. Cosa intendo dire? Il rischio, leggendo la
relazione, è quello di assumere l'onorevole Gava come l'unico,
il solo referente politico di questo insieme di comportamenti
politico-camorristici o camorristico-politici. Non c'è dubbio
- non lo scopriamo noi, è fatto noto da tempo - che Gava abbia
avuto un ruolo centrale, al di là delle caratteristiche del
ruolo, su cui ha insistito l'onorevole Sorice, sulle quali
bisognerà pur ritornare, tra l'altro ascoltando l'interessato.
Ma al di là delle caratteristiche del ruolo esercitato da
Gava, non c'è dubbio che egli sia personaggio centrale della
realtà che stiamo osservando. Però, non esclusivo. Ribadisco:
il rischio è quello di far apparire Gava come il solo, l'unico
referente politico dell'insieme del fenomeno. Ecco perché dico
che probabilmente l'oggetto dell'osservazione meriterebbe di
essere allargato.
   Dicevo che il panorama relativamente ai rapporti
camorra-politica è inquietante ma non sorprendente. Mi pare,
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invece, che è inquietante ma anche sorprendente il panorama
relativamente ai rapporti tra camorra, magistratura e forze
dell'ordine. Devo dire che la lettura di questa relazione più
che inquietante è scioccante. Voglio citare un solo nome, a
prescindere dalle conseguenze negative che me ne possono
venire. Ma come è possibile che i cittadini italiani affidino
la propria sicurezza o comunque la ricerca della verità e
della giustizia al dottor Parisi? Come è possibile? Se sono
vere, come sono vere probabilmente le cose che abbiamo letto,
c'è molto da dubitare sul fatto che un signore con la storia
del dottor Parisi possa garantire sicurezza, verità e
giustizia ai cittadini italiani. C'è da dubitare.
   Comunque, al di là dei dubbi e delle denunce, credo che il
momento fondamentale, il passaggio importante che la
Commissione deve fare e che comunque deve suscitare presso le
istituzioni a ciò deputate è quello dei correttivi. Leggendo
la relazione mi ponevo una domanda che è rimasta senza
risposta e che probabilmente tale resterà. Cosa sta facendo in
questo momento quell'esperto che ha dichiarato Cutolo
totalmente infermo di mente? Cosa sta facendo in questo
momento? L'interrogativo naturalmente è comprensivo...
  PRESIDENTE. Ad uno hanno tagliato la testa. Però, ce n'è
un altro.
  ANTONINO BUTTITTA. Sì, ce n'è un altro. L'interrogativo
è comprensivo di una folla di altri interrogativi che
rimangono in ordine alla situazione così come è oggi e come
sarà domani, a prescindere dalle denunce che la relazione
contiene.
   Si tratta di un ottimo lavoro. La relazione indubbiamente,
a mio giudizio, è un modello - sto pensando a tutta la cattiva
letteratura prodotta su fenomeni come questo - di ricerca
seria, attenta e anche equilibrata e misurata. Però, se a
tutto questo non segue un insieme di comportamenti da parte
dello Stato, della magistratura, delle forze dell'ordine,
della classe politica, che si muovano in direzione di una
correzione radicale della situazione così come in questo
momento si presenta nella realtà sociale napoletana e campana,
naturalmente questa relazione si andrà ad iscrivere nella
letteratura - buona, ma sempre letteratura - che sul fenomeno
camorra e sul fenomeno mafia si è prodotta da circa un secolo
a questa parte.
   La relazione giustamente osserva che il fenomeno è sociale
e dunque non può essere affrontato e risolto solo in termini
giudiziari e militari. Nessun regime è riuscito mai a
risolvere i propri problemi sociali in termini militari.
Dunque, a fronte di un fenomeno sociale come questo occorrono
correttivi sociali. Questi correttivi sociali sono
individuabili nel mutamento delle strutture produttive, anzi
nella fattispecie di mutamento non si tratta, visto che di
strutture produttive in senso veramente moderno in quell'area
sostanzialmente non ce ne sono; dunque, in modo più corretto
si può dire che la soluzione viene individuata nell'innesto di
strutture produttive moderne in una realtà sociale arcaica.
   Questo è sicuramente vero, però non dobbiamo dimenticare
che proprio per le sue caratteristiche - che sono tipiche del
fenomeno mafioso in generale ma soprattutto della camorra e la
relazione lo mette bene in luce - di mobilità, di
adeguabilità, la camorra finirà con l'inserirsi, potrà
inserirsi anche nel sistema delle strutture produttive di tipo
moderno.
  MICHELE FLORINO. Già c'è!
  ANTONINO BUTTITTA. Negli Stati Uniti d'America
sostanzialmente è così.
  PRESIDENTE. Sì, nel calcestruzzo, nelle cave...
  MICHELE FLORINO. E' andata anche oltre!
  ANTONINO BUTTITTA. Voglio dire che è vero che nella
società napoletana, campana e più in generale in quella
Pagina  3248
meridionale bisogna intervenire attraverso l'innesto di
strutture produttive moderne ma questo fatto da solo non è
sufficiente. D'altra parte, un signore che non è più di moda -
non voglio neanche citarlo ma è quello che prima citavano
tutti da destra e da sinistra, più da sinistra ovviamente -
che era un grande studioso di filosofia e di economia della
seconda metà dell'ottocento osservava che le sovrastrutture si
muovono più lentamente rispetto alle strutture. Da qui una
considerazione: a prescindere dal fatto che il fenomeno,
grazie alla sua elasticità, riesce ad inserirsi nel sistema
produttivo anche moderno, rimane sempre il fatto che l'innesto
in questo tipo di società di strutture produttive nuove,
moderne, avanzate, non potrà determinare un rapido cambiamento
delle sovrastrutture ideologiche e comportamentali. Con questo
non voglio esprimere un giudizio pessimista e sconsolato in
ordine all'evoluzione della società campana e meridionale in
generale ma intendo mettere in guardia i colleghi sulla
speranza - giustamente alimentata - che questa realtà possa
cambiare rapidamente. Questa messa in guardia serve non tanto
a sollecitare l'abbandono della lotta quanto invece al
contrario, cioè a far sì che l'attenzione su fenomeni di
questo tipo venga mantenuta sempre vigile e via via sempre più
rafforzata.
  PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Buttitta.
  UMBERTO CAPPUZZO. Desidero esprimere al presidente un
vivo apprezzamento per questa relazione. Con la sua grande
capacità ha raccolto un'infinità di dati e di elementi.
Soltanto un piccolo appunto vorrei muovere. Sarebbe opportuno
un riordinamento della materia, perché ci sono dei salti, cioè
riferimenti storici che vengono poi integrati con
considerazioni di natura sociologica e viceversa, che fanno
perdere la visione d'insieme. Se invece tutta la parte storica
venisse messa insieme e poi tutto l'esame sociologico
sviluppato successivamente, probabilmente la relazione ne
guadagnerebbe molto in chiarezza.
   Il punto di partenza della relazione è il fatto che la
camorra è stata sottovalutata. Aggiungerei qualcosa di più.
Probabilmente, è stata sottovalutata - qui c'è una
considerazione di carattere politico - perché si pensava in
chiave sociale che l'attività sviluppata dalla camorra fosse
l'unica attività possibile in un contesto che economicamente
aveva i suoi problemi. Mi riferisco, ad esempio, al fatto
emblematico del contrabbando dei tabacchi. Quando era dato di
vedere, come fino a non molti anni fa e anche tuttora, che la
flotta delle famose imbarcazioni era tutta dipinta in blu e si
chiedeva a qualche rappresentante delle forze dell'ordine come
mai venisse tollerato tutto questo, la risposta era che si
subivano pressioni perché non si intervenisse, perché in fondo
l'unica chiave per risolvere piccoli problemi economici era
tollerare il contrabbando. Questa considerazione si può fare
anche per Palermo, dove è dato di vedere che il contrabbando
addirittura ostentatamente avviene anche in presenza di
strutture di organi preposti alla lotta contro questo reato.
   Quindi, non solo sottovalutata ma addirittura accettata,
come logica perversa per la soluzione di un problema di
carattere economico. Questo è importante, perché si è diffusa
quella cultura dell'illegalità che è la matrice essenziale
della camorra. Sono sorti quei valori, anzi disvalori, per cui
per farcela nella vita bisogna comportarsi da camorristi!
Questa è la cosa gravissima! Ecco perché il pessimismo.
L'onorevole Buttitta dice di non essere stato pessimista, ma
il problema che abbiamo di fronte è immane.
  ANTONINO BUTTITTA. Sono pessimista, ma di un pessimismo
attivo.
  UMBERTO CAPPUZZO. Quando si dice che la camorra governa
il disordine sociale, dobbiamo chiederci se quest'ultimo
rappresenti l'effetto dell'attività della camorra oppure il
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fondamento, l'humus sui quali questa si è innestata. Si tratta
di un interrogativo al quale è molto difficile dare una
risposta, così come è difficile valutare se la semplice
soluzione del problema sociale possa essere sufficiente a
stroncare un fenomeno tanto grave.
   L'attenzione del relatore si è accentrata sui punti nodali
dello sviluppo della camorra, che vanno riferiti - si tratta
di un aspetto sul quale probabilmente andrebbe condotto un
ulteriore approfondimento - a due vicende molto importanti: la
ricostruzione post-terremoto e la vicenda Cirillo, che sono in
qualche modo legate, anche sotto il profilo temporale, e che
rappresentano due fatti determinanti per esaminare il fenomeno
camorra. A tale riguardo, emerge un panorama estremamente
allucinante, nella misura in cui ci rendiamo conto che siamo
arrivati a questo punto non tanto e non soltanto perché si è
verificata una commistione tra politica e camorra, ma perché
tutto il tessuto sociale di Napoli è invischiato nella
camorra.
   In sostanza, ci troviamo di fronte ad un tipico caso che,
sotto il profilo clinico, sarebbe definito metastasi: la
camorra è un fatto metastatico, la conclusione di un processo
di degenerazione che oggi impone l'adozione di misure
estremamente difficili. Sotto questo profilo, l'intervento del
collega Florino, così vivace e pieno di tensione, ha puntato
il dito sul fatto che le istituzioni stesse sono in qualche
modo rappresentative della camorra. Le istituzioni sono ormai
coinvolte a tutti i livelli in un processo di degenerazione
che è difficilmente recuperabile.
   Ho sempre sostenuto che la sensazione della presenza
totalmente coinvolgente dell'attività criminale la si ricava
dalla constatazione del dissesto territoriale: laddove vi è
abusivismo edilizio, si ha la prima manifestazione
dell'incapacità di gestire e di controllare il territorio. Mi
chiedo allora cosa abbiano fatto gli amministratori locali e
le forze dell'ordine nelle fasi e nei tempi in cui era
possibile intervenire. Si tratta di fenomeni sui quali non
possono che essere svolte considerazioni molto amare. Viene da
chiedersi: questo atteggiamento omissivo si è espresso in un
certo modo per effetto del condizionamento della camorra o
anche perché vi sono state pressioni politiche, nel senso che
si volevano alleviare disagi di carattere economico e sociale?
Ecco quindi che ad essere messa sotto accusa è la politica,
intesa non come volontà riferita a questo o a quell'altro
partito, ma come dato di fatto considerato nella sua
interezza.
   Il collega Sorice ha affermato che tutte le forze
politiche rappresentate in Parlamento, allorché hanno operato
certe scelte portando sempre più in basso al livello degli
enti decisionali e di erogazione della spesa, hanno posto in
essere una politica contraria a quella che avrebbero dovuto
realizzare. Mi chiedo: un controllo maggiormente centralizzato
della spesa non avrebbe reso più difficoltosa l'infiltrazione
delle organizzazioni camorristiche o mafiose? Di qui la messa
in accusa della politica sviluppata nei confronti del
Meridione. A mio avviso, andrebbe condotta un'analisi più
puntuale con riferimento al ruolo svolto dalle forze politiche
nel creare le condizioni perché i fenomeni di criminalità
organizzata si estendessero. Un accenno a tale aspetto
dovrebbe essere contenuto nella relazione.
   Ranieri ha ricordato le leggi adottate successivamente al
terremoto. Quelle leggi si inseriscono in un contesto nel
quale tutte le forze politiche hanno privilegiato una certa
linea, non perché volessero favorire la camorra, ma perché
evidentemente non hanno compreso i pericoli ai quali si andava
incontro. Se quella in esame è una relazione riferita
all'intreccio non diciamo perverso (anche perché c'è un
intreccio di diverso tipo)...
  PRESIDENTE. Forse è più corretto parlare di intreccio
sbagliato.
  UMBERTO CAPPUZZO. Se siamo arrivati a questo punto, è
evidente che noi, sia pure inavvertitamente, abbiamo fatto il
gioco della camorra. Questo aspetto - in questo senso richiamo
Pagina  3250
l'intervento del collega Sorice - meriterebbe, a mio avviso,
un approfondimento, con particolare riferimento sia ad una
sorta di delega data al basso sia all'aumento dei centri
erogatori di spesa ed all'allentamento dei controlli, a volte
voluto per motivi di consenso o anche per ragioni di carattere
sociale. Bisogna ricordare che, nell'adozione di determinati
provvedimenti, non si è registrata una distinzione tra
maggioranza ed opposizione, ma tutte le forze politiche,
soprattutto quelle rappresentative del Meridione, si sono
concordemente date da fare per andare verso questo
decentramento, che ha portato ai risultati che conosciamo.
Ritengo sia molto riduttivo esaminare il problema in funzione
del consenso che queste forze perverse riescono a dare alla
politica. Se questo fosse vero - mi ricollego ad una
considerazione dell'onorevole Sorice - come si potrebbe
spiegare che i quartieri più malfamati di Palermo (che noi
abbiamo visitato), Brancaccio e Croceverde, ad esempio, hanno
dato l'80-85 per cento dei voti ad Orlando? Due sono le
possibilità: o la mafia è scomparsa (e questo mi farebbe
grande piacere), oppure la capacità della mafia di spostare i
voti era soltanto un millantato credito. Tertium non
datur! Bisognerebbe svolgere una riflessione sui bacini di
utenza del voto malavitoso in funzione delle comode
considerazioni in base alle quali se tali voti convergono su
una stessa persona in misura del 30 o del 35 per cento essi
sono inquinanti (questi sono i rapporti percentuali
solitamente indicati), se sono di entità maggiore stranamente
non lo sono. Se facessimo tale riflessione, ci accorgeremmo,
anche alla luce di quanto sta accadendo a Napoli, come la
mobilità del voto sia da attribuire ad altri fattori.
   Mi chiedo allora - riprendo un po' la sociologia alla
quale aveva fatto ricorso Buttitta - come mai le
manifestazioni malavitose di tipo organizzato si siano
sviluppate nelle nostre regioni meridionali. Vogliamo forse
tornare alle idee ed alle teorie aberranti del Lombroso, che
individuano una predisposizione alla delinquenza? Oppure
andrebbero più opportunamente considerate condizioni obiettive
che sono state create nel tempo e che la politica non è
riuscita a risolvere?
  PRESIDENTE. Oppure le ha create!
  UMBERTO CAPPUZZO. Certo, può averlo fatto a volte per
incomprensioni, ma il problema è di stabilire perché le abbia
create soltanto nel Meridione.
   L'approfondimento dei passi compiuti nel tempo per
arrivare ad una certa situazione è senza dubbio essenziale .
Ranieri ha accennato alle parentesi di presenza di altre forze
politiche a Napoli, con particolare riferimento
all'esperimento Valenzi, che nessuno può mettere in
discussione soltanto in funzione di Valenzi. Va comunque
considerato che, anche in presenza di soluzioni di diverso
tipo, si sono registrate incrostazioni o possibilità di
derogare a quelli che potevano essere intendimenti di
correzione da parte della stessa giunta (non voglio fare
alcuna accusa). Quando in relazioni come quella che stiamo
esaminando si parte dal preconcetto di poter recare soltanto
vantaggio ad una tesi per condannare un certo partito o una
certa maggioranza, si arriva a risultati che possono essere
smentiti. Sotto questo profilo, andrebbe dedicato un cenno a
tutto quello che è stato tentato a Napoli, ma che non si è
riusciti a fare.
   Il problema della ricostruzione post-terremoto non deve
essere visto soltanto sotto il profilo di una certa parte.
Oltretutto, viene da chiedersi: l'avere inserito nella mappa
dei territori danneggiati un'ampia area che dal terremoto non
era stata interessata, non ha rappresentato una scelta
politica? Certamente vi era l'esigenza di utilizzare
un'occasione per porre in essere interventi massicci
finalizzati a risolvere problemi di carattere sociale (che
peraltro non sono stati risolti). Abbiamo constatato anche
l'assenza totale delle forze dell'ordine locali e dei prefetti
con riferimento allo sgombero degli alloggi occupati.
All'epoca in cui ero membro della Commissione d'inchiesta sul
terremoto in Campania ed in Basilicata, ho constatato
Pagina  3251
situazioni davvero allucinanti ed incredibili, che superano di
gran lunga anche quelle che abbiamo verificato al quartiere
Brancaccio di Palermo. Mi riferisco, in particolare, alla
voglia di spendere senza alcun controllo, nemmeno sulla
utilizzazione dei beni realizzati: una situazione davvero
incredibile!
   Il quadro fornito induce a meditare sulla validità non
soltanto delle scelte politiche, ma di un intero sistema che
non riesce ad affrontare in chiave moderna i problemi della
convivenza civile. Siamo ai limiti del terzo mondo, con una
situazione aggravata non soltanto dalla miseria morale, ma
anche dalla incapacità di gestione. Quando sento l'amico
Tripodi ricordare la vicenda delle vacche che pascolano in
terreni privati senza che le forze dell'ordine siano capaci di
far valere l'autorità dello Stato, penso che ci sia veramente
da demoralizzarsi! La ricerca delle responsabilità politiche è
importantissima, ma ancora più importante è la ricerca delle
responsabilità sul piano amministrativo, perché noi dobbiamo
stroncare l'illegalità diffusa che continua a persistere.
   Apprendiamo fatti davvero assurdi. Penso alla scorta
assicurata ad un camorrista per raggiungere la caserma dei
carabinieri, effettuata con una capacità ben superiore a
quella delle forze dell'ordine. Quando si legge sui giornali
che in un quartiere di Napoli sono state portate via le
macchine nel giorno della celebrazione dell'importante
matrimonio della figlia di un camorrista e che in
quell'occasione i camorristi sono riusciti ad ottenere quello
che nessun'altra autorità a Napoli riesce ad ottenere, cioè le
vie sgombre per consentire il passaggio del corteo nuziale;
quando leggo che il dono offerto come bomboniera era
costituito da un'autovettura contenente confetti, mi chiedo:
perché nessuno è intervenuto? Dov'è lo Stato?
  PRESIDENTE. Quando è accaduto questo episodio?
  UMBERTO CAPPUZZO. E' accaduto a Napoli, due anni fa.
   In tale contesto vi sono due alternative: o il cittadino
accetta la comoda logica del pensare "questo mi fa vivere",
oppure non è certo possibile invocare soltanto gli interventi
della politica (lo dico pur essendo approdato alla politica
molto tardi). Non è tollerabile che le forze dell'ordine siano
assenti! Non è tollerabile che si costituiscano comitati di
finti disoccupati organizzati i quali ottengono udienza, hanno
una veste legale e dispongono di un'organizzazione con tanto
di carta stampata e di timbri!
   La relazione dovrebbe porre l'accento anche su questi
aspetti allucinanti, perché questi ultimi non sono soltanto
quelli riguardanti la magistratura. Concordo comunque con il
collega Imposimato sulla necessità di indagare in merito agli
incarichi extragiudiziari che portano a certe manifestazioni
alle quali in questa sede si è soltanto accennato.
   L'assenza completa del tessuto dello Stato, con la
conseguente assunzione da parte della gente di una serie di
disvalori (l'arricchimento e la violenza) rappresenta il
presupposto per l'affermarsi della criminalità. In presenza di
un corpo ormai attaccato dalla metastasi, essendo la politica
espressione di questo corpo, essa non può che essere
invischiata, toccata, contagiata e contaminata. Questo è il
punto!
   Il collega ed amico Buttitta ha fatto un discorso molto
interessante sulla differenza fra mafia e camorra. Penso che
un'altra differenza vada individuata nel fatto che nella
camorra, rispetto alla mafia, si aggiunge un ulteriore
elemento che è quello del consenso sociale. Trattandosi di un
fenomeno che invischia un po' tutti, si determina infatti un
maggiore consenso sociale che, in parte - si tratta di un
aspetto che dovrebbe essere inserito nella relazione - è stato
favorito dallo Stato, il quale non è che abbia sottovalutato,
ma ha creato le premesse di un fenomeno, dando una valenza
sociale ad alcune trasgressioni. Penso, per esempio, a ciò che
è accaduto all'inizio con riferimento all'"innocuo"
contrabbando di tabacchi. A quest'ultimo, si è aggiunto il
Pagina  3252
fenomeno della droga e la cosa ha assunto dimensioni ed
aspetti ben diversi.
   Ecco perché sono dell'avviso che un riferimento a queste
situazioni debba essere inserito nella relazione, così come un
cenno dovrebbe essere dedicato alla presenza delle industrie
di Stato. Queste ultime hanno effettuato alcuni esperimenti
nel Meridione, che poi sono falliti. Tale fallimento va visto
non soltanto in chiave economica, ma anche sotto il profilo
dell'approccio alla soluzione del problema sociale. Bisogna
chiedersi cosa abbiano prodotto, anche sotto l'aspetto
dell'accresciuta corruzione, i tentativi posti in essere
dall'industria di Stato ed in che modo questo fenomeno è stato
favorito dalla Cassa del Mezzogiorno. Non basta indicare le
frodi comunitarie, che sono un fatto molto importante; credo
che sotto accusa debba essere posta tutta la politica
sviluppata nei confronti del Meridione. A questa politica
quali forze politiche hanno contribuito, con quali dibattiti e
con quale filosofia di fondo? Hanno portato la situazione ad
essere quella che è, con caratteri quasi di irreversibilità.
Ecco perché sono molto preoccupato. Abbiamo creato nuovi
bisogni, signor presidente - ed era giusta l'osservazione -, e
questi bisogni nel futuro, ove si dovesse tornare ad un
maggiore ordine, porteranno a tensioni sociali.
   Per il resto, concordo perfettamente con l'onorevole
Sorice, laddove si è posto l'interrogativo circa il ruolo del
partito al quale entrambi apparteniamo, anche per quanto
riguarda il senatore Gava. Ritengo che questo aspetto potrà
essere meglio approfondito a seguito dell'audizione prevista.
  CARLO D'AMATO. Presidente, concordo con quanti mi hanno
preceduto sulla bontà e sulla qualità della relazione, nelle
cui conclusioni, in particolare, mi ritrovo in maniera
puntuale: si tratta di uno sforzo certamente complesso che ha
portato ad un'analisi della situazione sociale, economica,
politica e criminale della Campania - e in particolare quella
di Napoli, che viene approfondita in maniera più precisa - per
quanto riguarda gli ultimi 50 anni della vita di questa
realtà.
   Solo per una questione di identità di vedute con il
collega Buttitta, devo dire che, pur riconoscendo, sulla base
degli elementi che nella relazione si sono sottolineati, una
diversità strutturale, dal punto di vista organizzativo, tra
la mafia e la camorra, ritengo - non so se questo comporti una
differente valutazione rispetto alla pericolosità delle due
organizzazioni - che, sulla base di una valutazione operativa,
del modo di essere e degli obiettivi perseguiti, nonché del
riferimento e dell'affiliazione di molti esponenti della
camorra napoletana ai clan mafiosi, alle famiglie mafiose
siciliane, si possa definire una differenza solo formale tra
le due organizzazioni.
  PRESIDENTE. Onorevole D'Amato, vorrei capire una cosa.
Una delle differenze di fondo è questa: mi pare che mentre la
mafia, Cosa nostra, è entrata in alcune vicende nazionali, per
quello che si è capito - consultando alcuni documenti ed altro
- la camorra non è entrata in vicende nazionali. E' così o no?
  CARLO D'AMATO. Non lo so. Penso, comunque, che se la
politica ha avuto delle responsabilità, come le ha avute,
obiettivamente a livello nazionale i politici napoletani hanno
contato molto, nel corso di questi anni. Vi è anche questa
valutazione.
  PRESIDENTE. Sì, certo.
  CARLO D'AMATO. Credo che vi siano stati momenti, nella
vita politica e amministrativa del nostro paese, in cui
probabilmente la maggioranza del Governo era rappresentata da
esponenti politici napoletani.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Campani.
  CARLO D'AMATO. Campani.
Pagina  3253
  PRESIDENTE. La Campania è la terza regione (dopo,
nell'ordine, la Lombardia e il Piemonte) come numero di
ministri.
  CARLO D'AMATO. Indubbiamente, questo non è soltanto un
giudizio negativo, può anche essere un giudizio di qualità.
  PRESIDENTE. Certo.
  ANTONINO BUTTITTA. Spesso ministri dell'interno.
  GIROLAMO TRIPODI. A dir la verità, per la qualità... Sul
piano che stiamo discutendo, bene...
  CARLO D'AMATO. Lasciamo stare: non credo che si possano
generalmente criminalizzare tutti coloro che si sono
succeduti. Abbiamo avuto vicepresidenti del Consiglio come
Francesco De Martino, che credo non possa essere assimilato ad
altri...
  GIROLAMO TRIPODI. Altri tempi!
  CARLO D'AMATO. Perciò, facciamo una valutazione...
Rispondevo a una domanda del presidente, sottolineando,
probabilmente, anche su questo piano, una possibile
connessione della camorra rispetto alle decisioni politiche
nazionali; ma naturalmente sono tutti elementi da valutare e
da approfondire.
   In effetti, anche le indicazioni fatte nella relazione -
sulle quali sono d'accordo - circa l'invasività e la presenza
soffocante delle organizzazioni della delinquenza camorristica
nella società napoletana possono essere supportate dai numeri
che sono stati riferiti (32 comuni disciolti), anche se questo
è un dato relativo, non assoluto. Abbiamo visto che nel corso
degli ultimi mesi, in questo ultimo anno, vi è stata
un'accentuazione di attenzione da parte del ministro
dell'interno sulle realtà dell'area napoletana e di quella
casertana. Probabilmente, se si fosse data uguale attenzione
anche alle altre realtà... Dico questo perché considero Napoli
e Palermo per molti aspetti identiche come storia e come
cultura. Tra le altre cose, come voi sapete bene, sono stato
anche sindaco di Napoli, pur non essendo un napoletano: la mia
valutazione è che per molto tempo, da sempre, le due realtà
hanno vissuto una cultura della subalternità che le ha rese
incapaci innanzitutto di definire una cosa fondamentale, cioè
la mancanza di una propria autonoma progettualità, per quanto
riguarda il proprio sviluppo e la propria capacità di essere
protagonisti, di utilizzare il territorio, le risorse, facendo
fronte alle esigenze. Ciò, alla fine, ha determinato uno
scadimento complessivo, in nome di una serie di motivazioni,
non esclusa la cultura dell'emergenza (sulla quale dirò
qualcosa rispondendo al collega Ranieri sulle questioni che
pure avevano acceso tante speranze a Napoli).
   Non vi è stata una capacità autonoma della classe
dirigente di pensare che a Napoli o in Campania si potesse
essere protagonisti, individuando in maniera prioritaria le
occasioni, il progetto dello sviluppo, anziché rinviare in
maniera continua, come si è fatto e si continua a fare,
decisioni che devono essere assunte nelle sedi nazionali. Per
cui Napoli, dominata dai francesi, dagli spagnoli, dai
normanni, da una serie di generazioni (come Palermo), alla
fine si è trovata ad essere dominata da Lauro, dai
potentatidemocristiani e, voglio dire, anche da una serie di
giunte, pure di sinistra, che, incapaci di affrontare i
problemi di fondo, i problemi nodali, si sono trovate alla
fine coinvolte in un discorso dell'emergenza cui
partecipavano, in maniera indistinta - lo dico a Ranieri - le
forze che governavano la città (e che tra le altre cose non
avevano la maggioranza) e le forze dell'opposizione,
rappresentate in maniera determinante dalla democrazia
cristiana, coinvolta a pieno titolo da una grande operazione
politica, di corruzione politica (non parlo di corruzione di
altro genere) che di fatto, dal 1976 al 1983, aveva reso il
consiglio comunale privo di un'opposizione. Basta vedere gli
atti del consiglio comunale e la distribuzione degli incarichi
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operati dal 1976 al 1983 fra forze di maggioranza - o
pseudomaggioranza -e quelle di opposizione per verificare come
si era realizzata una grande commistione che di fatto ha
privato Napoli di qualsiasi attività di controllo e di
verifica anche sul piano amministrativo.
   Ricordo che all'epoca, nel 1976-1980, si decidevano le
delibere a maggioranza nei consigli comunali in base al numero
degli incarichi che alla DC e ai consiglieri democristiani
all'opposizione venivano assegnati come presidenti o membri
del consiglio di amministrazione, per esempio delle USL o
delle aziende municipalizzate. Il grande obiettivo di
governare comunque la città alla fine rendeva possibile un
coinvolgimento generale e generalizzato. Tale questione si è
spostata anche recuperando da un dato una cultura (in questo
momento non son presenti amici democristiani) che ha grandi
responsabilità politiche. Non so se Gava è il capo della
camorra o l'ispiratore della Camorra (questo lo accerteranno i
magistrati, vi è una serie di valutazioni, di dichiarazioni di
pentiti, vi sono atti giudiziari in corso); ma io dico che
Gava è obiettivamente, da un punto di vista politico, uno dei
maggiori responsabili dello sfascio che si è determinato
nell'area napoletana. Quindi esprimo un giudizio pesantemente
negativo sul piano politico a Gava, sia per la sua
personalità, sia per gli incarichi che ha occupato, sia per
quello che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta il
potere democristiano a Napoli e in Campania. Per cui alla fine
Valenzi, espressione del cambiamento, è stato "costretto" a
fare accordi con un'opposizione in consiglio comunale, tenuto
conto che al di fuori del consiglio comunale di Napoli, in cui
pure c'era una maggioranza relativa che poteva governare, si
ergevano le vedette democristiane al Banco di Napoli, al
porto, nei grandi enti erogatori di spesa, nelle grandi
aziende, e che comunque erano interlocutori necessari ed
inevitabili. Probabilmente abbiamo sbagliato lì, lo dico anche
con un senso di autocritica, perché non si sarebbe dovuto
continuare nel consociativismo forzato, che aveva portato tra
le altre cose a 1.500 miliardi di deficit il comune di Napoli:
così si è chiusa la giunta di sinistra, Ranieri, tu lo sai
bene, con 1.500 miliardi di deficit. Si é utilizzata una
logica che non era quella dell'affrontare e dello sciogliere i
nodi, bensì quella di dover comunque, nel coinvolgimento
generale, cercare di dare una serie di risposte a tutto e a
tutti, subendo una serie di scelte che non erano neanche
espressione del consiglio comunale di Napoli, che pervenivano
per esempio dalla magistratura, la quale aveva imposto al
comune di Napoli il problema degli ex detenuti.
   Questa è stata una vicenda sulla quale si è innestato il
superamento di fatto delle regole del collocamento a Napoli,
consentendo da un lato lo stravolgimento delle regole e delle
leggi che rendevano affidabile, come punto di riferimento per
i disoccupati, il collocamento di Napoli, dall'altro al
collocamento, che è stata una sede permanente di malcostume a
Napoli, di continuare a gestire quello che era possibile
gestire al di fuori del comune di Napoli. Mentre si
stravolgevano le regole, perché agli ex detenuti, ai
monumentalisti, a chi comunque occupava la piazza, a Napoli
come a Roma... perché lei giustamente ha fatto riferimento ad
una serie di manifestazioni che nel tempo si sono spostate da
Napoli a Roma, presidente, quindi erano alla luce del sole:
Napoli faceva, Roma sapeva bene quello che succedeva a Napoli,
anzi avallava con una serie di decisioni che, di fatto, quello
che era il principio generale dell'illegalità si perpetuasse
anche di fronte al problema fondamentale del diritto al
lavoro. Tra le altre cose emerge un dato fondamentale che lei
ha citato nella relazione, che è emblematico di come è stato
gestito il collocamento nel corso di questi anni. Se - come
lei dice nella relazione - non ci sono ancora notizie certe
perché Tagliamonte, il penultimo sindaco, dice che ci sono
250-300 mila disoccupati, mentre cifre ufficiali fanno
scendere a 500 mila i disoccupati iscritti al collocamento di
Napoli, si ha l'indicazione precisa del grande caos che ha
Pagina  3255
segnato la vita di questo fondamentale organo che doveva
regolare non i posti di lavoro, perché ce n'erano pochi, ma
perlomeno la certezza del diritto per chi si iscriveva al
collocamento, che si vedeva stravolgere le sue aspettative da
un lato da una gestione certamente poco trasparente,
inadeguata dell'ufficio di collocamento, dall'altro lato dalla
piazza che imponeva la sua forza, e che riusciva a determinare
assunzioni che sono state tutto il contrario di quello che la
legge prevedeva.
   Si è trattato quindi di una cultura dell'illegalità
diffusa, di cui ho dato alcuni esempi, per dire come alla fine
le responsabilità politiche... Se non facciamo questa analisi
- lo dico a Ranieri - dato che siamo una Commissione politica
del Parlamento, probabilmente corriamo un rischio. Mi ritrovo,
come ho detto, nella conclusione ed anche in un certo
pessimismo positivo, perché il presidente, nel citare in
maniera precisa, dà anche un'indicazione di speranza ai
giovani. Questo è il riferimento, le nuove generazioni. Io
credo che le vecchie generazioni obiettivamente devono segnare
la fine nella vita politica napoletana, avendo determinato fra
le altre cose una considerazione di fondo a cui si è fatto
riferimento nella relazione per un'altra grande occasione,
cioè la ricostruzione.
   Nel fare un'analisi il presidente, con grande obiettività,
ha fatto un riferimento preciso per quanto riguarda le
responsabilità politiche, impreciso per quanto riguarda il
riferimento alla regione Campania. Il primo commissario non fu
Fantini, ma fu De Feo, democristiano comunque, come Fantini.
Era assegnata a due partiti, democrazia cristiana, partito di
maggioranza relativa, e al più grande partito di opposizione,
il partito comunista, nella qualità del sindaco di Napoli, la
responsabilità della ricostruzione. Dico questo facendo le
dovute differenze sulle responsabilità, ma anche indicando un
percorso che ha visto alla fine un coinvolgimento generale
delle forze politiche napoletane che hanno determinato la
grande mancata occasione della ricostruzione. Non esprimo un
giudizio negativo sulla ricostruzione, anche se c'è una serie
di fatti all'esame della magistratura (e mi auguro che la
magistratura vada avanti fino in fondo, come sta dimostrando,
anche se con ritardo rispetto ad alcune questioni). Mentre
vedo muoversi bene la magistratura napoletana, caro
presidente, vedo che si muove poco la magistratura delle altre
realtà: ad Avellino, Benevento, Salerno, sulla ricostruzione
langue.
   Quella è stata un'occasione nella quale si potevano
utilizzare, finalizzandole ad un progetto di sviluppo e di
recupero del degrado, le risorse ingenti che erano state
stanziate. L'operazione invece si è conclusa male perché è
rimasto inascoltato chi, come me, sosteneva che la nomina del
commissariato straordinario avrebbe costituito la fine della
democrazia e del confronto, dal momento che di fatto
l'attività di controllo e di decisione sarebbe stata
espropriata e a tale organo monocratico sarebbero stati
assegnati i poteri decisionali esclusivi. Sono passate invece
altre logiche perché, siccome c'era l'individuazione di due
soggetti, era coperta la maggioranza relativa e la maggioranza
dell'opposizione e quindi il commissariato andava bene.
   Nel 1983, quando la giunta Valenzi terminò il suo
incarico, fu commesso un secondo errore, che è poi quello che
ha determinato i guasti che sono a tutti evidenti. Si poteva
infatti recuperare una presenza del consiglio comunale
rispetto al prosieguo della gestione commissariale, anziché
fare un'operazione di disimpegno totale dal commissariato, che
alla fine ha continuato a gestire in maniera burocratica (i
fatti lo hanno dimostrato) una grande opera di intervento...
  PRESIDENTE. Quale fu la procedura?
  CARLO D'AMATO. La procedura fu politica. Infatti, fino
al 1987, quando fu sciolto il commissariato, le forze di
sinistra, ed in particolare l'allora partito comunista, che
Pagina  3256
aveva retto bene il commissariato straordinario della
ricostruzione, decisero di fare, rispetto alla ricostruzione,
un'operazione di disimpegno totale di cui ignoro il motivo.
Quello che è certo è che i programmi erano stati elaborati ed
approvati dal consiglio comunale e che le opere erano state
scelte dal fior fiore dell'intelligencija italiana. Non
vi saranno sfuggiti gli articoli con gli "osanna" de la
Repubblica sulla grande qualità dell'intervento per il
recupero abitativo napoletano, sulla grande capacità di questa
finalizzazione di risorse per recuperare il degrado che per
anni aveva messo Napoli al bando dell'Europa e che adesso
finalmente le poteva dare la dignità di grande capitale del
Mezzogiorno. Improvvisamente, questa che era stata una grande
operazione, non so di quante migliaia di miliardi (15 o 20
mila), diventò una palla al piede, della quale liberarsi al
più presto determinando due fatti negativi: da un lato la
mancanza di un ulteriore controllo per quanto riguarda la
gestione, affidata oltretutto ad un organo burocratico che può
programmare solo l'ordinaria amministrazione; dall'altro
l'impossibilità di raggiungere gli obiettivi che pure era
possibile raggiungere e di recuperare il gap che aveva
caratterizzato in maniera negativa le periferie napoletane
rispetto al contesto della regione Campania e dell'Italia
intera, se è vero che erano state realizzate - ed in questo mi
riferisco anche ai dati contenuti nella relazione - centinaia
di scuole, di asili nido, di scuole materne, di palestre, che
dovevano insistere in realtà nelle quali obiettivamente il
degrado era più forte, l'abbandono della gioventù era ancora
più sentito, la droga la faceva da padrone e la mancanza di
alternative era una costante.
   Ancor'oggi non ho capito politicamente quel comportamento.
Fatto sta che alla fine a Napoli siamo arrivati al livello di
insufficienza scolastica che è stato sottolineato, e ci sono
ancora scuole che non sono state ancora completate o che, una
volta completate, sono state spogliate. C'è una mancanza di
strutture per le quali sono stati spesi migliaia di miliardi:
sono lì palestre polivalenti, con le migliori attrezzature (a
Piscinolo, a Ponticelli), ed anche parchi. Lei non sa,
presidente, e forse non lo sanno neanche i colleghi, che a
Secondigliano è stato realizzato uno dei parchi più grandi di
Napoli, più importante e significativo di quello di
Capodimonte e della villa comunale di Napoli; che inoltre a
San Giovanni c'è un parco e c'è un lago, attraverso cui si
doveva recuperare la vivibilità di quella zona.
   Giustamente lei nella relazione riporta i fatti che le
sono stati riferiti, cioè che c'è stata impossibilità da parte
del comune di assumere la gestione delle opere. Credo che
questo sia obiettivamente un dato che denota la caratteristica
di una città che ha bisogno di tante cose, che le vede
realizzate e che obiettivamente lascia alla fine tutto legato
ad una decisione burocratica di non dare l'affidamento per la
gestione di opere, che quindi ora sono abbandonate; e tutto
ciò grida vendetta.
   Oggi uno dei due candidati alla direzione del comune di
Napoli fra i suoi obiettivi si propone quello
dell'utilizzazione delle strutture. Me lo auguro, anche se
penso che obiettivamente, in una società pervasa dalla camorra
e dalla illegalità elevata a sistema qual è quella di Napoli,
le condizioni di intervento passano non solo attraverso una
responsabilizzazione delle forze politiche, ma anche
attraverso un cambiamento e una individuazione di
responsabilità che coinvolgono la burocrazia pubblica, da
quella comunale a quella delle autorità dello Stato. Non si
può pensare di risolvere nel comune di Napoli i problemi di
un'azienda con 25 mila dipendenti mettendo il cartellino ad
operai ed impiegati; è una boutade, non basta; bisogna
far applicare le leggi, ed in particolare la legge n. 142,
bisogna cioè cambiare i dirigenti.
   A Napoli, per l'esperienza diretta che ho maturato come
assessore e sindaco, c'è una larga parte della burocrazia
comunale che delinque in maniera puntuale e che nel corso di
questi anni ha trovato in qualche esponente politico
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dell'amministrazione l'anello terminale di un disegno
criminoso. Del resto, non si può pensare che le centinaia di
miliardi di Nuvoletta e di Alfieri siano sorte dal nulla
dall'oggi al domani, ma occorre mettere in discussione
l'azione di prevenzione e di controllo da parte delle forze di
polizia sul territorio.
   Per il fatto che è sorta una città nella città di 70-80
mila abitanti come Pianura, e va tenuto conto che il grande
sacco di Napoli e di Pianura è stato fatto nel periodo che va
dal 1974 al 1984, sono state accertate collusioni e
connivenze, anche di amministratori comunali, con i
costruttori di Pianura. Se non dicessimo queste cose e
pensassimo di poter criminalizzare in maniera indistinta
soltanto una parte assolvendo noi stessi, credo che
assumeremmo un atteggiamento che alla fine non raccoglie quel
messaggio di speranza che il presidente ha inviato alle nuove
generazioni, perché ci troveremmo in un continuum che
vede non rescissi i nodi del passato per poter affrontare in
termini adeguati il presente.
  PRESIDENTE. La questione è Pianura, quindi.
  CARLO D'AMATO. Ci sono anche altre questioni: mi
riferisco a Marano, a Poggio Vallesano, a Giugliano, ad interi
quartieri che sono sorti con lottizzazioni ufficiali; mi
riferisco, in sostanza, a tutto l'abusivismo edilizio che si è
registrato.
  PRESIDENTE. Pianura era abusiva?
  CARLO D'AMATO. Completamente abusiva. Non c'è una
licenza edilizia a Pianura, dove non poteva essere costruito
niente perché lo vietava il piano regolatore del 1974. A
Pianura come commissario straordinario, caro presidente,
tenuto conto che per una località in cui risiedevano 70-80
mila abitanti non erano stati effettuati interventi di
urbanizzazione primaria, ho dovuto utilizzare i fondi della
legge n. 219 per costruire una rete fognaria che garantisse le
condizioni igienico-sanitarie di quella realtà. Non c'erano le
strade, non c'erano le scuole...
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Si è cominciato a costruire nel
1971.
  CARLO D'AMATO. Non so per quanti anni si è costruito, ma
so che si costruisce ancora oggi. ed ancora oggi intervengono
i vigili e i carabinieri per bloccare le costruzioni.
  UMBERTO RANIERI. Si tentò con la dinamite.
  CARLO D'AMATO. Sì, ma fu un fatto solo spettacolare, che
per altro non servì a niente perché dopo la dinamite vennero i
coinvolgimenti, dopo i coinvolgimenti venne il terremoto, dopo
il terremoto venne l'acquisizione dei palazzi, l'acquisizione
dei palazzi diede luogo ad altre connessioni e poi ci furono i
processi.
  UMBERTO RANIERI. I processi si sono conclusi in un certo
modo.
  CARLO D'AMATO. Solo parzialmente: per alcune
responsabilità no. Questo lo dico non perché mi va di
criminalizzare, ma perché non è questa la logica nella quale
mi muovo. Ritengo che oggi si debba trovare il modo di
utilizzare il lavoro svolto da questa Commissione dopo una
approfondita analisi, una serie di audizioni ed interventi
in loco; lavoro che invece potrebbero restare, come
diceva il collega Butitta, solo un merito letterario della
Commissione e non determinare la possibilità di un
coinvolgimento de facto di una realtà che invece deve
essere violentemente aggredita nelle sue istituzioni e nei
suoi gangli vitali perché possa effettivamente cambiare.
   Deve cambiare la situazione al provveditorato agli studi
di Napoli. L'attuale provveditore è una brava persona, ma non
si può sottacere che al provveditorato di Napoli da anni
vengono fatti imbrogli: da anni le cattedre e gli incarichi
vengono assegnati senza tenere conto delle graduatorie; da
Pagina  3258
anni i cittadini non trovano le graduatorie definite. Non c'è
un settore a Napoli dove il degrado, l'imbroglio, il
malgoverno, non abbiano caratterizzato la vita della città in
maniera negativa.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. I ricorsi al TAR che fine hanno
fatto?
  CARLO D'AMATO. Ma non parliamo del TAR né del CORECO.
Sono d'accordo con le tue considerazioni, caro Ferdinando, a
proposito del TAR e soprattutto del CORECO. Tu sai bene che le
responsabilità e i coinvolgimenti anche lì sono collettivi,
perché la nomina dei membri del CORECO viene effettuata dai
partiti che sono stati tutti rappresentati in questi anni. E
certamente il CORECO provinciale o regionale non ha mai
brillato per obiettività nel controllo di legittimità degli
atti. Potrei citare decine di casi di delibere adottate dal
comune di Napoli sotto la mia amministrazione che sono state
bocciate immotivatamente, probabilmente, per motivi nascosti.
Le ultime vicende risalgono ai lavori per lo stadio San Paolo,
che non mi è stato consentito di eseguire e che sono stati
eseguiti successivamente sotto una gestione commissariale, con
le conseguenze che adesso si stanno verificando, cioè con i
processi che adesso inizieranno e con le centinaia di milioni
di mazzette che sono state date a seguito di affidamenti e di
appalti concessi da un commissario straordinario nazionale e
da un subcommissario che è stato nominato con gli stessi
criteri. Quindi non c'è neanche responsabilità delle forze
politiche in questa ipotesi, ma le conseguenze politiche si
sono innestate successivamente.
   Ripeto che sono d'accordo con quello che lei ha scritto,
presidente, e con le conclusioni cui lei è pervenuto. Dovremmo
però cercare di seguire gli effetti di questa relazione e di
verificare come mutano, al livello della città e degli
organismi periferici, gli atteggiamenti che oggi sono stati
obiettivamente compiacenti e compromissori. Non si può infatti
consentire - lo ribadisco - che improvvisamente si scopra che
Nuvoletta, Alfieri, Galasso o non so chi altro abbiano
centinaia o migliaia di miliardi come se questi fossero sorti
dal nulla, senza che un maresciallo dei carabinieri o un
pretore o un commissario di pubblica sicurezza presenti sul
posto abbiano avuto sentore di quello che stava accadendo. Non
ci credo, e sono anzi convinto che ci sia stato un ampio
coinvolgimento.
   Peraltro, presidente, che ci sia commistione tra politica
e camorra i fatti lo hanno dimostrato, ma sono molto spesso
portato a pensare che sia più la politica che va a sollecitare
la camorra, e che ciò accada in occasione delle campagne
elettorali. Così infatti si supera anche la discrasia - che
qualcuno ha voluto sottolineare - dell'impossibilità o
dell'incapacità di qualche clan camorristico di far eleggere
quattro o cinque candidati, perché molto spesso sono i singoli
che vanno a sollecitare i voti, come hanno dimostrato le
conclusioni cui sono pervenute le indagini della polizia in
merito a riunioni in ville di questo o quel potente clan o a
sollecitazioni o ad altri fatti che hanno evidenziato questo
dato. La camorra probabilmente aspetta l'occasione elettorale
per rinnovare il suo esercito di rappresentanti ai vari
livelli istituzionali, e per questo si fa anche pagare. La
camorra non chiede soltanto il piacere successivo o il
mantenimento dell'impegno assunto ma, a quanto mi risulta,
chiede il pagamento anticipato del proprio intervento in
materia elettorale. Non si tratta di qualcosa di formalmente
interessato per recuperare poi quanto dato, ma di un fatto
preventivo e di un rispetto successivo circa il mantenimento
degli impegni ad elezione avvenuta. Abbiamo puntualizzato una
serie di fatti che pongono in evidenza la subalternità
obiettiva di una classe dirigente che non c'è (al riguardo mi
pongo in una posizione pessimista). Neppure in chi dovrebbe
compiere l'attività di programmazione c'è questa capacità per
coinvolgimento, per incapacità o per mancanza di cultura
amministrativa o di tensione morale o civile. La regione
Campania da 25 anni, da quando è sorta, non ha approvato
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nessun atto di indirizzo e di programmazione per la gestione
del territorio, tranne quello per la penisola sorrentina che,
fra l'altro, è inapplicabile.
   A Napoli non si può neppure discutere dei chioschi, di cui
ha parlato il senatore Florino, allocati sul territorio
demaniale da dove ora devono essere sloggiati perché la
regione non ha ancora adottato i piani paesistici, non ha
riorganizzato il proprio territorio, non ha predisposto un
piano di sviluppo e non ha dato neanche una possibilità ad una
provincia che è altamente, e non poco, onorevole Butitta,
industrializzata. Dal punto di vista dell'attività
imprenditoriale e manifatturiera Napoli è al terzo posto in
Italia, anche se certamente occorre recuperare rispetto agli
errori del passato e alla cultura dell'emergenza che aveva
connotato agli inizi degli anni ottanta un intervento di
ottocento miliardi a favore dell'Italsider. Il collega Ranieri
certamente ricorderà che l'allora ministro delle
partecipazioni statali, onorevole De Michelis, fu costretto a
recarsi a Napoli e a concedere questo finanziamento
all'Italsider pur sapendo che esso sarebbe stato male
impiegato perché, come poi i fatti hanno dimostrato, non c'era
futuro per l'acciaio.
   C'è un'obiettiva incapacità di recuperare un modo di
essere protagonisti e progettuali rispetto allo sviluppo; fino
a quando esisterà ci troveremo sempre di fronte all'emergenza
che alla fine la farà da padrona, che darà la giustificazione
morale alla famiglia di non mandare i figli a scuola perché
non può sopravvivere, al giovane di delinquere perché non ha
prospettive di lavoro e certezze rispetto al futuro, alle
donne di prostituirsi perché non ci sono alternative (se non
ci sono per gli uomini, immaginate cosa c'è per le donne!) e
via di seguito. E' necessario un intervento forte ma non, come
sostengono i colleghi della democrazia cristiana, di
accentramento allo Stato nazionale perché sarebbe il contrario
di quello che dobbiamo fare rispetto ad una giusta
impostazione politica di responsabilizzazione delle autorità
locali.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Bisogna moralizzare!
  CARLO D'AMATO. Bisognerebbe bonificare più che
moralizzare! Occorre intervenire per dare messaggi di speranza
e occasioni certe di sviluppo perché alla fine la cultura di
Napoli prevarrà, anche se è stata subalterna. Come è stato
consumato il sacco di Napoli? Dov'era la facoltà di
architettura di Napoli quando Lauro faceva lo scempio a Napoli
e si costruiva il Vomero alto? Dov'era la cultura napoletana
quando si costruiva Monterusciello (parlo del 1960 e del
1983)?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. I nomi.
  CARLO D'AMATO. Non faccio nomi, domando solo dove fosse
questa cultura. Quando mai essa ha predisposto un progetto
diverso? E' stata una cultura pronta a prostituirsi e a
soggiogarsi rispetto al potere dominante del momento! Questo è
il grande problema di Napoli!
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. C'è stato un momento,
quarant'anni fa, nelle Cronache meridionali...
  CARLO D'AMATO. Quello fu un grande periodo. L'ho letto,
ma sulla base della mia esperienza devo dire che non ho mai
trovato un disegno alternativo che si opponesse allo sfascio
che ha caratterizzato la vita civile, politica e
amministrativa di Napoli. L'esempio della regione Campania è
indicativo; non so fino a che punto si possa parlare di
mancanza di tensione morale quando, per incapacità o
sottocultura, si continua a gestire un consiglio regionale che
non si scioglie, pur in presenza di numerosi inquisiti,
sopravvivendo a se stesso non si sa bene in difesa di cosa.
   Concludo il mio intervento, forse un po' parziale e
confuso, ma certamente mosso dall'emotività su alcuni aspetti
da lei sottolineati, signor presidente; probabilmente se
avessi potuto fare un seminario su questo argomento, avrei
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potuto fornire un contributo maggiore. Vorrei solo ricordare
che i problemi della città di Caserta non vengono affrontati
nella relazione in maniera adeguata.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Su Caserta c'è una relazione a
parte.
  CARLO D'AMATO. Mi riservo allora di intervenire quando
si discuterà tale relazione perché è la testimonianza
obiettiva che quanto abbiamo registrato a Napoli si è
decuplicato in maniera esponenziale a Caserta.
  PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole D'Amato, la situazione
di Caserta è quella più esplosiva.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Come è emerso dalla maggior
parte degli interventi, appare giustificato il riferimento
della relazione al fondamento storico e sociologico del
fenomeno perché essa intende anche affrontare la questione
campana o napoletana, cioè un aspetto fondamentale della
questione meridionale. Tuttavia, proprio per questo, vorrei
fornire il mio contributo, dando per scontato tutto quello che
ciò significa e cercando di guardare la questione in senso
limitativo. Certamente, anche se andiamo a fondo, non
arriveremo ad una meta precisa perché è evidente che il
problema della camorra oggi evoca questioni maggiori rispetto
a quelle evocate dal fenomeno della mafia, che secondo me è
più potente anche perché fondato su un antico collegamento
anzi, gemellaggio internazionale con la mafia di New York e di
Chicago, ma che effettivamente presenta qualcosa di più
circoscritto, quanto meno un carattere di virulenza maggiore
ma contemporaneamente meno diffusa rispetto alla camorra a
Napoli e nelle zone limitrofe. La camorra appartiene al
costume sociale più di quanto la mafia non faccia parte del
costume generale: ma queste sono sottigliezze.
   A mio giudizio la relazione deve rimanere centrata, per
motivi di economicità e di penetrazione del problema, sulla
questione specifica del fatto camorristico, vale a dire della
ricostruzione della sua nascita e della sua crescita, del suo
vivere a contatto con le amministrazioni locali, con
l'amministrazione statale, con il sistema bancario, con quello
politico, eccetera. Suggerirei al presidente di non estendere
oltre un certo limite la dimensione della questione napoletana
o campana generale seguendo le parole appassionate, e -
purtroppo per lui - esperte, del collega D'Amato, ma
limitandosi al fenomeno della camorra, anche perché ciò
rientra nei compiti istituzionali della nostra Commissione.
   Da questo punto di vista può essere sgradevole o forzata
l'apparentemente eccessiva concentrazione su alcune
personalità politiche. Se la ricerca non si estende tanto
all'aspetto della degenerazione amministrativa (del non
governo, del malgoverno, del sottogoverno eccetera), della
mancanza di pianificazione, della volontà di utilizzazione
elettorale e politica a tutti i costi di un dato di fatto
preciso, ma si esaminano con maggiore attenzione alcuni
momenti tipici e caratteristici di organizzazione politica che
si avvale o si identifica, ovviamente in parte, con
un'organizzazione criminosa, avviene un fenomeno simile a
quello verificatosi, sia pure in altro modo, in Sicilia. Anche
lì si è finito per mettere in evidenza alcuni aspetti di
collegamento politico di carattere primario perché, se il
discorso fosse stato esteso a tutta la classe dirigente
politica siciliana, si sarebbe entrati in uno spazio
infinitamente più vasto, anche solo dal punto di vista
descrittivo.
   Il caso Cirillo in modo appropriato è stato giudicato un
momento di snodo e di sviluppo dell'attuale modello del
sistema camorristico. Infatti, al riguardo, vi sono interventi
politici limitati ma abbastanza precisi nelle persone e
nell'ambiente in cui si muovono. Il caso Cirillo non
presuppone soltanto un potere di carattere preminente e
locale, ma presuppone un potere di carattere nazionale e
un'intrinsecità con i poteri dello Stato; conseguentemente ci
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porta al livello di chi veramente in Italia ha avuto in
proprio e non solo per delega poteri di carattere statale.
   Anche questo, che può sembrare un eccesso di
sottolineatura o una mancanza di allargamento del discorso, è
abbastanza logico una volta impostato il discorso specifico
della camorra, dei suoi sviluppi e della sua storia. Il
panorama che ne deriva è stato definito allucinante,
angoscioso, polarizzante; indubbiamente le cose stanno così,
ma bisogna anche domandarsi che cosa è successo nel
Mezzogiorno, ivi compresa la Sicilia, la cui questione è
sempre stata dagli studiosi tenuta insieme ma distinta
rispetto a quella meridionale. Negli ultimi quarant'anni essa
ha conosciuto uno straordinario sviluppo in parte coperto dal
fatto che intanto la forbice dello sviluppo col nord
aumentava, per cui si trattava di uno sviluppo in senso
assoluto ma non in senso relativo. E' anche vero che ha
conosciuto l'espansione della criminalità organizzata in
territori che prima non ne erano invasi, come la Puglia e
probabilmente la Basilicata, e che la sua espansione in
Calabria prima era più limitata; è anche vero però che la
regione e la città che più hanno risentito dello
stravolgimento, della decadenza, dello sviluppo della
questione meridionale da parte dello Stato, delle forze
politiche siano state la Campania e Napoli. Negli anni non è
rimasta uguale perché anche Napoli si è arricchita, la plebe
napoletana di oggi è infinitamente diversa da quella
stracciona dei "lazzari" e che è stata tale fino ai tempi di
Lauro. Nonostante Bagnoli, nonostante le carrozze ferroviarie,
nonostante ci fossero tante cose, Napoli per alcuni aspetti
nel 1953-54, quando ero all'istituto storico, si ritrovava
nelle pagine della Storia del Regno di Napoli di Croce,
una certa Napoli plebea e lazzarona che oggi è certamente
diversa, ma che presenta la stessa fisionomia, nel senso che è
illegale, alegale, non cittadina, non civica, non collegata da
questo punto di vista con il resto della realtà nazionale, una
specie di isola che si autogestisce in questa impressionante
nuova economia dove l'illegalità si collega alla criminalità e
anche allo spontaneismo economico.
   La grave accusa da muovere - qui come in Sicilia e sempre
in questi casi - è che, dopo tanto tempo, non si può soltanto
chiedere conto ad una classe dirigente di quanto sia stata
complice. Come del resto è già stato osservato, si deve
chiedere conto di dove fosse. Dove eravate voi detentori di
grande potere politico nazionale? Dove erano i partiti - tutti
e nessuno escluso - in quanto caratteristici mediatori di
istanze generali in una società che di per sé può essere
estranea a certi fenomeni?
   Se i partiti sono venuti meno al compito di spiegare alla
"plebe" napoletana che avrebbe dovuto trasformarsi in plebe
cittadina e di utilizzare gli strumenti dello Stato di cui
disponeva ai fini dello sviluppo e non solo della semplice
gestione, la situazione si presenta effettivamente disperata.
   Confido che qualcosa cambi. Almeno una cosa sembra sulla
via di modificarsi rispetto alle condizioni descritte nella
relazione. Mi rendo conto che quanto sto per dire può apparire
marginale, ma forse non lo è: penso alla nuova legge
elettorale per i comuni la quale, quanto meno, garantirà
continuità al potere di amministrazione. In altri termini,
finirà l'instabilità delle giunte e dei consigli comunali ed a
ciò dovrebbe far seguito una maggiore forma di
responsabilizzazione. Conseguentemente, anche il livello
nazionale potrà godere di punti di riferimento più certi. Può
darsi, quindi, che qualcosa cambi.
   Rispetto alla mafia esiste una sensibilizzazione nazionale
molto maggiore che non per la camorra, la quale ancora oggi è
considerata da molti in Italia come un fenomeno un po'
folkloristico. Come ben sappiamo, invece, non lo è più da
moltissimo tempo; di folkloristico ormai non ha che alcuni
aspetti che sono poi il riflesso della differenza tra il
carattere napoletano e quello siciliano, un po' cupo ed a
volte sinistro. E' antica la discussione sulla solarità e
lunarità dei due caratteri: risale addirittura al Settecento,
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così come documentato anche da piacevolissimi scrittori
stranieri. Penso alla polemica tra il gaio napoletano e il
tetro ed austero siciliano: sono i due modi diversi in cui la
Spagna ha influito sul nostro Mezzogiorno.
   Come dicevo, la coscienza del fenomeno camorristico va
nazionalizzata. Tuttavia, credo vi sia qualcosa di vero
nell'affermazione che la mafia sia un fenomeno alquanto
diverso e tutto sommato, da un punto di vista generale anche
se non nazionale, più grave della camorra, nel senso che la
mafia sembra avere una capacità di collegarsi con i grandi
fenomeni di sviluppo economico e finanziario, locali e
mondiali, che la camorra probabilmente non ha, oppure ha
soltanto nella misura in cui è influenzata o diventa una
branca di cosa nostra. Quello della camorra è dunque un
fenomeno più limitato, anche se più esteso e profondo dal
punto di vista sociale.
   Sotto questo profilo, la relazione appare quindi ben
impostata per cui ne lascerei invariata la struttura, salvo le
integrazioni che la Commissione riterrà opportune.
  PRESIDENTE. Desidero ringraziare i colleghi per questo
dibattito eccellente che ha messo in luce una serie di
elementi molto importanti ed utili per la stesura definitiva
della relazione.
   Ricordo che la Commissione è convocata per venerdì 10
dicembre alle ore 8,30, per ascoltare il generale De Sena ed
il senatore Gava.
                Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. Il senatore Ferrara Salute ha chiesto di
parlare per una precisazione.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Sento che la Commissione ha
deliberato di ascoltare il senatore Gava dietro sua richiesta.
  PRESIDENTE. Anche il generale De Sena ha chiesto lui di
essere ascoltato.
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Ero assente, ma desidero
precisare che non sarei stato favorevole a tale audizione
perché mi pare che la Commissione finisca per entrare in una
dimensione di carattere istruttorio e giudiziario che
francamente non considero opportuna.
  PRESIDENTE. La ringrazio, senatore, per questa
precisazione.
La seduta termina alle 13,45.

 


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