Violante: seduta 44
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                        Pag. 1999
      AUDIZIONE DEL MINISTRO DELL'INTERNO, SENATORE
      NICOLA MANCINO, SUL RECENTE ATTENTATO DI ROMA
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Audizione del ministro dell'interno, senatore
Nicola Mancino, sul recente attentato di Roma:
Violante Luciano, Presidente .............. 2001, 2002, 2003
                          2006, 2008, 2009, 2010, 2016, 2018
Brutti Massimo ........................................ 2011
Buttitta Antonino ..................................... 2016
Cabras Paolo .................................... 2016, 2017
Calvi Maurizio ........................................ 2016
Galasso Alfredo ........................... 2008, 2014, 2017
Mancino Nicola, Ministro dell'interno ................. 2001
                    2002, 2003, 2009, 2010, 2013, 2014, 2015
Matteoli Altero ................................. 2010, 2016
Robol Alberto ......................................... 2016
Rossi Luigi ........................................... 2008
Sorice Vincenzo ....................................... 2001
Taradash Marco ...................... 2013, 2014, 2015, 2016
Votazione per l'elezione di un vicepresidente:
Violante Luciano, Presidente .......................... 2007
Buttitta Antonino ..................................... 2007
Cabras Paolo .......................................... 2007
Covello Francesco Alberto ............................. 2007
D'Amelio Saverio ...................................... 2007
Galasso Alfredo ....................................... 2007
Matteoli Altero ....................................... 2007
Proclamazione del risultato della votazione per
l'elezione di un vicepresidente:
Violante Luciano, Presidente .......................... 2018
                        Pag. 2000
                        Pag. 2001
La seduta comincia alle 17.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del ministro dell'interno, senatore Nicola
Mancino, sul recente attentato di Roma.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
ministro dell'interno, senatore Nicola Mancino, sul recente
attentato a Roma e più in generale sullo stato dell'azione di
contrasto alla mafia dopo l'arresto di Santapaola.
   Avverto i colleghi che alle 18,45 circa il ministro ha un
impegno non derogabile; al termine della sua esposizione
decideremo quindi se esaurire entro oggi, com'è auspicabile,
la discussione o se iniziarla oggi rinviandone la conclusione
ad altra seduta o addirittura se rinviarne a tale occasione lo
svolgimento.
  VINCENZO SORICE. Desidero farle presente, signor
presidente, che, come deputati, abbiamo un'importante riunione
di gruppo, per cui riterrei preferibile rinviare la
discussione.
  PRESIDENTE. Ascoltiamo l'esposizione del ministro e poi
decideremo.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. La
ringrazio, signor presidente, per questa opportunità. Non
vorrei però ripetermi perché su questo argomento ho già
riferito alla Camera dei deputati e peraltro, come spesso
capita, la prossima settimana dovrei riferire anche al Senato;
cercherò quindi di sintetizzare alcune circostanze per passare
poi alla situazione generale della criminalità e di quella
organizzata in particolare.
   Vorrei sottolineare solo alcuni dati che possono, allo
stato delle indagini, far propendere per una tesi di tipo
mafioso-stragistico anziché per una tesi diversa; leggo anche
quello che si scrive e i dubbi che sono stati sollevati, però
vorrei precisare alcuni punti.
   Alle 21,37 del 14 maggio si verifica l'esplosione di un
ordigno. Cinque secondi prima passano per via Fauro una
Mercedes ed una Lancia Thema; la Mercedes non è la macchina
che abitualmente prende il giornalista Costanzo, ma quella di
un amico sulla quale sale insieme con la signora Maria De
Filippi. Nella Lancia Thema invece c'è una guardia giurata di
un servizio di vigilanza romano, la Capitalpol, e l'autista
che fa da accompagnatore.
   Non so se possiamo ricostruire dal punto di vista anche
logico e cronologico; certo, se la deflagrazione fosse
avvenuta cinque secondi prima, probabilmente gli effetti
rispetto alle due auto di passaggio sarebbero stati rilevanti.
   Lo scoppio dell'ordigno ha recato molti danni. I
fabbricati che sono stati investiti sono ben sette, però danni
rilevantissimi sono quelli del civico n. 62 della stessa
strada, sito di fronte al luogo dell'esplosione. L'ordigno è
stato apposto di sera ed è scoppiato di sera ed era sulla
stessa direzione di un edificio scolastico e di una scuola
materna. Se lo scopo era quello di creare una strage
indiscriminata, bastava spostare l'obiettivo e mettere la
macchina o le macchine dall'altra parte, fare scoppiare
l'ordigno ed ottenere effetti anche più nocivi dal punto di
vista dell'incolumità fisica.
                        Pag. 2002
   Il fatto è che è stato apposto sulla sinistra ed il tempo
era quello che abitualmente non registra una frequentazione di
pubblico: poteva passare qualcuno, abitante nella zona. Ci
sono stati ferimenti: quelli che sono rimasti negli ospedali
sono soltanto 5; le persone interessate dallo scoppio erano
23, con leggere ferite.
   Dal punto di vista della prontezza dell'intervento, posso
dire che la prefettura di Roma, anche interessata da me, ha
provveduto e provvederà; poi, insieme alla protezione civile,
farà anche la propria parte per quanto riguarda il ricovero in
alberghi, fino a quando non sarà ristrutturato o non saranno
ristrutturati gli edifici.
   Il cratere determinatosi ha forma ovoidale, con l'asse
maggiore di circa 2 metri e mezzo ed una profondità di 75
centimetri.
   Sembra che l'ordigno sia stato posto fra due macchine e
non all'interno di una sola, perché il motore di una macchina
è andato in una direzione e l'altro nella direzione opposta.
Verosimilmente si può dire - userò molte volte la parola
"verosimilmente", a scanso di contestazioni - che l'ordigno è
stato apposto fra le due macchine. Le scocche erano sbalzate a
25 metri dall'epicentro dell'esplosione secondo il senso di
marcia da una parte e a 50 metri dall'altra, in senso opposto.
   Le prime analisi chimiche hanno evidenziato la presenza
sui resti delle due autovetture nella zona del cratere di
residui di un esplosivo composto da tritolo e pentrite: questo
è il materiale che è stato utilizzato per l'esplosione. I
successivi accertamenti tecnici sono stati affidati dalla
magistratura sia al servizio di polizia scientifica della
direzione centrale della polizia criminale sia al centro di
investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri.
   La dimensione del cratere, la liquefazione delle lamiere
delle autovetture parcheggiate nelle vicinanze, la proiezione
delle schegge a lunga distanza (un pezzo di lamiera è stato
rinvenuto sul tetto di un palazzo), l'imponenza della forza
d'urto, testimoniata dal crollo del muro di cinta della scuola
San Pio X e dai danni agli edifici, confermano l'ipotesi di un
esplosivo ad alto potenziale e ad altissima velocità.
   Vi sono state rivendicazioni: Falange armata (come sempre,
ma sempre dopo), matrice serba, nuovo gruppo nazionale di
gioventù, gruppo rivoluzionario Che Guevara. Tutte queste
rivendicazioni sono pervenute non nella fase di intervallo fra
l'esplosione e la conoscenza, ma dopo che tutte le agenzie e
le televisioni avevano dato notizia dell'attentato.
   A prima vista sembrano inattendibili tutte queste
rivendicazioni; sono state considerate anche dal dipartimento
tentativi devianti, espressione di quelle nuove forme di
destabilizzazione occulta che agiscono attraverso sistemi
sofisticati di intimidazione, di indebita ingerenza e di
disorientamento della pubblica opinione.
   Falange armata mi ha anche fatto grazia di un'attenzione
particolare dicendo che il discorso fatto alla Camera era
bello, costruito dal punto di vista logico, con finezza anche
di ironia; naturalmente io ho ringraziato il responsabile di
Falange armata, che bisognerà pure un giorno scoprire, perché
questa è una centrale che dà notizie, muove minacce, ma
soltanto quando è possibile utilizzare gli strumenti propri
degli uffici; mai Falange armata è andata al di là degli orari
possibili anche di... diciamo di chiusura degli uffici.
  PRESIDENTE. Può spiegare questo aspetto? L'onorevole
Galasso non lo ha colto.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Si servono
di uffici, si avvalgono delle strutture degli uffici.
   Gli analisti concordano nel ritenere estremamente
improbabile che l'evento possa collegarsi al terrorismo
internazionale o interno. Non esistono contrasti così forti da
giustificare un intervento del genere del terrorismo di
provenienza mediorientale, indiana, nordafricana, sikh, tamil,
palestinese o islamista.
                        Pag. 2003
   Per quanto riguarda il conflitto nei Balcani, vi sono
state minacce di tipo terroristico anche negli ultimi due anni
contro l'Italia ed altri paesi occidentali, ma tali minacce
non si sono mai concretizzate neppure in eventi di
trascurabile rilevanza.
   Come si possono ricostruire i fatti? Sembra che sia
ragionevole ipotizzare che l'azione criminosa abbia avuto
quale obiettivo il giornalista Costanzo. Probabilmente, se
Costanzo fosse stato colpito tutti avrebbero detto che era
quello l'obiettivo; cinque secondi prima era l'obiettivo,
cinque secondi dopo questo obiettivo è messo in forse.
   Non voglio dare certezze: del resto la magistratura sta
svolgendo le indagini, la polizia giudiziaria asseconda
l'attività della magistratura, vedremo cosa sarà possibile
riscontrare nei prossimi giorni, augurandomi che anche tutto
quello che è stato riferito, anche attraverso l'utilizzazione
di un numero telefonico, da parte della gente che ha visto e
degli abitanti della zona, possa essere ricostruibile anche ai
fini dell'identificazione degli autori e dei loro mandanti.
   Ho già detto in Parlamento che l'evento è collegabile ad
una matrice di chiaro segno mafioso. La mafia spesso si serve
di interventi di tipo stragista, terroristico; ciò non
significa che il terrorismo sia di ritorno nel nostro paese,
ma che questo è il tipo di intervento che la mafia ha posto in
essere in più di una circostanza, non soltanto in quest'ultima
verificatasi a Roma.
   Certo, si può dire che la mafia è sempre rimasta
all'interno del proprio territorio.
  PRESIDENTE. Non sempre. L'attentato al rapido 904 lo
dimostra.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Certo,
l'attentato al rapido 904 è indicativo. Non bisogna inoltre
trascurare che negli ultimi tempi, soprattutto negli ultimi
due o tre anni tra la mafia e le altre organizzazioni
criminali si sono realizzate intese: vi è un'intesa
soprattutto tra uomini della cupola e uomini della camorra e a
volte tra uomini della cupola e uomini della 'ndrangheta e
tali alleanze portano molte volte anche a fuoriuscire dal
proprio territorio. Se si pensa al delitto Casillo a Roma, ci
si può facilmente rendere conto che, anche se è di provenienza
camorrista, si è andati al di fuori del territorio dell'area
napoletana per sconfinare in quello romano.
   Vi do questa versione, che è verosimile, il che non
significa vera: verosimile può essere attendibile ma
smentibile in ogni momento da accertamenti più rigorosi da
parte della magistratura cui è rimesso, anche per ragioni di
competenza, l'accertamento definitivo della verità.
   Non ho mancato di esprimere solidarietà al giornalista
Costanzo e vi posso anche dire che nel colloquio che con lui
ho avuto qualche ora dopo l'esplosione egli ha tentato di
allontanare da sé l'idea di essere l'obiettivo dell'attentato.
E' un atteggiamento comprensibile dal punto di vista umano,
però a mano a mano che il tempo si allontanava dall'evento
anch'egli ha dovuto rendersi conto di essere con grande
probabilità l'obiettivo degli attentatori, proprio per la
posizione di prima linea che ha assunto nelle sue trasmissioni
televisive.
   Questo è un elemento da considerare con estremo rigore ma
anche con grande preoccupazione: è in sostanza un tentativo di
intimidazione. Ci sono obiettivi simbolo che sono
rappresentativi di qualcosa. L'offensiva era certamente
rivolta contro lo Stato nel suo complesso, ma è stata
realizzata attraverso un uomo che ha assunto una posizione di
prima linea nella denuncia della presenza della criminalità
organizzata nel controllo del territorio. E le trasmissioni
incidono eccome! Peraltro, chi ha partecipato a quelle
trasmissioni - e il presidente Violante può essere buon
testimone - sa che l'attenzione, l'offensiva nei confronti dei
mezzi di comunicazione è stata ed è piuttosto intensa (dal
racket alla criminalità organizzata, a tutti gli attentati, ai
delitti eccellenti) e che potevano essere l'obiettivo vero
della mafia, a parte lo
                        Pag. 2004
Stato che, avendo organizzato un'azione di contrasto
piuttosto forte ed avendo ottenuto risultati di tutto rilievo,
rimane sempre nello sfondo di questa azione di tipo
terroristico.
   Del resto, basta considerare i punti di vantaggio
accumulati negli ultimi tempi: possiamo guardare insieme a
tutto ciò che è accaduto nel 1992 per avere la cognizione
della caduta della delittuosità nel nostro paese, anche in
Sicilia e non solo nelle altre aree del territorio nazionale.
Come ho già rilevato in altre occasioni in questa sede, in
Sicilia ci si è serviti anche dell'esercito, che ha fornito
risultati apprezzabili dal punto di vista del controllo del
territorio perché ha consentito alle forze dell'ordine di
dedicarsi con maggiore attenzione - tenuto conto della loro
professionalità - all'azione di contrasto alla criminalità
organizzata.
   Do ora lettura di alcuni valori che raffrontano i reati
consumati nel 1992 rispetto al 1991: omicidi volontari -20,22
per cento (da 1810 a 1444), tentati omicidi -15,75 per cento,
associazione per delinquere (qui c'è invece un'impennata)
.00122,52 per cento, rapine -19 per cento, estorsioni -17 per
cento, furti -13 per cento, attentati dinamitardi -17,12 per
cento. Si è poi verificato un aumento di incendi dolosi, di
persone denunciate e di persone arrestate, e questo si vede
anche dall'estremo disagio che registriamo soprattutto nelle
nostre carceri.
   Questa caduta di delittuosità sta ad indicare che il
contrasto esercitato dallo Stato è stato piuttosto forte e che
la collaborazione dei cittadini ha consentito di incidere su
un settore che è continuamente esposto ad estorsioni ed
intimidazioni. Recentemente abbiamo ottenuto un successo con
l'operazione denominata "Mare verde" che ha portato alla
scoperta di un'aggressione di patrimoni da parte della
malavita organizzata, realizzatasi con l'acquisto di esercizi
commerciali, addirittura di alberghi e con collegamenti con la
Francia (si trattava di una zona nevralgica fra la Liguria e
la Francia). Ciò sta ad indicare che spesso le risorse, in
partenza sporche e poi diventate pulite, vengono impiegate in
attività di carattere produttivo: titoli azionari,
obbligazionari, costituzione di società a responsabilità
limitata, costituzione di società fiduciarie, intestazioni
simulate. Comunque, a parte un incremento di denunce, c'è
certamente un'appropriazione del settore del commercio da
parte della malavita organizzata, direttamente o per
interposta persona: direttamente quando si costituiscono
società fittizie, con intestazioni... Soprattutto nelle
società a responsabilità limitata, dove è più difficile il
controllo della mano pubblica, vi è la presenza di origine
mafiosa, camorristica, della 'ndrangheta o della Sacra corona
unita.
   Per quanto riguarda l'incremento dei reati di associazione
per delinquere ex articolo 416, vi vorrei leggere alcuni
dati. Per la Valle d'Aosta è vero che il numero è irrilevante,
e quindi la percentuale diventa preoccupante, però vi è una
variazione del 100 per cento ma riconducibile ad una unità.
Proseguo: Liguria 18,18 per cento, Veneto 46,15 per cento,
Marche 120 per cento, Toscana 77 per cento, Umbria 100 per
cento, Basilicata (che era una regione "pulita") 275 per
cento. Questo per rilevare che la malavita organizzata si è
diffusa con le proprie radici sul territorio e ha investito
l'intero territorio nazionale; anzi, se vogliamo essere
precisi fino in fondo, si è espansa al di là dello stesso
territorio nazionale aggredendo soprattutto i territori della
Germania orientale, della Polonia, dell'Ungheria, della
Cecoslovacchia e della stessa Russia.
   Tutti o quasi tutti gli altri tipi di reati hanno subito
decrementi notevoli, salvo per le rapine nella Valle d'Aosta
(che registra valori assoluti di poche decine ma che prima era
quasi immune), dove abbiamo un incremento del 52,17 per cento,
e nel Trentino-Alto Adige, dove l'incremento è del 21,43 per
cento. Come vedete, soprattutto nei territori di confine c'è
un'espansione della presenza della malavita organizzata che va
sempre nella
                        Pag. 2005
direzione del commercio e delle attività cosiddette
produttive del terziario.
   Sul piano delle estorsioni abbiamo un considerevole numero
di denunce rispetto a prima: c'è minore preoccupazione, minore
paura, maggiore collaborazione. Se poi vogliamo dire quali
sono le punte massime di silenzio e di denunce, possiamo
segnalare che a Palermo si registra il maggiore silenzio e a
Torino la maggiore disponibilità a denunciare le estorsioni
che si subiscono. Anche a questo riguardo fornisco comunque
alcuni dati: in Piemonte nel rapporto abbiamo una variazione
del .00125,48 per cento, nella Valle d'Aosta .00180 per
cento, in Liguria .00119 per cento, nel Veneto .00140 per
cento, in Friuli .001169 per cento, in Emilia Romagna
.00118,28 per cento, nel Molise .00120 per cento, in
Campania .00132 per cento, in Basilicata .00175 per cento.
Il raffronto consente di affermare che non solo c'è stato un
incremento di estorsioni, ma che si è anche registrata una
forte collaborazione da parte delle persone estorte ed
intimidite, che hanno dimostrato maggiore fiducia nelle forze
dell'ordine. Si sono addirittura costituite associazioni di
protesta in intere aree. Faccio l'esempio delle zone del
messinese e del nisseno dove si sono costituite associazioni e
fondazioni che hanno dato notevoli frutti dal punto di vista
della cattura degli estorsori, che sono stati processati e
condannati a pene anche severe.
   Non vorrei attardarmi ulteriormente, perché possiamo
parlare della condizione del fenomeno della criminalità. Ho
inviato ai Presidenti di Camera e Senato i rapporti che ho
fatto spedire anche al presidente della Commissione antimafia.
Ne possiamo discutere diffusamente facendo un approfondimento
anche di natura culturale non solo sulla nascita e
sull'incremento ma anche sulla pericolosità raggiunta da
queste organizzazioni malavitose in Sicilia, in Campania, in
Calabria e in Puglia, ed effettuando una valutazione delle
presenze di queste organizzazioni anche all'estero.
   Nella lotta alla criminalità abbiamo ottenuto determinati
risultati nel 1992 ma si registra un andamento positivo
nell'azione di contrasto anche nei primi quattro mesi del
1993. Ciò, signor presidente, mi pone in questa paradossale
situazione: non posso dire che bisogna fermarsi, perché
bisogna andare avanti con gran determinazione, però mi trovo
anche di fronte a problemi che spesso vengono posti alla mia
attenzione dal ministro di grazia e giustizia, il quale
giustamente è preoccupato della condizione carceraria nel
nostro paese.
   Ieri sera in Consiglio dei ministri abbiamo appreso che il
numero delle presenze in carcere è salito dalle 48 mila di un
mese e mezzo fa a 52 mila. Si tratta di un problema serio che
a mio avviso non possiamo risolvere in termini di revisione
della normativa anticrimine, che ha rappresentato una faticosa
conquista conseguita in sede parlamentare ma, semmai,
attraverso una riflessione più attenta da svolgere magari
anche in questa Commissione, o soprattutto in questa
Commissione. Guai ad immaginare che, per ottenere un
decremento della presenza dei detenuti nelle carceri, noi
possiamo ritoccare i provvedimenti che invece debbono
mantenere la stessa severità che ha consentito di registrare i
successi conseguiti! Anche a proposito delle disposizioni
dell'articolo 41-bis, c'è un problema che noi dobbiamo
valutare attentamente, presidente, anche per i riflessi che si
possono avere in ordine alla situazione generale della
criminalità e dell'ordine pubblico complessivamente
considerato. Noi non possiamo ritenere che ogni specifico
settore vada guardato isolatamente: lo dobbiamo invece
guardare come inserito nel contesto. Guai ad immaginare che
tra l'amministrazione dell'interno e quella della giustizia vi
possano essere compartimenti stagni! Noi dobbiamo avere
interrelazioni e dobbiamo guardare a questo fenomeno sapendo
benissimo che non possiamo abbassare la guardia: guai ad
immaginare di abbassare la guardia in un periodo in cui
l'andamento della criminalità nel
                        Pag. 2006
nostro paese registra non soltanto successi dal punto di
vista della cattura di latitanti eccellenti ma anche
abbassamenti dei tassi di delittuosità!
   Questa mattina, nel corso di una conferenza stampa
dedicata al rapporto annuale relativo all'andamento della
criminalità, ho dovuto anche dire ad alta voce che siamo
arrivati a quasi 60 scioglimenti dei consigli comunali. Dico
"quasi" perché sono maturi altri provvedimenti rispetto ai 57
già ufficiali. La politica dell'amministrazione dell'interno
finora - e, almeno per quanto mi riguarda, certamente anche
nel prossimo futuro - è volta ad evitare che permangano fasce
di collusione o zone condizionate dalla criminalità
organizzata. Spesso l'amministratore è costretto a fare
determinate cose perché c'è una forte intimidazione esterna
dal punto di vista psicologico. Quando vi sono questa mancanza
di autonomia e questa compressione della volontà, bisogna
incidere anche con lo scioglimento. Si tratta, certo, di un
fatto difficile perché è al confine tra un atto dovuto ed un
arbitrio, però io non mi baso mai su una sola relazione ma ne
prendo in considerazione più di una per avere, dal confronto,
la certezza di non sbagliare (anche se certamente si sbaglia,
perché tutto è affidato al giudizio dell'uomo). Sta di fatto
che il condizionamento rappresenta il dato peculiare di alcune
amministrazioni. L'infiltrazione e la presenza all'interno
delle strutture delle amministrazioni comunali sono tali che
non basta sciogliere i consigli, ma che bisognerebbe fare
qualcos'altro. A tale riguardo, chiedo un aiuto alla
Commissione per valutare in che modo si possa risolvere,
insieme ai provvedimenti repressivi nei confronti
dell'amministrazione elettiva, il problema di una certa
presenza, non in attesa dei processi ma per poter reagire
prontamente rispetto a strutture di uffici che, collaborando
con l'ambiente esterno, rendono difficile la stessa opera
delle gestioni straordinarie. Quanto alla collusione, si
tratta di un problema che, una volta accertato, non può che
portare allo scioglimento certo del consiglio comunale
interessato.
   Mi avvio alla conclusione. Spesso mi trovo di fronte ad
interrogazioni parlamentari che chiedono di intervenire.
Vorrei fosse chiaro che il potere di sindacato nei confronti
delle amministrazioni comunali è e resta quello di tipo
criminoso, con riferimento alla criminalità organizzata. Non
abbiamo un rapporto diretto tra l'ente locale, che resta
giustamente geloso della sua autonomia, anche quando vi sono
arresti per ragioni di trasparenza... Ho presentato al
Consiglio dei ministri - che lo ha condiviso - un disegno di
legge di adeguamento della legge n. 16. Il trattamento nei
confronti dell'amministrazione locale responsabile di reati
contro la pubblica amministrazione (corruzione, concussione e
peculato) deve essere lo stesso che si adotta nei confronti di
un pubblico dipendente: la sospensione prima e la rimozione
successivamente. Se aspettiamo l'esito del processo di secondo
grado, probabilmente dovremmo conservare a livello di
amministrazione comunale una serie di corrotti, di concussori,
di peculatori. Ho interpretato, insieme agli uffici del
ministero, la possibilità dell'applicazione dell'articolo 40
(ragioni di ordine pubblico) nei confronti di questi
amministratori ed ho deciso per il provvedimento di
sospensione da parte dei prefetti e per il successivo decreto
di rimozione. Credo che soltanto attraverso quest'opera che si
muove in diverse direzioni (tenere conto della necessità della
collaborazione della magistratura; tenere sempre alta la
guardia da parte delle forze dell'ordine; intervenire nei
confronti delle amministrazioni che sono condizionate, colluse
o dove si registrano infiltrazioni) si possano concretizzare i
punti chiave di svolta di una politica volta a rimuovere la
presenza di criminalità organizzata sul territorio.
  PRESIDENTE. La ringrazio, ministro.
                        Pag. 2007
      Votazione per l'elezione di un vicepresidente.
  PRESIDENTE. Colleghi, se siete d'accordo e se il
ministro lo consente, potremmo convenire di aprire fin d'ora
le urne per lo svolgimento della votazione per l'elezione di
un vicepresidente, in modo che ciascuno possa votare in corso
di dibattito.
  SAVERIO D'AMELIO. Presidente, a parte il fatto che non
mi pare che sia presente la maggioranza dei colleghi della
Commissione...
  PRESIDENTE. Siamo in numero legale.
  SAVERIO D'AMELIO. Mi fa piacere, ma vedo presenti due
colleghi che non vanno computati ai fini del numero legale.
  PRESIDENTE. Sì, lo sappiamo bene. Siamo comunque 17.
  SAVERIO D'AMELIO. Comunque, il problema è di chiarire se
cortesemente...
  ALTERO MATTEOLI. Perché i due colleghi presenti non
vanno computati ai fini del numero legale?
  PRESIDENTE. I due colleghi sono - diciamo così - graditi
ospiti, ma teoricamente non avrebbero potuto essere presenti a
questa seduta giacché la Presidenza della Camera non ha ancora
inviato la comunicazione relativa al loro subentro. Prego
comunque i due colleghi di trattenersi perché abbiamo chiesto
al Presidente della Camera di inviarci tale comunicazione via
fax.
  SAVERIO D'AMELIO. Chiedo se si possa evitare la
votazione. Mastella mi ha telefonato dicendomi che nel nostro
gruppo ci potrebbe essere un disorientamento in quanto il
gruppo socialista avrebbe designato due possibili candidati
(Commenti del senatore Calvi).
  PRESIDENTE. Se mi consentite, che i gruppi possono
essere disorientati è un fatto che riguarda i gruppi stessi e
non la Commissione.
  PAOLO CABRAS. Non riesco a capire perché Mastella si
debba fare interprete dei turbamenti del gruppo socialista!
  PRESIDENTE. Propongo di mantenere aperte le urne fino
alle 18,30. Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  Invito il segretario, onorevole Sorice, a seguire le
operazioni di voto.
  FRANCESCO ALBERTO COVELLO. Eravamo in una riunione del
direttivo dedicata ad altri problemi ed è arrivata una
telefonata del presidente Acquaviva...
  PRESIDENTE. Colleghi, non è questa la sede per fare
campagna elettorale!
  FRANCESCO ALBERTO COVELLO. Ma allora in questa
Commissione manca la libertà di parola! Lei poi, presidente,
si avvale della collaborazione del vicepresidente, il quale è
ancora peggio perché non ci fa parlare proprio (Si
ride)! Se Acquaviva propone Frasca, io voglio sapere se il
candidato è Calvi oppure Frasca!
  PRESIDENTE. Colleghi, non si possono discutere
candidature in sede di votazione! Siamo riuniti infatti come
mero seggio elettorale. Se vi sono problemi, questi vanno
discussi fuori e non all'interno della Commissione.
  ALFREDO GALASSO. Questa discussione non mi pare molto
gratificante!
  ANTONINO BUTTITTA. E' vero che siamo ridotti molto male,
ma che addirittura siamo giunti al punto che la DC debba
parlare per noi, mi sembra veramente eccessivo!
                        Pag. 2008
    Si riprende l'audizione del ministro dell'interno.
  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rossi, al
quale do senz'altro la parola.
  LUIGI ROSSI. Ho già avuto occasione di esprimere un
apprezzamento molto vivo nei confronti del ministro Mancino
durante il dibattito che è seguito alla sue dichiarazioni rese
in Aula in merito alla stessa vicenda di cui ci stiamo
occupando oggi. Non posso quindi fare altro che ripetere
quanto ho già detto e cioè che da quando Mancino è ministro
dell'interno le cose sembrano andare molto meglio. Altrettanto
vivamente apprezzo il modo non enfatico con il quale il
ministro ci ha fornito le notizie e con il quale ci ha
incitato ad alzare la guardia. Ciò significa che il senso di
responsabilità con il quale si sta conducendo la battaglia
contro la criminalità organizzata è davvero notevole. Vorrei
dire molto sinteticamente...
  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Rossi, ma debbo pregare i
colleghi Covello e Cabras di chiarire altrove i rispettivi
punti di vista.
  LUIGI ROSSI. Quello che è accaduto a via Fauro ha avuto
una notevolissima ripercussione, insieme all'arresto di Nitto
Santapaola, specialmente all'estero. Avendo letto giornali
stranieri, in particolari tedeschi, oggi, nella fase iniziale
della stagione turistica, mi permetto di richiamare
l'attenzione del ministro sul fatto che alcuni giornali
tedeschi hanno scritto che noi stiamo esportando la mafia
all'estero. Richiamo l'attenzione del ministro su questo punto
e gli chiedo se non sia il caso che egli faccia un giro nei
paesi della CEE... Scusate, colleghi, se mi consentite di
parlare io continuo, altrimenti smetto subito: basta che me lo
diciate.
  PRESIDENTE. Il collega Rossi ha ragione.
  LUIGI ROSSI. Se sto dicendo delle sciocchezze, basta che
me lo diciate e io me ne vado!
   Vorrei chiedere all'onorevole ministro se non ritiene
opportuno, magari in seno all'UEO, di rendere dichiarazioni
esplicite precisando che non è vero che l'Italia è tutta
mafiosa ma che, anzi, si registra una notevole ripresa della
lotta contro la mafia e la criminalità organizzata.
Soprattutto - dicevo - perché sta per iniziare la stagione
turistica. Quindi, in questa campagna, nella quale si dice che
l'Italia sia una terra mafiosa, ci sono indubbiamente
interessi da parte di coloro che vogliono impedire che il
nostro turismo possa avere i riconoscimenti che tutti gli
hanno dato sempre e in tutti i tempi.
   Per quel che riguarda i numeri che il ministro ci ha
fornito, relativi alla diminuzione di alcuni reati della
criminalità organizzata, vorrei dire che i numeri che contano
ritengo siano quelli dei delitti più gravi. Quindi, pregherei
l'onorevole ministro di volerci dire se nell'ambito dei
delitti più gravi - attentati, eccetera - a lui risulta che si
siano registrati diminuzioni od aumenti.
   Sono perfettamente d'accordo con il ministro sul fatto che
bisogna contemporaneamente applicare tutte le misure che sono
necessarie nei confronti di tutti quegli amministratori che
colludono con la mafia o che comunque sono disonesti: che
siano applicate immediatamente, come il ministro ha detto!
  ALFREDO GALASSO. Anch'io trovo verosimile la
ricostruzione che ha fatto il ministro dell'attentato di Roma.
Vorrei anche ricordare che gli obiettivi delle stragi, le
modalità di esecuzione delle stragi, come la storia insegna,
soprattutto in questi ultimi anni, sono assai varie e non per
questo muta la matrice mafiosa. Non è vero che la mafia ha
sempre gli stessi obiettivi o, addirittura, usa sempre le
stese modalità.
   Dico però che la ragione per la quale avevo anche chiesto
la convocazione del ministro e di altre autorità preposte
                        Pag. 2009
all'ordine pubblico sta nel fatto che questa natura
terroristico-mafiosa - su cui concordo - al di là del
comprensibile allarme che determina, richiede però, a mio
parere, anche un'informazione ed una valutazione più
approfondita sullo stato delle cose, sul rischio esistente e
dunque sulla possibilità di prevenzione. Fra l'altro, la
caduta del tasso di criminalità o comunque la modificazione
quantitativa e qualitativa del tasso di criminalità per il
1992, che il ministro ci ha illustrato, ha però per riscontro
tragico il fatto che nel 1992 ci sono state due stragi e due
delitti di natura politica - quelli di Lima e Salvo, per
intenderci - che dimostrano l'esistenza di una strategia di
tipo politico di livello estremamente elevato da parte della
mafia. Siccome abbiamo ascoltato il presidente della
Commissione antimafia, il ministro dell'interno, il
procuratore nazionale in più di una occasione mettere nel
conto - non dico prevedere, perché non è possibile - una
prosecuzione di questa strategia di tipo stragistico, chiedo
di saperne un po' di più, nei limiti del rispetto di ciò che
riguarda la riservatezza o il segreto (questo lo do per
scontato tra addetti ai lavori). Questo mi sembra un punto
molto importante ed era quello sul quale avevo chiesto un
incontro con il ministro.
   Aggiungo altre due questioni. Mi sembra estremamente
opportuna - lo dico al presidente della Commissione - questa
disponibilità del ministro dell'interno (aggiungerei anche il
ministro della giustizia) a discutere insieme a fondo, a
partire da questo dato, perché anche il metodo
domanda-risposta rende molto più complicato tirare poi le fila
di ciò che ciascuno nell'ambito delle proprie competenze può
fare. Se la strategia è cambiata, vuol dire che probabilmente
è cambiata anche la natura e la finalità di Cosa nostra in
questo periodo e sentiamo tutti l'esigenza di approfondire
questo punto che non è soltanto teorico, perché è ovvio che da
un'analisi indovinata o comunque la più vicina possibile alla
realtà possono derivare rimedi molto più incisivi. Si può
cominciare dalla questione - che lo stesso ministro poneva -
dell'affollamento delle carceri, ma c'è il problema delle
indagini, del codice di procedura penale, sul quale sentiamo
ancora una volta esprimersi lamentele di segno spesso opposto
(o troppo lassista o troppo garantista; a seconda dei casi,
troppo incisivo in una direzione anziché in un'altra).
   Ministro Mancino, per una ragione di correttezza desidero
dirle che insieme ad altri colleghi - siamo in una triste
ricorrenza - ho presentato un'interrogazione per sapere come
mai sia ancora così abbandonata e triste la sorte dell'unico
sopravvissuto della strage di Capaci, l'agente Costanza. Ho
appreso in un servizio molto puntuale su un giornale il fatto
che egli non ha avuto il risarcimento del danno - mentre è
stato risarcito quello prodotto all'automobile - che è senza
lavoro e persino che è stata impugnata, non so se dal ministro
della giustizia o dal ministro dell'interno, la diagnosi che
dava un responso di invalidità permanente del 46 per cento. Mi
sembra una cosa molto grave, se è vera, perché non possiamo
fare celebrazioni e proclamazioni e dire - come ripetiamo
spesso - che non esistono vittime di serie A e di serie G,
quando poi le cose vanno in questa maniera.
  PRESIDENTE. Do la parola al ministro Mancino, che l'ha
chiesta, su tale questione, anche per tranquillizzare la
Commissione.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Ho appreso
il fatto da poco tempo, perché c'è stata polemica. Peraltro,
mi sono anche meravigliato che sia stata creata questa
polemica, non perché non sia giusta una reazione ma perché,
probabilmente, fra amministrazioni diverse avrebbe potuto
anche prevalere un certo fair play.
   La commissione consultiva presso i servizi civili ha
espresso perplessità sulla riduzione della capacità lavorativa
del 46 per cento. E' stato interessato il collegio medico
legale presso il Ministero della
                        Pag. 2010
difesa. Il collegio medico legale ha convocato il Costanza in
data 29 marzo 1993. Egli non si è presentato, anche sostenendo
che aveva difficoltà di natura economica. L'amministrazione si
è dichiarata disponibile, anzi ha fatto qualcosa in più della
dichiarazione di disponibilità. Adesso, sarà sottoposto ad una
nuova visita, che è stata fissata per il 7 giugno.
   Poi ci sono altre questioni collegate, se ci sia stata o
no attenzione. Vorrei dire che un'attenzione già si è avuta
con l'assunzione di un figlio e un'altra attenzione si sta per
realizzare, perché si tratta di vedere anche le qualifiche che
vengono richieste e quelle che l'ordinamento rende possibile.
   A me dispiace che intervengano casi come questi, che
potrebbero dare il segnale di un'incuria generalizzata, però
si tratta soltanto di mancate collaborazioni che provengono
anche dall'interessato, il quale dice di essere anche in
conflitto con la propria famiglia e quindi di autogestirsi
personalmente. Sul piano umano, tutta la mia solidarietà e
comprensione, però non vorrei...
  ALTERO MATTEOLI. Se è così, è un problema suo: non è che
lo Stato debba fare meno perché...
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Non dico
che lo Stato non lo debba aiutare, ma se uno non si presenta
alla visita lo Stato non è in condizione di dare l'indennità
dovuta, che ammonta a 160 milioni. Non è colpa dello Stato se
non può dare i 160 milioni, perché lo Stato non può anticipare
tale somma rispetto ad un accertamento che mi sembra doveroso.
  ALFREDO GALASSO. A quanto pare ha perso la milza.
  PRESIDENTE. In questo quadro mi pare rientri anche il
problema dell'eventuale risarcimento dei danni provocati
dall'attentato di via Fauro. So che sono stati presi
provvedimenti da questo punto di vista che poi, magari, alla
fine della seduta, il ministro potrà chiarire.
  ALTERO MATTEOLI. Signor ministro, lei ha detto - e non
poteva dire diversamente - che quel che sosteneva è
verosimile, cioè che l'obiettivo era il giornalista Costanzo.
Si possono anche sostenere tesi diverse, comunque è
verosimile, anche se si afferma che sarebbero trascorsi cinque
secondi... Non so come possa essere stato calcolato questo
tempo ma chi conosce quella zona sa che in cinque secondi si
possono percorrere oltre cento metri.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. C'è anche
una curva.
  ALTERO MATTEOLI. Abito in quella zona. Sono anch'io una
vittima perché abito lì vicino; sono anche cadute dalle
mensole - ma non farò richieste allo Stato - alcune bottiglie
di vino...! (Si ride). Abito vicino, in via Paolo Frisi
e chi conosce i Parioli sa che si trova nelle vicinanze. A
parte le battute, è verosimile che l'obiettivo sia stato il
giornalista Costanzo, non tanto per il suo impegno
giornalistico, che trovo spesso - anche questo è un mio parere
- impregnato di demagogia, ma per il successo che quella
trasmissione indubbiamente ha: è seguita dagli italiani.
   Il ministro non poteva nemmeno enfatizzare - lo dico senza
polemiche - l'arresto del boss Santapaola, perché quando lo
Stato arriva ad arrestare un boss di quella portata dopo 12
anni e lo trova nel letto con la moglie che dorme
tranquillamente, se lo Stato avesse enfatizzato un arresto di
questo genere indubbiamente avrebbe fatto una cosa che non
meritava di essere fatta.
   Delle dichiarazioni del ministro - oneste, anche dal punto
di vista intellettuale - le cose che mi preoccupano di più
sono altre: le organizzazioni malavitose si sono espanse su
tutto il territorio nazionale; c'è un problema serio legato
alle carceri, perché negli ultimi quattro mesi i detenuti sono
aumentati di 4 mila unità su
                        Pag. 2011
tutto il territorio nazionale; già 60 comuni sono stati
sciolti. Una delegazione di questa Commissione è rientrata
ieri a tarda sera da Palermo, dove ha potuto verificare una
situazione preoccupante: se qualcuno sostenesse la tesi che
tra pochi mesi si potrebbe votare a Palermo risponderei che
invece la situazione è preoccupante. Quindi, anche questo
problema esiste ed in maniera pesante.
   Vorrei però sottolineare quel che è avvenuto subito dopo
lo scoppio della bomba, in particolare le dichiarazioni dei
massimi vertici dello Stato; dichiarazioni assai simili ad
altre che vennero rese quando scoppiò la prima bomba nel 1969
a Milano nella Banca dell'agricoltura: "bisogna stare tutti
uniti" ed altre di questo tenore. Queste dichiarazioni -
ovviamente, la mia è una valutazione di ordine politico - mi
preoccupano, perché mi sembra che subito, appena scoppiata la
bomba, essa sia stata utilizzata dai massimi vertici dello
Stato per ricompattare un sistema che dimostra di non poter
stare più insieme. Abbiamo assistito poc'anzi ad una diatriba
per una cosa di modeste proporzioni come l'elezione di un
vicepresidente di una Commissione, anche se importante come la
nostra, il che dimostra come sia un po' difficile rimettere
insieme questo sistema anche attraverso le bombe. Ma le
dichiarazioni rese, a cominciare da quelle del massimo vertice
dello Stato, il Presidente della Repubblica, sono state
indirizzate in questo senso.
   Anche se questa volta fortunatamente - speriamo - i
servizi segreti non c'entrano, come invece è avvenuto altre
volte, tanto che vi sono stati agenti degli stessi servizi
condannati per questo (evidentemente quindi è stato acclarato
il loro coinvolgimento), in qualità di parlamentare, sia pure
di opposizione, prego il ministro di tenere presente che
questo sistema non può ripercorrere ancora una volta le solite
strade. Poiché si sostiene che la situazione è cambiata e che
sta cambiando giorno per giorno, cerchiamo di acclarare la
verità e soprattutto di catturare, non tra dodici o venti
anni, i colpevoli di questo ennesimo attentato, anche se per
fortuna (ma solo per fortuna) questa volta non vi sono stati
morti.
  MASSIMO BRUTTI. Desidero esprimere apprezzamento per la
sobrietà con la quale il ministro Mancino ha descritto uno
scenario verosimile con riferimento alla bomba di via Fauro ed
anche per la sobrietà con cui egli ha fatto cenno, in questi
giorni, alla cattura di Nitto Santapaola.
   In quest'ultima vicenda vedo due elementi di novità che
intendo sottolineare: anzitutto essa dimostra che una barriera
protettiva, che finora aveva funzionato per anni a difesa di
questo latitante, si è rotta ed egli è stato catturato anche
con una certa sorpresa da parte sua.
   In secondo luogo, poiché, stando alle dichiarazioni che
sono state rese a proposito di questa cattura, essa non deriva
dalla collaborazione di elementi interni o che si sono
distaccati dall'organizzazione mafiosa, ciò significa che vi è
stato un affinamento delle tecniche investigative, che ha
consentito di stringere il cerchio attorno a Santapaola.
Questo non può che essere sottolineato come un aspetto
positivo; abbiamo avuto occasione di discutere della necessità
di potenziare tutte le tecniche investigative, tra cui quelle
relative alle intercettazioni ambientali, che possano aiutare
a individuare elementi di prova, a colpire le organizzazioni
mafiose, anche al di là della collaborazione con la giustizia
che finora è stata un elemento decisivo.
   Per quanto riguarda l'attentato di via Fauro, stiamo
svolgendo qui una discussione per certi versi imbarazzante,
nel senso che non sappiamo nulla e il ministro dell'interno ha
detto con molta franchezza che tutto quanto egli può dirci
rientra nell'ordine delle cose verosimili.
   L'impressione che ricaviamo dalla lettura dei giornali è
che le indagini segnino il passo; io ho anche un'altra
impressione che voglio sottoporre all'attenzione del ministro:
ritengo cioè che non sia stato fatto, immediatamente dopo
l'attentato, tutto ciò che si sarebbe dovuto fare
                        Pag. 2012
perché lo stato dei luoghi e delle cose rimanesse inalterato
e perché la ricerca di materiale probatorio potesse svolgersi
compiutamente e in modo efficace. Io stesso, come credo molti
altri, ho visto in televisione un signore che si faceva
riprendere con in mano un frammento dell'auto che sarebbe
stata quella in cui era collocato l'ordigno esplosivo. Questo
significa che là evidentemente non vi è stata quella tutela
dell'integrità dei luoghi e delle cose che avrebbe potuto
giovare alle indagini.
   Nel merito, che cosa si può dire al di là di quello che ha
affermato il ministro? Credo che la storia del passato
dimostri che quando l'offensiva di Cosa nostra viene portata
fuori del territorio direttamente controllato
dall'organizzazione mafiosa ciò significhi che nella zona in
cui si svolge l'attentato vi è un supporto, un sistema di
alleanze e che questo consenta di sferrare l'attacco
terroristico. La strage sul rapido 904 dimostra proprio questo
ed i contatti e i rapporti tra Cosa nostra e la banda della
Magliana a Roma dimostrano come costruire teste di ponte e
insediare emissari significhi anche stabilire alleanze con la
malavita locale (a Roma si trattava della banda della
Magliana). Ma proprio la storia della presenza di Cosa nostra
a Roma non è soltanto storia di rapporti con settori della
malavita ma investe anche rapporti con settori delle autorità
ufficiali, degli apparati dello Stato, e anzitutto dei servizi
segreti. La storia del SISMI deviato al tempo in cui al
vertice del servizio segreto militare vi erano uomini della P2
è intrecciata con la storia della banda della Magliana e con
quella della presenza di Cosa nostra a Roma. Credo che questi
precedenti del passato possano fornire ipotesi di lavoro e
consentano di individuare scenari possibili.
   Ascoltando l'intervento del ministro Mancino alla Camera
avevo già annotato, ed anche oggi le ho trascritte, le
espressioni con le quali egli ha fatto riferimento
all'affollarsi di rivendicazioni immediatamente dopo
l'attentato o nella giornata successiva. Egli ha parlato di
tentativi devianti ed anche di centri di destabilizzazione
occulta. Il ministro oggi ha reso anche un'altra affermazione,
ossia che le rivendicazioni della Falange armata si segnalano
per la loro peculiarità, rappresentata dal fatto che
intervengono tutte negli orari d'ufficio. Egli ha poi
insistito sui termini "ufficio" e "uffici"; il fatto che un
ministro dell'interno dica questo è impegnativo ed ha un
significato politico e istituzionale. Se infatti parliamo di
un centro di destabilizzazione occulta che conduce le proprie
manovre negli orari d'ufficio e usiamo con insistenza questo
termine, ciò significa che abbiamo in mente (ed io condivido
questa impressione del ministro) che quel centro occulto di
destabilizzazione, come egli l'ha definito, è dentro gli
apparati dello Stato.
   Se così è, chiedo di sapere che cosa si faccia per snidare
questi signori i quali, osservando un orario d'ufficio ed
entrando in una stanza davanti alla quale forse vi è anche un
piantone che rappresenta la presenza dello Stato in quei
locali e in quegli edifici, compiono un'opera di
destabilizzazione occulta. Che cosa stiamo facendo per
scovarli? La sigla della Falange armata comincia a
manifestarsi, se non ricordo male, dopo l'omicidio, avvenuto
ad Opera, di un operatore carcerario e in alcune situazioni mi
è sembrato di capire che questi signori avanzassero
rivendicazioni telefoniche dimostrando di sapere qualcosa, che
quindi essi non fossero esclusivamente dei parassiti della
notizia in prima pagina, che non cercassero soltanto di
entrare in un gioco al quale non partecipavano in alcun modo.
Sarebbe allora bene sapere che cosa significhi questo gioco e
chi lo conduca.
   Questo elemento si colloca ai margini della vicenda
dell'attentato ma potrebbe anche non essere del tutto
marginale, perché un elemento della funzione, dello scopo e
delle finalità di questi attentati è proprio l'intossicazione
dell'informazione, la ridda delle interpretazioni, visto che
l'effetto intimidatorio si raggiunge anche con
l'intossicazione informativa.
                        Pag. 2013
   Per questi motivi chiedo al ministro dell'interno che cosa
egli sappia, che cosa possa dire e soprattutto quali
iniziative si possano assumere su questo terreno.
   Dal momento che è stato usato un ingente quantitativo di
esplosivo, mi domando se sia possibile che si spostino per le
strade di Roma quantitativi così ingenti di esplosivo, che vi
sia un traffico che funziona senza che nessuna azione di
intelligence riesca a prevenirlo, a conoscerlo; è
possibile che i servizi di informazione e di sicurezza siano
sordi a quel che accade nel sottosuolo criminale di una grande
metropoli come Roma? Non è infatti cosa di tutti i giorni
spostare un quantitativo di tritolo così ingente in una città
come Roma. E' possibile che non vi sia stato alcun segnale e
che i servizi che dovrebbero svolgere questa funzione di
prevenzione non siano minimamente in grado di svolgerla?
  MARCO TARADASH. Vorrei innanzitutto anch'io che il
ministro ci aiutasse a sciogliere l'enigma relativo agli
uffici e alla Falange armata, dal momento che si tratta di una
sigla ricorrente.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. E' una
questione alla quale dedico molta attenzione e che sto
approfondendo.
  MARCO TARADASH. Questa allusione è comunque
interessante, non so se contenga un suo messaggio trasversale
ma, essendo stata resa in questa sede, è ovvio che susciti la
nostra curiosità, perché a partire dalle storie di Bologna
fino alla vicenda della Uno bianca in poi la Falange armata si
è fatta sentire spesso in termini di rivendicazioni; forse si
tratta di un telefonista folle o di un pensionato che si trova
di tanto in tanto in qualche ufficio e usufruisce di un
telefono gratuito ma potrebbe non essere così.
   Al di là di questo, il ministro ha fornito un'informazione
molto scarna sull'accaduto e, non essendovi certezze, si è
giustamente limitato a parlare di verosimiglianze. Ritengo
però che dovremmo cercare anche di avere un quadro della
situazione e che il ministro dovrebbe aiutarci a dare
un'interpretazione del perché siano accaduti determinati fatti
nell'ultimo anno, almeno a partire dall'omicidio di Salvo
Lima, passando per quello di Salvo; aggiungerei nel quadro
anche le accuse nei confronti di Andreotti e il modo in cui
all'improvviso determinati pentiti sono usciti allo scoperto,
nonché l'arresto di Totò Riina, avvenuto in circostanze di
assoluta tranquillità, così come in grande tranquillità è
avvenuto quello di Nitto Santapaola. Il ministro dovrebbe
aiutarci a comprendere perché si siano verificati questi
episodi, intercalati poi dai due fatti di aggressione mafiosa
contro le istituzioni dello Stato, cioè le stragi di Capaci e
di via D'Amelio.
   Un'interpretazione di questi fatti è necessaria ed io ne
tento una, non perché ritengo che sia quella giusta ma perché,
se nessuno tenta delle interpretazioni, la realtà finisce per
ridursi alle cose, delle quali prendiamo atto ponendoci di
fronte ad esse senza cercare di influire sul loro percorso. La
mia interpretazione è che sia entrato in crisi un sistema
politico, un sistema partitocratico, quello dell'erogazione
dei fondi pubblici a chi era capace di prenderli senza
destinazione e senza controllo di alcun tipo, né politico né
giudiziario. E' entrato quindi in crisi un capitolo del
bilancio mafioso che era sicuramente molto forte; la crisi di
questo capitolo fa saltare le alleanze che si erano costituite
intorno a questa fonte di ingresso. Salta così un rapporto tra
mafia e politica che era decennale, ventennale, che via via si
era allargato e al suo interno aveva fatto modificare il gioco
delle alleanze e dei controlli reciproci: se infatti è vero
che vi era un controllo della mafia sui poteri politici,
probabilmente vi era anche un controllo dei poteri politici
sulla mafia, per cui quest'ultima non poteva permettersi certe
cose se non voleva correre il rischio di perdere quel tipo di
rapporti che facevano capo alle istituzioni e ai legislatori,
a Roma o in Sicilia e così via.
                        Pag. 2014
   Se quest'ipotesi ha qualche attendibilità e se quindi la
caduta di una parte della mafia è anche effetto della caduta
di una parte del sistema politico e Tangentopoli riguarda
anche la mafia, le cose, a mio avviso, si possono spiegare
meglio: si può comprendere, per esempio, perché vengano
liquidati i referenti politici preesistenti, perché anche una
generazione mafiosa che su quei rapporti aveva costruito il
suo potere e il suo predominio in realtà venga messa da parte,
non soltanto grazie all'attività delle forze dell'ordine o al
fatto che sono cadute le barriere protettive di cui parlava il
collega Brutti ma anche perché all'interno della mafia vi è
forse una nuova generazione, una nuova cultura, un nuovo
management che ha preso il posto di quello precedente.
   Ritengo che tali riflessioni vadano fatte, anche per
comprendere se di qui in avanti la mafia con cui avremo a che
fare sarà magari meno inquinante con riferimento alla
prospettiva politica ma eventualmente più inquinante sotto
l'aspetto criminale e della criminalità economica, perché
certamente l'altra fonte di profitto mafioso, rappresentata
dal narcotraffico, non è stata minimamente toccata dalla
guerra alla droga che abbiamo proclamato con la legge
Jervolino-Vassalli e con altre attività.
   Vorrei acquisire l'opinione del ministro su tale aspetto e
sapere quale importanza il ministro dell'interno dello Stato
italiano attribuisca al ramo droga. Infatti, a quanto si può
orecchiare, in Italia si pensa che questa fonte di introiti
non sia poi tanto importante, mentre invece tutti i paesi del
mondo, pur non avendo - beati loro! - una mafia con le
caratteristiche di quella nostra, contrastano durissimamente
il narcotraffico. La guerra alla droga nel mondo è stata
proclamata ufficialmente dai presidenti della potenza più
forte del mondo e molti Stati quotidianamente vedono messi a
morte in questa guerra giudici, uomini delle forze
dell'ordine, politici e cittadini. Da noi, invece,
quest'aspetto è assolutamente sottovalutato. Si dice che noi
abbiamo la nostra mafia e che il narcotraffico - lo affermano
anche i sociologi consulenti della Commissione - non riveste
poi così tanto interesse per la mafia nostrana che lo ha
delegato ad altri e che si occupa di diversi traffici. Io non
ci credo assolutamente!
  ALFREDO GALASSO. Se leggi gli atti del maxiprocesso, ti
accorgi che non è così.
  MARCO TARADASH. Io so che non è così. Dico soltanto che
l'interpretazione degli "strateghi" della lotta alla
criminalità parte dal presupposto che il fattore droga non sia
così importante e che quindi non bisogna dare eccessivo peso
al problema delle modalità di contrasto politico di tale
fattore.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Vorrei
rassicurarla dicendole che il 27 e il 28 maggio prossimi si
terrà a Roma una conferenza dei ministri dell'interno, non
solo dell'Europa occidentale ma di molti altri paesi del
centro e dell'est europeo, che avrà ad oggetto il problema
delle rotte della droga. Come sapete, prima la rotta era
quella balcanica mentre oggi si deve parlare di rotte europee.
   Lo scopo è quello di vedere come contrastare ed abbattere
il fenomeno del traffico degli stupefacenti. Probabilmente, le
valutazioni si differenzieranno sui mezzi ma le posso
assicurare che questa sensibilità esiste.
  MARCO TARADASH. Sono contento di quello che lei dice
perché mi sembra che, a livello politico, questa sensibilità
non vi sia. Quando i ministri dell'interno fanno politica
internazionale tale sensibilità si manifesta sempre. I nostri
governi hanno partecipato a tutti gli incontri internazionali
anche perché chiamati dai doveri derivanti dalla nostra
partecipazione alle organizzazioni sovranazionali.
   Quando, però, si tratta di confrontarsi in Italia con il
fenomeno del narcotraffico, la sottovalutazione è enorme e
così,
                        Pag. 2015
nella politica contro il crimine, le parole "droga" e
"traffico di droga" finiscono quasi per non avere diritto di
accesso.
   Sicuramente esiste una diversità di valutazioni sui mezzi
con cui intendiamo contrastare il fenomeno. L'altro giorno
alla festa della polizia lei si è arrabbiato - e non so perché
- ed ha sostenuto che dobbiamo rivedere la legge
Jervolino-Vassalli dopo il referendum perché non è più
possibile mandare in galera presunti spacciatori sorpresi con
pochi grammi o milligrammi di sostanza...
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. L'aggettivo
"pochi" lo aggiunge lei. Questo è il problema.
  MARCO TARADASH. Lo aggiungo io semplicemente perché
leggo cose che lei evidentemente non legge. La camera penale
di Torino ha condotto un'inchiesta su tutti i processi ivi
celebrati nel corso di sei mesi: il 45 per cento di tutti i
processi nel tribunale erano per droga ed il 43 per cento di
essi riguardava la detenzione fino a due grammi di eroina. Se
lei legge l'ultimo rapporto del ministro degli affari sociali,
troverà che il 65 per cento di tutti gli arresti per droga -
che, come lei sa, rappresentano una percentuale enorme sui 52
mila detenuti di cui ha parlato poc'anzi - avvengono per
detenzione di meno di 5 grammi di eroina.
   La realtà, signor ministro, è che il combinato disposto
fra l'obbligatorietà dell'azione penale - e quindi
l'impossibilità di adottare una strategia criminale che passi
attraverso l'opera della magistratura - e il fatto che gli
arresti in quantità danno soddisfazione, anche pubblicitaria,
alle forze dell'ordine ed ai magistrati, fa sì che vengano
portate in carcere migliaia e migliaia di persone che o non
sono spacciatori o che, se lo sono, rappresentano un elemento
del tutto marginale nell'ambito del fenomeno del
narcotraffico. E questo, anche se non la impedisce,
sicuramente ostacola una più efficace aggressione del fenomeno
stesso.
   Vi inviterei perciò a riflettere sul fatto che non è vero
che la modifica introdotta con il referendum riguardante la
legge Jervolino-Vassalli rende più difficile il contrasto del
narcotraffico, tant'è che negli anni della sua vigenza - come
d'altronde negli anni precedenti - il fenomeno si è
ingigantito, gli arresti sono saliti alle stelle, senza che
ciò incidesse minimamente sul fenomeno stesso.
   Il nostro paese vede operare al suo interno organizzazioni
mafiose votate non soltanto all'arricchimento ma anche al
controllo del territorio e della vita politica ed economica di
alcune regioni o dell'intero paese e registra una larghissima
commercializzazione della droga: nonostante ciò, ci rimettiamo
a decisioni strategiche assunte da decenni, che hanno dato e
continuano a dare in tutti i paesi del mondo - anche in quelli
che solo di recente sono stati invasi dalla droga - lo stesso
risultato, vale a dire un fallimento assoluto.
   Dico questo perché, ministro Mancino, o cominciamo a
discutere sul modo in cui sottrarre il mercato della droga
alle organizzazioni criminali oppure - se è vero che si è
spezzato un certo rapporto tra mafia e politica e che ci si
pone il problema del narcotraffico - ci avvieremo verso una
situazione di tipo colombiano. E ciò significa che dalla
ideologia mafiosa, legata ad un certo mondo, si passerà alla
"videologia", cioè al fenomeno che per la prima volta si è
manifestato nei giorni scorsi. Si è tentato, infatti, di
colpire un simbolo che non è direttamente collegato agli
interessi mafiosi, il che, dal punto di vista televisivo e
della comunicazione, sta a dire: "Guardate che noi la guerra
la portiamo dallo Stato alla società; lo Stato non ci
interessa più, facciamo la guerra alla società". Il messaggio
diretto allo Stato è questo: "Riducete la pressione nei nostri
confronti, altrimenti quello che avrete sarà una sempre
maggiore diffusione del terrore all'interno della società
italiana".
   Vogliamo accettare che si verifichino quei fatti che hanno
portato a certe situazioni in Colombia, in Bolivia ed in altri
paesi - dove peraltro il controllo da parte delle
organizzazioni mafiose del
                        Pag. 2016
traffico della droga è assimilabile a quello esercitato nella
società italiana - oppure vogliamo cercare strategie
alternative? Lei probabilmente darà a questa domanda una
risposta diversa dalla mia ma ciò non toglie che bisogna
cercare di inquadrare i problemi e di porsi di fronte ai
rischi che fa correre l'incamminarsi su una determinata
strada. Ritengo che per un esponente politico ciò sia
doveroso.
  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al collega Cabras,
che svolgerà l'ultimo intervento di questo pomeriggio,
desidero ricordare che il ministro deve allontanarsi per cui,
se i colleghi sono d'accordo, potremmo rinviare il seguito
della discussione - anche con le caratteristiche suggerite da
qualcuno - a venerdì 4 giugno, alle ore 9,30.
  MAURIZIO CALVI. E' la settimana di chiusura del
Parlamento.
  ALBERTO ROBOL. Ci sono le elezioni.
  ALTERO MATTEOLI. C'è la campagna elettorale.
  PRESIDENTE. Ma i comizi non si fanno il pomeriggio o
alla sera? Io ricordo così.
  ALTERO MATTEOLI. Bisogna arrivarci, però. Se la
facessimo in piazza San Silvestro...
  MAURIZIO CALVI. Sarebbe opportuno rivedersi dopo il 6
giugno.
  ANTONINO BUTTITTA. Poi bisognerà leccarsi le ferite,
Matteoli.
  MARCO TARADASH. Matteoli non dovrà leccarsi le ferite.
  PRESIDENTE. In questo caso una data utile può essere
quella dell'8 giugno, con seduta dalle ore 15,30, perché in
genere il martedì mattina si tiene Consiglio dei ministri.
  ANTONINO BUTTITTA. Noi non siamo ministri.
  PRESIDENTE. Ma lui sì.
  NICOLA MANCINO, Ministro dell'interno. Per me non
vi sono problemi.
  PAOLO CABRAS. Intervengo per esprimere il mio
apprezzamento sui contenuti della relazione svolta dal
ministro, in particolare per il quadro che egli ha fornito che
fa anche giustizia di tante illazioni ed interpretazioni che,
in eventi quali quello di via Ruggero Fauro, si accumulano
nelle dichiarazioni di alcuni, caratterizzate da protagonismi
ingiustificati nel tentativo di dare una spiegazione più
originale di un'altra.
   Senza esprimere alcuna certezza, penso sia verosimile
l'ipotesi della matrice mafiosa di quel tentativo di strage;
perché di questo si è trattato, pur senza conseguenze per le
persone. Questo aspetto ci conforta ma non toglie che le
modalità dell'attentato sono state tali da ricordarci altre
stragi e molti lutti che per fortuna in questo caso non
dobbiamo lamentare.
   Del resto, la coincidenza della data con l'anniversario
della strage di Capaci, la concomitanza con vicende note ai
mafiosi quali la festa della polizia e la vigilia della
chiusura del Forum tenuto dalla Commissione parlamentare
antimafia su "Economia e criminalità", chiuso dal Capo dello
Stato, rappresentano simbologie che suggestionano anche i
mafiosi. Tutto ciò rende, quindi, verosimile il quadro che il
ministro ha disegnato poc'anzi.
   Reputo anche verosimile l'ipotesi secondo cui si sia
voluto colpire Maurizio Costanzo considerato come simbolo.
Credo, però, che l'obiettivo non fosse soltanto questo, perché
non mi pare che l'intervento fosse specificamente mirato.
Penso all'effetto di intimidazione ed anche ad un segnale
"all'armata mafiosa dispersa" che, nell'ambito di una
concezione militarista e nel momento in cui vede i suoi capi
subire processi e delegittimazioni
                        Pag. 2017
 da parte dei pentiti in pubblici processi trasmessi alla
televisione, ha bisogno di mostrare la propria forza. La mafia
è molto sensibile a questo, ed anche dal carcere si possono
inviare segnali in questa direzione.
   A mio avviso, è apprezzabile che si sia fatta giustizia
del vezzo di dipingere eventi di questo tipo come un qualcosa
che va oltre la mafia, per sostenere che si è trattato come
sempre di stragi o di delitti di Stato. Credo che questa
interpretazione - che rappresenta anche la ricerca di altre
compatibilità e responsabilità - vada accantonata, a meno che
non esistano prove, indizi, piste che forniscono precise
indicazioni.
   Ritengo, inoltre, che il momento non debba avviare una
corsa al trionfalismo. Bisogna, però, essere consapevoli che
la risposta complessiva data dalle leggi, dal comportamento
del Parlamento e dall'attività del Governo consente di
conseguire successi a scadenza ravvicinata. Personalmente,
considero un successo il fatto che Santapaola sia stato
catturato nel proprio letto e non in un conflitto a fuoco
scatenatosi occasionalmente tra una pattuglia in
perlustrazione ed una banda di criminali.
   Le modalità della cattura di Santapaola indicano una sola
cosa: che le tecniche di appostamento e di pedinamento,
l'inseguimento per la penisola - sulla base di quanto ci è
dato sapere, Santapaola si è mosso molto in quest'ultimo
periodo, anche all'estero - sono stati davvero efficaci.
  ALFREDO GALASSO. Chi cerca trova.
  PAOLO CABRAS. La ricerca, però, va condotta con
intelligenza, con mezzi e capacità. Non penso, perciò, che
bisogna strologare sul fatto che sia stato trovato a letto:
piuttosto bisogna compiacersene.
   Considero importante la disponibilità del ministro a
discutere sulla trasformazione della mafia. La prossima
settimana avvieremo un'indagine sulla camorra: parlare della
mafia, della sua trasformazione e della sua evoluzione è
sicuramente necessario ma lo è altrettanto occuparsi del nuovo
allarme rappresentato dalla camorra - che per molti versi
presenta aspetti simili a quelli della criminalità mafiosa -
che riveste caratteristiche estremamente inquietanti,
principalmente sotto il profilo della sua pervasività nel
tessuto economico, istituzionale e locale. Credo che bisognerà
discutere anche di questa trasformazione, che vede sempre la
conferma delle radici: l'importanza del territorio, delle
commistioni e delle collusioni a livello locale, e questa
grande capacità di prolungamento e di proiezione della mafia e
della camorra, che poi indica la necessità di battere sempre
su un obiettivo. Su di esso anche il ministro ha avuto modo di
intrattenersi recentemente e ad esso abbiamo dedicato il
nostro Forum sull'economia mafiosa, tanto camorristica e
criminale. Questa, a mio avviso, rappresenta il vero obiettivo
e spiega i prolungamenti, nonché le nuove interrelazioni della
mafia, i suoi nuovi rapporti politici, economici e sociali.
   Devo esprimere anche la mia soddisfazione: non ritengo che
quando un ministro denuncia - come ha fatto - tentativi di
depistaggio e colloca la sua ricerca in ambiti ufficiali, o
ufficiosi, si debba pensare a messaggi trasversali. E' sintomo
della cattiva esperienza che abbiamo per il passato il dover
considerare una dichiarazione onesta e trasparente come un
messaggio trasversale: io la considero un contributo alla
chiarezza. Se ne avessimo avuti in passato, tante P2, tanti
servizi segreti deviati, tanti depistaggi non vi sarebbero
stati: probabilmente, saremmo stati allertati e vigili, ed
avremmo potuto risalire a vicende che rappresentano ancora,
purtroppo, la costellazione dei misteri d'Italia.
   A proposito di depistaggi, non dobbiamo trascurare anche
quelli che hanno segnalato le vicende mafiose: non
dimentichiamo che nell'estate scorsa, a proposito della
procura di Palermo e dintorni, vi è stato un messaggio che
tutti abbiamo considerato - non a livello ufficiale, ma lo
                        Pag. 2018
ricordo a livello di dibattito parlamentare - un messaggio di
apparati dello Stato che utilizzavano notizie vere
mischiandole a molte notizie false e a molti depistaggi, per
raccontare alcune vicende e soprattutto per distrarre
l'attenzione. Apprezzo molto quindi la volontà che il ministro
ha manifestato, perché abbiamo grande bisogno di chiarezza, di
trasparenza, di accertamento di certi giochi: è anche questo
un contributo che possiamo dare ad un'azione di contrasto alla
mafia che spazzi via tutto quello che approfitta della mafia e
la utilizza per altri giochi e per altre stanze.
  PRESIDENTE. Ricordo che sono ancora iscritti a parlare i
colleghi Boso, Buttitta, D'Amelio e Imposimato.
   Ringrazio il ministro per il suo intervento in questa
sede; con lui proseguiremo il nostro confronto martedì 8
giugno, alle ore 15,30.
(Il ministro Mancino esce dall'aula).
  Ricordo ai colleghi che domani alle ore 9,30 si riunirà
l'ufficio di presidenza della Commissione allargato ai
rappresentati dei gruppi ed ai colleghi eletti in Campania per
definire il programma della visita della nostra delegazione in
Campania.
Proclamazione del risultato della votazione per l'elezione
                  di un vicepresidente.
  PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.
   A norma del regolamento, procederò, coadiuvato
dall'onorevole Taradash in qualità di segretario facente
funzioni, allo spoglio delle schede.
(Segue lo spoglio delle schede).
  Comunico il risultato della votazione per l'elezione di
un vicepresidente:
   Presenti e votanti: 25.
   Hanno ottenuto voti: Calvi 10; Ferrara Salute 3.
   Schede bianche: 8
   Voti dispersi: 4
  Proclamo eletto vicepresidente della Commissione il
senatore Maurizio Calvi, al quale formulo i migliori auguri
(Applausi).
La seduta termina alle 18,50.
&00080493DOC11-4-258
                          Pag.1
    DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE IN GIUDIZIO
                nei confronti del deputato
                     CIRINO POMICINO
per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice
penale - nel reato di cui all'articolo 416-bis,
primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, dello
stesso codice (associazione di tipo mafioso,
                     pluriaggravata)
       TRASMESSA DAL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA
                         (CONSO)
                     l'8 aprile 1993
All'onorevole Presidente
della Camera dei Deputati
                           Roma
                                        Roma, 7 aprile 1993.
OGGETTO: Richiesta di autorizzazione a procedere a norma
dell'articolo 68 della Costituzione nei confronti
dell'onorevole Cirino Pomicino Paolo formulata dal Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (procedimento
n. 13910/R/1992 D.D.A).
  Per il tramite del procuratore generale presso la Corte di
appello, il procuratore della Repubblica legittimato alle
indagini mi ha inviato l'allegata richiesta di autorizzazione
a procedere nei confronti del parlamentare sopra indicato.
  Per le iniziative di competenza, trasmetto pertanto la
predetta richiesta con il fascicolo contenente gli atti del
relativo procedimento.
                       Il Ministro
                          Conso
                          Pag.2
All'onorevole Presidente
della Camera dei Deputati
                           Roma
                                      Napoli, 6 aprile 1993.
OGGETTO: Richiesta di autorizzazione a procedere nei
confronti di:
CIRINO POMICINO Paolo, nato in Napoli il 3 settembre 1939,
deputato;
MEO Vincenzo, nato in Nola (Napoli) il 5 agosto 1937,
senatore della Repubblica;
GAVA Antonio, nato in Castellammare di Stabia (Napoli) il 30
luglio 1930, senatore della Repubblica;
VITO Alfredo, nato in Napoli il 16 aprile 1946, deputato;
MASTRANTUONO Raffaele nato a Napoli il 2 luglio 1943,
deputato.
                          INDICE
                                                        Pag.
                        CAPITOLO I
     Premessa ............................................ 2
                       CAPITOLO II
Le indagini contro l'organizzazione criminosa
     di Carmine Alfieri .................................. 4
                       CAPITOLO III
     L'oggetto della presente indagine ...................16
                       CAPITOLO IV
     La posizione del senatore Antonio Gava ..............23
                        CAPITOLO V
     La posizione del senatore Vincenzo Meo ..............38
                       CAPITOLO VI
     La posizione dell'onorevole Antonio Vito ............42
                       CAPITOLO VII
     La posizione dell'onorevole Raffaele Mastrantuono ...45
                      CAPITOLO VIII
     La posizione dell'onorevole Paolo Cirino Pomicino ...47
                       CAPITOLO IX
     Richieste ...........................................64
  Il pubblico ministero, letti gli atti del procedimento
penale numero 13910/R/1992 D.D.A. osserva:
                        Capitolo I
                         PREMESSA
A)    Gli elementi costitutivi del reato di associazione di
tipo mafioso.
  I reati associativi sorgono storicamente per la esigenza
di anticipare la risposta penale contro la criminalità
organizzata.
  Essi costituiscono una deroga al principio sancito
dall'articolo 115 del codice penale cui non è punibile la
condotta di chi si accorda per commettere un reato e questo
non sia commesso.
  La ragione fondamentale per cui il legislatore ha
configurato come autonomo titolo di reato il delitto di
associazione per delinquere (articolo 416 del codice penale),
consiste nel pericolo per l'ordine pubblico determinato dalla
permanenza del vincolo associativo tra più persone legate da
un comune fine criminoso. Ciò spiega, altresì, perché sia
irrilevante la eventuale mancata consumazione dei delitti
programmati per la sussistenza del delitto associativo.
  Il reato di cui all'articolo 416-bis    del codice
penale - introdotto nel nostro ordinamento nel 1982 dalla
legge Rognoni-La Torre - costituisce, sul piano sistematico,
un ulteriore arretramento della soglia di punibilità per i
reati associativi.
  In sostanza la associazione tra più persone,
indipendentemente dalla commissione di altri reati, diviene
penalmente rilevante a causa dei fini perseguiti e dei mezzi
usati per la loro realizzazione.
  Le novità di maggior rilievo della figura delittuosa
dell'articolo 416-bis    del codice penale, che la
distinguono dall'articolo 416 codice penale, sono
essenzialmente due: l'eterogeneità degli scopi che la
associazione mira a realizzare ed il ricorso alla forza di
intimidazione per il conseguimento dei propri fini.
  Il requisito della "forza di intimidazione del vincolo
associativo" non deve necessariamente essere utilizzato dai
singoli associati, né deve necessariamente estrinsecarsi, di
volta in volta, in atti di
                          Pag.3
violenza fisica o morale perché ciò che caratterizza, sul
piano descrittivo e su quello ontologico l'associazione di
tipo mafioso è la condizione di assoggettamento (che implica
uno stato di soggezione derivante dalla convinzione di essere
esposti ad un concreto ed ineludibile pericolo di fronte alla
forza dell'associazione) e di omertà (che consiste in una
forma di solidarietà che ostacola o rende più difficoltosa
l'opera di prevenzione e di repressione (in tali termini
Cassazione, sezione I, sentenza n. 6203 del 6 giugno 1991).
  L'associazione viene qualificata di tipo mafioso quando
coloro che ne fanno parte, mediante il ricorso alla forza di
intimidazione, perseguono il fine di commettere ovvero quello
di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o
comunque il controllo di attività economiche, di concessione,
di autorizzazione, appalti e servizi pubblici ovvero il fine
di realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.
  Anche la realizzazione di uno solo degli scopi indicati
(che di per sé possono non rivestire la natura di illeciti) è
idoneo ad integrare il delitto in esame.
  Deve essere notato che l'articolo 11-bis    del
decreto-legge n. 306 del 1992, convertito con la legge 7
agosto 1992, n. 356, entrato in vigore dall'8 agosto 1992, ha
aggiunto alle finalità del reato in esame quella di impedire
od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti
a sé o ad altri in occasione di consultazione elettorali.
  In fase interpretativa ed applicativa dovrà essere chiarito
se la disposizione in esame costituisca una mera
esplicitazione delle finalità tipiche della associazione di
tipo mafioso (con il recepimento in sede legislativa di un
orientamento già formulato dalla giurisprudenza in sede
interpretativa - vedi postea   ) ovvero una nuova ipotesi
di reato assoggettata alla disciplina della successione delle
leggi penali nel tempo di cui all'articolo 2 del codice
penale.
  La prima tesi potrebbe essere avvalorata dalla autonoma e
contemporanea introduzione della nuova ipotesi di reato di cui
all'articolo 416-ter    del codice penale: scambio
elettorale - politico - mafioso (vedi articolo 11-   ter
della legge n. 356 del 1992).
B)    La condotta di partecipazione ad associazione di tipo
mafioso.
  La partecipazione ad una associazione di tipo mafioso -
autonomamente sanzionata dal primo comma dell'articolo
416bis    del codice penale - può assumere forme e
contenuti diversi e variabili e consiste nel contributo
causale all'esistenza o al rafforzamento dell'associazione e
quindi nella realizzazione degli scopi alternativamente
previsti dalla norma penale, qualunque sia il ruolo o il
compito che il partecipe svolga nell'ambito della
associazione.
  La giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, in
questi anni, ha chiarito che la fattispecie della
partecipazione è a forma libera e che la mancata
"legalizzazione" - cioè l'atto formale di inserimento
nell'ambito della organizzazione criminosa - non esclude che
il partecipe sia di fatto in essa inserito e contribuisca con
il suo comportamento alla realizzazione dei fini della
associazione (vedi Cassazione Sezione I, sentenza n. 13070 del
22 dicembre 1987).
  Può inoltre essere ipotizzato il delitto di associazione
mafiosa, sulla base delle regole che disciplinano il concorso
di persone, anche nel caso della cosiddetta "partecipazione
esterna". Ed infatti la Cassazione ha chiarito che deve essere
ravvisato il concorso nel reato quando l'agente, estraneo alla
struttura organica della associazione, si sia limitato alla
occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo
comportamento, non privo di idoneità causale per il
conseguimento di uno degli scopi del sodalizio (vedi
Cassazione Sezione I, sentenza n. 8242 del 15 settembre 1988).
  Da ultimo deve essere esaminata la ipotesi della
partecipazione che si realizza nella condotta del candidato
alle elezioni che, in cambio di voti di una organizzazione di
stampo mafioso, si impegni ad agevolarla nella realizzazione
dei suoi fini.
                          Pag.4
  La Suprema Corte ha recentemente esaminato la questione,
prima della modifica apportata dalla legge n. 356 dell'agosto
1992, stabilendo che: "Il fatto di chi promette voti contro
l'impegno del candidato che, una volta eletto, concluderà il
sinallagma attraverso la elargizione di favoritismi, è
sanzionato dall'articolo 86 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 570 del 1960, che prevede appunto come reato il
fatto della promessa di qualsiasi utilità per ottenere il voto
e l'utilizzazione di quest'ultimo come oggetto di scambio.
  Peraltro se un simile patto viene stipulato da un candidato
con un'organizzazione di stampo mafioso, e la
controprestazione del beneficiario del consenso elettorale è
la promessa di agevolare chi gli assicura la elezione nella
realizzazione dei fini elencati nella norma di cui
all'articolo 416-bis    del codice penale, il fatto è
suscettibile di integrare gli estremi di una partecipazione
alla associazione criminale, tanto più se l'accordo risulta di
tale portata ed intensità da far apparire il candidato
stipulante come autentica espressione del sodalizio criminale"
(in tali sensi Cassazione Sezione I, sentenza n. 2699 del 17
giugno 1992).
C) Thema probandum.
  Conseguentemente, sulla scorta della legislazione
vigente e della giurisprudenza più garantista della Suprema
Corte, si deve ritenere che l'onere probatorio dell'accusa in
un procedimento penale relativo al reato di partecipazione ad
associazione di tipo mafioso, previsto dal primo comma
dell'articolo 416-bis    del codice penale, è costituito
dalla dimostrazione:
  1) della esistenza di una "societas scelerum   ";
  2) della natura di tipo mafioso della associazione nel
senso che alcuni componenti della stessa si avvalgono della
forza di intimidazione del vincolo associativo e della
condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva;
  3) della finalizzazione della stessa alla realizzazione
indifferentemente di uno dei seguenti scopi:
  3a - la commissione di delitti;
  3b - la acquisizione della gestione o del controllo di
attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni,
appalti e servizi pubblici;
  3c - la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per
sé o per altri;
  3d - l'impedire od ostacolare il libero esercizio del voto
o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di
consultazioni elettorali;
  4) della partecipazione, anche esterna alla associazione,
che si concreti - in qualsiasi forma - in un contributo
causale alla realizzazione di uno degli scopi; una delle
modalità può consistere nell'impegno di agevolare la
realizzazione di uno degli scopi tipici in cambio della
promessa di voti.
                       Capitolo II
                    LE INDAGINI CONTRO
                L'ORGANIZZAZIONE CRIMINOSA
                    DI CARMINE ALFIERI
  1)    L'esistenza di una struttura organizzativa
criminale di tipo mafioso, egemone nel nolano e con
diramazioni e collegamenti in quasi tutta la Campania,
gerarchicamente strutturata alle dipendenze di Carmine ALFIERI
e dedita ad ogni sorta di attività delittuose, ha formato
oggetto di numerose indagini e di procedimenti penali.
  Questi ultimi risalgono alla metà degli anni '70 e si
intrecciano con la storia e la crescita criminale di Carmine
ALFIERI.
  Tale vicenda, che qui è opportuno tratteggiare per
inquadrare correttamente i fatti delittuosi e gli obiettivi
della presente indagine, inizia nel 1976, allorché l'ALFIERI
venne imputato quale mandante dell'omicidio in danno di tale
Giuseppe GLORIOSO da San Giuseppe Vesuviano.
                          Pag.5
  Per tale fatto delittuoso l'ALFIERI venne assolto, per
insufficienza di prove, dalla Corte di assise di Napoli. Alla
lettura del dispositivo della sentenza si registrò un episodio
che può ritenersi preludio della rapida ascesa dell'ALFIERI
nella gerarchia criminale campana: l'annuncio dell'assoluzione
fu accompagnato da un fragoroso applauso da parte del pubblico
presente.
  Nel corso delle indagini sull'omicidio del GLORIOSO, i
Carabinieri della compagnia di Torre Annunziata eseguirono il
6 marzo 1976 una perquisizione domiciliare nell'abitazione di
Carmine ALFIERI, rinvenendo, tra l'altro, un biglietto con
annotata la dicitura: "Patriarca on. casa 8711716 - uff.
8714146 - Roma uff. 06/6794568 - 689251 - 689428 - lettere
8794961".
  La crescita criminale dell'ALFIERI inizia negli anni '80,
in coincidenza con l'omicidio del fratello Salvatore,
consumato in Pompei 26 dicembre 1981. A tale data si fa
risalire anche lo sviluppo della sua attività imprenditoriale
quale commerciante all'ingrosso di carne macellata, attraverso
la gestione della società SIM CARNI dei fratelli SIMEOLI di
San Sebastiano al Vesuvio, della società Vesuviana Carni e
della Ital Carni di Arzano.
  Il 26 agosto 1984 venne perpetrata la strage di Torre
Annunziata nel corso della quale furono uccise otto persone e
ferite altre sette tra affiliati e fiancheggiatori del clan
capeggiato da Valentino Gionta.
  E' l'episodio criminale più efferato mai registrato nelle
regioni di Italia aggredite dal fenomeno mafioso.
  Nel processo di primo grado davanti alla I sezione della
Corte d'assise di Napoli, Carmine ALFIERI, Gennaro BRASIELLO e
Ferdinando CESARANO vennero dichiarati responsabili della
strage, nonché di associazione di tipo mafioso (le due
imputazioni erano strettamente connesse) e vennero condannati
alla pena dell'ergastolo.
  Il giudizio di appello, conclusosi il 29 gennaio 1990,
davanti alla Corte di assise di appello di Napoli, capovolse
completamente l'impostazione della sentenza di primo grado:
gli imputati ALFIERI, BRASIELLO e CESARANO vennero assolti con
formula piena da entrambi i reati loro ascritti.
  Dalla sentenza di appello, passata in giudicato il 2
febbraio 1990, è utile estrapolare le parti che riguardano
l'accertamento degli schieramenti criminali esistenti
all'epoca della strage. Tali schieramenti erano formati dai
clan Gionta e Nuvoletta, a cui avevano aderito anche i
D'Alessandro e Vangone, da una parte, e dai clan Bardellino,
Alfieri e Fabbrocino, ai quali si erano aggregati anche i
Muollo ed il Cesarano, dall'altra.
  Questa suddivisione riproduceva, in maniera speculare,
quella che si era creata in Sicilia tra le famiglie mafiose
vincenti dei Greco e dei Leggio, alle quali erano legati
Nuvoletta e Zaza, e le famiglie perdenti dei Badalamenti e
Buscetta, alle quali era rimasto fedele Antonio Bardellino.
  Nel corso dell'istruttoria per la strage era stato escusso
il pentito Salvatore Federico, già affiliato alla N.C.O. e
passato poi nel 1981 alla contrapposta organizzazione allora
denominata N.F.: il teste riferì che Carmine Alfieri era il
capo assoluto della N.F. nell'area vesuviana e Mario
Fabbrocino era il suo braccio armato.
  Appare a questo punto necessario riportare il passo della
motivazione della sentenza assolutoria di appello sulla strage
in cui si afferma che: "del resto la difesa, riportandosi alle
suddette sentenze assolutorie, ha prospettato con argomenti
concreti e talora sconcertanti come la fama dell'Alfieri
dipenda in gran parte da una immagine distorta della realtà,
insinuatasi nell'opinione pubblica e recepita anche nei
rapporti di polizia giudiziaria, attraverso l'attribuzione di
fatti riguardanti i suoi omonimi, il sovrapporsi di notizie
vere e di notizie false con inevitabili ingigantimenti e
travisamenti, le delazioni di "confidenti" e "pentiti", le
supposizioni, le congetture ecc; egli è stato confuso con i
fratelli Michele e Vincenzo Alfieri, abitanti come lui a
Piazzola di Nola ed implicati in gravi reati; gli sono
                          Pag.6
state attribuite condanne che non figurano nel suo
certificato penale, sono stati indicati come suoi fratelli
Biagio Alfieri, ucciso a Barra nel 1981 e Felice Vincenzo
Alfieri, ucciso dalla N.C.O. nel 1978 (con conseguente pretesa
di sua adesione alla N.F.) laddove trattavasi di persona
completamente estranea alla sua famiglia. In realtà i suoi
modesti precedenti penali, mai attinenti a reati tipici di
associazione per delinquere (estorsioni, sequestri di persona,
contrabbando, traffico di stupefacenti), la limitatezza del
suo patrimonio come accertato in numerosi rapporti della
Guardia di finanza, la sua attività del tutto lecita di
intermediazione di compravendita di terreni e di finanziamento
o partecipazione all'attività imprenditoriale di terzi, con la
conseguente apparenza di notevoli movimenti finanziari nei
suoi conti correnti che non corrispondevano ad effettiva
ricchezza, come riconosciuto nelle predette sentenze
assolutorie, tutto ciò sembra avvalorare l'esclusione di una
sua appartenenza ad un clan camorristico, in conformità del
dato processualmente acquisito ad onta delle mere convinzioni,
congetture, sospetti che gravano sul personaggio".
  A questo punto vanno evidenziati dati su cui si fonda il
giudizio assolutorio, perché quel clamoroso verdetto dovrà
essere tenuto presente, quando più avanti si esamineranno le
denunciate collusioni tra il clan Alfieri ed esponenti delle
istituzioni.
  Va in primo luogo rilevato come la Corte di assise di
appello mostri di ignorare la parentela, in quanto fratelli,
tra Carmine Alfieri e Salvatore Alfieri, ucciso, come si è
detto, in un'agguato di camorra il 26 dicembre 1981. Tale
omicidio costituiva un indubbio elemento per ritenere il
coinvolgimento della famiglia Alfieri nella lotta per il
controllo del territorio e per quella conseguente adesione di
Carmine Alfieri alla N.F. in contrapposizione violenta con la
N.C.O. di Raffaele Cutolo.
  Quanto ai precedenti penali dell'Alfieri, essi non
apparivano affatto modesti, atteso che fra di essi
risaltavano: estorsione aggravata in concorso (con condanna ad
otto mesi di reclusione), detenzione abusiva di armi (con
condanna a sei mesi di arresto), oltre alla assoluzione per
insufficienza di prove in relazione all'omicidio Glorioso.
  Peraltro, già fin dal 1^ luglio 1985, e quindi ben prima
della sentenza di appello per la strage, il Tribunale di
Napoli - sezione per l'applicazione delle misure di
prevenzione aveva sottoposto Carmine Alfieri alla sorveglianza
speciale della pubblica sicurezza, desumendo la sua
pericolosità dai già citati precedenti penali.
  Nell'arco di tempo tra il 1984 ed il 1989, come risultava
ampiamente da numerosi rapporti di polizia giudiziaria
(richiamati nella allegata informativa del Nucleo operativo -
Gruppo carabinieri di Napoli II datata 14 aprile 1992 - doc.
n. 1 - l'organizzazione criminosa capeggiata da Carmine
Alfieri aveva esteso la propria aria di influenza, rispetto
alla zona di tradizionale operatività, cioè quella di Nola,
verso Pomigliano d'Arco (ove era entrata in conflitto con il
clan capeggiato da Antonio Egizio, conflitto cui sono
riconducibili gli omicidi dei fratelli Sebastiano e Mario
Felice Russo e la scomparsa di Luigi Russo, fratello dei primi
due, tutti esponenti di rilievo del clan Alfieri), verso
l'agro nocerino-sarnese tra Scafati, Angri e San Antonio Abate
(nei cui territori l'Alfieri aveva combattuto contro il clan
Rosanova-Abbagnale una guerra che aveva causato la morte dei
fratelli Rosanova e dei fratelli Abbagnale, e dove lo stesso
Alfieri aveva stretto alleanze con il clan Galasso-Loreto),
verso la fascia costiera tra Torre Annunziata e Castellammare
di Stabia (ove aveva stretto alleanze con i Muollo e i
Cesarano e dove era entrato in conflitto con i clan Gionta e
D'Alessandro) e verso l'area vesuviana nei comuni di Somma
Vesuviana, Sant'Anastasia e Volla (ove aveva stretto alleanza
con i clan capeggiati da Fiore D'Avino e da Orefice Giuseppe),
riuscendo da vincitore a formare un "cartello" di associazioni
le quali, pur conservando la loro autonomia
territoriale-operativa, rispondevano all'Alfieri come capo
indiscusso della consorteria mafiosa.
                          Pag.7
  Tutto ciò, si ripete, era già ampiamente noto e documentato
agli atti del procedimento all'epoca del giudizio di Appello
sulla strage di Torre Annunziata, in quanto frutto di
approfondite indagini degli organi di polizia giudiziaria.
  Nel dicembre 1989, poco prima della citata sentenza
assolutoria, questo ufficio iniziava una attività di indagine
fondata su intercettazioni delle utenze telefoniche di cui
appariva probabile che l'Alfieri, all'epoca ancora latitante,
ed i vari appartenenti al sodalizio criminoso si servissero
per comunicazioni inerenti le loro attività delittuose.
  I risultati di quelle indagini, che portarono nel febbraio
1990 all'emissione di provvedimenti cautelari nei confronti di
Carmine Alfieri e di altri aderenti all'organizzazione (tra
cui Giuseppe Autorino, tuttora latitante) già fornivano un
quadro estremamente allarmante. In un clima di ferrea omertà
(che aveva pesantemente ostacolato le indagini e coperto per
otto anni la latitanza dell'Alfieri) emergeva che quest'ultimo
aveva effettivamente costituito, nel nolano e nelle altre zone
della Campania controllate dai suoi affiliati, una sorta di
anti-Stato dotato di proprie leggi e proprie regole, tali da
garantire all'associazione l'incontrastato esercizio di
attività tipicamente delittuose e delle altre attività
espressive del metodo mafioso.
  Tutto ciò anche, e soprattutto, attraverso il
condizionamento e spesso l'aperta complicità di amministratori
pubblici e di pubblici funzionari.
  All'esito delle indagini preliminari, il giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli, in data 7
ottobre 1992, su conforme richiesta di quest'ufficio,
disponeva il rinvio a giudizio di Carmine Alfieri, Giuseppe
Autorino, Angelo Ambrosino, Donato Prisco, Costantino Ruggero,
Marzio Sepe, Michele Tufano, Francesco Alfieri, Gennaro
Alfieri e Michele Autorino, per rispondere per i delitti di
associazione di tipo mafioso, detenzione e porto illegali di
armi clandestini ed altri reati minori (doc. n. 2).
  Il giudizio è pendente dinanzi al Tribunale di Napoli - V
sezione penale.
  Nella richiesta di rinvio a giudizio quest'ufficio,
nell'evidenziare le fonti di prova acquisite, svolgeva le
seguenti osservazioni.
"1.    Struttura organizzativa verticistica di tipo mafioso
facente capo a Carmine Alfieri.
  L'esistenza e l'operatività di siffatta struttura si
desumono, anzitutto, dall'informativa del centro CRIMINALPOL
Campania del 29 gennaio 1990, e da numerose comunicazioni
telefoniche intercettate sull'utenza della IESA dei fratelli
Ambrosino. In particolare, essa è ben descritta nella
telefonata numero 150 del 27 dicembre 1989, ore 12:24, da cui
risulta in modo inequivocabile la posizione di assoluta
preminenza di Alfieri Carmine all'interno del gruppo rispetto
a tutti gli affiliati che, a cominciare da Autorino Giuseppe,
lo riconoscono come il loro indiscusso, temuto e riverito
capo; all'Alfieri, affiancato dall'Autorino in molte
circostanze, fanno capo tutte le attività dell'organizzazione,
come risulta anche dalle telefonate numero 129 del 20 dicembre
1989 ore 17:46, numero 180 ter    del 13 gennaio 1990 ore
19:11, numero 182 del 14 gennaio 1990 ore 12:29, numero 206
del 26 gennaio 1990 ore 11:01, numero 213 e numero 214 del 29
gennaio 1990 ore 20:41 e 20:42. Da alcune di queste emerge,
tra l'altro, la frenetica attività di numerosi adepti alla
consorteria criminosa in vista della attesa e preannunciata
assoluzione dell'Alfieri in grado di appello, nel processo per
la nota strage di Torre Annunziata, assoluzione poi
effettivamente pronunciata il 29 gennaio 1990 e del
conseguente ritorno del capo alla piena libertà di manovra.
L'organizzazione criminosa esercita un controllo assoluto sul
territorio, che si articola in particolare:
  a)    nel controllo della centrale SIP di Piazzolla di
Nola, che ha consentito agli affiliati di venire
tempestivamente a conoscenza delle intercettazioni delle
utenze facenti capo ad Autorino Giuseppe e ad altre persone
con le quali Carmine Alfieri
                          Pag.8
teneva contatti telefonici durante la latitanza (cfr.
telefonate numero 50 del 2 dicembre 1989 ore 19,38, numero del
4 dicembre 1989 ore 17,43, numero 81 dell'11 dicembre 1989 ore
21,34, ed altre);
  b)    nel controllo di tutte le attività illecite, anche
di quelle di scarso rilievo, che si svolgono sul territorio
(cfr. telefonate numero 45 dell'1 dicembre 1989 ore 23,49,
numero 49 del 2 dicembre 1989 ore 19,24, numero 1989 del 12
dicembre 1989 ore 20,13);
  c)    nella garanzia di "pace sociale" attraverso
interventi pacificatori di privati dissidi (cfr. telefonata
numero 76 del 9 dicembre 1989 ore 23,56, nonché quanto risulta
dagli allegati atti relativo al triplice omicidio Pizza, circa
gli interventi di Autorino Giuseppe nella lite tra i Pizza ed
altre persone).
  d)    nel controllo delle pubbliche amministrazioni
della zona.
  A questo riguardo - mentre si richiama il contenuto della
telefonata intercettata sull'utenza IESA numero 61 del 5
dicembre 1989 ore 13,38, relativa al comune di Nola, è
opportuno evidenziare quanto segue.
  Nel corso delle ricerche dei latitanti Alfieri Carmine ed
Autorino Giuseppe, polizia di Stato e carabinieri
individuavano, come obbiettivo "sensibile" la villa di Alfieri
Francesco (pregiudicato, cugino e padrino del capo
dell'organizzazione criminosa, imprenditore edile e
personaggio "di rispetto" della zona), sita in Casamarciano.
  Veniva pertanto effettuato un servizio di intercettazione
sull'utenza telefonica installata nella villa (numero
081/8297957) e si procedeva a periodiche perquisizioni della
villa stessa finalizzate alla ricerca dei latitanti.
  Dalle intercettazioni emergeva, anzitutto, la conferma che
la villa era frequentata anche da appartenenti al sodalizio
criminoso, tra cui certamente l'Autorino (cfr. telefonata
numero 3 del 10 febbraio 1990, in cui l'imputato Sepe Marzio
chiede a "don Ciccio" Alfieri se "don Geppino" è venuto alla
villa, evidente riferimento all'Autorino, noto, appunto, come
"don Geppino").
  Da altre telefonate emergeva altresì che l'Alfieri
Francesco intratteneva stretti e frequenti rapporti con
amministratori locali e funzionari pubblici, in alcuni casi
anche frequentatori della sua villa.
  Al riguardo, si segnalano le telefonate:
  numero 5 dell'11 febbraio 1990 ore 21.39 con Riccio Luigi,
sindaco di San Paolo Belsito e presidente dell'USL 28 di Nola,
(nonché le informazioni rese dal Riccio a questo ufficio);
  numero 6 dell'11 febbraio 1990 ore 21,41 con Velotti Luigi,
sindaco di Cimitile fino al giugno 1990, attualmente
consigliere comunale e membro del comitato di gestione della
USL 28 di Nola (nonché le informazioni rese dal Velotti);
  numero 9 del 21 febbraio 1990 ore 8,02 e numero 8 del 23
marzo 90 ore 17,23 con Virtuoso Aniello, sindaco di
Casamarciano (nonché le informazioni rese dal Virtuoso).
  In data 3 luglio 1991, in occasione di un'irruzione nella
predetta villa, i carabinieri interrompevano una riunione
conviviale e identificavano, tra i convitati intenti a
consumare una cena, FERRARO Luigi, sindaco di Lauro, e ALTERIO
Giovanni, consigliere della regione Campania e già sindaco di
Ottaviano. Tra i convitati, oltre al padrone di casa, vi erano
anche altre persone con precedenti penali e giudiziari.
  Nell'occasione, l'Alterio Giovanni era accompagnato dai
collaboratori MEROLLA Valentino, LOLLO Bruno e D'AVINO
Antonio, quest'ultimo anche suo cugino, oltre che da tale DI
BUONO Giuseppe. Gli stessi MEROLLA e D'AVINO saranno poi
nuovamente sorpresi nella villa dell'ALFIERI dai carabinieri,
in data 4 ottobre 1991, in occasione dei festeggiamenti per
l'onomastico dell'imputato (cfr. atti relativi alle
perquisizioni ed informazioni rese al pubblico ministero da
ALTERIO Giovanni, MEROLLA Valentino, D'AVINO Antonio in
fascicolo atti di indagine).
                          Pag.9
  Nel corso delle indagini veniva sottoposta a
intercettazione anche l'utenza telefonica installata
nell'abitazione dell'ALFIERI Francesco, sita in Nola (numero
081/8234587). Dalla telefonata del 9 aprile 1990 ore 08,26 tra
CANONICO Fioravante (maresciallo dei vigili urbani di Avella)
e la moglie dell'ALFIERI, emergeva un appuntamento per
l'indomani alla villa di Casamarciano (utilizzata
dall'imputato come sede di "rappresentanza") tra il "don
Ciccio" ed il generale Mario DE SENA, sindaco di Nola.
  Il DE SENA, pur negando (smentito dal CANONICO) di aver
fissato quell'appuntamento all'ALFIERI, ha poi ammesso di
essersi recato presso la villa di quest'ultimo per un incontro
pre-elettorale, durante la campagna per le amministrative del
novembre 1989.
  Va a questo punto segnalato che il De Sena è presidente
della Società Italiana per le Condotte d'Acqua s.p.a.,
partecipante al Consorzio Campania Felix, che sta realizzando,
in località Bosco Fangone di Nola, lo stabilimento della
Alenia (gruppo IRI-Finmeccanica), destinato alla produzione ed
all'assemblaggio di parti di aereo. I lavori di movimento
terra per lo stabilimento in parola sono stati subappaltati
alle società IESI s.r.l. (il cui gestore, Ambrosino Luigi, era
stato segnalato ai responsabili del cantiere dal De Sena) e
MOVISUD Costruzioni s.r.l., di cui risultano soci Morra
Vincenzo e Alfieri Luigi, rispettivamente genero e nipote
dell'imputato Alfieri Francesco. Risulta, ancora, che fu lo
stesso Ambrosino Luigi a chiedere al committente consorzio di
associarsi nel subappalto alla MOVISUD per accelerare i
lavori.
  Inoltre, il materiale inerte necessario per il cantiere di
Bosco Fangone veniva estratto da un appezzamento di terreno,
sito in Roccarainola, facente capo allo stesso Alfieri
Francesco. Tale appezzamento fu trasformato, per l'occasione,
in cava, su concessione del sindaco di Roccarainola, e
successivamente sequestrato dai carabinieri, il 4 gennaio
1991, per gli ingenti guasti ecologici provocati dallo
sbancamento e trasporto degli inerti e del materiale di
risulta (cfr. informativa dei carabinieri di Napoli 2 del 14
aprile 1992 c/ Alfieri Francesco ed altri).
  Di particolare interesse - a riprova del potere di
condizionamento ed influenza su personaggi politici locali,
anche di rilievo nazionale, che l'Alfieri Francesco intende
esercitare - è il contenuto dell'interrogatorio reso dallo
stesso imputato. Questi, nell'ammettere i propri rapporti di
frequentazione con numerosi personaggi politici, anche, si
ripete, di livello nazionale, ha spavaldamente dichiarato che
sono costoro ad avere bisogno di lui per motivi elettorali,
non lui di loro.
  Con ciò ammettendo anche una propria capacità di
influenzare l'elettorato e di indirizzarlo su candidati
"graditi", tipica dell'agire mafioso.
2. Forza di intimidazione del vincolo associativo.
  Tale essenziale componente del metodo mafioso risulta in
modo tangibile dalle telefonate IESA del 25 novembre 1989 ore
21,30 e numero 29 del 28 novembre 1989 ore 12,29, nonché dalle
telefonate (intercettate nel corso di altra indagine
sull'utenza numero 081/5121229 intestata a Russo Luigi) di cui
al rapporto dei carabinieri di Castello di Cisterna del 2
novembre 1989.
  Risulta altresì dal tenore delle altre telefonate tra
Alfieri Francesco ed i sindaci Riccio e Virtuoso. Questi
ultimi si rivolgono all'imputato con tono di ossequio e di
disponibilità che la dice lunga sul potere dell'Alfieri (anche
se poi il Virtuoso, negando spudoratamente l'evidenza, dirà
dell'imputato: "Io non ci vado da questa gente").
3. Assoggettamento ed omertà.
  Tali requisiti, caratteristici dell'associazione mafiosa,
risultano, anzitutto, dalle telefonate che comprovano la
circostanza che Carmine Alfieri, durante la latitanza, si
avvale di più utenze telefoniche e,
                         Pag.10
quindi, di più abitazioni i cui proprietari, in rapporto di
evidente sudditanza rispetto all'imputato, consentono al
latitante di trovarvi rifugio (cfr. in particolare le
telefonate intercettate sulle utenze numero 5115245, numero
5115430 e numero 8203588).
  Ulteriori e decisive prove della sussistenza dei requisiti
predetti emergono:
  dalla disponibilità di un "covo" per il rifugio dei
latitanti Autorino Giuseppe ed Alfieri Gennaro e per
nascondervi le armi, fornite dai coimputati Tranchese Carmine
ed Autorino Michele;
  dal contenuto dell'interrogatorio reso a questo pubblico
ministero dal coimputato Alfieri Gennaro. Questi, che ha
sollecitato l'interrogatorio dopo essersi rifiutato di
rispondere dinnanzi al giudice per le indagini preliminari, si
è interamente accollato - contro ogni evidenza - la
responsabilità delle armi e persino del denaro sequestrato
all'atto del suo arresto, allo scopo di scagionare gli altri
coimputati, primo fra tutti l'Autorino Giuseppe, che nega
addirittura di conoscere (cfr. atti di polizia giudiziaria e
interrogatorio Alfieri Gennaro in fascicolo numero
17564/r/91);
  dal favoreggiamento personale commesso da Impacciarelli
Imma in favore di Alfieri Carmine e di Autorino Giuseppe.
4. Finalità di commissione di delitti.
  La commissione di delitti contro la persona ed il
patrimonio, nonché la gestione del lotto clandestino, ed i
conseguenti illeciti profitti, rappresentano - al pari del
controllo delle attività economiche - l'obiettivo principale
del sodalizio criminoso, come risulta, in particolare, dalle
telefonate numero 3 del 26 ottobre 1989 ore 15,03
(autorizzazione numero 8202508), numero 15 del 23 novembre
1989 ore 09,37, numero 32 del 28 novembre 1989 ore 18,27,
numero 52 del 4 dicembre 1989 ore 03,22, numero 72 del 9
dicembre 1989 ore 11,58, numero 76 del 9 dicembre 1989 ore
23,56, numero 74 del 9 dicembre 1989 ore 13,39, numero 180 del
13 gennaio 1990 ore 14,14, numero 251 e numero 252 del 12
febbraio 1990 ore 09,15 e ore 10,38, numero 188 del 16 gennaio
1990 ore 21,03.
  Tali telefonate (si tratta di atti allegati al procedimento
numero 1704/R/90, pendente dinnanzi alla V sezione penale del
tribunale di Napoli a carico di Carmine Alfieri ed altri: nota
del pubblico ministero) attengono, in particolare, alla
gestione del lotto clandestino, ad estorsioni ed al
coinvolgimento dell'Autorino, unitamente ad Alfieri Carmine ed
ai fratelli Tufano, nelle indagini per il triplice omicidio
Pizza (si segnala, al riguardo, anche l'annotazione datata 5
febbraio 1990 dei carabinieri di Napoli 2 concernente la
mancata presentazione dell'Autorino ai carabinieri per il
prelievo delle impronte digitali, nell'ambito delle indagini
per l'efferato delitto; mancata presentazione di cui è
anticipato riscontro in una delle citate telefonate).
  Con riferimento alle attività delittuose
dell'organizzazione, rilevano, inoltre, le dichiarazioni
ripetutamente rese da Pizza Amalia, attualmente detenuta e
sottoposta ad indagini, unitamente al padre Salvatore, quale
responsabile dell'omicidio del coimputato Tufano Raffaele
Carlo, dalla stessa già indicato quale uno dei responsabili
dell'omicidio dei fratelli, unitamente all'Alfieri Carmine ed
all'Autorino Giuseppe (cfr. atti istruttoria ed indagini
preliminari per il triplice omicidio Pizza ed atti relativi al
fermo, in data 14 aprile 1992, di Pizza Amalia per l'omicidio
Tufano).
5. Disponibilità delle armi.
  La disponibilità di armi micidiali da parte del gruppo
criminale per la esecuzione di atti di intimidazione e/o di
ritorsione già risulta con certezza dalla telefonata numero 3
del 26 ottobre 1989 ore 15,03 sull'utenza numero 8202508,
nonché dalle telefonate numero 15 del 23 novembre 1989 ore
19,06 e numero 32 del 28 novembre 1989 ore 18,27, entrambe
sull'utenza numero 8203588.
                         Pag.11
  Il definitivo riscontro emerge dal sequestro delle armi
clandestine e delle munizioni in possesso dei latitanti
Autorino Giuseppe ed Alfieri Gennaro, nonché dei coimputati
Tranchese ed Autorino Michele, effettuato in Saviano il 13
dicembre 1991.
6.    Finalità di gestione e controllo di attività
economiche.
  Tali preminenti obiettivi del sodalizio criminoso
risultano, in particolare:
  dal contenuto delle telefonate sull'utenza numero 8203588
della IESA, numero 24 del 27 novembre 1989 ore 12:48 del 27
novembre 1989 ore 13:15, numero 35 del 29 novembre 1989 ore
13:52;
  dalla documentazione sequestrata presso l'agenzia "Lavoro e
Sicurtà", sita in S. Vitaliano, facente capo ad Autorino
Giuseppe;
  dalle risultanze delle indagini dei carabinieri gruppo
Napoli II, di cui alla informativa numero 1098/15-90 del 14
aprile 1992;
  dalle risultanze delle indagini preliminari condotte - in
collegamento ex    articolo 371 del codice di procedura
penale con questo ufficio - dalla procura della Repubblica
presso il tribunale di Salerno nei confronti di Nocera Tommaso
ed altri, per il delitto di associazione per delinquere di
tipo mafioso ed altro (cfr., in atti, richiesta di misura
cautelare ed interrogatorio degli indagati detenuti;
procedimento penale numero 2160 R.G. Tribunale Salerno)".
  Fin qui la richiesta di rinvio a giudizio.
  Dalle intercettazioni sull'utenza telefonica della
abitazione di Francesco Alfieri emergevano, peraltro, altre
due telefonate in uscita per le utenze dell'abitazione e dello
studio dell'architetto Vincenzo Meo, (febbraio - marzo 1990)
non ancora parlamentare, ma dirigente politico democristiano.
  Il contenuto di tali telefonate sarà diffusamente
illustrato più avanti, trattando della posizione del senatore
Vincenzo Meo.
  2)    Le risultanze processuali finora esposte ed i
contenuti della informativa dei carabinieri del gruppo Napoli
II datata 14 aprile 1992 determinavano la necessità di
ulteriori indagini nei confronti di altri presunti
compartecipi dell'associazione criminosa, individuati in
prossimità della scadenza dei termini di cui agli articoli
406-407 del codice di procedura penale per i primi indagati.
  Appariva chiaro infatti, in particolare dagli accertamenti
societari e patrimoniali (peraltro da sviluppare
ulteriormente) di cui alla citata informativa, che il gruppo
Alfieri gestiva una sorta di holding
economico-finanziaria operante nei settori più disparati e,
per giunta, in posizione di quasi monopolio.
  I rapporti di affari con le pubbliche amministrazioni
risultavano avere assunto, in molti casi, il carattere di una
autentica simbiosi. Infatti, appariva dimostrato come alla
continua elargizione di appalti e subappalti, di concessioni
ed autorizzazioni in favore di segmenti imprenditoriali del
sodalizio criminoso si accompagnassero, come un feroce
contrappunto, atti violenti e intimidatori diretti ad
eliminare ogni forma, anche marginale, di concorrenza.
  Il filone investigativo che tali risultanze imponevano di
percorrere fino in fondo non era certamente ignoto a
quest'ufficio.
  Il rapporto mafia-imprenditoria-politica aveva infatti già
formato oggetto - solo per citare un esempio - del
procedimento penale numero 405/1A/84 R.G.P.M. nei confronti di
Lorenzo Nuvoletta e di alcuni imprenditori all'epoca dei fatti
(1981-1984) legati al Nuvoletta e con costui attivi in società
produttrici di calcestruzzo, impegnate negli appalti della
ricostruzione post   -sisma, ed oggi, non per caso,
transitati nell'orbita della organizzazione di Carmine
Alfieri. Passaggio che segue la linea evolutiva del potere di
controllo dell'impresa dal Nuvoletta all'Alfieri.
                         Pag.12
  Il procedimento penale in parola è stato definito in primo
grado con condanne, per i delitti di associazione di tipo
mafioso ed estorsione, del Nuvoletta e dell'imprenditore Luigi
Romano.
  Nel frattempo, il Tribunale di Napoli - sezione per
l'applicazione delle misure di prevenzione, ha disposto la
confisca di tutte le società del gruppo Romano Agizza.
  Un altro autonomo settore di indagine veniva quasi
contemporaneamente individuato a seguito dei servizi di
intercettazione telefonica e di osservazione svolti in Roma
dal servizio centrale operativo della polizia di Stato
finalizzati alla cattura di Carmine Alfieri.
  Tali servizi si concentravano su Marzio Sepe, personaggio
di rilievo del clan Alfieri, già rinviato a giudizio
unitamente all'Alfieri, come si è visto, che a seguito di
scarcerazione per decorrenza termini, con divieto di soggiorno
in Campania, aveva preso dimora in Roma. Di particolare
interesse per le indagini risultavano gli incontri del Sepe
con Ferdinando Cesarano (già coimputato con Carmine Alfieri
per la strage di Torre Annunziata), accompagnato dal cugino
Vincenzo Cesarano, con Ciro Maresca, noto esponente della
malavita campana legato ad Umberto Ammaturo ed allo stesso
Alfieri, e con altri non identificati personaggi: segnale di
una probabile proiezione "romana" del gruppo criminale.
  3) La cattura di Carmine Alfieri avveniva all'alba
dell'11 settembre 1992, in località masseria Aliperti di
Scisciano, ad opera dei carabinieri del gruppo Napoli II,
mentre era in compagnia dei due poc'anzi citati Marzio Sepe e
Vincenzo Cesarano.
  Una quarta persona, che era di guardia all'esterno
dell'abitazione ove il latitante si nascondeva, certamente
armata di pistola, riusciva a sottrarsi all'arresto con la
fuga.
  Sottoposto ad interrogatorio, l'Alfieri si avvaleva della
facoltà di non rispondere.
  4)    In data 18 agosto 1992 quest'ufficio raccoglieva
la dichiarazione di Pasquale GALASSO, all'epoca detenuto
presso la casa circondariale di Spoleto, di voler collaborare
con questa autorità giudiziaria in relazione a fatti
criminosi, compresa la progettazione, da parte di alcuni capi
della camorra e della mafia con lui detenuti a Spoleto, di
attentati in danno di magistrati ed esponenti delle forze
dell'ordine. Quest'ultima informazione risulterà poi
confermata da numerose altre indicazioni analoghe pervenute
agli organi di polizia giudiziaria.
  Il GALASSO era detenuto a seguito di condanna per il
delitto di estorsione aggravata continuata, inflittagli,
all'esito di procedimento istruito da questo ufficio, dalla
Corte di appello di Napoli.
  Poiché, alla stregua di numerose indagini, risalenti ai
primi anni '80, il GALASSO era già ritenuto da questo ufficio
elemento di estremo rilievo nell'organizzazione criminosa
facente capo a Carmine ALFIERI, le sue dichiarazioni
collaborative venivano inserite nel filone di indagine di cui
ai procedimenti indicati sub    paragrafo 3), nei confronti
dell'organizzazione camorristica dell'ALFIERI.
  A conferma di tanto il GALASSO, in un successivo esame
effettuato da questo ufficio in data 28 agosto 1992, ammetteva
i propri strettissimi rapporti con Carmine ALFIERI e indicava
i nominativi delle persone a costui più vicine nelle sue
attività criminose.
  Ancor più, nel successivo esame del 16 novembre 1992, il
GALASSO riferiva di attività di reinvestimento di capitali
illeciti, costituenti profitto dell'attività camorristica
dell'ALFIERI, da lui effettuate per conto di quest'ultimo.
  Poco dopo il GALASSO, che aveva ottenuto dalla Corte di
appello di Napoli gli arresti domiciliari per motivi di
salute, veniva raggiunto da un provvedimento di custodia
cautelare in carcere emesso dalla autorità giudiziaria di
Salerno nei suoi confronti, e di numerose altre persone, per i
delitti di associazione di tipo mafioso, estorsioni ed altro.
  In tale provvedimento, emesso dalla magistratura
salernitana all'esito della prima fase di una complessa ed
articolata
                         Pag.13
indagine, il GALASSO veniva indicato quale attuale capo di
una organizzazione criminosa autonoma operante, in stretto
collegamento con quella di Carmine ALFIERI, prevalentemente
nella provincia di Salerno, ma con interessi e investimenti
nell'intero territorio nazionale ed all'estero (doc. n. 3).
  Il quadro complessivo che veniva in evidenza dalle
pregresse indagini di questa autorità giudiziaria (sulle quali
si tornerà di qui a breve) e da quelle più recenti della
autorità giudiziaria di Salerno forniva l'esatta misura
dell'eccezionale livello criminale raggiunto dal GALASSO
nell'arco di tempo di un decennio: da personaggio di spicco
del clan ALFIERI ("mente" e "finanziatore-riciclatore" del
gruppo) a capo carismatico di una autonoma organizzazione
criminale, operante in stretto collegamento con quella
dell'ALFIERI.
  La propria ascesa all'interno del clan ALFIERI, a partire
dai primi anni '80, verrà poi confermata dallo stesso GALASSO
a questo pubblico ministero fin dall'interrogatorio reso
presso la casa circondariale di Novara in data 21 dicembre
1992. In tale occasione egli iniziava a riferire, in
particolare, episodi di collusione con la criminalità
organizzata di rappresentanti del mondo imprenditoriale,
amministrativo, politico ed istituzionale che potevano essere
noti, così come narrati, soltanto ad un esponente di vertice
della criminalità organizzata medesima.
  Prima di procedere oltre nella esposizione della vicenda
che, attraverso progressive aperture, ha portato il GALASSO
all'attuale livello di collaborazione con la giustizia, è
opportuno ancora soffermarsi sulla dimensione finanziaria e
criminale del soggetto in esame, quale risultava a questo
ufficio ben da prima dell'inizio della sua collaborazione.
  5)    Le indagini patrimoniali svolte dalla Guardia di
finanza nel 1985, per delega di questo ufficio, avevano già
evidenziato a carico dei fratelli Pasquale, Ciro e Martino
GALASSO la disponibilità di rilevanti liquidità finanziarie,
nell'ordine di miliardi, cui non corrispondeva riscontro nelle
dichiarazioni di reddito, e senza che le stesse trovassero
giustificazione nelle pur sussistenti attività
imprenditoriali, commerciali e finanziarie della famiglia.
  Scriveva, al riguardo, il giudice istruttore presso il
Tribunale di Napoli nell'ordinanza di rinvio a giudizio emessa
il 5 agosto 1989 a carico di GALASSO Sabato ed altri (tra cui
i figli Pasquale e Ciro), imputati di associazione mafiosa ed
estorsione, che "tutto il modo di operare dei GALASSO, con
riferimento alle società finanziarie, è improntato al
principio per cui le operazioni di versamento e di
prelevamento devono avvenire attraverso sistemi di
occultamento, che consentono di non far apparire all'esterno i
veri controllori dei flussi e delle operazioni finanziarie".
  Proprio attraverso questi meccanismi finanziari, i GALASSO
erano riusciti ad estendere la loro attività e la loro
"influenza" al di fuori della provincia di Napoli,
diversificando l'impegno in svariati settori, da quello dei
veicoli industriali a quello dei prodotti alimentari, dalle
attività immobiliari alla produzione del calcestruzzo. A tali
attività apparentemente lecite, si era poi sempre accompagnata
quella di finanziamenti a tasso usurario nei confronti di
commercianti ed imprenditori, cui spesso seguiva un'attività
estorsiva per il recupero dei relativi crediti.
  Tale modello di sviluppo malavitoso era stato agevolato dal
terrore che - come poi dirà a questo pubblico ministero il
GALASSO stesso, confessando una lunghissima serie di omicidi -
induceva nella popolazione di Poggiomarino e dei comuni
limitrofi il solo nome di "Pasquale GALASSO". Esempio
paradigmatico del metodo mafioso come fattore di sviluppo
dell'impresa e come mezzo di penetrazione della camorra nella
società civile.
  Parimenti noto, e documentato in atti giudiziari, era il
potere di infiltrazione e di collusione con le pubbliche
amministrazioni esercitato dalla famiglia GALASSO.
  Basta, al riguardo, citare un solo esempio traendolo dalla
sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Napoli in data 19
                         Pag.14
ottobre 1990, nel già ricordato procedimento a carico di
GALASSO Sabato ed altri. Vi si legge: "ai GALASSO in generale
non sono mai mancati appoggi politici, che hanno sempre
permesso al gruppo familiare di espandersi sempre di più,
economicamente. Ne è prova la deposizione del teste D'ANDREA,
direttore della filiale del Banco di Napoli di Nocera
Inferiore, il quale ha riferito di aver ricevuto nel mese di
settembre 1987, nel corso di una istruttoria di una pratica
concernente la apertura di un conto corrente alla FINPAR (la
finanziaria dei GALASSO, n.d.p.m.) una telefonata del senatore
Francesco Patriarca, proprio in riferimento ai GALASSO. Il
PATRIARCA dinnanzi al giudice istruttore non aveva smentito il
suo intervento, ma lo aveva giustificato asserendo che aveva
ricevuto informazioni da parte dell'avvocato DE ROSA in
relazione al fatto che, nonostante che alcuni dei GALASSO
fossero stati prosciolti da alcune misure di sicurezza
(rectius   : di prevenzione, più precisamente le misure
patrimoniali: n.d.p.m.) il Banco di Napoli aveva comunque
delle difficoltà a ricostruire il rapporto".
  Dunque, l'allora senatore PATRIARCA - il medesimo
personaggio politico i cui numeri telefonici, anche privati,
erano stati rinvenuti nel 1976 in possesso di Carmine ALFIERI
- era intervenuto personalmente per sbloccare la pratica di
credito in favore dei GALASSO, inducendo, con il peso politico
di cui allora disponeva, gli organismi direttivi del Banco di
Napoli a recedere da una decisione negatoria del credito, già
assunta nonostante il proscioglimento dei GALASSO dalle misure
di prevenzione patrimoniali. Una vicenda che basterebbe da
sola (se non vi fossero tutte le altre poi narrate dal GALASSO
nelle sue dichiarazioni) a dimostrare il potere di
condizionamento di organismi pubblici che i GALASSO erano in
grado di esprimere grazie ai loro "referenti" politici.
  Tale essendo il livello criminale, finanziario e "politico"
di Pasquale GALASSO, risultarono evidenti la elevata
attendibilità intrinseca della collaborazione da lui offerta e
l'eccezionale rilievo della stessa ai fini della azione di
contrasto delle infiltrazioni della criminalità mafiosa nella
società civile.
  Contestualmente alla progressiva acquisizione delle
dichiarazioni del GALASSO, questo ufficio attivava, con
opportune deleghe agli organi di polizia giudiziaria, la
verifica delle stesse con il reperimento degli elementi di
obiettivo riscontro.
  Tale attività, tuttora in corso - come tuttora in corso
sono gli interrogatori del GALASSO ad opera di questo ufficio
e della autorità giudiziaria di Salerno - sta fornendo
risultati ampiamente positivi.
  Nella presente richiesta si farà menzione dei riscontri
obiettivi già acquisiti ed ostensibili.
  Ovvie esigenze di cautela processuale - particolarmente
pregnanti in relazione alla natura del contenuto
dell'indagine, nel quale l'aspetto dell'omertà e
dell'intimidazione rendono estremamente difficile qualsivoglia
acquisizione probatoria - impediscono di pubblicizzare senza
pregiudizio per le indagini numerosi altri elementi che pure
incidono sul giudizio positivo di credibilità complessiva del
collaborante.
  Il presente procedimento penale è collegato, a norma
dell'articolo 371 del codice di procedura penale, ad altri in
corso presso la Direzione distrettuale antimafia di Salerno,
fra cui il già citato procedimento a carico del GALASSO.
  Il procuratore nazionale antimafia, nell'esercizio delle
proprie specifiche attribuzioni, ha attuato il coordinamento
tra le direzioni distrettuali antimafia di Napoli e di
Salerno, mediante direttive volte ad assicurare l'efficacia e
la speditezza delle indagini in corso.
  6)    A conferma della posizione di vertice occupata
nella criminalità organizzata campana, il GALASSO forniva,
nelle dichiarazioni rese il 28 agosto 1992, un quadro completo
ed aggiornato degli equilibri e delle alleanze tra i sodalizi
criminosi dominanti in questa regione e, in particolare, nelle
province di Napoli e Caserta.
                         Pag.15
  Il GALASSO riferiva, tra l'altro, dei rapporti tra il
gruppo ALFIERI e quello composto da LICCIARDI - CONTINI -
MALLARDO, e dei rapporti tra l'ALFIERI e Michele D'ALESSANDRO,
mantenuti per il tramite di Ferdinando CESARANO.
  Nel successivo interrogatorio del 21 dicembre 1992, il
GALASSO forniva l'organigramma completo del gruppo ALFIERI,
confermando esplicitamente di averne fatto parte e indicando,
fra gli altri, Francesco ALFIERI quale componente di rilievo
dell'organizzazione.
  Nello stesso interrogatorio il GALASSO indicava i nomi di
numerosi imprenditori e personaggi politici legati a Carmine
ALFIERI, narrando in molti casi episodi specifici, che sono
attualmente oggetto di verifica e riscontro.
  Il GALASSO inoltre confessava i più gravi delitti da lui
commessi, essendosi ormai convinto che solo una totale
confessione avrebbe reso credibile la propria collaborazione
con la giustizia.
  Il dichiarante narrava anzitutto le vicende personali e
familiari che, da studente universitario, lo avevano condotto
fino a diventare un capo della camorra: i rapporti già
intrattenuti dal padre Sabato, e poi da lui direttamente, con
malavitosi della zona; le attività imprenditoriali condotte
"barcamenandosi" con la malavita; il tentativo di sequestro di
persona in suo danno, nel quale egli aveva ucciso i due
sequestratori; il lungo periodo di detenzione conseguito a
tale episodio, che lo aveva indotto ad allacciare rapporti con
Raffaele CUTOLO, con i fratelli Salvatore e Carmine ALFIERI e
con altri personaggi di spicco della camorra; l'omicidio del
fratello Antonio - commesso dai cutoliani per ritorsione
all'omicidio di Alfonso CATAPANO, a sua volta ritorsione per
l'omicidio di Salvatore ALFIERI - che aveva scatenato il
proprio desiderio di vendetta e, unitamente a quello nutrito
da Carmine ALFIERI per l'omicidio del fratello, la successiva
sanguinosa faida con i cutoliani.
  Quindi il GALASSO confessava nei dettagli una lunghissima
serie di omicidi, indicando, per ciascuno di essi, il movente
ed i propri correi.
  Tra gli altri, confessava gli omicidi in danno dei fratelli
Alfonso e Antonio CATAPANO, di Giovanni NAPOLITANO BIFULCO e
dei fratelli GIUGLIANO, nonché quello di Giuseppe CASO.
  Confessava inoltre gli omicidi di Vincenzo CASILLO e di
Ciro NUVOLETTA: due episodi delittuosi che, al pari della
strage di Torre Annunziata, risultano di capitale importanza
nel quadro dei rapporti tra le organizzazioni camorristiche,
per i loro devastanti effetti sugli equilibri tra queste
ultime e sulle successive alleanze e dinamiche criminali.
  Riservando al prosieguo della trattazione la vicenda
dell'omicidio CASILLO, è qui opportuno soffermarsi, per
comprendere la valenza probatoria delle dichiarazioni del
GALASSO, sulla narrazione dell'omicidio di Ciro NUVOLETTA.
  Alla richiesta di spiegare i rapporti tra Carmine ALFIERI e
Lorenzo NUVOLETTA, il GALASSO riferiva quanto segue.
  "Fino al 1981 i rapporti tra Carmine Alfieri e Lorenzo
Nuvoletta erano di stretta alleanza, unitamente ad Antonio
Bardellino, che io considero una delle figure più
rappresentative della camorra napoletana, un uomo di grande
coraggio e rispettoso delle regole.
  Una volta incominciato lo scontro con Cutolo Raffaele,
determinato dalla sua sete di potere, fu promossa una riunione
nella tenuta di Nuvoletta a Vallesana cui parteciparono tutti
i più importanti capicamorra, da Lorenzo Nuvoletta a Antonio
Bardellino, da Carmine Alfieri a Michele Zaza, Pasquale Cutolo
e Davide Sorrentino. Tutte le organizzazioni camorristiche,
eravamo più di cento persone, non temevano l'intervento di
alcuno nemmeno della polizia o dei carabinieri, perché
Nuvoletta aveva rapporti ottimi con politici, tra cui Antonio
Gava, e rappresentanti delle forze dell'ordine".
  "(omissis)    In questa fase così delicata Lorenzo
Nuvoletta mantenne una posizione equivoca in relazione anche
ai loro legami con i corleonesi, che non volevano una guerra
con Cutolo".
                         Pag.16
  "(omissis) Bardellino decise con Alfieri Carmine di
dare un duro colpo ai Nuvoletta che facevano il doppio gioco
"guadagnando" da ogni lotta interna".
  Dopo avere indicato i nomi dei propri correi
nell'esecuzione materiale del delitto (nomi che qui si
omettono per esigenze di cautela processuale) il GALASSO
proseguiva:
  "Tutte queste persone parteciparono alle fase successiva
dell'attacco ai Nuvoletta, in cui dovevano essere uccisi Ciro,
Lorenzo, Aniello e Angelo Nuvoletta".
  Nel corso degli stessi interrogatori, il GALASSO riferiva
altresì dei propri contatti con Raffaele CUTOLO, avvenuti dopo
la sua scarcerazione e mentre il CUTOLO era prima detenuto al
manicomio giudiziario di Aversa (la sorella Rosetta confermerà
al pubblico ministero i continui contatti non registrati
tenuti dal Raffaele in quella struttura) poi latitante a
seguito di evasione; forniva la ricostruzione di alcuni
sequestri di persona, tra cui quello del banchiere Amabile, e
di numerosi altri gravissimi fatti delittuosi, in parte da lui
non commessi, ma a lui noti fin nei particolari in quanto
componente di rilievo del clan ALFIERI.
  La narrazione fatta dal GALASSO appare allo stato
coincidere, sia per quanto concerne l'omicidio di Ciro
NUVOLETTA che per quanto riguarda gli altri delitti sopra
indicati, con le risultanze obiettive delle indagini di
polizia giudiziaria ed istruttorie.
  Nelle dette dichiarazioni - specificamente in quelle rese
negli interrogatori del 21 e 22 dicembre 1992, dell'11 e 12
marzo 1993, del 17 marzo 1993 e del 18 e 19 marzo 1993 - il
GALASSO rivelava, con sempre maggiore precisione di dettagli,
e quasi sempre per conoscenza diretta, episodi relativi ai
parlamentari GAVA, CIRINO POMICINO, MEO, VITO e MASTRANTUONO,
che li coinvolgevano in rapporti diretti e di reciproca
funzionalità, con Carmine ALFIERI, con lo stesso GALASSO e, in
definitiva, con l'intera organizzazione criminosa.
  Alla stregua di tali risultanze, che saranno in prosieguo
analiticamente illustrate, e degli elementi probatori di
oggettivo riscontro già acquisiti, in parte anche prima
dell'inizio delle dichiarazioni del GALASSO, risultava
evidente l'impossibilità per questo pubblico ministero di
proseguire nell'ulteriore doveroso approfondimento istruttorio
in assenza della condizione di procedibilità di cui
all'articolo 343 del codice di procedura penale.
                       Capitolo III
                        L'OGGETTO
                 DELLA PRESENTE INDAGINE
  1) Come già accennato, il presente procedimento
costituisce il punto di confluenza dei contenuti di numerose
altre indagini, condotte da questo ufficio negli ultimi anni,
dirette a comprendere ed a ricostruire il rapporto
camorra-affari-politica.
  Fra queste indagini vanno qui ricordate quelle dirette a
individuare e perseguire la penetrazione di imprese mafiose e
di soggetti direttamente o indirettamente collegati ad
organizzazioni mafiose nell'intervento di ricostruzione in
Monteruscello di Pozzuoli ed in Quarto Flegreo; quella nei
confronti della articolazione imprenditoriale mafiosa facente
capo a Lorenzo Nuvoletta ed al gruppo Agizza - Romano; quella
più recente, relativa al sistema di corruzione e di
infiltrazione mafiosa nella gestione amministrativa della
U.S.L. 35 di Castellammare di Stabia, accertato nel corso
delle indagini sull'omicidio di Corrado Sebastiano, dipendente
e sindacalista del predetto ente pubblico, avvenuto l'11 marzo
1992.
  Già nella sentenza-ordinanza emessa in data 30 luglio 1988,
nel procedimento contro il Nuvoletta, il giudice istruttore
presso questo tribunale osserva che:
  "Risulta ormai da molti atti processuali, ed in particolare
dalle misure di prevenzione inflitte dal Tribunale di Napoli,
che il settore imprenditoriale è stato
                         Pag.17
utilizzato come terreno di conquista da parte delle più
moderne organizzazioni criminali (ed in ciò la camorra campana
è tributaria delle più razionali ed aggiornate strategie
mafiose) al fine non solo di ottenere un effetto di
riciclaggio del denaro proveniente da traffici illeciti (cd.
"money laundry   ") ma di individuare investimenti
produttivi da cui ottenere ulteriori profitti, questa volta -
ed è qui la caratteristica con conseguenze drammatiche in tema
di difficoltà d'indagini da un lato, di inquinamento sociale
dall'altro - su un terreno di teorica liceità formale ... E'
infatti avvenuto - proseguiva il giudice istruttore - che
l'impresa del Mezzogiorno è stata individuata da parte delle
organizzazioni (ormai la distinzione fra camorra e mafia si
riduce a poco più di un fatto geografico, dopo che invece esse
avevano avuto fino agli anni '82-'83 differenti connotati
assai specifici e delineati) come punto particolarmente debole
del tessuto sociale, per difficoltà interne di cui questo non
è luogo di analisi. Fatto sta che nella crisi dell'attività
produttiva si salva la sola impresa dell'edilizia ed anche
questa non nel suo complesso, ma invece la grande impresa in
quanto destinataria dell'assistenza o dell'esecuzione di
interventi finanziati da mano pubblica (impresa peraltro
sempre più rivolta verso un ruolo di intermediazione
finanziaria e sempre meno alla produzione edile vera e
propria: sicché vi è quasi sempre sproporzione, all'interno
dei grandi gruppi che monopolizzano sempre il settore delle
concessioni nell'attività di ricostruzione "post    sisma",
fra fatturati, altissimi, e forza - lavoro impiegata, spesso
ridotta a poche decine di impiegati più che operai); e, più
disordinatamente, quella piccola, che dalla prima dipende per
l'aggiudicazione di una miriade di appalti e sub appalti
tramite i quali vengono effettivamente realizzate le opere
pubbliche - con quanto guadagno per la qualità finale del
prodotto è facile immaginare -. Viene invece completamente
bypassata    la media industria, quella che dovrebbe
costituire il nerbo di un sistema di mercato efficiente ed
effettivamente libero".
  "Risulta in particolare evidente - osservava ancora il
giudice istruttore - che, una volta impadronitesi di pezzi
importanti dell'imprenditoria, le organizzazioni ne hanno
fatto strumento di penetrazione assai incisivo".
  "E' infatti fisiologia sociale che da quel settore si
diramino una serie di canali di comunicazione, secondo uno
schema che può così ricostruirsi:
  da impresa mafiosa a società civile passando per: mondo
politico locale e nazionale, pubblica amministrazione,
istituti di credito, impresa non inquinata.
  In particolare, le imprese mafiose:
  1) dispongono di capitali praticamente illimitati (il
rapporto sull'economia dell'istituto CENSIS ha calcolato il
giro d'affari degl'investimenti criminali intorno ai 100.000
miliardi per il 1988) ... Tali disponibilità incidono:
  a)    da un lato su un'impresa in perenne crisi di
liquidità e con una scopertura verso il sistema bancario nel
tutto patologica, che rende esposta a cedimenti facili nei
momenti di maggior delicatezza;
  b) dall'altro su    un settore
politicoamministrativo    ormai - è esperienza quotidiana, ma
se ne avrà riscontro specifico nel procedimento -    pervaso
da illegalità diffusa   , e quindi particolarmente sensibile
in molti suoi pezzi al richiamo del denaro, o semplicemente
ricattabile;
  c)    infine sul settore del credito, che rende
particolarmente ben disposto a concedere mutui e
finanziamenti, a tassi di favore, ad imprese che dimostrino
solidità economica - finanziaria;
  2) dispongono anche di una capacità intimidatrice di
altissimo livello, che non esitano a porre brutalmente in atto
tutte le volte che incontrano resistenze "degli onesti" o
peggio di pezzi di poteri istituzionali o imprenditoriali
ritenuti infiltrati da organizzazioni schierate su fronti
opposti".
  "Dunque, - concludeva il giudice istruttore - conquista di
mercato ottenuta con corruzione o intimidazione; nonché
                         Pag.18
con il ricorso a quelle disponibilità economiche che
sbaragliano la concorrenza (sul piano dei prezzi, ad esempio,
o della durata delle dilazioni nei pagamenti). Disponibilità
economica che la facilità del ricorso al credito fa avvitare
su se stessa, con un perverso effetto autoriproduttivo, in una
spirale: solidità finanziaria - credito agevolato - solidità
finanziaria in cui ogni termine è causa del successivo, e
l'ultimo coincide con il primo (di qui, l'autorigenerazione di
cui si diceva)".
  Il procedimento penale contro Carmine Alfieri e gli altri
coimputati che è già in fase dibattimentale ha consentito di
enucleare altri importanti profili dell'intreccio
camorra-affari-politica. Ci riferiamo, in particolare, al
rapporto tra esponenti del mondo politico-amministrativo e
camorristi già evidenziato, sulla base di specifici elementi
probatori, nel Capitolo II paragrafo 2.
  Ciò che, in questa sede, è necessario porre nel massimo
risalto è il costante rapporto di interazione funzionale
esistente, nell'area territoriale controllata
dall'organizzazione dell'Alfieri, tra la rete
politica-elettorale, da un lato, ed il sistema di interessi
criminali, dall'altro, entrambi raggrumati intorno a
individualità rappresentative e carismatiche, interagenti tra
loro sia direttamente che attraverso i propri rispettivi
fiduciari.
  Tanto già si evinceva, a chiarissime note, dalle
intercettazioni effettuate sulle utenze di Francesco Alfieri e
dagli atti di indagini ad esse conseguenti.
  Basta citare soltanto alcuni esempi.
  Dall'interrogatorio di ALFIERI Francesco, in data 6
febbraio 1992:
  "La villa di Casamarciano è mia. Ne acquistai il rudere
dall'avvocato Avella e la ristrutturai circa sette - otto anni
or sono. Non abito nella villa, che tengo solo per affezione e
vi ricevo, di tanto in tanto, qualche amico o qualche
personaggio politico. Spontaneamente aggiunge: non sono io ad
invitare i politici, sono loro che si autoinvitano in
occasione delle elezioni. Sono loro che hanno bisogno di me,
non io di loro perché io vivo del mio lavoro".
  "Ricevo contestazione delle telefonate intercorse l'11
febbraio 1990, tra me e Riccio Luigi, sindaco San Paolo
Belsito e tra me e Velotti Luigi, all'epoca sindaco di
Cimitile. Ero stato richiesto dal mio amico Salvatore De
Falco, imprenditore edile di Nola, di invitare alla villa il
compianto onorevole MAZZELLA per un incontro preelettorale
(c'erano in vista le amministrative)    con tutti i sindaci
della zona;    perciò mi premurai di combinare l'incontro
avvertendo il Riccio, il Velotti, Guido Virtuoso, sindaco di
Casamarciano, Giuseppe De Falco (fratello di Salvatore),
allora sindaco di Saviano, nonché il sindaco di Poggiomarino
(che io però non conoscevo e fu invitato dal De Falco)".
  A domanda del pubblico ministero sui suoi rapporti con il
sindaco di Nola, Mario DE SENA, l'ALFIERI risponde: "Il
generale DE SENA è stato una sola volta a casa mia, a
Casamarciano, in occasione delle elezioni al comune di Nola,
tenutesi nell'ottobre 1989. Si trattò di una riunione
pre-elettorale;    anche il generale chiedeva il mio sostegno
elettorale per sè e per i candidati della sua lista, la DC.
Io feci il possibile per sostenere quella lista".
  A domanda del pubblico ministero di come mai i politici e
gli amministratori della zona abbiano bisogno del suo sostegno
elettorale, l'ALFIERI risponde: "I politici si appigliano a
tutti. Io non garantisco niente a nessuno. Dico sempre loro
"adesso vediamo che si può fare". Loro sanno che sono una
brava persona. Io faccio quello che posso. Raccomando il voto
dei candidati che mi chiedono il sostegno alle persone che
conosco (parenti, operai, ecc.). Non vado girando per le case.
Io sono benvoluto nella zona per la mia bontà d'animo; così mi
rivolgo a quelli che mi vogliono bene quando si tratta di
raccomandare qualcuno, compresi i politici. Ai politici chiedo
solo qualche piccolo favore, ma non per me".
  Va da sé che i "piccoli favori" ottenuti dall'ALFIERI in
cambio del sostegno elettorale erano, come si è già visto, il
subappalto dei lavori presso lo stabilimento dell'Alenia, o
quello presso i Regi
                         Pag.19
Lagni per conto dell'impresa Zecchina, o gli altri lavori
specificamente indicati nell'allegata informativa dei
carabinieri gruppo Napoli II del 14 aprile 1992.
  Dall'esame testimoniale di Riccio Luigi, sindaco di San
Paolo Belsito e presidente della U.S.L. 28 di Nola, in data 21
dicembre 1990: a domanda del pubblico ministero su come mai
egli, in una telefonata con Francesco ALFIERI, gli si rivolga
dicendo "siete il mio padrone", il RICCIO risponde:
  "L'espressione "voi siete sempre il mio padrone", da me
usata nei confronti dell'ALFIERI, è un modo comune di dire,
una forma di rispetto, tanto è vero che quando parlo per
telefonare con l'onorevole Alfredo VITO, con il quale
collaboro, lo chiamo spesso "padrone mio"". A domanda del
pubblico ministero se quindi egli chiami indifferentemente
"padrone" sia il politico che il pregiudicato, il RICCIO
risponde: "Io apprendo solo dalla Signoria Vostra che
l'ALFIERI è pregiudicato. Per me è una persona perbene, almeno
così lo ritengo da come appare".
  Dall'esame testimoniale di Giovanni ALTERIO (attualmente
deputato, già sindaco di Ottaviano, all'epoca consigliere
regionale) in data 9 ottobre 1991:
  "Ho conosciuto l'ALFIERI Francesco, se ben ricordo, ai
funerali della madre dell'onorevole Carmine MENSORIO, svoltisi
in Saviano nel 1989. Se ben ricordo mi fu presentato da alcuni
amministratori di Saviano. Vostra Signoria mi chiede, in
particolare, da chi mi fu presentato; rispondo che, per quanti
sforzi faccia in questo momento non riesco a ricordarmelo. In
quella circostanza colui che mi presentò l'ALFIERI mi disse
che si trattava di un parente del noto camorrista Carmine
ALFIERI e che si occupava di grandi opere pubbliche stradali.
Desidero precisare che non mi fu detto che l'ALFIERI era un
pregiudicato. Rividi una seconda volta l'ALFIERI in occasione
di una manifestazione elettorale democristiana per le elezioni
amministrative al comune di Nola, lo scorso anno".
  Dall'esame testimoniale di Luigi VELOTTI, sindaco di
Cimitile fino al 1990 e membro del comitato di gestione della
USL 28 di Nola, in data 21 dicembre 1990: a domanda del
pubblico ministero se egli già conoscesse la villa di
Casamarciano dove l'ALFIERI lo aveva invitato per l'incontro
con i MAZZELLA, il teste risponde:
  "Sì, la conoscevo, come la conoscono tutti. Peraltro io non
sapevo, né so tuttora, che la villa fosse dell'ALFIERI
(Francesco). Anzi, si dice che sia sua, benché risulti
intestata a tale "o conte" di Visciano, che sarebbe un
prestanome dell'ALFIERI. Anzi, da come si dice in giro, questa
villa sarebbe del noto latitante e pregiudicato Carmine
ALFIERI".
  A domanda del pubblico ministero di quale corrente
democristiana facessero parte lui e gli altri sindaci invitati
presso la villa dell'ALFIERI, il VELOTTI risponde:
"   Facevamo tutti parte della corrente dell'onorevole Antonio
Gava   ".
  Dalla semplice disamina dei contributi probatori inerenti
ai rapporti tra gli amministratori citati e Francesco ALFIERI
nonostante le innumerevoli menzogne e reticenze che costellano
le dichiarazioni assunte, si deducono le seguenti
proposizioni:
  a)    esiste uno stretto rapporto dei reciproco
interesse, su base scambio, tra gli amministratori locali ed i
rappresentanti dell'articolazione imprenditoriale del gruppo
criminale ALFIERI;
  b)    tale rapporto riproduce lo schema tipicamente
mafioso, vede il politico in posizione di apparente
subalternità ("don Ciccio" ALFIERI organizza l'incontro;
convoca gli amministratori; colloquia telefonicamente con loro
in tono garbato ma autorevole; afferma che sono i politici ad
avere bisogno di lui, non viceversa), ma che è nella sostanza
perfettamente paritetico, posto che l'organizzazione criminale
non potrebbe perseguire i propri obiettivi affaristici senza
la sponda dei pubblici amministratori collusi;
                         Pag.20
  c)    gli amministratori ed esponenti politici
democristiani, che risultavano in evidente rapporto collusivo
con gli ALFIERI avevano - ad eccezione, per quanto asserisce,
dell'ALTERIO - quale referente politico il senatore Antonio
Gava.
  Ed è estremamente significativa sul punto la vicenda di
Mario Sangiovanni, indotto, come si vedrà più avanti, dagli
"amici" tra cui Pasquale Galasso, a schierarsi con Gava, così
divenendo sindaco di Poggiomarino.
  2)    L'indagine che muove dalle dichiarazioni di
Pasquale Galasso si innesta sull'ampio tema probatorio sopra
definito e ne costituisce il naturale sviluppo.
  Va subito detto, e rimarcato, che il Galasso afferma di
conoscere personalmente    tutti i soggetti coinvolti a
vario titolo nelle sue propalazioni ivi compresi i
parlamentari in oggetto. Le vicende da lui narrate gli sono
note, a quanto afferma, in buona parte perché direttamente da
lui vissute o, in taluni casi, perché a lui rivelate da
Carmine Alfieri.
  Il contributo della collaborazione finora resa dal Galasso
al tema di indagine indicato si articola, allo stato,    su
due vicende fondamentali:
  a)    le conseguenze del sequestro e della liberazione
di Ciro CIRILLO sul rapporto camorra-affari-politica;
  b)    la gestione politico-mafiosa degli appalti della
ricostruzione.
  Le indicazioni che il Galasso fornisce sul sequestro
Cirillo costituiscono, nel suo racconto, la premessa alla
confessione dell'omicidio di Vincenzo Casillo.
  In sintesi, e rinviando al capitolo seguente una più
completa esposizione della versione resa dal dichiarante, il
Galasso sostiene:
  che, durante il sequestro del Cirillo, egli fu contattato
da Raffaele Boccia che, a nome di Antonio Gava, gli chiese che
lui e Carmine Alfieri intervenissero per liberare il Cirillo;
  che l'Alfieri, cui egli aveva comunicato la richiesta del
Gava, preferì rimanere estraneo alla faccenda, non intendendo
farsi strumentalizzare dai politici (si tratta della stessa
concezione del rapporto con i politici già espressa nel suo
interrogatorio da Francesco ALFIERI);
  che, dopo il diniego dell'Alfieri, egli era venuto a sapere
che della "questione Cirillo" era stato interessato Raffaele
Cutolo;
  che la successiva liberazione del Cirillo aveva generato in
lui e nell'Alfieri, ben consapevole che essa era avvenuta per
l'intervento del Cutolo, il timore che quest'ultimo avesse
rafforzato il proprio sodalizio con l'onorevole Gava, e che da
ciò potesse derivare la scarcerazione del Cutolo per
interessamento dei politici;
  che i Gava (padre e figlio) erano notoriamente legati al
vecchio Alfonso Rosanova, a sua volta "padre spirituale" del
Cutolo e che era stato la vera "mente" della liberazione di
Cirillo, sicché il Rosanova costituiva, nell'ottica di Alfieri
e Galasso, il punto di saldatura tra i Gava e Cutolo;
  che, dopo la liberazione del Cirillo, Cutolo aveva
incominciato a ricattare i Gava, pretendendo il rispetto dei
patti e minacciando di far scoppiare, con rivelazioni e
documenti, uno scandalo che avrebbe travolto gli apparati
istituzionali che con lui avevano tramato per la liberazione
dell'ostaggio;
  che, pertanto, i Gava, sentendosi minacciati dal Cutolo, si
erano rivolti ed avevano stretto alleanza con l'unica persona
in grado - avendo già dimostrato di contrastare efficacemente
il Cutolo, e cioè con Carmine Alfieri;
  che l'Alfieri e lo stesso Galasso - cui nel frattempo i
cutoliani avevano ucciso i fratelli - erano autonomi portatori
di un fortissimo movente di vendetta, ed avevano già deciso
eliminare lo stato maggiore cutoliano, e cioè Casillo, Puca e
Di Maio, latitanti e localizzati in Roma dal Galasso;
                         Pag.21
  che l'Alfieri contro le aspirazioni del Galasso (che
avrebbe voluto "sparargli in bocca" personalmente per
vendicare il fratello, dal Casillo personalmente ucciso) aveva
deciso di eliminare il Casillo con un attentato stragista per
far capire al Cutolo che era finito, che non contava più
nulla, e che dunque doveva tacere sul caso Cirillo; e per
dimostrare a tutti di essere diventato il nuovo "referente" di
Gava e degli altri politici a lui legati;
  che della alleanza tra il Gava e l'Alfieri egli aveva avuto
piena conferma negli anni successivi, verificando
personalmente gli strettissimi rapporti intercorrenti tra gli
Alfieri (Carmine e suo cugino Francesco) ed i massimi
esponenti gavianei della zona vesuviana e nolana, tra cui il
Meo, il Riccio, il De Sena e molti altri (pure indicati) di
cui si omette il nome, essendo in corso sul punto indagini;
  che il Cutolo, recepito il messaggio insito nell'omicidio
del Casillo, cercò di trarne profitto facendo circolare, nelle
carceri e fuori, la falsa voce di esserne stato l'autore in
accordo con i servizi di sicurezza;
  che la morte del Casillo e la sconfitta del Cutolo avevano
determinato l'ascesa di Carmine Alfieri che, ormai
incontrastato, era diventato rapidamente il punto di
riferimento in Campania sia delle organizzazioni criminali,
che del ceto imprenditoriale e politico locale.
  Non è questa la sede per esprimere una compiuta valutazione
- che sarebbe comunque prematura - delle dichiarazioni del
Galasso.
  In linea generale si può già, tuttavia, osservare che esse
appaiano intrinsecamente e logicamente coerenti.
  Inoltre, la confessione del delitto Casillo risulta già
convalidata, come si vedrà più avanti, da forti elementi di
oggettivo riscontro.
  Quanto alla vicenda del sequestro Casillo, va preso atto
delle conclusioni in cui pervenne il Tribunale di Napoli con
la sentenza in data 25 ottobre 1989 (doc. n. 4), nel processo
a carico di Cutolo Raffaele ed altri, imputati di estorsione.
  Ma non vanno sottaciuti gli aspetti della vicenda rimasti
irrisolti in quel giudizio, per gli insuperabili ostacoli
frapposti all'accertamento penale, che hanno prodotto un
risultato probatorio dai "contenuti oscuri ed a volte
indecifrabili" (Tribunale di Napoli, sentenza numero 7524 del
25 ottobre 1989, p.185).
  Anche su questi aspetti sarà opportuno tornare nel
prosieguo della trattazione.
  3)    Sul secondo, fondamentale tema della ricostruzione
il Galasso fornisce una chiave di lettura che riconduce ancora
una volta all'intreccio politico-mafioso nella gestione degli
appalti.
  Nell'interrogatorio in data 22 dicembre 1992, richiesto dal
pubblico ministero di spiegare il sistema della spartizione
dei profitti degli appalti tra camorristi, imprenditori e
politici, il Galasso, dopo avere riferito episodi, a suo dire,
esemplificativi di tale sistema, dichiarava:
  "In effetti, com'è chiaro, il rapporto fra i politici e gli
amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i
camorristi da altra ancora, trova una sua completa
realizzazione e totale fusione nel meccanismo degli appalti.
In particolare, per tutto quanto ho potuto constatare di
persona, nel corso della mia attività imprenditoriale e della
mia frequentazione con Carmine Alfieri ed altri camorristi o
imprenditori, mi è risultato evidente che il politico che
gestisce il finanziamento dell'appalto e quindi l'assegnazione
dello stesso o della relativa concessione, fa da mediatore fra
la ditta quasi sempre del settentrione o del centro Italia, di
notevolissime dimensioni, e la camorra. Tale mediazione
avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui
stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione
di sub-appalti a ditte controllate direttamente dalle
organizzazioni camorristiche. Il rapporto diviene più
complesso allorché alla ditta principale vengono affiancate,
in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo
caso avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte
di politici, imprenditori e camorristi
                         Pag.22
direttamente rappresentati, in totale fusione. Comunque, nel
momento in cui la ditta incaricata del lavoro viene in
contatto con il capo camorra che controlla la zona, è tenuta a
versare una tangente anche a lui ed alla sua organizzazione.
Voglio anche far presente che le ditte coinvolte in via
principale nel lavoro pagano la tangente al politico
anticipatamente, mentre le ditte in sub-appalto ovviamente
vengono pagate nel corso dello svolgimento del lavoro. Ciascun
politico d'altra parte ha proprie ditte di fiducia, che
ciascuno di essi convoca allorché si trova nelle condizioni di
forza sufficiente per imporla. Ovviamente, allorché viene
affidato un lavoro ad una determinata ditta, questa paga
tangenti non solo al politico cui deve quell'assegnazione, ma
anche agli altri che controllano politicamente il territorio.
  Domanda:    - con quali modalità le ditte
sub-appaltatrici e la stessa ditta appaltante ricevono
sufficiente liquidità per effettuare tali pagamenti?
  Risposta:    - ciò avviene mediante una
soprafatturazione o falsa fatturazione della ditta appaltante
nei confronti delle ditte appaltatrici, che era in mano alla
prima disponibilità di liquidi in nero. Desidero però anche
far presente che le organizzazioni camorristiche ricevono
ulteriori utilità nell'affare, allorché le ditte
subappaltatrici non siano nella loro materiale disponibilità,
impedendo ulteriori tangenti a tali imprese, che vi
soggiacciono senza alcuna resistenza, perché è solo perché
effettuino quei pagamenti che ricevono quel determinato
sub-appalto. Di fatto poi avviene che tutte le ditte
appaltatrici vengono man mano a cadere, anche quando non lo
siano in partenza ed abbiano solo invece un rapporto di
soggezione, nella totale disponibilità del vertice
dell'organizzazione criminale, attraverso varie modalità, che
vanno dall'intimidazione alla compartecipazione economica e
finanziaria, con tutta la gamma intermedia di possibilità. Al
termine di questo percorso di presa di possesso da parte
dell'organizzazione camorristica sulla singola ditta, si trova
la totale disponibilità della stessa persona fisica
dell'imprenditore da parte del responsabile
dell'organizzazione: ciò ovviamente comprende la disponibilità
da parte di questo dell'intera capacità imprenditoriale e
dell'intero mondo delle relazioni pubbliche dell'imprenditore
caduto il suo dominio. Ciò ancora significa che, allorché ad
esempio Carmine Alfieri ha necessità di stabilire un
collegamento con personalità politiche con le quali quel
rapporto ancora non ha stabilito, utilizza in maniera piena
quegli imprenditori che di volta in volta egli sa esser
referenti e collegati con quelle personalità. Ovviamente, i
titolari di quelle ditte scelgono liberamente, e con
importantissimo tornaconto economico di ritorno, l'inserimento
nell'organizzazione criminale, di cui ovviamente hanno piena
consapevolezza".
  Richiesto dal pubblico ministero, nello stesso
interrogatorio del 22 dicembre 1992, di rendere dichiarazioni
sui rapporti fra persone del mondo politico e Carmine ALFIERI,
se esistenti, il GALASSO forniva una vivida descrizione della
aggressione camorristica ad alcune strutture dei partiti
politici - e quindi all'essenza del sistema democratico -
attraverso collaudati meccanismi di interazione tra esponenti
politici collusi ed organizzazioni criminali di controllo del
territorio e del consenso elettorale.
  Il particolare, il GALASSO riferiva quanto segue:
  "tali rapporti esistono e vi sono coinvolte numerosissime
personalità del mondo politico. Fra queste la più importante
figura è sicuramente quella del senatore Antonio Gava. Questi
(a sua domanda, non so dire se conosca personalmente Alfieri,
ma ritengo che sicuramente lo abbia incontrato in anni
lontani) ha sul territorio della Campania una serie di
riferimenti fedelissimi che gestiscono i suoi interessi
politici sulle varie realtà sociali. Fra questi, ricordo
l'architetto Meo su Nola, Ciccio Catapano ed il figlio
Pasquale su S. Giuseppe Vesuviano, dottor Liguori su
Poggiomarino (ma più fidato di questo,
                         Pag.23
Achille Marciano), Raffaele Boccia, di cui ho già parlato,
Giuseppe Caso ed il fratello Romualdo - il primo di essi
finito assassinato (dallo stesso Galasso, come poi confesserà:
n.d.p.m.) - pure a Poggiomarino, l'avvocato (omissis)    di
Pompei, poi allontanatosi; l'avvocato (omissis)    e
l'ingegner (omissis)    pure di Poggiomarino, il sindaco
Casillo su Terzigno se ben ricordo, i fratelli Riccio di S.
Paolo Belsito, (omissis) di Palma Campania,    (omissis)
di S. Antonio A; ecc. Di fatto tutte queste persone o quasi
tutte erano altresì in strettissimo rapporto con Carmine
Alfieri, e gli assicuravano sia una potentissima base
elettorale (passata all'onorevole Vito in queste ultime
elezioni) ed anche una solidissima ed efficiente cerniera per
la gestione di quel meccanismo di appalti e sub-appalti di cui
ho parlato. Ed in particolare passando ad un esame più
dettagliato dei fatti, posso far riferimento a tutto quanto ho
già detto per una sintomatica vicenda relativa all'acquisto di
un suolo in Nola con la mediazione dell'architetto Meo. So
inoltre che il Catapano Francesco è vecchissimo amico di
Carmine Alfieri, in quanto in passato ha abitato per molti
anni, o accanto o addirittura nello stesso edificio in cui
Carmine Alfieri aveva il suo mobilificio in S. Giuseppe
Vesuviano. Successivamente, invecchiato questi, il suo potere
nella gestione degli appalti è passato al figlio Pasquale,
presidente della USL del luogo. E' fin troppo ovvio che, al
momento delle elezioni, questi rapporti privilegiati fra la
rete politica elettorale di un uomo politico e
l'organizzazione criminale si trasformava in appoggio sul
voto. E il meccanismo era lo stesso già così ben sperimentato
nel settore degli appalti e i sub-appalti, sicché i pacchetti
di voti di notevolissima consistenza che l'organizzazione
criminale era in condizione di gestire, veniva divisa a
tavolino fra i vari partiti politici e, al loro interno, fra i
rappresentanti di fiducia dell'organizzazione. Nelle ultime
elezioni ad esempio è sorto qualche contrasto in
quest'organizzazione perché Alfieri ha dovuto suddividere (con
il Cesarano e gli altri affiliati) i suoi voti nell'intera
Campania fra la DC ed il PSI, come in seguito dirò. Per questo
l'intero pacchetto dei voti controllati dal Gava attraverso
l'Alfieri non passò per intero all'onorevole Vito, ma fu
riversato anche su alcuni esponenti socialisti, quali
l'onorevole Mastrantuono (omissis)   ".
  Il concetto di identificazione di molti degli
amministratori ed esponenti politici, indicati come "uomini di
GAVA e uomini di ALFIERI", viene dal dichiarante desunto alla
stregua di vicende personalmente vissute.
  Infatti il GALASSO ha attivamente partecipato anche alla
vita politica locale nel partito democristiano ed era quindi,
egli stesso, uomo di ALFIERI e sostenitore politico del
senatore GAVA.
  La compiuta verifica, in verità già positiva per taluni
casi (MEO, RICCIO, DE SENA, LIGUORI, CATAPANO, MARCIANO,
CASILLO, in attesa di ulteriori riscontri) della
corrispondenza di tale concetto alla realtà dei fatti
rappresenta uno dei punti nodali dell'indagine in corso.
                       Capitolo IV
                       LA POSIZIONE
                DEL SENATORE ANTONIO GAVA
  1)    Il senatore GAVA, alla stregua delle prime
acquisizioni di indagine, si pone in posizione centrale nel
sistema di cointeressenze politico-mafiose già evidenziato.
  E qui va subito detto, a chiare lettere, che occorre tenere
ben netta la distinzione tra responsabilità politica e
responsabilità penale: la prima esula dal campo di valutazione
giudiziario; la seconda è strettamente personale.
  Ne consegue che l'oggetto della presente indagine, ancora
tutta da sviluppare ed approfondire, non sono le scelte
politiche in sé e neppure il mero fatto che il senatore GAVA
abbia potuto beneficiare dell'appoggio elettorale della
camorra, bensì la verifica dell'esistenza di un patto di mutua
solidarietà che avrebbe portato il senatore GAVA a porre in
essere condotte
                         Pag.24
funzionali agli interessi dell'organizzazione mafiosa, in
cambio del sostegno politico di questa e contro gli interessi
della collettività. In una parola, a costituirsi come il
principale, ma non unico, referente attivo della camorra
nolana e vesuviana.
  Questa ipotesi appare allo stato sorretta da un materiale
probatorio univoco, che appare maggiormente garantito dalla
eterogeneità delle fonti di prova e dalla conseguente
riduzione del rischio di inquinamenti.
  L'oggetto dell'indagine, come si è detto, si articola su
due vicende fondamentali: costituite l'una dalle conseguenze
del sequestro Cirillo, l'altra dalla immedesimazione tra
numerosi amministratori locali e componenti dell'associazione
camorristica facente capo all'Alfieri.
  2) Nella esposizione degli elementi costituenti il
"thema probandum"    è opportuno partire dalla vicenda del
sequestro CIRILLO e dell'omicidio CASILLO, non perché questa
sia la prima volta che il nome del senatore GAVA emerge
nell'indagine, ma poiché tale vicenda rappresenta, allo stato,
il presupposto storico, logico e giuridico della stessa
indagine sul conto del parlamentare.
  Ed ecco il racconto del GALASSO nell'interrogatorio del 12
marzo 1993 reso a questo pubblico ministero presso la casa
circondariale di Biella:
  "A questo punto, dopo avere a lungo riflettuto, dichiaro
che intendo confessare nei particolari l'omicidio di Vincenzo
Casillo ed il ferimento di Cuomo.
  Rendo tale dichiarazione, consapevole dei rischi a cui mi
espongo, ma ritengo necessario farlo per dimostrarvi la
sincerità della mia collaborazione ed il livello della stessa,
soprattutto con riferimento al coinvolgimento di esponenti
politici legati ad Alfieri.
  Dobbiamo partire dal sequestro di Ciro Cirillo avvenuto, se
ben ricordo, nella primavera del 1981 e, quindi prima
dell'omicidio di Salvatore Alfieri.
  Durante il sequestro Cirillo, l'onorevole Antonio Gava mi
fece contattare da Raffaele Boccia, suo fedelissimo
rappresentante in Poggiomarino, e mi fece chiedere dal Boccia
se io e gli Alfieri potevamo fare qualcosa per liberare
Cirillo. Più precisamente, secondo il Gava, io dovevo
interpellare gli Alfieri allo scopo di intervenire per
Cirillo.
  Il Boccia mi disse che Gava gli aveva promesso la
candidatura alle elezioni politiche alla Camera, candidatura
alla quale egli già da tempo aspirava; sicché lo stesso Boccia
teneva moltissimo ad ottenere l'interessamento di Alfieri per
Cirillo poiché ciò avrebbe rafforzato la possibilità che il
Gava lo appoggiasse alle elezioni.
  ADR: Non credo che Gava, in quella circostanza, fece
contattare soltanto me. Certamente anche altri malavitosi
furono contattati allo stesso scopo. Peraltro io sapevo che
anche l'onorevole Vincenzo Scotti si stava interessando
assieme a Gava per la liberazione di Cirillo.
  ADR: Non so se l'onorevole Scotti avesse, a tale scopo,
contattato direttamente personaggi della malavita. Certo è che
Gava e Scotti erano notoriamente coloro che, in quel periodo,
si stavano muovendo più attivamente di tutti per liberare
Cirillo.
  Appena ricevuto il messaggio di Gava ne parlai con Carmine
Alfieri. L'Alfieri mi disse che dovevamo rimanere estranei a
quella faccenda. Carmine Alfieri, per sua struttura mentale e
strategia criminale, ha sempre evitato di farsi
strumentalizzare dai politici, e ha sempre inteso utilizzare
lui i politici per i propri scopi.
  ADR: Ho incontrato personalmente più volte l'onorevole Gava
in Poggiomarino, sia nella sede della D.C., in occasione di
visite del parlamentare, sia a casa di Francesco Liguori,
sindaco gavianeo di Poggiomarino, eletto poi nel 1975
consigliere provinciale. Non ho mai chiesto piaceri
all'onorevole Gava. Se avevo bisogno di qualcosa preferivo
rivolgermi al Liguori. Ad esempio, nel 1980 se ben ricordo,
incontrai a casa del Liguori il senatore Francesco Patriarca
ed (omissis)    affinché si interessassero per problemi
inerenti alla sorveglianza speciale cui ero sottoposto. Non
ricordo se poi ottenni il favore
                         Pag.25
richiesto, anche perché poco dopo quell'incontro mi resi
latitante perché colpito da mandato di cattura.
  Tornando al sequestro Cirillo, dopo il diniego di Alfieri
ad interessarci della questione, venimmo a sapere che della
stessa era stato interessato Raffaele Cutolo. Allorché il
Cirillo venne liberato, essendo noi ben consapevoli che la
liberazione era avvenuta per l'intervento di Cutolo, tememmo
che quest'ultimo avesse rafforzato il proprio sodalizio con
l'onorevole Gava e con l'onorevole Scotti. Preciso a questo
punto che anche il senatore Silvio Gava era stato notoriamente
interessato alla liberazione di Cirillo. Tememmo che dal
legame stretto tra il Cutolo Raffaele ed esponenti politici di
tale livello potesse derivare la scarcerazione del Cutolo per
interessamento degli stessi politici. Voglio aggiungere un
altro particolare che ritengo importante. I Gava, padre e
figlio, erano notoriamente legati al vecchio Alfonso Rosanova
ed ai suoi fratelli soprannominati "i tre grani". Alfonso
Rosanova, a sua volta, era il padre spirituale di Raffaele
Cutolo fin dalla gioventù di quest'ultimo. Noi sapevamo che
proprio Alfonso Rosanova era stato la mente della liberazione
di Ciro Cirillo. Ciò confermò la saldatura del legame tra i
Gava e Cutolo.
  Peraltro il Cutolo già aveva dato segnali di forza con
l'omicidio di Francesco Fabbrocino e con l'attentato a Mario
Fabbrocino.
  Avvennero poi i fatti delittuosi che ho già riferito,
culminati con gli omicidi di Salvatore Alfieri e di mio
fratello Nino. L'omicidio di Salvatore Alfieri fu il segnale
che ormai Cutolo non si sarebbe fermato più, sentendosi le
spalle coperte dai politici e dai servizi segreti che erano
entrati nell'affare Cirillo.
  Intendo chiarire a questo punto che Cutolo, senza siffatta
copertura, non si sarebbe mai sognato di attentare ad un
Alfieri, essendo consapevole che ciò lo avrebbe portato ad uno
scontro frontale con tutti i malavitosi della Campania.
D'altra parte già l'omicidio di Francesco Fabbrocino era stato
un segnale molto forte delle intenzioni di Cutolo.
  Come ho già detto ieri, dopo l'omicidio di mio fratello
Nino io mi determinai a vendicarne la morte e cominciai a dare
la caccia ai cutoliani. In particolare venni a sapere che
Vincenzo Casillo, Cuomo, Puca Giuseppe, detto "o giappone", Di
Maio Salvatore, Giuseppe Rizzo, Guido Rizzo, Rolando Tortora,
Rosetta Cutolo, Pasquale Scotti e Luigi Rosanova si erano
trasferiti a Roma e gestivano tutte le attività illecite dei
cutoliani nella capitale. In particolare essi operavano nella
zona di Fiumicino e presso l'ippodromo di Tor di Valle. Del
gruppo faceva parte anche la madre dei fratelli Rizzo,
convivente di Rolando Tortora, il cui cognome era Di Maio (ma
non era parente di Salvatore Di Maio). Su Roma gravitavano
pure i fratelli Catapano. Insomma, dopo il sequestro Cirillo,
tutto il gruppo dirigente cutoliano si era trasferito a Roma
al seguito di Vincenzo Casillo.
  La prima informazione circa la presenza in Roma di questo
gruppo mi fu data da (omissis).
  Come ho già riferito, in quel tempo io risiedevo a Roma ed
avevo colà trasferito la mia famiglia. Apprese da
(omissis)    le notizie sulla presenza dei cutoliani a
Roma, per prima cosa mi preoccupai di assicurarmi la fedeltà
di (omissis)    nel senso che volevo essere sicuro che non
mi avrebbe venduto ai cutoliani. Il (omissis)    mi giurò
che sarebbe stato sempre dalla mia parte. A quel punto gli
rivelai la mia determinazione di uccidere uno alla volta tutti
i cutoliani di Roma.
  Un giorno (omissis) mi accompagnò a Tor di Valle dove
vidi Rolando Tortora. Ero armato di quattro pistole ed avrei
potuto ucciderlo, ma non lo feci perché volevo prima eliminare
le menti del gruppo e solo successivamente i gregari, come il
Rolando Tortora.
  I miei obiettivi primari erano Casillo, Cuomo, Puca e Di
Maio.
  Il (omissis)    mi fece anche vedere una tenuta
nobiliare, sita sulla via (omissis).
  Il (omissis)    mi disse che in questa tenuta, dove
c'era anche un maneggio per cavalli, si era rifugiata Rosetta
Cutolo con tutto lo staff    cutoliano.
                         Pag.26
  Un altro appartamento in disponibilità del gruppo cutoliano
era sito in via (omissis). Non ricordo se ne disponevano
i figli di Rosanova oppure Rolando Tortora con la Di Maio.
  Un altro appoggio logistico dei cutoliani era situato in
via (omissis)   . Qui faceva base in particolare Vincenzo
Casillo con i suoi accoliti. (omissis)    venne poi
condannato come appartenente alla N.C.O. e attualmente mi
risulta che egli è estraneo ad ogni attività criminale".
  "Sempre il (omissis) mi informò che Vincenzo Casillo
era in stretto rapporto con esponenti dei servizi segreti (non
mi fece nomi di funzionari dei servizi) e che girava con un
documento di identità falso intestato all'avvocato Luigi
Riccio, da San Vitaliano, suo parente.
  (omissis) Mentre, assieme al (omissis)   ,
aspettavo il momento opportuno per colpire i miei obiettivi,
il capitano Niglio (all'epoca comandante della Compagnia di
Nocera Inferiore) arrestò Salvatore Di Maio tra Latina e Roma.
A quel punto Vincenzo Casillo cominciò a sentire intorno a sé
la pressione dei carabinieri e chiese al (omissis)   , con
il quale era nel frattempo entrato in rapporto confidenziale,
di procurargli altre due o tre abitazioni dove sistemarsi con
il gruppo cutoliano (evidentemente temendo che le basi
logistiche di cui ho parlato fossero state localizzate dai
carabinieri). Il (omissis)    mi riferì di questa richiesta
del Casillo ed io intuii che quella era per me l'occasione che
aspettavo. Infatti, il (omissis)    mise subito a
disposizione dei cutoliani un proprio appartamento,
(omissis)    dove si sistemò Giuseppe Puca, con la moglie
ed alcuni suoi accoliti di S. Antimo".
  "Il (omissis)    era poi in trattative per l'acquisto di
un appartamento a Primavalle, non lontano da    (omissis).
Io mi inserii e detti al (omissis)    cento-centoventi
milioni per l'acquisto di quell'appartamento. In quest'ultimo
si sistemarono Vincenzo Casillo, con la sua convivente,
soprannominata "Baby Doll", ed il Cuomo.
  Il (omissis)   , in quel periodo, mi informava che il
Casillo teneva contatti e si incontrava talora anche con
esponenti politici, primo fra tutti l'onorevole Antonio Gava.
  In occasione di una mia convocazione a Piazzolla di Nola da
parte di Carmine Alfieri, che il quel periodo incontravo
raramente, comunicai all'Alfieri che avevo ormai in pugno
Vincenzo Casillo e gli altri cutoliani. Carmine Alfieri si
mostrò sulle prime incredulo ed io faticai a convincerlo. Alla
fine l'Alfieri, convintosi, ordinò ai suoi più fidati
(omissis)    di accompagnarmi a Roma per dimostrare a
(omissis), della cui fedeltà Carmine ancora diffidava,
che a fianco a me c'era tutta l'organizzazione. Il gruppo
contattò il (omissis) e fece poi sapere a Carmine
Alfieri che ci si poteva fidare di costui. A quel punto
l'Alfieri dispose che tutto il gruppo che ho già nominato
(omissis)    si concentrasse a Roma con le armi per
procedere alla esecuzione degli attentati. Lo stesso Alfieri
aveva peraltro condiviso la mia idea e cioé che bastava
eliminare Casillo, Cuomo, Puca e Di Maio per farla finita con
Cutolo.
  Ci concentrammo quindi a Roma e facemmo base in un cantiere
edile di proprietà del (omissis) a    (omissis).
Perdemmo alcuni mesi per localizzare i nostri obiettivi,
che si spostavano con grande facilità tanto da vanificare le
soffiate che ci dava il (omissis)    (ad un certo punto
dubitammo anche che il (omissis)    facesse il doppio
gioco). Io avevo sempre con me una valigetta ventiquattro ore
con le mie pistole. Disponevamo anche di bombe a mano e di
fucili. L'occasione propizia però non arrivava.
  In quel periodo il (omissis)    si incontrò a Roma con
(omissis). Costui ci dette anche più di un appoggio
logistico (ad esempio, ci fece ospitare per un periodo in
(omissis).    Per amor del vero, devo dire che il
(omissis)    non era a conoscenza dei nostri obiettivi ed
anzi era stato volutamente depistato dal (omissis)    il
quale gli aveva fatto intendere che eravamo a Roma per
effettuare una grossa rapina o un sequestro di persona. Ciò
perché l'Alfieri non si fidava del (omissis).
                         omissis
                         Pag.27
  Intanto, Carmine Alfieri cominciò ad innervosirsi perché
vedeva che tardavamo a passare all'azione contro i cutoliani.
Un giorno Carmine Alfieri venne a Roma, accompagnato da
Antonio Malvento, per rendersi conto della situazione e per
"caricare" sia noi suoi adepti che il (omissis),    al
quale promise mari e monti se ci avesse messi in condizione di
realizzare i nostri scopi.
  Giunti verso la fine del 1982, il (omissis)    consegnò
al Casillo l'appartamento di Primavalle acquistato con i miei
soldi.
  Noi cominciammo a studiare il modo di colpire
contemporaneamente il Puca ed il Casillo, di cui ormai avevamo
sotto tiro le abitazioni. Un giorno l'Alfieri ci convocò tutti
a Piazzolla di Nola, dopo averci raccomandato di incaricare il
(omissis) di tenere sotto controllo gli obiettivi. Nel
corso dell'incontro con Alfieri io dissi che potevamo
senz'altro passare all'azione. A quel punto l'Alfieri assunse
una posizione che mi lasciò perplesso e delle cui reali
motivazioni solo successivamente mi resi conto. Mentre io
dicevo che eravamo pronti ad agire, l'Alfieri - che fino a
poco tempo prima ci aveva incalzati al punto di venire
personalmente a Roma - assunse inaspettatamente un
atteggiamento temporeggiatore e di assoluta tranquillità. Ci
disse in sostanza di stare tranquilli e di studiare con calma
il modo migliore per agire. Dopo due o tre giorni appresi
dall'Alfieri che (omissis)    erano stati arrestati, per
una rissa in discoteca, a Torino dove si erano recati per
procurare un congegno esplosivo con telecomando per
l'esecuzione degli attentati. Grande fu la mia sorpresa di
fronte al proposito di Alfieri di effettuare gli attentati in
modo così eclatante; ne riportai anche motivo di personale
disappunto perché volevo avere la soddisfazione di "sparare in
bocca" agli assassini di mio fratello.
  Incominciai allora a capire la sottile strategia politica
che aveva indotto Alfieri a scegliere una azione così
eclatante e tale da rischiare una strage di innocenti. In quel
momento noi sapevamo che i Gava erano pressati dalle richieste
di Raffaele Cutolo, che pretendeva il rispetto dei patti
stretti per la liberazione di Ciro Cirillo e minacciava di far
scoppiare uno scandalo che avrebbe travolto gli apparati
istituzionali che con lui avevano tramato per la liberazione
di Cirillo. Quindi, evidentemente, i Gava, sentendosi
minacciati dal Cutolo, si erano rivolti ed avevano stretto
alleanza con l'unica persona che potesse in quel momento
contrastare efficacemente il Cutolo. Questa persona era
Carmine Alfieri.
  Di questa mia intuizione ebbi poi piena conferma negli anni
successivi allorché verificai personalmente (come già in parte
ho riferito) gli strettissimi rapporti intercorrenti tra gli
Alfieri, Carmine e suo cugino Francesco, ed i massimi
esponenti gavianei della zona vesuviana e nolana: Vincenzo
Meo, Riccio Luigi e suo fratello, il generale Mario De Sena,
Catapano Pasquale (presidente dell'USL di San Giuseppe
Vesuviano), (omissis) e Giuseppe D'Antuono (già sindaco
di San Antonio Abate), nonché (omissis): Tutti costoro
erano e sono contemporaneamente uomini di Gava e uomini di
Carmine Alfieri. Ciò mi riservo di dimostrare
compiutamente, avendovi del resto già reso dettagliate
dichiarazioni sul conto del Meo e del (omissis).
  Torniamo al delitto Casillo. Capii, dunque, che l'Alfieri
aveva deciso di usare l'esplosivo per lanciare a Cutolo, in
nome e per conto degli apparati istituzionali a lui legati, un
ultimo messaggio: "non sei più nessuno, sei finito, è meglio
che ti stai zitto".
  Noi sapevamo che Cutolo era effettivamente in possesso di
prove documentali con le quali avrebbe dimostrato la trama
perversa che era stata ordita per la liberazione di Cirillo.
L'obiettivo dell'azione con la bomba era dunque quello di
convincere Cutolo a tacere per sempre ed a non tirare fuori i
documenti, così come sembrava deciso a fare. Al tempo stesso
con quell'azione eclatante, Carmine Alfieri avrebbe dimostrato
a tutti di essere il nuovo referente di Gava e degli altri
politici a lui legati.
  Ricordo bene che Alfieri ci disse di essere certo che
Cutolo, con la morte di Casillo, avrebbe capito di essere
finito.
                         Pag.28
  (omissis)    vennero scarcerati dopo pochi giorni e
portarono a Piazzolla il congegno a telecomando, che si erano
procurati a Torino presso un mafioso siciliano. ADR: non so il
nome di questo siciliano, ma so che era paralitico, a seguito
di attentato, e che si trovava a Torino in soggiorno
obbligato. Dopo l'omicidio di Casillo questo siciliano venne a
visitare Carmine Alfieri, accompagnato da (omissis)    che
erano andati a prelevarlo appositamente a Torino.
  Ricevuto il congegno elettronico a telecomando, si pose il
problema di reperire un tecnico di fiducia che fosse in grado
di farlo funzionare. L'impresa non era facile perché occorreva
agire con estrema segretezza. Carmine Alfieri ci raccomandò di
non parlare di nulla nemmeno con i nostri congiunti.
(omissis:    vi è qui la spiegazione di come e da chi sia
stata organizzata la parte "militare" dell'attentato:
n.d.p.m.)
  Il (omissis)    doveva mostrare loro l'autovettura Golf
del Casillo. Quest'autovettura era intestata alla sorella
dell'onorevole Scarlato di Scafati o al suo convivente, ex
fidanzato della figlia. Questo giovane fu ucciso dopo poco
tempo a Scafati da Alfieri e (omissis),    in quanto era un
uomo di Casillo. Devo precisare che la sorella di Scarlato ed
il suo convivente erano entrambi legatissimi a Casillo ed alla
sua organizzazione.
  A questo punto premetto che le modalità esecutive
dell'azione contro il Casillo che adesso riferirò furono
raccontate a me e all'Alfieri dagli autori materiali del
delitto appena rientrarono a Piazzolla. (omissis:    qui
avviene il dettagliato racconto della fase esecutiva del
delitto: n.d.p.m.).
  Questa ragazza sarà poi uccisa, su ordine di Cutolo, da
Pasquale Scotti e da Mauro Marra in Casoria. Lo stesso Marra,
dopo avere iniziato a collaborare con la giustizia, ne fece
trovare il cadavere sotterrato e coperto dalla calce. La
ragazza, che era una spogliarellista francese, fu fatta
uccidere da Cutolo. Il Cutolo, avendo recepito il messaggio a
lui diretto con l'omicidio del Casillo, dette ordine a
Pasquale Scotti di uccidere la ragazza temendo che avesse
potuto rivelare confidenze fattele dal Casillo in merito alla
vicenda Cirillo.
  Su questo episodio so che già Mauro Marra ha reso
dichiarazioni e potrete quindi verificare con il Marra se è
vera la causale dell'omicidio della ragazza, causale che
peraltro a noi già risultava prima che il Marra si pentisse
(doc. n. 5).
  Dopo che il Casillo ed il Cuomo presero posto
sull'autovettura e si avviarono, (omissis)    entrò in
azione con il telecomando. Ebbe però qualche difficoltà a far
esplodere l'ordigno.
  Dovette azionare ripetutamente il telecomando prima che
l'autovettura esplodesse, avvicinandosi progressivamente
all'autovettura stessa fino a trovarsi a poche decine di metri
dal mezzo quando finalmente la bomba esplose.
  Il Cuomo si salvò proprio perché, essendosi accorto della
presenza del Ruocco, tentò di buttarsi fuori dalla macchina,
rimettendoci nell'esplosione soltanto le gambe.
  Ricordo che immediatamente i mezzi di diffusione dettero la
notizia che a Roma era saltata in aria un'autovettura, con due
persone non identificate a bordo, mentre trasportavano una
bomba.
  Io, l'Alfieri e (omissis),    stando assieme,
apprendemmo tale notizia e tememmo che potessero essere
saltati in aria (omissis)    mentre trasportavano
l'ordigno. Ci rassicurammo solo quando vedemmo arrivare a
Piazzolla (omissis)    e gli altri quattro, i quali ci
comunicarono che Casillo era "zompato".
  Che io ricordi quella fu l'unica volta che commentammo un
delitto con euforia. Alfieri abbracciò (omissis)
complimentandosi con lui per il coraggio dimostrato. So che
poi gli regalò un orologio Rolex.
  Dopo l'omicidio del Casillo Raffaele Cutolo cercò di
strumentalizzare il fatto a proprio vantaggio facendo
circolare, nelle carceri, la voce che era stato lui, con i
servizi segreti, a far saltare per aria Casillo il quale lo
aveva tradito e si era preso, tra l'altro, il denaro del
riscatto del Cirillo, contro la sua volontà.
  Con questa falsa notizia il Cutolo sperava di far intendere
ai suoi di non essere stato sconfitto e di avere ancora in
pugno la propria organizzazione. Ottenne invece
                         Pag.29
l'effetto contrario, perché proprio da quel momento alcuni
suoi fedelissimi, come Salvatore Di Maio, Puca Giuseppe ed
altri, si "girarono" verso di noi e verso Bardellino. Anche in
conseguenza di questo fatto si moltiplicarono i pentiti della
N.C.O.
  La morte del Casillo e la sconfitta definitiva del Cutolo
determinarono l'ascesa di Carmine Alfieri che, ormai
incontrastato, diventò rapidamente il punto di riferimento in
Campania sia delle organizzazioni criminali, che del ceto
imprenditoriale e politico locale.
  Tutti i vecchi gruppi cutoliani (Maiale di Eboli, Forte di
Baronissi, Salvatore di Maio di Nocera Inferiore, Pepe Mario
di Salerno, i fratelli Marinelli di Avellino, Graziano di
Quindici, Maisto di Giugliano ed altri) si avvicinarono alla
nostra organizzazione. Contemporaneamente andò crescendo il
peso politico ed affaristico dell'Alfieri e del suo braccio
destro Antonio Malvento, che acquisì il controllo di tutte le
imprese edili campane, prima legate al Cutolo (prima fra tutte
la Sorrentino), e strinse legami con esponenti politici
locali, fra cui quelli della corrente gavianea cui ho prima
accennato.
  Solo questo reticolo di alleanze e di complicità può
spiegare il motivo della protrazione della latitanza
dell'Alfieri per circa dieci anni".
  Fin qui il racconto del GALASSO sul punto.
  Passando agli elementi di obiettivo riscontro delle
dichiarazioni rese dal GALASSO, non può prescindersi dal
richiamare alcune conclusioni cui, relativamente alla
trattativa per il rilascio di Ciro CIRILLO, è pervenuto il
Tribunale di Napoli nella ricordata sentenza contro CUTOLO
Raffaele ed altri, imputati di estorsione ed altro.
  Ebbene il Tribunale, pur assolvendo il CUTOLO, lo IACOLARE
ed il MADONNA perché il fatto non sussiste, dalla imputazione
di estorsione consumata (e quindi escludendo la trattativa e
l'accordo tra CUTOLO e la DC) ha affermato testualmente che:
  "Il quadro complessivo degli elementi di fatto converge
obiettivamente ed univocamente, in modo armonico, verso una
sola possibile conclusione: attraverso il contatto con il
detenuto CUTOLO Raffaele, capo della potente organizzazione
camorristica denominata N.C.O., i servizi di sicurezza (salvo
meglio specificare in seguito ruoli e responsabilità dei
medesimi) non posero le basi per attività informative volte a
ricercare nell'ambiente della delinquenza comune le notizie
utili alla scoperta della ubicazione della prigione del
CIRILLO, ma viceversa crearono solo le premesse per lo
svolgimento di una trattativa tendente a conseguire la
liberazione dell'esponente politico democristiano attraverso
la mediazione, nel rapporto Stato-B.R., di un pericolosissimo
potere criminale". E conclude: "Una siffatta ricostruzione
storica degli eventi svoltisi tra il 27 aprile 1981 ed il 24
luglio 1981 è autorizzata da una serie imponente di elementi,
tutti obiettivamente convergenti in tale direzione" (pag.
297-298).
  Ai fini della presente trattazione va ricordato che altri
fatti "incontestabilmente provati" sono stati ritenuti dal
Tribunale le visite fatte al CUTOLO dai camorristi CASILLO e
IACOLARE nel carcere di Palmi e quelle effettuate, senza
accompagnamento da parte dei servizi di sicurezza, dal GRANATA
e dal CASILLO nella casa circondariale di Ascoli Piceno (p.
270).
  Quanto, in particolare, alle visite al CUTOLO da parte di
Giuliano Granata - all'epoca sindaco gavianeo di Giugliano e
segretario particolare del CIRILLO - il Tribunale (non senza
aver rimarcato le "incongruenze logiche" delle giustificazioni
fornite dal GRANATA per tali visite), osserva che "resta,
dunque in piedi l'ipotesi (che esse) si inserissero
armonicamente nel contesto dell'iniziativa attuata dal SISMI
per pervenire alla liberazione dell'esponente politico
democristiano.... così come, peraltro, non può assolutamente
escludersi che le stesse avessero invece il senso di una
azione autonoma condotta dalla N.C.O., con l'apporto e
l'appoggio del GRANATA medesimo, in forza del canale ormai
loro aperto, a livello ministeriale ed a livello di direzione
                         Pag.30
della casa circondariale di Ascoli Piceno, che consentiva un
incontestabile agevole accesso in siffatto penitenziario per
colloqui informativi e strategici con il capo della N.C.O.
(pag. 275).
  Le conclusioni cui perviene il Tribunale in ordine alla
ipotizzata "trattativa" sono poi le seguenti:
  "a)    in occasione del sequestro di persona
dell'assessore regionale Ciro CIRILLO    vi fu un intervento
attivo dell'organizzazione cutoliana,    espressamente
sollecitato dai servizi di sicurezza, in funzione della
possibile liberazione dell'esponente democristiano;
  b)    tale intervento non si inserì affatto all'interno
di una indagine informativa mirante ad acquisire notizie utili
alla ubicazione della prigione dell'ostaggio ed alla cattura
dei sequestratori, ma si atteggiò come ricerca di una
trattativa con la colonna napoletana delle B.R;
  c)    la scelta di una siffatta metodologia di
intervento da parte dei servizi di sicurezza, oltre ad essere
in contrasto con le finalità istituzionali degli stessi,
comportò l'assurdo ed inaccettabile riconoscimento di un
efferato potere criminale quale mediatore nel rapporto tra lo
Stato e l'organizzazione terroristica Brigate Rosse;
  d) l'intervento operativo della N.C.O. non raggiunse
mai il livello della effettiva e concreta mediazione tra lo
Stato e la colonna napoletana delle B.R., e dunque, non ebbe
alcuna sostanziale incidenza causale sulla gestione del
sequestro da parte del gruppo terroristico";
  e) i patti stipulati tra il CUTOLO ed i servizi
di sicurezza nell'ambito della trattativa.... non possono...
integrare il reato di estorsione consumata o tentata". (pag.
499-500)".
  Integravano bensì, secondo il Tribunale, il reato di
estorsione tentata a carico del CUTOLO, del MADONNA, dello
IACOLARE e del PANDICO (capo C della rubrica) i tentativi di
costoro di procurarsi un profitto ingiusto, consistente in
denaro, favori giudiziari ed altro, attraverso la minaccia di
uno scandalo politico, attuata con la pubblicazione di
articoli di stampa che riferivano - prendendo spunto da un
falso rapporto di polizia giudiziaria da loro indicato e fatto
pervenire alla redazione del quotidiano L'Unità    - che
erano state compiute da esponenti politici della DC
irregolarità ed immoralità per ottenere la liberazione di Ciro
CIRILLO.
  Fatti avvenuti tra l'autunno 1981 ed il marzo 1982.
  Sul punto osserva e conclude il tribunale:
  "Dunque, promesse formulate ad Ascoli Piceno in occasione
delle trattative per la liberazione del CIRILLO,
individuazione nella DC dell'interlocutore principale di tali
intese, pretese inadempienze del partito nel rispetto degli
impegni assunti; tutti questi elementi, coerentemente
combinati tra loro, non possono non esplicitare le motivazioni
alla base della condotta estorsiva attuata dal CUTOLO e
completare, anche sotto il profilo delle causali, il quadro
complessivo delle responsabilità dell'imputato" (pag. 567).
  Da tali azioni ricattatorie del CUTOLO sarebbe derivata per
il senatore GAVA, secondo il GALASSO, l'esigenza di rivolgersi
all'ALFIERI.
                           ***
  La confessione del GALASSO in ordine al delitto CASILLO
risulta già riscontrata negli atti del procedimento penale
celebratosi dinanzi alla Corte di assise di Roma. Con la
sentenza del 4 febbraio 1989, divenuta irrevocabile, la Corte
ha assolto Raffaele CUTOLO, Rosetta CUTOLO e Giuseppe PUCA
dall'accusa di strage, per non aver commesso il fatto.
  Dagli atti del procedimento risulta poi, conformemente a
quanto riferito dal GALASSO, che:
  a) addosso al CASILLO furono rinvenute una patente di
guida ed una carta di identità intestata a RICCIO Luigi, da
San Vitaliano;
                         Pag.31
  b) l'autovettura su cui viaggiavano il CASILLO ed il
CUOMO era una Volkswagen Golf acquistata da tale CILLARI
Giuseppe e intestata a PAPA Francesco, marito di SCARLATO
Elena, sorella dell'ex parlamentare DC SCARLATO Vincenzo
(il Papa venne poi ucciso, in un agguato di chiara matrice
camorristica, in Scafati il 12 aprile 1983);
  c)    sono stati individuati gli appartamenti in uso al
CASILLO ed al CUOMO, rispettivamente siti in via Gregorio XIII
numero 13/A ed in località Mariana di San Nicola, entrambi
acquistati nel novembre 1982.
  Analogo risultato positivo hanno dato le ricerche delle
altre strutture logistiche indicate dal GALASSO come in
disponibilità dei cutoliani.
  Di queste, come delle altre risultanze di indagine, si
omette l'indicazione per evidenti esigenze di cautela
processuale.
  E' stato identificato il pregiudicato paralitico indicato
dal GALASSO come fornitore del congegno elettronico di
telecomando: trattasi di CARDELLA Leonardo, deceduto in Torino
il 7 luglio 1990, palermitano, soggiornante obbligato nel
capoluogo piemontese.
  La convivente del CASILLO, indicata dal GALASSO come
"Baby doll", è da identificare in MATARAZZO Giovanna. La
donna venne barbaramente uccisa, per ordine del CUTOLO, da
Pasquale SCOTTI e da Mauro MARRA. Quest'ultimo, divenuto
collaboratore, ne fece poi ritrovare il cadavere.
  Rosetta CUTOLO, interrogata in data 24 marzo 1993, ha
fornito ulteriori riscontri alla dichiarazione del GALASSO
(doc. n. 6).
  In particolare, la CUTOLO ha confermato di essere stata
latitante dal settembre 1981, e di essere riparata a Roma su
indicazione di Vincenzo CASILLO, che già vi si era trasferito
insieme a molti "amici" di suo fratello Raffaele, rimanendovi
fino al febbraio 1982.
  La CUTOLO ha pure confermato di essere stata ospite, in
Roma, dalla madre dei fratelli (omissis:    trattasi di
persone indicate dal GALASSO).
  3)    Passando al tema della identificazione di numerosi
esponenti politici locali come "uomini di GAVA e,
contemporaneamente, uomini di ALFIERI", nell'interrogatorio
del 12 marzo 1993 nel carcere di Biella, rispondendo alla
domanda se fosse in possesso di elementi di obiettivo
riscontro alle indicazioni già fornite, il GALASSO dichiara:
  "Già in precedenza vi ho riferito fatti specifici, nei
quali sono stato direttamente coinvolto, che riguardano il
senatore Vincenzo Meo, (omissis).    Posso ora riferirvi
alcuni fatti relativi al generale Mario De Sena. Io so per
certo, per averlo appreso direttamente da Carmine Alfieri, che
il De Sena ha costituito un punto di riferimento costante
della nostra organizzazione, fin da molto prima che diventasse
sindaco di Nola. Peraltro, l'Alfieri mi annunciò che il De
Sena sarebbe diventato sindaco di Nola ancor prima della sua
elezione in consiglio comunale. L'Alfieri magnificò in quella
occasione le doti morali del De Sena, che peraltro io già
sapevo - per esperienza diretta, come dirò subito essere
persona disponibile a favorire la nostra organizzazione
(omissis).    Questo lo potrete verificare voi con le
vostre indagini, ma già posso affermare che il De Sena è
intervenuto, con la propria influenza politica, negli appalti
del CIS di Nola in favore del gruppo Alfieri, unitamente a
(omissis)    ed al senatore Meo, referente locale di
Antonio Cava".
  "Essendo io ben addentro, e ad alto livello, alla
organizzazione Alfieri, il fatto stesso che il De Sena sia
stato nominato sindaco di Nola mi dà l'assoluta certezza - che
potrete, ripeto, verificare con le indagini - che gli sia
stato messo in quel posto proprio per gestire gli affari che
interessavano Carmine Alfieri. Del resto sarebbe stato
impossibile eleggere a Nola un sindaco contro la volontà di
Carmine Alfieri".
  Circa il riscontro a tali dichiarazioni, non può che farsi
rinvio a quanto già
                         Pag.32
illustrato sui rapporti accertati in base ad intercettazioni
telefoniche (e conseguente attività istruttoria) tra il
RICCIO, il MEO, il DE SENA e Francesco Alfieri, vero    alter
ego del cugino Carmine, all'epoca latitante, nella
conduzione del rapporto con i politici.
  Riservando l'esposizione di ulteriori elementi specifici a
carico del MEO alla trattazione della sua posizione, va qui
ancora ricordato quanto riferito dal GALASSO a proposito dei
suoi rapporti con il RICCIO.
  Nell'interrogatorio in data 8 ottobre 1992, il GALASSO
dichiarava quanto segue:
  "Altro personaggio con il quale ho avuto modo di interagire
è Luigi Riccio, sindaco di San Paolo B. e presidente della
U.S.L. di Nola. Lo incontrai sulla base di un appuntamento che
lo stesso Carmine Alfieri mi prese con il Riccio allorché gli
dissi che cercavo una raccomandazione per (omissis).
Alfieri mi disse che Riccio era un suo amico, e che questi
conosceva il (omissis).    A casa del Riccio mi accompagnò
(omissis)    uomini di Alfieri. Fu l'Alfieri ad incaricare
il (omissis)    di accompagnarmi dal Riccio, tanto che il
(omissis)    rimase presente all'intera conversazione. Il
Riccio, che manteneva un contegno di grande sicumera ed
arroganza, mi rassicurò che sarebbe intervenuto sul
(omissis)    per spiegargli come io fossi estraneo ai
fatti. Sempre con quel suo fare guappesco, il Riccio mi
raccontò anche come fosse stato inviato dal senatore Antonio
Gava (che lui chiamava "o masto mio") a risolvere il problema
delle candidature in Poggiomarino per le elezioni
amministrative del 1985, dove vi erano forti litigi fra vecchi
candidati e nuovi aspiranti. Egli li risolse con il suo fare
guappesco, decidendo l'esclusione di alcuni vecchi candidati,
quali D'Avino, l'avvocato E. Serafino, penalista, ed altri
della vecchia guardia. Questi si ribellarono per tale
esclusione, ma furono piegati dal fare guappesco del Riccio.
Solo uno dei vecchi candidati, Miranda Giuseppe, riuscì a
farsi inserire nella lista, sostenendo la sua vicinanza al
Gava, che fu confermata al Riccio da quest'ultimo. Il Miranda
aveva riferito al Riccio di esser anche molto amico mio: io
confermai al Riccio solo che stimavo il Miranda una brava
persona. Una seconda volta, sempre accompagnato dal
(omissis)    tornai a casa del Riccio, il quale mi assicurò
che aveva compiuto l'intervento richiesto ed aveva avuto ampie
rassicurazioni dal (omissis).    Quanto fossero serie
quelle rassicurazioni lo potete giudicare voi considerando che
sono stato condannato per tutti i delitti ascritti ad una pena
di 10 anni di reclusione. Capii dunque chiaramente che il
Riccio mi aveva solo raggirato".
  Un altro personaggio che, a dire del GALASSO, rivestirebbe
il ruolo di cerniera tra la malavita e gli interessi politici
del senatore GAVA è Raffaele Rosario BOCCIA, imprenditore,
titolare dell'Istituto "Settembrini" di Poggiomarino.
  Costui sarebbe stato, secondo il GALASSO, ambasciatore
della richiesta rivolta dal GAVA a lui ed all'ALFIERI di
interessarsi per la liberazione di Ciro CIRILLO.
  Con riferimento al BOCCIA, nell'interrogatorio dell'8
ottobre 1992, il GALASSO dichiarava quanto segue:
  "nel 1984 o 1985, alcuni mesi prima delle elezioni
politiche, Raffaele Rosario Boccia mi disse che era sicuro che
sarebbe stato eletto al Parlamento, ed in particolare alla
Camera dei deputati (in quel momento era presidente della
U.S.L.) in quanto avrebbe ottenuto l'inserimento fra i
candidati tramite l'intervento dell'onorevole Antonio Gava. In
favore di Gava il Boccia aveva già compiuto ogni tipo di
favore ed intervento, con rilascio di diplomi ecc; e mi disse
che aveva versato, con assegni e contanti, molto denaro al
Gava e ad uomini della sua corrente (in particolare
all'(omissis),    come dirò). Il Boccia, per precisione, mi
disse che personalmente aveva versato nelle mani del Gava 160
o 170 milioni, parte anche in assegni. Si stava già preparando
la campagna elettorale, fra i medici ed il personale della
U.S.L., della sua scuola, ecc. Avvenne poi che, non so per
quale motivo, quell'inserimento
                         Pag.33
non avvenne. So che dissero al Boccia che esso non era stato
possibile a causa di una pendenza giudiziaria che egli aveva,
ed egli rispose (come mi riferì) che c'erano onorevoli,
senatori e candidati che avevano ben altre pendenze o
situazioni giudiziarie ben più gravi. Proprio a seguito di
questo episodio, e dell'amarezza che ne era nata in lui, il
Boccia ebbe dinnanzi a me uno sfogo (per la verità ne ebbe
diversi) in cui mi ricostruì nuovamente tutta la vicenda,
ripetendo le somme versate. Presente in una di queste
occasioni era anche uno dei miei fratelli: precisamente
(omissis),    che però vi chiedo, per quanto possibile, di
tener fuori da questa situazione. Quanto a (omissis),
anche per lui la situazione si ripetè: il Boccia mi disse di
aver fatto per lui una intensissima campagna elettorale con
manifestazione in alberghi della penisola sorrentina ecc; ed
anche con la consegna di denaro personalmente al
(omissis),    anche se non so dirne l'ammontare. All'epoca,
il Boccia non era più nell'orbita dei Catapano, che avevano
perso ogni potere, e si era avvicinato, come ritengo, a
Carmine Alfieri".
  E' da notare che il Tribunale di Napoli sezione per
l'applicazione delle misure di prevenzione - con provvedimento
del 4 aprile 1990, rigettò la proposta di applicazione al
Boccia della misura della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza.
  La proposta si fondava, tra l'altro, sui rapporti economici
intrattenuti dal Boccia con la famiglia GALASSO, in favore dei
cui componenti aveva emesso, negli anni 1980-1983 assegni per
oltre 500 milioni, contro assegni ricevuti dai GALASSO per
soli 10 milioni.
  Il Tribunale riconobbe la "disponibilità" mostrata dal
BOCCIA nei confornti dei GALASSO, e, quindi, la sua
"contiguità" alla loro associazione criminosa, rigettando però
la proposta per mancanza di attualità della presunta
pericolosità.
  Conferma delle dichiarazioni del GALASSO in ordine
all'immedesimazione di cui si sta trattando sono i seguenti
elementi, acquisiti in sede di altre indagini, a questa
collegate, ed attualmente ostensibili:
  a) Antonio Casillo, sindaco di Terzigno di area
gavianea, viene contattato da persona di fiducia del latitante
Franco Ambrosio, camorrista e strettissimo collaboratore del
Mario Fabbrocino, anch'egli latitante - entrambi indagati
nell'ambito del presente procedimento - , per un appuntamento
per l'indomani: le modalità, l'ora ed il luogo di tale
appuntamento saranno decise dall'Ambrosio; osservazioni dei
carabinieri confermeranno l'uscita del sindaco nell'orario
indicato (cfr. doc. 7);
  b)    nel procedimento numero 11761/R/92 nei confronti
di Ambrosino Ferdinando ed altri, rispettivamente sindaco e
componenti la giunta municipale di Saviano di Nola, gli
indagati sono stati raggiunti da provvedimento di custodia
cautelare in carcere richiesto in data 5 febbraio 1993, per i
delitti di abuso d'ufficio e turbativa di gara d'appalto per
aver favorito un imprenditore il cui nome era stato deciso in
base ad accordo fra concorrenti (alcuni dei quali già
risultanti agli atti di quest'indagine come appartenenti al
gruppo Alfieri: doc. n. 8);
  c)    nel procedimento numero 13878/R/92 nei confronti
di Marciano Achille, Catapano Pasquale, Liguori Francesco e
Casillo Antonio, tutti indicati dal Galasso come uomini del
Gava e dell'Alfieri, si procede per il delitto di associazione
per delinquere, abuso d'ufficio ed altro, commessi nell'ambito
della gestione della USL 33 al fine "di usare della struttura
di tale USL come personale strumento di arricchimento e di
distribuzione di favori".
  A questo punto è opportuno far riferimento a quanto narrato
dal GALASSO a proposito della vicenda politica di
Poggiomarino.
  Nel corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero
del 17 marzo 1993 nel carcere di Biella, PASQUALE GALASSO
riferisce:
  "(omissis:    il GALASSO riferisce intimidazioni subite
per impedirgli di collaborare
                         Pag.34
sul livello politico delle sue conoscenze) Per dimostrarvi
però che per nulla ormai mi sento intimidito da quelle
minacce, intendo ricostruirvi con maggiori dettagli tutte le
occasioni in cui la mia attività si è intrecciata con la
politica nel comune di Poggiomarino. Inizialmente io, nel 1971
o 1972 venni presentato da mio padre a don Ciccio Liguori,
esponente della corrente gavianea e sindaco di Poggiomarino,
fortemente sostenuto (unitamente ad Achille Marciano) dal
malavitoso Salvatore Gaudino, compare addirittura di Pascalone
di Nola e gestore di bische clandestine in Poggiomarino
intorno alle quali gravitava tutta la malavita di quel comune,
da me già descritta in altro verbale.
  Il Liguori divenne per me un esempio di vita verso il quale
mio padre mi voleva avviare, tanto che mi iscrissi anche per
questo alla facoltà di medicina; solo in seguito appresi quale
corruzione e melma si nascondesse sotto quella persona e quel
modo di far politica: io infatti con gli anni ho capito che
tutta la sequenza di omicidi che ha distrutto me, la mia
famiglia come tante altre dell'intera Campania, fa in fin dei
conti il gioco proprio di questi politici, i quali sono pronti
a defilarsi ed attendere il vincente, con il quale poi
allearsi per la gestione di affari e di voti.
  Nel 1973 ricordo di aver partecipato, ancora giovanissimo,
ad una riunione nel corso della quale conobbi Carlo Leone e
per la prima volta incontrai anche Antonio Gava e Francesco
Patriarca. Erano candidati mi sembra per la Camera e vi furono
anche altre riunioni elettorali consimili, presso la sezione
della DC o nella casa di Mario e Francesco Sangiovanni,
proprio di fronte alla ex    sede della concessionaria
Galasso (poi trasformata in un edificio con molti
appartamenti).
  Ovviamente la mia famiglia in quelle politiche appoggiò la
corrente gavianea ed i suoi candidati, appunto il Gava, il
Leone ed il Patriarca.
  Qualche anno dopo vi furono le elezioni amministrative, e
si affermò una lista civica presentata da Enzo Battaglia ed i
Sangiovanni (in particolare il Mario), persone assai oneste,
molto legate a noi ed in particolare al mio buon fratello
Nino, ed ostili alla cattiva gestione del potere operata fino
ad allora dalla corrente dorotea. In tale occasione, la lista
civica venne appoggiata dai fratelli Caso, Carmine, Pasquale,
Gennaro e Giuseppe (inteso perticone, il più delinquente di
tutti). Quell'esperienza però ebbe vita breve, perché il
Battaglia ed il sindaco Boccia Montefusco vennero picchiati
nella piazza di Poggiomarino, ad opera di tale Salvatore detto
"o boss", malavitoso, inviato dai Caso. Ciò in quanto il
Carmine Caso, che si era presentato nella lista civica, non
era risultato eletto, cosicché lui ed i suoi fratelli si
defilarono, riunendosi ai cugini avvocato Giuseppe e geometra
Aldo Caso, rimasti fedelissimi al Liguori. Anche il
Sangiovanni, per coerenza con la sua fede democristiana, si
era defilato, non condividendo la scelta del Battaglia di
allearsi con i socialisti del Boccia Montefusco
(omissis).
  Alle amministrative del 1985 appoggiai anche il Lettieri,
che mi portò richieste in tal senso del Pomicino, e questi
riportò circa 1000 voti. Il mio prestigio in quel periodo,
benché latitante, era altissimo in Poggiomarino: ormai avevo
eliminato l'Orbuso ed il Caso, uccidendoli, il Gaudino,
umiliandolo pistola in pugno e costringendolo a ritirarsi da
tutto, i Catapano uccidendoli e facendoli fuggire, gli
Annunziata facendo abbandonare loro Poggiomarino. Ero dunque
l'unica 'autorità' del paese, e però devo dire che sentivo
sempre che quell'autorità derivava dall'affetto e dalla stima
dell'intero paese piuttosto che dalla paura della capacità
d'azione da me dimostrata.
  Ricordo che per la formazione di quelle liste vi era stato
un pesante intervento del Riccio, inviato espressamente da
Antonio Gava, per risolvere uno scontro fra giovani e vecchi
rappresentanti della DC; il Riccio privilegiò i giovani, salvo
che per Peppuccio Miranda, che lasciò nella lista.
  Venne eletto con grande successo il Sangiovanni, che era
rientrato nella DC (ed i giovani che gli erano attorno) e che
                         Pag.35
era privo di riferimento di corrente all'interno del partito.
Immediatamente venne da me (che ero latitante per un
provvedimento cautelare per associazione mafiosa) il mio
difensore avvocato De Rosa, il quale mi chiese, su incarico
del Patriarca, d'incontrare il Sangiovanni, per dirgli, con
tutto il peso della mia fama camorristica, di allearsi con
Gava, che gli garantiva il posto di sindaco. Io resistevo
perché non volevo essere immischiato in quelle beghe, anche
perché avevo un ottimo rapporto con il Sangiovanni, e non
intendevo minacciarlo e nemmeno indirettamente intimidirlo;
sicché rifiutai di farmi così strumentalizzare. Venni poco
dopo chiamato dall'Alfieri, che mi chiese le ragioni di quel
rifiuto, mi confermò che Gava era un nostro amico e che non
dovevo negargli quel favore. Incontrai allora il Sangiovanni
presso il mio rifugio di Sarno, e gli trasmisi quella
richiesta, sia pure con il maggior tatto possibile, e dopo
aver insieme commemorato mio fratello Nino. Tuttavia era
impossibile disgiungere dalla mia figura ormai la fama che mi
ero fatto ed il condizionamento che derivava anche dal mio
stato di latitante.
  Il Sangiovanni fu così convinto ad appoggiarsi al Gava,
figura che, come ho detto, non aveva mai amato. Vicesindaco
venne nominato il Lettieri, della corrente di Pomicino. Per
tutta la durata di quell'amministrazione, io facevo un po' da
ago della bilancia, convincendo ora l'uno - che non voleva
lasciare la carica di sindaco - ora l'altro - che voleva
invece avvicendarglisi - a restare uniti.
  Lo scenario disegnato dal GALASSO è oltremodo inquietante,
e necessita di complesse verifiche.
  Tuttavia, il valore indiziario di quelle dichiarazioni ha
trovato conferma in alcuni, decisivi, aspetti.
  Il ruolo decisivo di mediazione politica svolto, secondo
tipiche modalità mafiose di intervento condizionatore dei
comportamenti altrui, da Pasquale GALASSO, così come dallo
stesso riferito, in occasione e in vista della formazione
della giunta comunale a seguito delle elezioni del 1985 è,
infatti, confermato da quanto riferito dall'ex    sindaco
Mario SANGIOVANNI, sentito dal pubblico ministero quale
persona informata dei fatti il 2 aprile 1993.
  Le parole del predetto esponente politico locale valgono
efficacemente a descrivere la dinamica delle relazioni
politicomafiose che risultava di fatto governare la
designazione degli amministratori di Poggiomarino.
  Dichiara SANGIOVANNI:
  "... Io non ho mai fatto parte di alcuna corrente
democristiana anche se nel 1985 avevo simpatie per le
posizioni dell'onorevole Scotti.
  Dopo l'elezione ci furono molte pressioni perché io mi
avvicinassi alle posizioni di GAVA.
  A.D.R. Effettivamente in tale periodo incontrai Pasquale
GALASSO e con lui parlai della situazione politica del
momento.
  L'incontro per quanto ricordi si svolse in Poggiomarino, ma
non posso escludere che si sia svolto in altro luogo.
  Nell'incontro PASQUALE ed io ricordammo la figura di NINO e
il tempo trascorso insieme a lui.
  Nel corso del colloquio Pasquale GALASSO effettivamente
fece riferimento alla volontà dell'allora senatore PATRIARCA
che io mi appoggiassi dopo la formazione della giunta alla
corrente di GAVA.
  A.D.R. Pasquale GALASSO mi fece capire che avrebbe
personalmente gradito il mio avvicinamento alla corrente di
GAVA, ma in alcun modo esercitò pressioni su di me poiché anzi
i nostri rapporti erano di grande affettuosità reciproca.
  A.D.R. In pratica, PASQUALE fece discorsi del tipo "so che
siete amico di Scotti, qui ci sta il senatore PATRIARCA che ci
terrebbe a voi, fate i vostri conti, ma vorrei che vi
schieraste con questi amici".
  Il passaggio formale con GAVA avvenne però alcune settimane
dopo, in occasione di una manifestazione con GAVA in S.
Giuseppe Vesuviano ... alla quale fui condotto da Achille
MARCIANO e Ciccio
                         Pag.36
LIGUORI i quali da tempo premevano su di me perché passassi a
GAVA.
  Dopo la manifestazione pubblica nella quale presi la parola
su invito di Ciccio CATAPANO che sedeva a fianco a GAVA e che
in tal modo voleva sancire davanti a tutti il mio passaggio
con GAVA, in una sala privata incontrai GAVA che mi fu
presentato da CATAPANO.
  CATAPANO testualmente disse "questo è Mario SANGIOVANNI, in
passato si è "distratto", ma ora è con noi".
  Il valore emblematicamente espressivo della capacità
mafiosa di Pasquale GALASSO e, attraverso lui,
dell'organizzazione ALFIERI, di orientare la vita politica
locale, modificando significativamente i rapporti di forza fra
gruppi e schieramenti, non potrebbe forse trovare più
eloquente rappresentazione.
  Correlativamente, risulta confermato il consapevole e
programmato ricorso dei politici e, segnatamente e
direttamente, anche dei maggiori esponenti campani della
struttura politica facente capo al senatore GAVA, alla forza
di intimidazione individuale e collettiva ed alla capacità di
controllo territoriale delle medesime organizzazioni mafiose:
alle quali si assicurano condizioni privilegiate di accesso ai
flussi finanziari pubblici e atteggiamenti "benevoli" degli
organi amministrativi.
  Il SANGIOVANNI, rende ulteriori dichiarazioni altamente
indicative del clima nel quale si svolgeva la propria
esperienza amministrativa:
  "Voglio dire che la mia esperienza politica è sempre stata
caratterizzata da correttezza personale pur in periodi di
grande difficoltà personale.
  Praticamente sono sopravvissuto "camminando in mezzo alle
fiamme senza bruciarmi"".
  In pari data venivano assunte informazioni anche da
LETTIERI Salvatore.
  LETTIERI negava di aver mai ricevuto l'appoggio elettorale
della famiglia GALASSO, ammettendo di aver avuto semplici
rapporti di "cortesia" dal 1986, ed indicava nel SANGIOVANNI
il destinatario degli effetti elettorali della capacità
d'influenza dei GALASSO.
  Ricostruisce, quindi, conformemente a quanto dichiarato dal
GALASSO e dal SANGIOVANNI, la struttura gavianea del partito,
organizzata attorno alle figure del vecchio Ciccio LIGUORI, di
Achille MARCIANO, dell'avvocato CASO (successivamente dal
GALASSO ucciso) e dei CATAPANO, indicati quanto a loro
rapporti con i fratelli CASO come "una sola cosa".
  Afferma, infine, che anche in occasione delle elezioni
politiche del 1987 l'aiuto elettorale della famiglia GALASSO
privilegiò soltanto i candidati PATRIARCA e GAVA.
  Della campagna elettorale del 1987 PASQUALE GALASSO
riferisce che:
  "Altra persona influente di quel periodo, di cui ho
parlato, è Peppuccio Miranda, fedelissimo del Liguori e quindi
del Gava.
  Il Miranda, allorché vi furono le politiche del 1987, venne
da me chiedendomi di aiutare il Gava, che mi rimproverava una
non coerente collocazione in occasione delle amministrative
precedenti per l'appoggio dato al Lettieri di Pomicino, e
temeva che avrei potuto ripetere l'appoggio già dato a
quest'ultimo nel 1978. Pretendeva invece che io gli
assicurassi l'integrità del pacchetto di 1500-2000 voti che il
Gava aveva sempre raccolto in quel comune. Il Miranda
insistette a lungo perché accettassi di ricevere il Gava nel
corso di una riunione presso la mia abitazione, che io invece
rifiutavo per evitare di evidenziare un mio schieramento con
l'uno o l'altro politico. Fui invece incastrato dal Miranda e
da Achille Marciano, i quali, dopo essermi venuti a trovare,
sparsero la voce in paese che quella riunione vi era stata,
tanto che venni rimproverato sia dai gavianei, per non averli
chiamati, sia dal Lettieri, perché si sentiva tradito.
  In quelle politiche appoggiai più il Gava che il Pomicino
(questi mi sembra che prese un centinaio di voti meno del
Gava) soprattutto perché tenevo molto al Sangiovanni, ma
aiutai anche il Lettieri per non perdere il buon rapporto con
il Pomicino.
  Qualche anno dopo, per vari motivi e per mie esigenze
commerciali mi rivolsi a
                         Pag.37
Roberto Gava, tramite Antonio Bifulco ed il Gava mi contestò
che il fratello Antonio si era sentito tradito dal mio
comportamento in occasione delle precedenti politiche. Per
avere il suo appoggio, io versai a Roberto Gava duecento
milioni, ma su tutta questa storia ho già reso
dettagliatissime dichiarazioni al pubblico ministero di
Salerno.
  Nel settembre 1991, ricorda LETTIERI Salvatore, lamentando
l'utilizzazione strumentale dei suoi rapporti di parentela con
il pregiudicato Rosario ANNUNZIATA, il consiglio comunale di
Poggiomarino veniva sciolto in applicazione della recente
normativa dettata a tutela della vita politico-amministrativa
dai condizionamenti mafiosi.
  4) Nell'interrogatorio del 22 dicembre 1992, il
GALASSO forniva, infine, alcune specifiche indicazioni
dimostrative, a suo dire, del rapporto intrattenuto dal
senatore Antonio GAVA con Michele D'ALESSANDRO, capo della
organizzazione dominante in Castellammare di Stabia.
  Secondo il GALASSO, durante il periodo di co-detenzione nel
carcere di Spoleto (luglio-agosto 1992), il D'ALESSANDRO gli
aveva confidato "che in breve tempo si sarebbe risolta la sua
posizione processuale grazie all'interessamento diretto del
GAVA, con il quale manteneva ottimi rapporti tramite la
sorella di quest'ultimo e i propri familiari". In quella
circostanza il D'ALESSANDRO gli aveva raccontato che, durante
il suo periodo di latitanza, si era incontrato spessissimo con
il Gava proprio per chiedergli il suo interessamento per la
sua posizione e per gli affari gestiti dal D'Alessandro
stesso. Naturalmente, secondo il GALASSO, i contatti e gli
incontri tra il Gava e il D'Alessandro erano stati molto più
intensi quando quest'ultimo non aveva problemi con la
giustizia. Il D'Alessandro, nonostante tali confidenze, non
gli aveva parlato delle sue attività economiche legate al
Gava, ma gli aveva fatto chiaramente intendere che a questi si
rivolgeva per ogni necessità, fosse essa l'appalto da far
aggiudicare a una determinata impresa, fosse il posto di
lavoro da concedere a persone d'interesse.
  Queste le dichiarazioni rese dal GALASSO il 22 dicembre
1992 presso il carcere di Novara:
  "durante il passeggio, D'ALESSANDRO Michele mi riferì che
in breve tempo si sarebbe risolta la sua posizione processuale
grazie all'interessamento diretto del GAVA, con il quale
manteneva ottimi rapporti tramite la sorella di quest'ultimo e
i propri familiari. In quella circostanza, mi raccontò che
durante il suo periodo di latitanza, si era incontrato
spessissimo con il GAVA proprio per chiedergli il suo
interessamento per la sua posizione e per gli affari gestiti
dal D'ALESSANDRO stesso. Naturalmente, i contatti e gli
incontri tra il GAVA e il D'ALESSANDRO erano stati molto più
intensi, quando quest'ultimo non aveva problemi con la
giustizia.
  Il D'ALESSANDRO, nonostante tali confidenze, non mi parlò
delle sue attività economiche legate al GAVA, ma mi fece
chiaramente intendere che a questi si rivolgeva per ogni
necessità, sia essa l'appalto da far aggiudicare a una
determinata impresa, sia il posto di lavoro da concedere a
persone d'interesse".
  La vicenda della inopinata scarcerazione del D'Alessandro,
effettivamente avvenuta alcuni mesi dopo, risulta talmente
singolare da rendere meritevole di adeguata verifica
l'indicazione del Galasso.
  Invero, il provvedimento di scarcerazione emesso dalla
Procura generale di Napoli in data 1^ marzo 1993 risulta in
palese ed insanabile contrasto con l'ordinanza emessa dalla
Corte di assise di appello di Napoli in data 23 ottobre 1992 e
con la sentenza emessa dalla Corte di cassazione in data 18
dicembre 1992 (su conforme parere del procuratore generale, le
quali avevano concordemente stabilito la inapplicabilità al
D'Alessandro dell'indulto di cui al decreto del Presidente
della Repubblica n. 394 del 1990 (doc. n. 9).
                         Pag.38
  Il provvedimento della Procura generale di Napoli
disattende il principio di diritto fissato, nel caso
specifico, dalla Corte di cassazione, e sorretto da costante
giurisprudenza, per cui non è consentito applicare il
principio di fungibilità ex    articolo 657 del codice di
procedura penale della detenzione cautelare con la pena
inflitta per un reato commesso successivamente al periodo di
custodia cautelare sofferto in relazione al primo
procedimento.
  Con riferimento alla disponibilità del senatore Gava a far
ottenere posti di lavoro a persone di interesse del
D'Alessandro, un importante riscontro alla indicazione del
Galasso proviene dalle dichiarazioni di altro collaborante,
tale De Falco Silvio.
  Il De Falco, già appartenente al clan Imparato, e quindi
avversario dei D'Alessandro, interrogato dal pubblico
ministero in data 17 giugno 1992, riferiva testualmente:
  "Nel secondo incontro che ebbi con Imparato Umberto Mario
nel 1990, il predetto, alle mie richieste circa la possibilità
di reperirmi una attività lavorativa, rispose che, se non si
fosse distaccato da D'Alessandro, avrebbe potuto, tramite
sindaco (non fece nomi, né indicò il comune) farmi ottenere un
posto di lavoro alle poste. Disse che il lavoro alle poste il
sindaco lo avrebbe ottenuto tramite Patriarca e Gava e
aggiunse che, nelle poste, D'Alessandro aveva sistemato
centinaia di persone".
                        Capitolo V
                       LA POSIZIONE
                DEL SENATORE VINCENZO MEO
  Nell'ambito delle complesse attività di investigazione
dirette a disvelare la trama delle relazioni criminose,
imprenditoriali e politiche funzionali alle esigenze del clan
ALFIERI delle quali si è ampiamente dato conto nel capitolo II
della presente richiesta, emergevano, come già accennato,
significativi elementi obiettivi di collegamento fra ALFIERI
Francesco, il cui ruolo direttivo all'interno
dell'organizzazione si è innanzi compiutamente delineato, e
l'allora segretario provinciale della D.C., architetto
Vincenzo MEO.
  Il giorno 25 febbraio 1990, sull'utenza numero 8234587/081
intestata e in uso a Francesco ALFIERI, veniva intercettata
una telefonata fra il predetto esponente mafioso e
l'architetto MEO, identificato dallo stesso ALFIERI nel corso
dell'interrogatorio dinnanzi al pubblico ministero del 6
febbraio 1992.
  Il contenuto di tale comunicazione telefonica dimostra
inequivocamente la consuetudine dei rapporti fra gli
interlocutori, la deferenza che il MEO dimostra verso
l'ALFIERI (al quale continua a rivolgersi con il "voi" mentre
l'altro passa al "tu"), la natura illecita dell'oggetto del
comune interesse (il carattere ermetico del discorso e la
cautela dei colloquianti lo rivela indubitabilmente: ne è
conferma, poi, la reticenza di ALFIERI sul punto specifico
nell'interrogatorio).
  La riproduzione del testo della conversazione vale a darne
eloquente rappresentazione.
  Chiamante: ALFIERI Francesco (A),
  Chiamato: MEO Vincenzo (M),
  M: Pronto?
  A: buongiorno, c'è l'architetto per piacere, sono Francesco
Alfieri...
  M: Oeh! buongiorno, sono io, come state?
  A: Oeh! (ride) eh! presidente come state?
  M: Come andiamo... non c'è male, voi?
  A: E ringraziamo Dio tiriamo avanti che dobbiamo fare, un
po' bene e un po' male...
  M: eh!
  A: I fastidi non mancano mai...
  M: Eh! Eh! come andiamo..
  A: bene grazie... volevo domandare quel fatto che parlammo
l'altra domenica...
  M: Uhm! e ci vuole ancora qualche giorno...
  A: va bene, va bene...
  M: Eh!
  A: vi ho chiamato tanto per...
                         Pag.39
  M: va bene..
  A: Vi devo venire a trovare...
  M: quando volete..
  A. Eh!
  M: va bene, comunque (non comprensibile)... io a voi...
  A: va benissimo..
  M: va bene?
  A: allora mi dai un colpettino di telefono..
  M: Sì, sì, sì, vi dò un colpo di telefono...
  A: grazie infinite...
  M: Eh! figuratevi...
  A: anche a voi, arrivederci...
  M: arrivederci.
  Ulteriore segno della continuità di contatti fra ALFIERI
Francesco e MEO è costituito dalla conversazione del 1^ marzo
1990, ore 21,14, intercettata sull'utenza n. 8297957/081
intestata e in uso al primo.
  Nella conversazione DE FALCO Salvatore, così individuato
dall'ALFIERI (trattasi del fratello del sindaco di Saviano,
Giuseppe), dopo aver composto il numero dell'utenza privata
del MEO, discorre con un collaboratore di quest'ultimo, tale
ALDO, dal quale apprende dello svolgimento di una riunione fra
MEO e persone indicate come "il gruppo dei dirigenti di Nola"
ed annuncia che si porterà subito presso l'abitazione di MEO.
  Tali conversazioni si inseriscono compiutamente nella rete
di relazioni politiche ed istituzionali organizzata attorno a
sé da ALFIERI Francesco e nella quale si esprime la capacità
di orientamento delle scelte delle amministrazioni locali e di
controllo elettorale già oggetto di esposizione.
  Il quadro già delineato di diffusione della potenza
condizionante dell'organizzazione camorrista egemone consente
di apprezzare con obiettività la forza della spinta alla
distorsione delle potestà pubbliche riconosciute alla
titolarità delle istituzioni soprattutto locali in funzione
del perseguimento di interessi diversi da quelli pubblici e
segnati dall'appartenenza alla sfera mafiosa.
  Soprattutto, tali immediati e diretti dati di collegamento
fra MEO e ALFIERI Francesco valgono a confermare il
consapevole ruolo svolto dal primo di raccordo fra la funzione
di influenza politico-amministrativa esercitata nell'area
nolana dalla dirigenza gavianea del partito democristiano e
l'area di interessi dell'organizzazione mafiosa di Carmine
ALFIERI, così come emergente dal quadro probatorio tracciato
dalle dichiarazioni rese da Pasquale GALASSO e dai contributi
testimoniali raccolti.
  Reiteratamente, nel corso degli interrogatori dinanzi al
pubblico ministero - alcuni dei quali già riportati - Pasquale
GALASSO assegna all'architetto Vincenzo MEO il ruolo di
"grande mediatore" degli interessi economici coinvolti nelle
trame delittuose delle strutture organizzative collocate in
posizione egemonica sia sul versante politico che su quello
criminale.
  Siffatto ruolo di cerniera si staglia con nitida precisione
di contorni nella fondamentale area di interesse
economico-finanziario definita dall'illecito orientamento
delle potestà pubbliche in tema di assetto edilizio ed
urbanistico del territorio.
  Le dichiarazioni di Pasquale GALASSO documentate nel
verbale di interrogatorio del 17 settembre 1992 sono
straordinariamente emblematiche della generale condizione
dinanzi descritta.
  Riferisce GALASSO che:
  "... Carmine (Alfieri) era divenuto personaggio di estrema
importanza camorristica... Una volta ricordo che mi propose di
acquistare dei terreni in Nola il cui proprietario era un
commercialista che abita in Roma, dottor D'Avanzo. Andai
all'appuntamento con questo accompagnato da Geppino Autorino
(poteva essere il 1986 o 1987). L'incontro avvenne nella casa
di tale geometra Franzese, che abita sulla strada fra Nola e
Piazzolla. Ero preoccupato in quanto mi sembrava che
l'Autorino fosse latitante. In quella sede eravamo presenti
io, Autorino, il Franzese, il D'Avanzo, sua moglie (mi pare
sorella del notaio Napolitano di Nola). Da una richiesta
iniziale di circa un miliardo, e
                         Pag.40
dopo che quegl'incontri si reiterarono per trovare un
accordo, giungemmo ad un compromesso per la cessione dei suoli
per 600 milioni. Prima che sottoscrivessimo il compromesso, in
un incontro diretto, l'Alfieri mi chiese di intestarmi questi
suoli, ma io mi opposi, in quanto ero ancora sottoposto a
vincoli della legge antimafia. Ci accordammo allora, su sua
richiesta, perché i suoli venissero intestati a mio cognato
Saporito Saverio. Alla richiesta del D'Avanzo di ricevere un
anticipo in contanti, l'Alfieri, garantendomi che avrei
immediatamente recuperato il denaro poiché aveva intenzione di
rivendere subito dopo, mi convinse a versare quest'anticipo,
per 150 o 180 milioni. Controllerò se sono ancora in possesso
di una copia di tale compromesso. Versato questo denaro,
firmammo il compromesso. Subito dopo fui richiamato
dall'Alfieri, il quale mi chiese di preparare un progetto per
lottizzare e costruire su questo suolo di circa 24.000 mq. e
di richiedere su esso le concessioni edilizie. Mi disse anche
che mi avrebbe procurato un appuntamento con un amministratore
importante del nolano, cui avrei dovuto condurre un tecnico di
mia fiducia perché si potesse concordare come condurre
l'operazione edilizia. In un successivo appuntamento,
l'Alfieri mi procurò un appuntamento con l'architetto Vincenzo
MEO (già all'epoca dirigente della DC provinciale e persona di
fiducia dell'onorevole Gava; oggi senatore), con studio in
Nola: mi incontrai con lui una prima volta in una masseria in
Saviano, sulla strada verso Piazzolla, che sapevo esser in
proprietà di un parente di Carmine Alfieri, generale in
pensione; non ricordo se in quell'occasione fosse presente
anche il tecnico di mia fiducia, l'architetto Supino, di
Nocera, che sapeva che il terreno era mio. In quest'incontro
si parlò della planimetria del suolo e dei conseguenziali
indici di fabbricabilità del suolo. Disse anche che le
difficoltà erano enormi, e che avrebbe dovuto assumere altre
informazioni. Ci accordammo per incontrarci nuovamente presso
lo studio dell'architetto Meo, e questa volta sono certo che
fosse presente anche il Franco Supino, circa una settimana
dopo. Credo fosse la fine del 1987. In quest'occasione il Meo
ci confermò le difficoltà, e ci chiese ancora alcuni giorni.
Ci disse però di recarci dal tecnico del comune di Nola,
geometra De Falco, dove mi recai sempre insieme al Supino. Il
De Falco si mise a nostra disposizione, ci confermò che i
problemi erano notevoli, che vi era stato anche un esproprio
parziale di questi suoli per la costruzione di edificio
scolastico, si scambiò il numero di telefono con il Supino, e
concordammo un ulteriore incontro a pochi giorni. Il Supino,
dopo quell'incontro, mi disse che aveva bisogno di associarsi
nell'incarico il suo collega Nando Orza, di Sarno, con il
quale io avevo già avuto rapporti professionali. Passarono
alcuni giorni ed il Supino (che stava facendo lavori a casa
mia) mi disse che il De Falco lo aveva chiamato per dirgli che
aveva studiato come redigere il progetto in maniera che
consentisse il rilascio delle concessioni. In quest'incontro
spiegò al Supino la situazione edilizia dei suoli, facendo
capire che comunque il Meo avrebbe proseguito ad esercitare la
sua influenza sulla commissione edilizia e sul comune. Del
resto lo stesso Meo, nel corso dei nostri precedenti incontri,
ci aveva chiaramente detto che avrebbe seguito personalmente
l'iter della pratica presso il comune di Nola. In
seguito a quest'incontro il Supino e l'Orza presentarono
richiesta di rilascio di concessione, che ottenemmo
regolarmente. Preciso che mi sembra che il De Falco sia
ingegnere e non geometra. Mi sembrò di capire che la
scappatoia usata per ottenere le concessioni fu quella di
offrire al comune la costruzione di una piazzetta che servisse
la scuola che doveva esser costituita nei pressi. Mi sembra
che si trattasse di circa mc. 10.000. Contestualmente, nel
corso di uno dei nostri consueti incontri, l'Alfieri mi disse
che mi avrebbe inviato alcuni acquirenti di questo suolo. ..
Il Franzese mi propose diversi acquirenti, ma i prezzi che mi
faceva erano giudicati dall'Alfieri (al quale immediatamente
li comunicavo) troppo bassi. Io venni poi arrestato per
estorsione dai carabinieri di Torre Annunziata
                         Pag.41
(insieme a mio cognato Saverio Saporito) e rimasi detenuto in
carcere otto mesi. Nel frattempo il D'Avanzo si agitò molto, e
ci diffidò a concludere il definitivo ovvero a risolvere il
compromesso. Fra l'altro era scaduta anche la data in cui
avremmo dovuto versare un ulteriore acconto di 200 milioni.
Questa somma fu procurata dall'Alfieri, dopo che avevo fatto
cadere le sue richieste di procurarle io".
  L'attendibilità del narrante ha già trovato verifiche
estrinseche su aspetti decisivi della ricostruzione e,
segnatamente:
  la sua effettiva presenza operativa nella gestione degli
interessi economici in gioco in conseguenza dell'acquisto a
fini speculativi del fondo "feudo di cannice" (dichiarazioni
al pubblico ministero del venditore D'AVANZO Enrico, del
mediatore FRANZESE Giovanni, degli architetti SUPINO Francesco
ed ORZA Ferdinando);
  l'effettivo succedersi delle attività negoziali ed
esecutive secondo le modalità ed i tempi descritti dal
collaborante, e confermati dai testi esaminati;
  la stessa presenza all'incontro con il venditore di
Giuseppe AUTORINO, notoriamente alter ego di Carmine
ALFIERI, è circostanza che, infine, lo stesso mediatore
FRANZESE (già chiamato in passato da ALFIERI ad intervenire
nel regolamento di analoghi suoi interessi) non esclude;
  soprattutto , lo studio preliminare di "fattibilità" del
disegno lottizzatorio e speculativo ed i primi contatti
diretti con l'amministrazione ebbero luogo per il tramite e su
indicazione dell'architetto MEO, in difetto di qualsivoglia
incarico professionale ovvero amministrativo di intervento
diverso dalla posizione di garante degli interessi mafiosi
sottostanti;
  tale intervento di "indirizzo" si realizzò a seguito di
incontri avuti dal MEO direttamente con Pasquale GALASSO il
ruolo di rappresentante negoziale di Carmine ALFIERI appare
indubbio (cfr. dichiarazioni citate di ORZA e SUPINO).
  Le dichiarazioni dell'architetto ORZA Ferdinando e
dell'architetto SUPINO Francesco, progettisti designati
fiduciariamente dal GALASSO, confermano appieno il ruolo del
MEO.
  Dichiara ORZA al pubblico ministero:
  "Prima ancora di contattare l'ufficio tecnico di Nola, per
iniziativa del GALASSO, unitamente a quest'ultimo, il SUPINO
ed io incontrammo l'architetto MEO da noi non conosciuto in
precedenza ... Fu il GALASSO a dirci che il MEO ci avrebbe
dato le indicazioni necessarie alla realizzazione del
progetto. ... Non ricordo se a seguito di indicazione del MEO
ovvero per nostra iniziativa, prendemmo successivamente
contatto con il dirigente dell'ufficio tecnico di Nola,
ingegner DE FALCO. Da costui avemmo conferma che si poteva
realizzare un intervento edilizio nei termini già individuati
nell'incontro con il MEO".
  Dello stesso tenore sono le dichiarazioni sul punto
dell'architetto SUPINO:
  "L'intenzione del GALASSO era quella di utilizzare l'intero
fondo a scopo edilizio nei limiti dello strumento urbanistico
vigente. Ciò, a parere mio e dell'ORZA, non era possibile in
assenza di un piano di lottizzazione. Se ben ricordo ... vi
erano anche dei problemi scaturenti dalle prescrizioni del
programma di fabbricazione.
  Un giorno Pasquale GALASSO ci comunicò che dovevamo
incontrare l'architetto VINCENZO MEO".
  L'intera operazione speculativa, ricondotta dal GALASSO, si
è visto attendibilmente, all'influenza politica del MEO e alla
volontà speculativa del vertice dell'organizzazione mafiosa,
si realizzò illegalmente.
  L'amministrazione comunale nolana consentiva, infatti, alla
realizzazione di un vero e proprio intervento lottizzatorio in
assenza di qualsivoglia, relativa, convenzione; venivano
rilasciate concessioni edilizie in spregio delle norme di
salvaguardia connesse all'intervenuta adozione del piano
regolatore generale e delle previsioni
                         Pag.42
di esso; veniva omessa l'adozione del prescritto nulla-osta
paesistico così sottraendosi la materia alle competenze
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo; veniva
espletata un'istruttoria tecnica ed amministrativa tesa
unicamente ad evitare ogni doverosa e pur minima verifica di
legalità ed opportunità.
  L'allegata relazione dei consulenti tecnici professor
Sebastiano Conte ed architetto Massimo D'Ambrosio vale a
ricostruire compiutamente l'incredibile sequela di omissioni,
artifici ed abusi attraverso i quali trovò approvazione
l'intervento speculativo promosso da Carmine ALFIERI e
Pasquale GALASSO (doc. n. 12).
  La vicenda descritta è in sé emblematica ed obiettivamente
rilevante al fine della dimostrazione indiziaria della
consapevole partecipazione attiva del senatore MEO agli scopi
di reimpiego speculativo di capitali mafiosi nell'ambito di
una più ampia posizione di influenza politico-amministrativa a
lui assegnata in ragione dei legami di appartenenza al gruppo
gavianeo, dominante nel nolano (cfr. anche dichiarazioni al
pubblico ministero dell'architetto DE FALCO Vittorio, doc. n.
13).
  La consapevolezza della relazione di reciprocità
strumentale con l'organizzazione mafiosa è nel senatore MEO
tale che egli, secondo GALASSO, giunge a richiedere a Carmine
ALFIERI di organizzare un simulato attentato dinamitardo
contro il proprio studio professionale al fine di occultare il
vincolo associativo ed anzi apparire come una vittima della
camorra.
  L'episodio dell'attentato narrato da GALASSO, certamente in
grado di ricevere confidenze del genere di quella riferita da
Carmine ALFIERI, è risultato effettivamente dotato di
storicità di dimensione (cfr. annotazione di polizia
giudiziaria del 27 marzo 1993: doc. n. 14).
  Il quadro indiziario convergente sulla posizione del
senatore MEO nel senso della sua stabile partecipazione alle
finalità dell'organizzazione ALFIERI appare tale da rendere
necessario proseguire le attività investigative.
                       Capitolo VI
               LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE
                       ALFREDO VITO
  La richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti
dell'onorevole Vito si fonda sulla necessità di approfondire
gli intrecci esistenti fra rappresentanti delle istituzioni e
la camorra, che sono emersi dalle indagini seguite alle
dichiarazioni di Pasquale GALASSO e di altri, che si
preciseranno nel prosieguo della presente nota.
  Afferma sul punto il GALASSO:
  "Relativamente a VITO Alfredo ebbi modo nel 1991-92 di
avvicinarlo approssimandosi il giudizio di appello a seguito
della condanna a 10 anni per associazione ed estorsione. Da
tempo sentivo parlare del VITO Alfredo come politico vicino al
clan ALFIERI tramite ...omissis...    sindaco di S.
Giuseppe Vesuviano, carica imposta sul comune da Mario
FABBROCINO, Franco AMBROSIO e Biagio BIFULCO, che aveva
intimidito tutti i consiglieri. Fu così che consigliato da
ALFIERI Carmine decisi di avvicinare il VITO Alfredo; in
questo modo si otteneva un risultato positivo per me e per
l'organizzazione. In quel periodo ero latitante ma avevo
ottimi rapporti con l'ex    sindaco di Saviano
...omissis... Avvicinai il VITO Alfredo nella
prospettiva delle elezioni politiche del 1992. ALFIERI aveva
piena fiducia del ...omissis...    e ritenne che il suo
intervento fosse sufficiente a fare avere alla cosa esito
positivo. Siamo nel periodo luglio-settembre 1991. Il
...omissis   ... mi disse che potevamo nutrire buone
possibilità dell'interessamento del VITO alle mie vicende, in
cambio gli avrei dovuto promettere il mio interessamento sul
clan ALFIERI, in senso lato, per un appoggio consistente
sull'elettorato. Fu così che il ..omissis   ... insieme a
mio fratello (omissis)   , il quale non faceva nulla
rappresentandomi solo come familiare, prese ad andare a
trovare il VITO Alfredo nella sua segreteria politica a
Napoli. Il ...omissis   ... mi riportava i discorsi che
riusciva ad avere con il VITO, preparatori al nostro incontro,
che come
                         Pag.43
ho detto era stato consigliato dallo stesso ALFIERI, perché
una volta che vi avesse consentito avrebbe sancito la piena
disponibilità di un altro uomo politico agli affari della
organizzazione. Fu così che il ...omissis   ... mi spiegava
come aveva detto al VITO "di non prendere il treno GALASSO",
che significava per lui avere il consistente appoggio di
ALFIERI Carmine, Mario FABBROCINO e i voti delle
amministrazioni dagli stessi controllati ...omissis   ...
Fu così che, per un complesso di cose, nel mese di settembre
1991, il ...omissis...    mi informò che avrei potuto
incontrare il VITO Alfredo, il quale si era convinto
dell'enorme importanza del mio appoggio elettorale.
L'occasione scelta fu quella di una riunione politica
nell'abitazione del ...omissis...    Infatti io mi portai
nell'abitazione di ...omissis   ... attendendo di
incontrare il VITO al momento più opportuno. La cosa che mi
fece quasi ridere fu che sentendo discorsi che venivano fatti
dal futuro parlamentare udii il VITO parlare anche di
contrastare la camorra e di lì a poco lo avrei incontrato pur
essendo latitante. Fu così che ad un certo punto vennero
nell'abitazione del ...omissis... il VITO Alfredo
...omissis... Il VITO fece finta di non sapere che era
preparato a detto incontro, chiedendo al ...omissis   ...
chi ero, ed appreso il mio nome mi manifestò la sua meraviglia
nel vedermi come una persona giovane, per bene. Sapeva
certamente della mia latitanza anche perché altrimenti diverso
sarebbe stato il luogo del nostro incontro, eppoi i giornali
mi avevano ben illustrato. Mi riferì che aveva ben compreso la
mia situazione, promettendomi di interessarsi perché aveva
buone amicizie tra i giudici, in particolare per il mio
processo alla Corte d'appello di Napoli. Dopo l'incontro con
il VITO, il ...omissis   ... mi fece sapere che era
opportuno un rinvio dell'udienza che era fissata mi sembra al
21 settembre 1991 e ciò per dar modo al VITO di potersi
interessare efficacemente. Anzi, i miei avvocati erano
contrari a presentare un'istanza di rinvio, perché, per motivi
tecnici che non sono in grado di precisare, alla data del 19
ottobre 1991 sarebbero scaduti i termini per la scarcerazione
di mio fratello CIRO e di SAPORITO Saverio, e il rinvio
avrebbe fatto slittare questo termine. Io insistei sul rinvio
...omissis... Puntavo tutto su VITO ALFREDO che, come mi
riferiva il ...omissis   ... certamente si stava
interessando invogliato dalla prospettiva di poter avere il
formidabile aiuto elettorale del clan ALFIERI, che come ho
detto disponeva di un buon serbatoio elettorale sul territorio
dallo stesso controllato. Negli incontri che avevo con ALFIERI
Carmine gli riferivo anche l'esito dell'interessamento di
VITO, e lui mi incoraggiava dicendomi che i politici sono
disposti ad ogni cosa pur di avere voti. Diceva ancora che
VITO era giovane e sarebbe diventato un personaggio molto
utile. Approssimandosi le elezioni io inviavo messaggi ai
personaggi politici presenti nei vari comuni ...   omissis...
Il VITO era ben consapevole dell'appoggio politico di tutto
il clan ALFIERI e della sua organizzazione. Il mio appoggio
era la sua definitiva sicurezza di poter contare su tutto il
potere criminale del suo territorio elettorale.
  Dopo la sentenza, del marzo 1992, che mi aveva assolto con
i miei familiari dall'accusa di associazione a delinquere di
stampo camorristico, mi mandò a dire il VITO Alfredo, tramite
il ...omissis   ... che mi aveva accontentato, si trattava
di un ottimo risultato e che di più non si poteva ottenere. In
effetti mio padre era stato assolto completamente, unitamente
a mio cognato SAPORITO Saverio, ed erano state ridotte le pene
agli altri imputati. Io rispettai gli accordi che c'erano
stati e che il ...omissis   ... mi ricordò, e così ritengo
che il VITO ha usufruito pesantemente del voto camorristico".
  Altre dichiarazioni del GALASSO sul VITO sono state rese il
22 dicembre 1992 nel carcere di Novara:
  "Domanda:    prosegua nelle dichiarazioni relative ai
rapporti fra persone del mondo politico e Carmine Alfieri, se
esistono.
  Risposta:    tali rapporti esistono e vi sono coinvolte
numerosissime personalità
                         Pag.44
del mondo politico. Fra queste la più importante figura è
sicuramente quella del senatore Antonio GAVA    (omissis).
Di fatto tutte queste persone o quasi tutte erano altresì
in strettissimo rapporto con Carmine Alfieri, e gli
assicuravano sia una potentissima base elettorale (passata
all'onorevole Vito in queste ultime elezioni) ed anche una
solidissima ed efficiente cerniera per la gestione di quel
meccanismo di appalti e subappalti di cui ho parlato
(omissis).    E' fin troppo ovvio che, al momento delle
elezioni, questi rapporti privilegiati fra le rete politica
elettorale di un uomo politico e l'organizzazione criminale si
trasformava in appoggio sul voto. E il meccanismo era lo
stesso già così ben sperimentato nel settore degli appalti e
subappalti, sicché i pacchetti di voti di notevolissima
consistenza che l'organizzazione criminale era in condizione
di gestire, veniva divisa a tavolino fra i vari partiti
politici e, al loro interno, fra i rappresentanti di fiducia
dell'organizzazione. Nelle ultime elezioni ad esempio è sorto
qualche contrasto in quest'organizzazione perché Alfieri ha
dovuto suddividere (con il Cesarano e gli altri affiliati) i
suoi voti nell'intera Campania fra la DC ed il PSI, come in
seguito dirò. Per questo l'intero pacchetto dei voti
controllati dal Gava attraverso l'Alfieri non passò per intero
all'onorevole Vito, ma fu riversato anche su alcuni esponenti
socialisti, quali l'onorevole Mastrantuono ed
(omissis)".
  Ancora, nell'interrogatorio del 19 marzo 1993, nel carcere
di Biella, il GALASSO ulteriormente precisa:
  "Nelle politiche del 1992, come ho già detto, Carmine
Alfieri si pose il problema di dividere il notevolissimo
pacchetto di voti di cui disponeva fra il Vito, diretto
referente e successore nominato del Gava ed alcuni socialisti.
Io nel 1992, come pure ho già detto, ho appoggiato il Vito,
interessando nel corso della campagna elettorale tutti i
capi-elettori dipendenti dall'organizzazione criminale, quali
alcuni sindaci della zona vesuviana, quali (omissis)    a
Saviano e Boscoreale, (omissis)    a S. Giuseppe Vesuviano
(questi erano incerti se schierarsi con altro candidato
doroteo di cui non ricordo il nome, ed io li convinsi,
ricorrendo al mio rapporto con l'Alfieri), (omissis)    in
Pompei; in Poggiomarino lo appoggiai fortemente, e prese credo
oltre mille voti".
  Queste le dichiarazioni di GALASSO che, allo stato, offrono
tuttavia uno spaccato inquietante sui rapporti che sono
intercorsi tra l'onorevole VITO e il clan ALFIERI. Né si può
tacere che effettivamente il GALASSO è stato assolto
dall'imputazione più grave di organizzatore di associazione di
stampo camorristico e che è ancora pendente il procedimento
per la confisca dei suoi beni, dopo che la Corte di cassazione
ha annullato un precedente decreto della Corte d'appello di
Napoli sezione misure di prevenzione.
  Ulteriori elementi di turbativa, derivanti da uno stretto
intreccio tra interessi politici e camorristici, si rinvengono
in indagini che riguardano una USL campana, ai cui vertici
risultano essere state imposte, politicamente, persone legate
all'onorevole VITO e che da questi riceverebbero disposizioni
e a questi renderebbero conto delle loro decisioni
manageriali. In ordine a quanto detto e sull'aspetto di quello
che è lo strumento, ormai noto, del pagamento di tangenti,
quale mezzo di corresponsione di utilità personali e di
finanziamento di gruppi politici, valga per tutte quanto ha
dichiarato a verbale una persona, di cui allo stato, per
motivi di cautela processuale, non si indicano le generalità:
  "La suddivisione delle tangenti avviene secondo criteri e
modalità da me già indicati in precedenti interrogatori.
  Tale sistema, nei suoi elementi costitutivi, sia personali
che pratico-organizzativi, garantisce anche gli interessi
delle organizzazioni mafiose locali, le quali partecipano alla
metodica aggressione degli interessi economici degli
imprenditori contrattualmente legati alla USL, così come già
spiegato nei precedenti interrogatori.
  Ribadisco che agli esponenti politici locali prima nominati
fanno capo gli interessi
                         Pag.45
economici dei vari clan, dei quali gli stessi sono, quando
non organica espressione, referenti ...omissis   ...
  I legami politico-mafiosi anzidetti naturalmente hanno una
valenza elettorale della quale tutti i partecipanti sono
perfettamente consapevoli ...omissis   ...
  In zone significative del comprensorio della USL
l'onorevole VITO ha ottenuto risultati quasi plebiscitari e
ciò in particolare so essersi verificato nella sezione della
zona del quadrilatero delle carceri e di quella di Torre
centrale entrambe in Torre Annunziata".
  Quanto appena detto, pur riguardando altra indagine, è
fondatamente connesso con il procedimento nei confronti del
clan ALFIERI in tutte le sue espressioni, dal momento che vi
sono in comune personaggi legati a questa organizzazione, sul
cui operato e sul cui ruolo questo ufficio sta indagando in
maniera approfondita.
  Ciò che si vuol sottolineare è che il controllo, anche
delle sole forniture alle strutture di una USL, passa sovente
attraverso l'accordo perverso tra amministratori, a loro volta
referenti di un gruppo politico, e organizzazioni criminali.
  Il riferimento nelle dichiarazioni indicate all'onorevole
VITO non è casuale dal momento che il territorio su cui si
esercita detto controllo costituisce da un lato la sua
principale base elettorale e dall'altro la zona di influenza
del più pericoloso ed articolato clan camorristico, appunto
quello di Carmine ALFIERI il cui appoggio elettorale sarebbe
stato garantito proprio da Pasquale GALASSO.
                       Capitolo VII
               LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE
                  RAFFAELE MASTRANTUONO
  Il complessivo quadro di sostanziale sovrapposizione ed
effettiva interazione funzionale fra rete politico-elettorale
e il sistema di interessi criminali facente capo al clan
Alfieri rivela vieppiù i suoi connotati di pericolosità in
presenza della dimostrata capacità dell'organizzazione mafiosa
di assicurarsi il collegamento con una pluralità di soggetti
politici, anche di diversa estrazione.
  In tale contesto va esaminato il valore degli elementi
indizianti che univocamente e gravemente caratterizzano le
posizione dell'onorevole MASTRANTUONO, deputato del PSI e già
vice-presidente della Commissione giustizia della Camera.
  Nel corso dell'interrogatorio del 21/22 dicembre 1992, il
collaboratore Pasquale GALASSO riferiva della capacità
dell'organizzazione camorristica dell'ALFIERI di
diversificare, secondo i propri interessi, il consenso
elettorale controllato riversandolo anche su candidati
appartenenti a varie formazioni politiche e, fra questi, in
particolare, sul candidato socialista MASTRANTUONO.
  Riferisce sul punto il GALASSO, alla domanda di chiarire
precedenti accenni sul punto:
  "Si sapeva da tempo che il Mastrantuono aveva collegamenti
con il clan Alfieri, perché aveva fatto in modo che
(omissis)    avesse gli arresti domiciliari, dopo di che
questi si era reso irreperibile. Ho poi avuto la prova dei
suoi stretti rapporti con Alfieri Carmine e i suoi affiliati.
Infatti il Mastrantuono si interessò per (omissis)
detenuto per rapine commesse in alta Italia. Il
(omissis) aveva sposato una sorella del (omissis)
ucciso in (omissis) nel 1984 nello scontro Nuvoletta
contro Fabbrocino. Il (omissis)    era cugino di
(omissis)   . So che il Mastrantuono si era interessato per
fare avere permessi per il (omissis),    che era detenuto a
(omissis)    e aveva brigato per farlo uscire in libertà.
La liberazione di (omissis)    che era stata una vera e
propria condizione di (omissis)    per fare avere al
Mastrantuono un appoggio elettorale. Queste cose le ho sapute
parlando con Alfieri Carmine e (omissis).    Ricordo che
prima delle elezioni l'Alfieri aveva difficoltà a distribuire
i voti tra vari politici che egli appoggiava, cioè Vito,
Mastrantuono, (omissis)    Meo, perché la cosa non si
presentava facile. So tutto questo perché avevo chiesto
all'Alfieri se si poteva chiedere al Mastrantuono di aiutarmi
nelle mie vicende giudiziarie, proprio con
                         Pag.46
le sue amicizie con i giudici. L'Alfieri mi rispose che il
Mastrantuono si stava interessando per far tornare libero il
(omissis) prima del Natale 1991, e che dopo si sarebbe
dovuto interessare dei suoi problemi.
  Ricordo che poco tempo prima delle elezioni, circa un mese
prima, mi trovavo, nel tardo pomeriggio, con Carmine Alfieri
all'aperto, a una cinquantina di metri, forse meno, anzi a
dieci-quindici metri dalla casa di Pasquale Aliperti ed un
centinaio di metri da dove è stato arrestato Alfieri. Alfieri
mi disse che doveva arrivare Mastrantuono in quanto, come gli
aveva anticipato (omissis)    si trovava in difficoltà
perché le previsioni lo davano perdente e quindi era
necessario il suo aiuto personale per fargli avere la
differenza di voti necessaria alla sua elezione. Ad un certo
punto vidi arrivare due macchine da una delle quali vidi
scendere una persona che riconobbi per l'onorevole
Mastrantuono, che conoscevo bene per averlo visto in
televisione e sui giornali. Il Mastrantuono fu fatto entrare
nell'abitazione del Pasquale Aliperti, il quale avvicinandosi
all'Alfieri gli disse: "don Carmine, il signore è arrivato".
Preciso che il Mastrantuono era accompagnato da
(omissis) che era uscito dal carcere. Come lei mi
chiede, non si avvicinò (omissis)    all'Alfieri perché
doveva far entrare e accompagnare il Mastrantuono in casa
dell'Aliperti. L'Alfieri mi lasciò rappresentandomi
l'inopportunità, perché anch'io latitante, di partecipare
all'incontro con il Mastrantuono. Nei giorni successivi quando
rividi l'Alfieri, questi mi disse che avrebbe impegnato tutta
la sua autorità per fare in modo da fare eleggere il
Mastrantuono, il quale si era impegnato a sua volta ad
aiutarlo in tutti i modi nel suo procedimento penale pendente
alla procura con riferimento a tutte le indagini nei suoi
confronti, compreso il triplice omicidio Pizza. So che l'aiuto
poi c'è stato perché se andate a vedere il Mastrantuono ha
avuto voti in comuni, come San Paolo Belsito, dove lo stesso
non è assolutamente conosciuto, e così nelle piccole frazioni
come Pozzo Ceravolo ed altri".
  Le persone coperte da omissis    sono pericolosissimi
pregiudicati, indagati nel corso del presente procedimento.
  Il racconto di GALASSO, in sé logicamente coerente ed
attendibile, possiede valore indiziario della consapevole
partecipazione del MASTRANTUONO agli obiettivi tipicamente
propri dell'organizzazione mafiosa di assicurazione ai propri
aderenti di condizioni di privilegiato trattamento processuale
e carcerario.
  Siffatta dimensione probatoria è obiettivamente corroborata
dalla vicenda, autonomamente accertata da quest'ufficio,
dell'intervento dell'onorevole Mastrantuono sui giudici della
III sezione penale del Tribunale di Napoli chiamati a
pronunciarsi sulla proposta di applicazione di misura di
prevenzione nei confronti di NOCERA Bruno, indiziato di
appartenenza all'area di criminalità mafiosa raggrumata
attorno alla figura di Antonio BARDELLINO e poi del noto
latitante Umberto AMMATURO (cfr. allegato decreto del
Tribunale e dichiarazioni al pubblico ministero del dottor
Giannelli: doc. n. 15, 16 e 17).
  Tali referenti criminosi del "raccomandato" appaiono
vieppiù gravi ed eloquenti ove si consideri che il
collegamento di BARDELLINO all'organizzazione ALFIERI è
inequivocamente dimostrato dalla vicenda dell'omicidio di Ciro
NUVOLETTA e che i rapporti fra AMMATURO ed ALFIERI, oltre che
dalle dichiarazioni di Pasquale GALASSO, sono attestati
dall'incontro, fotograficamente documentato, avvenuto nel
giugno 1992 in Roma, dei rispettivi luogotenenti, Ciro MARESCA
per AMMATURO e Ferdinando CESARANO e Marzio SEPE per ALFIERI.
  La vicenda in parola, prontamente denunciata al presidente
del Tribunale di Napoli dai giudici Angela Cirillo e Fernando
Giannelli, comprova al di là di ogni dubbio la stabile
disponibilità del MASTRANTUONO ad avvalersi del prestigio
della propria altissima carica istituzionale al fine
dell'assicurazione di benevoli trattamenti processuali in
favore di persone legate ad ambienti di criminalità mafiosa.
                         Pag.47
  Questo il documento:
  "Il giorno 3 ottobre 1989 ... nella camera di consiglio
della sezione ... il segretario giudiziario ... comunicava che
l'onorevole MASTRANTUONO, tale qualificatosi, già presente in
aula d'udienza da un po' di tempo, chiedeva con insistenza di
parlare con i giudici ... l'onorevole MASTRANTUONO ...
presentatosi nella qualità e nella veste di vicepresidente
della Commissione giustizia della Camera ... comunicava di
essere venuto per "segnalare" la posizione di tale NOCERA
Bruno, proposto dalla procura della Repubblica per la
sottoposizione a misura di prevenzione ai sensi della legge n.
575 del 1965, come integrata dalla legge n. 646 del 1982
(antimafia), facente parte di un più ampio procedimento contro
Rea Francesco ed altri, già riservato per la decisione.... A
tanto gli esponenti ... hanno immediatamente invitato
l'onorevole ad accomodarsi fuori, reiterando l'invito con
maggior fermezza allorché l'onorevole, stupito della reazione,
invitava i giudici a non "preoccuparsi"".
  L'esposizione degli avvenimenti contenuta nella nota
indirizzata al capo dell'ufficio dai giudici Cirillo e
Giannelli vale a rappresentare la gravità istituzionale e
giuridica del comportamento dell'onorevole MASTRANTUONO, al
quale la successiva narrazione del GALASSO risulta attribuire
inequivoca ed oltremodo inquietante valenza dimostrativa di
consapevoli e strumentali rapporti con organizzazioni
criminose.
  Un'ulteriore conferma della capacità della organizzazione
criminale di dispiegare, anche attraverso i propri referenti
politici, interventi e pressioni sulla magistratura diretti ad
"aggiustare i processi" può esser colta in altre pagine di
questo procedimento, che sono state trasmesse alla competente
autorità giudiziaria di Salerno, in quanto riguardanti
magistrati che hanno svolto le loro funzioni in uffici del
distretto di Napoli.
                      Capitolo VIII
               LA POSIZIONE DELL'ONOREVOLE
                  PAOLO CIRINO POMICINO
  L'ipotesi accusatoria allo stato formulabile nei confronti
dell'onorevole Paolo Cirino Pomicino è più complessa.
  Essa prende le mosse dal rapporto esistente fra il suddetto
parlamentare ed il fenomeno della cosiddetta ricostruzione
post   -terremoto nei termini in cui il meccanismo che ha
governato tale fenomeno è stato descritto dal GALASSO: val la
pena di ricordare quella pagina.
  "In effetti, com'è chiaro, il rapporto fra i politici e gli
amministratori da una parte, gli imprenditori da un'altra ed i
camorristi da altra ancora trova una sua completa
realizzazione e totale fusione nel meccanismo degli appalti.
In particolare, per tutto quanto ho potuto constatare di
persona, nel corso della mia attività imprenditoriale e della
mia frequentazione con Carmine Alfieri ed altri camorristi o
imprenditori, mi è risultato evidente che il politico che
gestisce il finanziamento dell'appalto e quindi l'assegnazione
dello stesso o della relativa concessione fa da mediatore fra
la ditta quasi sempre del settentrione o del centro Italia, di
notevolissime dimensioni, e la camorra. Tale mediazione
avviene imponendo all'impresa suddetta sia una tangente a lui
stesso od ai suoi rappresentanti diretti, sia l'assegnazione
di subappalti a ditte controllate direttamente dalle
organizzazioni camorristiche. Il rapporto diviene più
complesso allorché alla ditta principale vengono affiancate,
in condizioni di parità nel lavoro, ditte locali: in questo
caso avviene una gestione complessiva dell'operazione da parte
di politici, imprenditori e camorristi direttamente
rappresentati, in totale fusione. Comunque, nel momento in cui
la ditta incaricata del lavoro viene in contatto con il capo
camorra che controlla la zona, è tenuta a versare una tangente
anche a lui ed alla sua organizzazione.
                         Pag.48
  Voglio anche far presente che le ditte coinvolte in via
principale nel lavoro pagano la tangente al politico
anticipatamente, mentre le ditte in subappalto ovviamente
vengono pagate nel corso dello svolgimento del lavoro. Ciascun
politico d'altra parte ha proprie ditte di fiducia, che
ciascuno di essi convoca allorché si trova nelle condizioni di
forza sufficiente per imporla. Ovviamente, allorché viene
affidato un lavoro ad una determinata ditta, questa paga
tangenti non solo al politico cui deve quell'assegnazione, ma
anche agli altri che controllano politicamente il territorio.
  Domanda:    con quali modalità le ditte sub-appaltatrici
e la stessa ditta appaltante ricevono sufficiente liquidità
per effettuare tali pagamenti?
  Risposta:    ciò avviene mediante una soprafatturazione
o falsa fatturazione della ditta appaltante nei confronti
delle ditte appaltatrici, che crea in mano alla prima
disponibilità di liquidi in nero. Desidero però anche far
presente che le organizzazioni camorristiche ricevono
ulteriori utilità nell'affare, allorché le ditte
subappaltatrici non siano nella loro materiale disponibilità,
imponendo ulteriori tangenti a tali imprese, che vi
soggiacciono senza opporre alcuna resistenza, perché è solo
perché effettuino quei pagamenti che ricevono quel determinato
subappalto.
  Di fatto poi avviene che tutte le ditte appaltatrici
vengono man mano a cadere, anche quando non lo siano in
partenza ed abbiano solo invece un rapporto di soggezione,
nella totale disponibilità del vertice dell'organizzazione
criminale, attraverso varie modalità, che vanno
dall'intimidazione alla compartecipazione economica e
finanziaria, con tutta la gamma intermedia di possibilità. Al
termine di questo percorso di presa di possesso da parte
dell'organizzazione camorristica sulla singola ditta, si trova
la totale disponibilità della stessa persona fisica
dell'imprenditore da parte del responsabile
dell'organizzazione: ciò ovviamente comprende la disponibilità
da parte di questo dell'intera capacità imprenditoriale e
dell'intero mondo delle relazioni pubbliche dell'imprenditore
caduto in suo dominio. Ciò ancora significa che, allorché ad
esempio Carmine Alfieri ha necessità di stabilire un
collegamento con personalità politiche con le quali quel
rapporto ancora non ha stabilito, utilizza in maniera piena
quegli imprenditori che di volta in volta egli sa esser
referenti e collegate con quelle personalità. Ovviamente, i
titolari di quelle ditte scelgono liberamente, e con
importantissimo tornaconto economico di ritorno, l'inserimento
nell'organizzazione criminale, di cui ovviamente hanno piena
consapevolezza".
  Fin qui il Galasso, salvo ad aggiungere, in altra parte del
verbale, l'utile di ritorno al "politico" in termini di voto
in occasione delle campagne elettorali.
  Va peraltro detto che la contiguità fra l'impresa operante
nella ricostruzione e le organizzazioni camorristiche è emersa
in molti procedimenti penali: vedi per tutti quello concluso
con ordinanza di rinvio a giudizio a carico di Nuvoletta
Lorenzo, Romano Luigi ed altro, e poi con sentenza di condanna
in primo grado per il delitto di cui all'articolo
416-bis,    estorsione ed altro, nei passi riportati al
capitolo III.
  Dunque, l'ipotesi accusatoria si basa sul pieno
coinvolgimento dell'onorevole Pomicino nella regia della
complessiva operazione della cosiddetta "ricostruzione"; regia
che aveva quale altri comprimari (in determinate, ampie zone
geografiche) Carmine Alfieri e l'enorme numero di ditte
orbitanti nella sua sfera d'influenza: elementi dunque di quel
coinvolgimento si traggono:
  1) dal ruolo di estremo rilievo svolto dall'onorevole
Pomicino nell'ambito della "ricostruzione";
  2) dal rapporto fra l'onorevole Pomicino e Carmine Alfieri
ed i diretti referenti di quest'ultimo;
  3) dalla comunanza d'interessi dei due nella co-gestione
del grande flusso di capitale pubblico impiegato in tali
opere, ovvero nel favorire imprenditori ad entrambi legati;
                         Pag.49
  4) dai contatti tenuti dall'onorevole Pomicino con altri
rappresentanti del capitale sicuramente camorristico.
                           ***
  1) Personaggio chiave per comprendere il rapporto fra
l'onorevole Pomicino e la ricostruzione è senz'altro
l'ingegner Vincenzo Maria Greco: questi infatti viene definito
dal dottor Manco, commercialista ed ex    assessore del
comune di Napoli e per anni componente del "gruppo"
pomiciniano "il rappresentante dell'onorevole Pomicino nella
ricostruzione" (doc. n. 18). Frase che ovviamente contiene una
doppia affermazione: che il Greco è persona di strettissima
fiducia del Pomicino, ma anche che questi è in stretta
correlazione con gl'interventi edilizi finanziati con la legge
n. 219 del 1981 e successive.
  Il dottor Manco riferisce che lui stesso era stato invitato
dall'onorevole Pomicino a desistere dall'attività strettamente
politica, dedicandosi invece al "fare", cioè ad operare
ponendo la sua capacità professionale al servizio dell'agire
"politico" del parlamentare, ruolo che l'ingegner Greco aveva
accettato di svolgere.
  Il dottor Manco ha sul punto una completa attendibilità,
sia per la sua attività professionale e politica, che più
volte l'ha portato a contatto con l'onorevole Pomicino, sia
per la dimostrazione di un totale affidamento che il secondo
riponeva sul primo, anche proponendogli accordi costituenti
gravi ipotesi criminose, come risulta da conversazione
registrata dal dottor Manco all'insaputa dell'onorevole
Pomicino, posta a base di diverso procedimento (attualmente
quindi coperta da segreto d'indagine).
  Conferme in ogni caso ad entrambe queste affermazioni del
Manco vengono da molti elementi, alcuni dei quali già posti al
centro dell'indagine giudiziaria conclusasi con i
provvedimenti a carico del Nuvoletta sopra citati: in tale
procedimento l'ingegner Greco veniva prosciolto dall'accusa di
esser componente di un'associazione mafiosa con la seguente
motivazione:
  "Più delicata la posizione degli imputati del terzo gruppo,
Greco e Vela.
  Denunciati con rapporto del nucleo operativo dei
carabinieri di Napoli I, del 26 ottobre 1985 - che operava
stretti collegamenti, in parte risultati purtroppo fondati,
fra l'intervento edilizio straordinario cosiddetto di
"Monteruscello", e le organizzazioni criminali di tipo mafioso
presenti nella zona; e che poneva il Greco quale strettissimo
collaboratore dell'onorevole Cirino Pomicino - a loro carico
sono state effettuate indagini patrimoniali e bancarie, e
prolungate intercettazioni telefoniche.
  Non è questo il luogo per commentare il quadro che da esse
è risultato - peraltro già contestato in tutti i suoi elementi
agli imputati, che hanno reso dettagliate ricostruzioni dei
fatti, risultate a volte scarsamente credibili - se non per
dire che esso impone la prosecuzione delle indagini a loro
carico per i reati d'interesse privato ed altro di cui alle
comunicazioni giudiziarie a suo tempo dagli stessi ricevute.
  Invece, in questa sede si vogliono valutare gli elementi a
loro carico in ordine alla specifica contestazione di
appartenenza ad associazione mafiosa.
  Ebbene, nel contesto processuale, la posizione del Greco è
emersa come quella di un tecnico di elevatissima capacità di
gestione di rapporti professionali e politici, anche al più
alto livello, che gli consentono - unitamente alla sua abilità
scientifica, da lui stesso con forza ribadita - di prender
parte ad un numero impressionante di iniziative finanziate
dallo Stato, dalla Cassa per il Mezzogiorno, dal Commissariato
straordinario, e così via, che lo vedono presente nei ruoli -
volta a volta - di progettista, collaudatore, direttore dei
lavori, ecc. (a fl. 176 vol. 2 proc. 1731/86 ne sono riportate
12, ma di molte altre ancora si parla nel suo recente
interrogatorio); direttamente o mediante suoi colleghi di
studio o soci in una ditta (la "Eta Sud", dalle non
convincentemente chiarite finalità). Il pubblico ministero
definisce tale attività come quella "frenetica di un
faccendiere ad alto livello   (estrinsecatasi)
                         Pag.50
gestendo, controllando e distribuendo appalti ed incarichi
professionali", con la particolarità, rimasta inspiegata in
sede processuale, di suoi interessamenti e coinvolgimenti in
soluzioni e problemi in cui non ha alcuna veste istituzionale
per entrare. Quanto alle risultanze economiche di questi
impegni, da lui stesso definiti, nel corso di una
conversazione intercettata, tutto sommato non certo
stressanti, esse vengono contabilizzate in quella stessa
telefonata in un ordine molto superiore al miliardo (a questo
proposito s'impongono le ulteriori indagini sopra accennate,
la cui esigenza era stata sottolineata già dal pubblico
ministero nella missiva di formalizzazione, laddove faceva
riferimento al reddito imponibile del Greco, lievitato dai 75
milioni del 1979 ai 905 del 1983, con grande balzo negli anni
che segnano l'inizio dei finanziamenti della ricostruzione
post-terremoto).
  In questo quadro, l'unico elemento serio che in qualche
maniera può collegare il Greco alle organizzazioni mafiose di
cui ci si occupa in questo procedimento (oltre ad una
conoscenza con il Romano, estrinsecatasi in alcune chiamate
telefoniche di quest'ultimo verso il primo rimaste senza esito
di cui il Greco non fornisce una convincente spiegazione) è
quello contenuto in una conversazione telefonica intercorsa
con il Vela, nel corso della quale questi riferisce che le
ditte appaltatrici del consorzio di cui il Greco è direttore
dei lavori (Pozzuoli-Quarto) vogliono "mano libera" nella
scelta delle ditte fornitrici, il che non può esser
consentito, ed il Greco risponde che se ne sarebbe occupato.
Ebbene tale elemento - spiegato da entrambi gli autori della
conversazione come un'interessamento del Greco in favore del
consorzio di ditte del calcestruzzo CEDIC di Caserta di cui il
Vela era vicepresidente: spiegazione peraltro non convincente
poiché non di solo calcestruzzo si parla nella conversazione;
ed inoltre perché troppo modesta è la fornitura per la quale
si va ad innescare un meccanismo di pressione così complesso
se messo in relazione al CEDIC, del quale la ditta (di cui il
Vela era partecipe di minoranza) era piccola parte - tale
elemento, si diceva, non riesce di alcuna utilità ai fini
della contestazione di associazione mafiosa rivolta agli
imputati.
  Allo stesso modo, la garanzia prestata al Pizzarotti dal
Greco in favore dell'impresa dei fratelli Sorrentino (che
recenti testimonianze mettono in stretto contatto con il
Romano - le cui forniture di calcestruzzo spingono molti ad
utilizzare - mentre indagini patrimoniali e di altro tipo
pongono in relazione ai massimi referenti del Greco) uno dei
quali ucciso con modalità tipicamente camorriste, ed altro
prima condannato poi assolto con formula dubitativa in via non
definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis    del
codice penale, è del pari non significativo per quello stesso
fine.
  Infine, non è stato possibile accertare - e qualsiasi
ipotesi che giustifichi tale impossibilità appare altamente
inquietante - nonostante approfondita istruttoria, su quale
base già nel 1983 vengono richieste dal nucleo operativo dei
carabinieri di Napoli I informazioni dettagliate alla Guardia
di finanza sul conto del Greco, il cui nome viene inserito fra
quelli del gotha    delle organizzazioni mafiose della
Campania, ai fini dell'irrogazione di misure di prevenzione ai
sensi della legge n. 646 del 1982 (cd. La Torre) appena
entrata in vigore.
  Neanche per questi imputati sussiste quindi la prova della
partecipazione all'associazione contestata, e va quindi
provveduto ai sensi dell'articolo 152 del codice di procedura
penale".
  Fin qui il giudice istruttore:
  Peraltro, per render più comprensibile il meccanismo che
regolava il funzionamento della società Eta sud, costituita
dal Greco unitamente a tecnici di tutta Italia di chiara fama,
è necessario rileggere gli interrogatori resi dal tecnico,
dove si rileva (doc. n. 19):
  che la società prevedeva che tutti i componenti versassero
tutto quanto ricevuto per incarichi professionali a venire
nell'ambito degl'interventi ex    legge n. 219 del 1981
alle casse della società stessa;
                         Pag.51
  che i proventi così costituiti avrebbero dovuto esser
divisi fra tutti in parti eguali dopo che ne era stato
detratto un 10 per cento, riservato alla società;
  che tale riserva non trovava alcuna motivazione, in quanto
la società non aveva praticamente spese, utilizzando la sede,
l'ufficio, la segreteria, il telefono, la fotocopiatrice e
quant'altro del Greco;
  che effettivamente i componenti di quella società (che al
momento dell'intervento giudiziario non aveva ancora operato)
avrebbero presto iniziato a ricevere gli incarichi
professionali previsti;
  che il Greco, che aveva come unico incarico pubblico quello
di componente del comitato tecnico regionale, non avrebbe mai
avuto il potere di assegnare quegli incarichi; ma che tale
potere invece senz'altro aveva quell'onorevole Pomicino che
era fisso referente dei contatti telefonici con il Greco, nel
corso delle intercettazioni già contestate a quest'ultimo
nell'interrogatorio citato.
  La sola lettura di quegl'interrogatori, i riferimenti a
numerosi assegni (per consistenti somme versate a vario titolo
a politici, tecnici, imprenditori, parenti suoi e
dell'onorevole Pomicino), a telefonate intercettate, a
dichiarazioni rese da testimoni rende un quadro di grande
rilievo dell'attività del Greco in tutto quel fenomeno della
ricostruzione che al suo interno ha celato compromissioni di
ogni genere, che in questi giorni stanno venendo alla luce.
Addirittura, risulta esser lo stesso Greco a ricevere
richiesta da parte dell'avvocato De Siena, dirigente del
Commissariato regionale, di interessarsi per il finanziamento
di quell'ente per 600 miliardi: e come poteva una persona così
priva di potere istituzionale costituire un tale referente per
chi tale potere invece aveva, se non in quanto diretta
emanazione e rappresentanza dell'onorevole Pomicino, all'epoca
presidente della Commissione bilancio?
  Ad ulteriore conferma, si vedano le dichiarazioni rese:
  da De Falco Agostino, co-titolare della ICLA, nel marzo
1993 (doc. n. 20), secondo cui:
  "il Greco era una sorta di "mente" all'interno del
Commissariato regionale di Governo anche se non so se avesse
un ruolo ufficiale (che non aveva: n.d.p.m.). Mi risulta anche
che avesse curato i progetti di molte opere realizzate dallo
stesso Commissariato. Se ben ricordo fui io a prospettare al
Greco il desiderio della mia azienda a partecipare ai lavori
del Commissariato regionale ed il Greco mostrò una grandissima
conoscenza di tutti gl'interventi infrastrutturali che il
Commissariato regionale avrebbe intrapreso a realizzare. Il
Greco mi disse che sarebbe stato possibile che l'ICLA
s'inserisse in queste opere; mi disse che quello era il
momento giusto. Io ho avuto contatti con il Greco in quanto
occorreva in concreto fissare in quale opera inserire l'ICLA.
Fu direttamente il Greco a dirmi che l'ICLA poteva esser
inserita... (il segreto d'indagine impedisce di disvelare più
precisamente operazioni edilizie, luoghi e fatti specifici);
  da Boffa Aldo (doc. n. 21), assessore regionale per la DC e
rappresentante napoletano dell'onorevole Scotti (è sempre il
dottor Manco a riferirlo, ma è circostanza a tutti nota), il
quale afferma che il Greco:
  "era ed è persona di fiducia dell'onorevole Pomicino. In
particolare il Greco aveva all'epoca un rapporto di consulenza
con l'onorevole Pomicino.... In particolare il Greco suggeriva
ed indicava determinate scelte da parte del Commissariato di
Governo ed aveva possibilità d'incidere sulle scelte di
quest'ultimo.... Questo potere lo aveva dato, ad esso Greco,
l'onorevole Pomicino, nel senso che il Greco intanto aveva il
potere di incidere sulle scelte della struttura commissariale
in quanto era l'uomo di fiducia di Pomicino.
                         Pag.52
All'epoca infatti Pomicino era presidente della Commissione
bilancio e programmazione economica, dalla quale in qualche
modo dipendevano gli stanziamenti delle somme con cui
finanziare le opere di ricostruzione del post   -terremoto,
per cui il Greco, essendo persona di fiducia di Pomicino, ed
operando nell'ambito della struttura commissariale, aveva la
possibilità di svolgere un concreto interessamento per poter
ottenere il finanziamento delle opere di ricostruzione da
realizzare".
  Quali e quanti siano stati tali incarichi forma oggetto di
separati procedimenti in corso presso quest'ufficio dinnanzi
al pubblico ministero con delega specifica alle indagini
sugl'illeciti verificatisi nel corso della "ricostruzione".
  Recentemente il Greco è stato colpito da provvedimento
cautelare di custodia in carcere proprio per attività illecita
svolta in tale ambito.
  Ed è oggi, alla luce di quei provvedimenti, che va riletta
la relazione conclusiva del lavoro della Commissione
d'indagine richiesta dall'onorevole Pomicino (cd. "giurì
d'onore") a seguito delle dichiarazioni dell'onorevole Piro,
pubblicata negli atti parlamentari - Camera dei deputati,
seduta dell'11 febbraio 1992, secondo cui "l'ingegner Greco è
un professionista affermato nel campo della progettazione di
opere pubbliche, ed è inoltre particolarmente attivo nel
settore degli appalti. E' anche stretto collaboratore nelle
attività ed iniziative politiche ("ed editoriali" interrompe
l'onorevole Piro, riferendosi alla partecipazione
dell'ingegner Greco alla società Itinerario) del ministro
Pomicino, come lo stesso ministro ha confermato".
  Può dirsi dunque, concludendo sul punto, che esistono
elementi probatori, che dovranno esser ulteriormente
approfonditi, nel senso che l'onorevole Pomicino ha esercitato
un pregnante controllo ed una sostanziale direzione
dell'attività del Commissariato regionale di Governo.
                           ***
  2) Tutto ciò premesso, va esaminato ora il quadro
degl'indizi che pongono direttamente l'onorevole Pomicino in
contatto con Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, per
verificare se il rapporto del primo con la ricostruzione
post    sisma abbia intersecato anche l'attività che
l'organizzazione camorristica capeggiata dall'Alfieri ha
dispiegato sul complessivo e colossale investimento di risorse
pubbliche seguito al terremoto del 23 novembre 1980.
  Su questo punto, possono esaminarsi le dichiarazioni rese
dal Pasquale Galasso al pubblico ministero nel corso
dell'interrogatorio del 22 dicembre 1992, laddove afferma:
  "Il professor ZARONE, nel 1978, mi contattò e mi chiese,
per le elezioni politiche che si tennero in quell'anno (anzi
forse nel 1979) l'appoggio per la campagna elettorale di Paolo
Cirino POMICINO. Data la gratitudine ed il profondo rispetto
che la mia famiglia nutriva e nutre verso il professor ZARONE,
non avemmo alcuna esitazione nell'accogliere quell'invito, ed
organizzammo nella nostra concessionaria una riunione
elettorale, in Poggiomarino, cui intervennero circa 100
persone. Fatto sta che in quelle elezioni, il Cirino POMICINO
raccolse in Poggiomarino circa 8001000 voti. Nel 1979 o 1980
si presentò a casa mia Carmine ALFIERI in compagnia di una
persona che non conoscevo, e che mi presentò in
quell'occasione per (omissis)   . Si trattava di un
professore che era stato sindaco di Nola ed ancora lo sarebbe
stato negli anni successivi. Questi, dopo che l'ALFIERI mi
aveva chiesto di aiutarlo in ogni modo possibile, mi spiegò
che c'era un'indagine (non so se penale o amministrativa) in
corso su alcune irregolarità commesse riconoscendo a persone
che avevano presentato richieste di invalidità una percentuale
d'invalidità superiore a quella reale che consentiva il
riconoscimento di invalidità pensionabile a persone che non ne
avevano titolo. Io rimasi sorpreso per tale richiesta, e
chiesi all'ALFIERI cosa potevo fare per favorire il suo amico;
Carmine ALFIERI mi rispose che avevano saputo [il
(omissis)    in particolare lo aveva appreso in direzione
provinciale della DC, suo partito]) che io ero
                         Pag.53
molto legato al POMICINO, per avergli dato aiuto elettorale.
  Essendo poi il POMICINO inserito nella medesima corrente
politica dell'onorevole SCOTTI, all'epoca ministro del lavoro,
questi aveva la possibilità di risolvere i problemi dell'amico
(omissis).    Ripeto che non so di che natura fosse
l'indagine in corso né di che tipo di aiuto necessitasse il
(omissis).    Mi posi allora in contatto con il professor
ZARONE, il quale mi espresse il suo rammarico per il fatto che
il POMICINO dopo aver ricevuto il mio aiuto, non aveva sentito
il bisogno di ringraziarmi adeguatamente. Io gli risposi che
la cosa non m'importava, e gli chiesi come mettermi in
contatto con il POMICINO. Il professor ZARONE mi dette il
numero telefonico della sua segretaria, che mi sembra si
chiamasse e si chiami tuttora Anna Maria, che io
immediatamente chiamai. Appena sentì il mio nome, la
segretaria mi mise subito in contatto con l'onorevole
POMICINO, il quale subito ci tenne a ringraziarmi per l'aiuto
che gli avevo dato ed a scusarsi per non essersi fatto sentire
dopo la sua elezione. Gli esposi sinteticamente il problema, e
gli dissi che il (omissis)    voleva parlargli; non mi
sembra (a sua domanda) che gli dissi che avrebbe partecipato
all'incontro anche il Carmine ALFIERI, da poco uscito dal
carcere. Ricordo invece benissimo che il POMICINO mi spiegò
che al mattino successivo sarebbe partito per Roma molto
presto e che per incontrarlo o saremmo dovuti andare alla
stazione di Mergellina alle 05,45, o avremmo potuto vederci la
settimana successiva.
  Io scelsi la prima soluzione e la mattina dopo condussi
Carmine ALFIERI, ed il (omissis)    all'appuntamento. Il
POMICINO mostrò di conoscere il (omissis),    ma non battè
ciglio quando io gli presentai l'ALFIERI, pur essendo questo
all'epoca già pregiudicato assai noto. Gli esposero brevemente
il problema, ed egli rispose che avrebbe verificato quanto si
poteva fare e ci avrebbe ricontattato. Dopo 7-10 giorni ci
risentimmo (non so dire, a sua domanda, su richiesta mia o su
iniziativa del POMICINO) e quest'ultimo ci dette appuntamento
presso il 1^ Policlinico, deve egli aveva una lezione o una
riunione, non ricordo bene. Ricordo però che il POMICINO mi
disse che io potevo comprendere bene il luogo e l'appuntamento
poiché a quell'epoca ero studente in medicina. C'incontrammo
ancora una volta noi quattro, poi presero altro appuntamento,
di lì a qualche giorno, sotto gli uffici della previdenza
sociale, in via Marina a Napoli. Li accompagnai ancora una
volta, poi mi sganciai, in quanto la mia presenza era divenuta
inutile; seppi però in seguito che grazie all'intervento
dell'onorevole POMICINO, il (omissis)    aveva risolto i
suoi problemi, e le persone le quali aveva effettuato quelle
"forzature" erano state escluse dagli elenchi delle verifiche.
Il (omissis)    peraltro mi disse che alle elezioni
successive aveva aiutato l'onorevole POMICINO invece che i
precedenti referenti (che peraltro non so chi fossero). Per
riferire ulteriori rapporti di notevole importanza intercorsi
fra il Carmine ALFIERI e l'onorevole POMICINO, ho necessità di
fare una premessa (omissis)   .
  ... L'ALFIERI mi mandò a chiamare, e, in un colloquio a
quattro occhi, mi disse che sarei potuto a breve rientrare di
tutto quanto avevo sborsato ingiustamente. Mi spiegò che aveva
saputo che l'AMBROSIO Franco - suo amico personale, sua
persona di fiducia e suo prestanome come mi riservo di
spiegare più avanti - stava costruendo anzi stava facendo
costruire, nel porto di Napoli, degli importantissimi silos
per la sua Italgrani, che avrebbero assorbito enormi quantità
di calcestruzzi. Mi disse anche che il POMICINO aveva fatto in
modo che a vincere la gara per quella costruzione fosse una
ditta che era sotto il materiale di controllo di
(omissis   : trattasi di imprenditore condannato in via non
definitiva per associazione camorristica) anche se questi non
ne appariva in alcun modo interessato".
  Prosegue il GALASSO: "sono ancora a conoscenza delle
seguenti circostanze:
  "a) (omissis   : persona indagata nel presente
procedimento) di cui già vi ho
                         Pag.54
parlato, mi riferì prima o poco dopo l'ottobre 1990 [epoca in
cui mi rivolsi a lui per ottenere un aiuto nel mio
procedimento, attraverso le amicizie sue e dei suoi referenti
politici, in particolare l'onorevole (omissis)    con
alcuni giudici di cui non so il nome] che si trovava in gravi
difficoltà economiche, tanto che stava per mettere in cassa
integrazione molti dipendenti, in quanto c'era, soprattutto
nella zona del Nolano ma non solo, il POMICINO che, attraverso
ditte sicuramente e direttamente da lui controllate, come la
ICLA, o attraverso ditte che comunque e per vari motivi voleva
favorire, tramite e grazie l'amicizia di Carmine ALFIERI
riusciva ad accaparrarsi un elevatissimo numero di appalti, di
fatto levandogli gran parte dello spazio impreditoriale
fisiologico. A sua domanda, non mi fece il nome di tali ditte,
oltre l'ICLA;
  b) i fratelli SIMEOLI erano legatissimi a Carmine
ALFIERI, come ho già detto e come dirò, e grandi elettori del
POMICINO. Ricordo a questo proposito una vicenda, che può fare
maggiore chiarezza assai significativa (omissis   :
sull'episodio sono in corso indagini da parte di altra
autorità giudiziaria);
  c)    altro episodio inerente i fatti di cui sto
parlando riguarda il CIS di Nola. Premetto che, sia per quanto
riferiva l'ALFIERI sia per quanto apprendevo nel corso della
mia attività imprenditoriale era evidente che l'intera
operazione, nata poco dopo la conoscenza fra il
(omissis), il POMICINO ed il Carmine ALFIERI di cui ho
detto, era gestita sul piano politico dal POMICINO e sul piano
camorristico dall'ALFIERI. Ciò potrà essere facilmente
dimostrato esaminando la reale titolarità sia delle ditte
appaltatrici che di quelle concessionarie. In particolare il
grande mediatore degli interessi complessivamente coinvolti
era il MEO, di cui ho già parlato, mentre il "controllore del
livello imprenditoriale, referente dell'ALFIERI per il livello
camorristico e del POMICINO per quello politico, era
(omissis   : trattasi di soggetto indagato nel presente
procedimento). Fra le principali ditte appaltatrici e
concessionarie vi erano quelle di Matteo e Bruno SORRENTINO,
legatissimi al POMICINO, e quella della PIZZAROTTI, a sua
volta legata al MALVENTI ed al Bruno SORRENTINO. La PIZZAROTTI
mi sembra avesse l'incarico di costruire un importante pezzo
della ferrovia o dell'autostrada. Il (omissis)    - se ben
ricordo - mi raccontò che il PIZZAROTTI si lamentava perché
doveva pagare, secondo richieste ricevute, anche tangenti alle
bande camorristiche anche dopo aver ricevuto assicurazione da
parte di politici, cioè del POMICINO, che pagando loro la
tangente del 10 per cento avrebbe ricevuto anche la sicurezza
sui cantieri verso la camorra. So che in seguito il MALVENTI
ed il Matteo SORRENTINO risolsero la questione, non so in che
modo"".
  Fin qui le dichiarazioni che possono essere esposte.
  Va peraltro affermato che il professor Zarone, sentito come
teste, ha confermato di aver presentato il Galasso (persona
che gli aveva affidato una consulenza tecnica di parte
medico-legale) all'onorevole Pomicino, su richiesta di
quest'ultimo (doc. n. 22); così come è risultato provato che
il parlamentare nelle elezioni indicate riportò un buon
successo di voti se si tien conto del nessun radicamento
politico che aveva nella zona (circa 600 voti: meno
dell'onorevole Gava, ma ben più del capolista onorevole
Scotti: doc. n. 23).
  Si deve anche tener presente che in quel periodo il Galasso
era sottoposto a procedimento penale per un duplice omicidio
avvenuto qualche anno prima, procedimento che lo portava ad
alterne vicende detentive.
  Ulteriore conferma dell'esistenza di un rapporto fra il
Galasso e l'onorevole Pomicino risulta dalle dichiarazioni
rese a proposito di Salvatore Lettieri, amministratore
pubblico e sindaco di Poggiomarino che proprio il Galasso
aveva avviato al "gruppo" pomiciniano. Afferma infatti il
Galasso:
  "Le elezioni dunque si ripeterono, se ricordo bene, nel
1980, e conquistò nuovamente la maggioranza il Liguori, con
1500
                         Pag.55
o 2000 voti, anche con il nostro appoggio. Tuttavia un
piccolo appoggio lo demmo anche ad una figura nuova, Salvatore
Lettieri. Questi, che non aveva spazio nella DC controllata
dal Gava, fu da me inviato al Pomicino (per il quale nel
frattempo avevo svolto un aiuto nel 1978, come ho detto,
portandogli mi sembra 800 voti, comunque tutti i voti che egli
ebbe in Poggiomarino) tramite la sua segretaria Anna Maria; ed
i due entrarono in contatto, come vedremo. Il Salvatore
Lettieri è parente di Rosario Annunziata, al quale, insieme a
Raffaele Boccia e con l'intervento dell'avvocato Eduardo
Serafino, acquistarono una casa in Porto Azzurro, prima che
uscisse da quel penitenziario dov'era detenuto per la sua
attività di riciclatore dei sequestri avvenuti in Campania e
Calabria (la moglie dell'Annunziata era una Macrì)....
  Alle amministrative del 1985 appoggiai anche il Lettieri,
che mi portò richieste in tal senso del Pomicino, e questi
riportò circa 1000 voti. Il mio prestigio in quel periodo,
benché latitante, era altissimo in Poggiomarino: ormai avevo
eliminato l'Orbuso ed il Caso, uccidendoli, il Gaudino,
umiliandolo pistola in pugno e costringendolo a ritirarsi da
tutto, i Catapano, uccidendoli e facendoli fuggire, gli
Annunziata facendo abbandonare loro Poggiomarino. Ero dunque
l'unica "autorità" del paese, e però devo dire che sentivo
sempre che quell'autorità derivava dall'affetto e dalla stima
dell'intero paese piuttosto che dalla paura della capacità
d'azione da me dimostrata....
  Il Miranda, allorché vi furono le politiche del 1987, venne
da me chiedendomi di aiutare il Gava, che mi rimproverava una
non coerente collocazione in occasione delle amministrative
precedenti per l'appoggio dato al Lettieri di Pomicino, e
temeva che avrei potuto ripetere l'appoggio già dato a
quest'ultimo nel 1978. Pretendeva invece che io gli
assicurassi l'integrità del pacchetto di 1500-2000 voti che il
Gava aveva sempre raccolto in quel comune. Il Miranda
insistette a lungo perché accettassi di ricevere il Gava nel
corso di una riunione presso la mia abitazione, che io invece
rifiutavo per evitare di evidenziare un mio schieramento con
l'uno o l'altro politico. Fui invece incastrato dal Miranda e
da Achille Marciano, i quali, dopo essermi venuti a trovare,
sparsero la voce in paese che quella riunione vi era stata,
tanto che venni rimproverato sia dai gavianei, per non averli
chiamati, sia dal Lettieri, perché si sentiva tradito.
  In quelle politiche appoggiai più il Gava che il Pomicino
(questi mi sembra che prese un centinaio di voti meno del
Gava) soprattutto perché tenevo molto al Sangiovanni, ma
aiutai anche il Lettieri per non perdere il buon rapporto con
il Pomicino...
  Alle ultime elezioni politiche poi "il Lettieri non so chi
appoggiò, mi sembra avesse litigato con il Pomicino poiché
voleva entrare in lista per la provincia e ciò non gli venne
consentito, pur avendo addirittura presentato i manifesti per
questo: c'era stato uno scontro su questo fra il Gava ed il
Pomicino, che voleva interrompere la tradizione che voleva un
candidato gavianeo, contro cui il Lettieri uscì perdente.
Credo che potrete trovare quei manifesti ancora in un
fabbricato da lui costruito abusivamente su suolo destinato
alle IACP, che usa come deposito per il suo commercio di seta
cinese".
  Il Lettieri, sentito dal pubblico ministero, pur negando
ovviamente l'influenza del Galasso sulla sua elezione,
ricostruisce tutti gli spostamenti politici interni alla DC di
Poggiomarino nei medesimi termini, ponendo l'inizio del suo
inserimento nel "gruppo" dell'onorevole Pomicino al 1986 (doc.
n. 24).
                           ***
  3) Si innesta a questo punto dello sviluppo delle indagini
il tema dei comuni interessi che consistenti indizi fanno allo
stato ritenere abbiano l'onorevole Pomicino ed il Carmine
Alfieri nella cosiddetta ricostruzione, o - in maniera più
ampia - in tutto il settore dell'edilizia finanziata con
capitale pubblico.
                         Pag.56
  Vi sono elementi (sui quali necessitano approfondite, assai
complesse indagini) per ritenere che il rapporto
dell'onorevole Pomicino con la ricostruzione abbia
nell'ingegner Greco il suo strumento tecnico, e nel Carmine
Alfieri il suo referente camorristico (in grado di
assicurargli ogni tipo di copertura, assistenza e protezione
nelle aree da lui controllate in tutti i settori con cui
dovesse interagire: correnti politiche diverse dalla sua,
gruppi camorristici aggressivi, amministratori tiepidi o
intraprendenti; o comunque con chiunque non ne riconoscesse il
potere): e trova alla metà degli anni '80 il suo braccio
operativo nella ICLA s.p.a. (si è già detto del riferimento
che vi fa il Galasso).
  Lo sviluppo di tale società può esser letto
nell'informativa della Guardia di finanza - nucleo polizia
tributaria di Potenza del 30 marzo 1992, prot. 30/R, che
esamina il credito assai rilevante che tale società ha
ricevuto da parte della Banca di Pescopagano (doc. n. 25).
  Tale informativa è utile per documentare come questa
società, assai vicina alla decozione nei primi anni '80,
allorché apparteneva al gruppo Bastogi, abbia in seguito
subito un fortissimo rilancio allorché è stata acquisita da
due tecnici napoletani, De Falco e Buonanno; rilancio tutto
dovuto all'eccezionale capacità di penetrazione dimostrata nel
settore degli appalti pubblici, in particolare in quelli
finanziati ai sensi della legge n. 219 del 1981, come nota
l'organo tecnico del Banco: non certo agl'investimenti operati
dai due imprenditori, dell'ordine di qualche centinaio di
milioni, com'essi stessi riferiscono.
  Fatto sta che, dopo aver acquisito il controllo di varie
società nel 1990, quali la Fondedile (con un costo di circa
100 miliardi, fortemente interessata nelle opere di
ricostruzione nonché nell'Interporto di Nola, opera funzionale
al CIS ed alla sua espansione), la Ceretti e Tanfani
(coinvolta in appalti e tangenti nella funicolare di Napoli),
il portafoglio-lavori dell'azienda al 1992 ammontava ad oltre
1.800 miliardi.
  Sono in corso accertamenti - che proseguiranno più
alacremente ove venga accolta la presente richiesta - per
verificare se il denaro utilizzato per la costituzione ed i
primi finanziamenti della ICLA sia effettivamente derivato
dalle presunte illecite acquisizioni operate dall'onorevole
Pomicino come ricostruite nelle numerose dichiarazioni
acquisite in diversi procedimenti che verranno a conoscenza di
codesta Camera nei prossimi giorni; o addirittura dei
referenti camorristici sopra indicati; fatto sta:
  che né il Buonanno né il Di Falco avevano pregressa
attività imprenditoriale in grado di giustificare un così
imponente aumento di capitali;
  il dottor Manco ha riferito di aver sentito l'onorevole
Pomicino dire all'ingegner Greco che dovevano "parlare a
Gigino della ICLA": dove il Gigino era il Manco, e dove il
senso della frase non può che denotare la possibilità in chi
la pronuncia di "gestire" sostanzialmente la società, o
comunque di avervi forti interessi e coinvolgimenti;
  le stesse dichiarazioni del Di Falco, tratto in arresto in
esecuzione di provvedimento cautelare emesso sempre per reati
inerenti l'attività illecita svolta dalla ICLA nell'ambito
della ricostruzione post    sisma pur smentendo formalmente
l'ipotesi, paiono invece sostanzialmente avvalorarla, laddove
spiegano solo con la professionalità degli imprenditori un
successo dovuto in particolare alla capacità di acquisire
commesse pubbliche;
  ancor più esplicite sul punto le dichiarazioni di Aldo
Boffa, arrestato per i medesimi delitti (doc. n. 21) secondo
cui:
  "in ordine all'esistenza all'epoca della ricostruzione del
post   -terremoto di una sorta di lottizzazione politica
delle imprese che partecipavano all'opera di ricostruzione,
posso dire che, all'epoca, vi era nella DC una geografia per
cui, se una ditta era vicina ad una certa persona della DC, si
riteneva dai più che tale ditta fosse sponsorizzata da quella
persona cui era vicina. A tal proposito faccio presente che,
nella vicenda del dopo terremoto, Pomicino era ben
rappresentato dalla ICLA. E
                         Pag.57
ciò perché il De Falco, titolare della ICLA, era molto amico
sia di Greco che di Pomicino ... Con riferimento alla vicenda
che mi viene contestata (per la quale il Boffa si trova in
stato di custodia cautelare in carcere: n.d.p.m.) intendo dire
che Greco e Pomicino già potevano ritenersi soddisfatti
dall'inserimento, nella realizzazione dei lavori del
post-terremoto, della ditta ICLA";
  altrettanto deve dirsi per quelle rese da Recinto Giovanni,
ingegnere dipendente dall'ANAS, al pubblico ministero di
Napoli (doc. n. 26) laddove afferma di esser stato chiamato
dal Ministero dei lavori pubblici per certificare l'urgenza di
un determinato intervento edilizio su una strada, al fine di
far concedere quei lavori di manutenzione, già finanziati, a
trattativa privata; alle sue resistenze per l'inesistenza di
quell'urgenza, il segretario del ministro dei lavori pubblici
"mi rispose, piuttosto irritato nei confronti del ministro,
che quella variante stava a cuore al ministro stesso poiché
interessava la ICLA che faceva capo notoriamente al ministro
Pomicino".
  Alla luce di tutte queste acquisizioni (che saranno
senz'altro approfondite ove venga accolta la presente
richiesta) appare:
  a)    che le su esposte acquisizioni vanno ad
aggiungersi a quelle già raccolte dal "giurì d'onore" sopra
indicato, laddove, premesso che "l'onorevole Pomicino ha
dichiarato che Bonanno e De Falco sono ottimi imprenditori ed
amici personali", ha osservato che "non può costituire prova
né il crescente e provato aumento del volume d'affari
dell'ICLA che ha accompagnato l'influenza in ascesa
dell'onorevole Pomicino nel Parlamento e nel Governo, né le
abnormi revisioni dei prezzi (talvolta da 1 a 14) che sono
state denunciate dalla Commissione Scalfaro, né l'acquisizione
di benefici da parte di imprese che hanno cooptato l'ICLA
proprio alla vigilia della riunione del CIPE del 3 luglio
1986. E non possono nemmeno esser considerate prove neanche
gli appoggi elettorali che due imprenditori hanno, secondo
altre affermazioni, fornito a Pomicino";
  b)    risulta assolutamente riscontrata dalle ammissioni
del Boffa la dichiarazione resa in precedenza dal Galasso
secondo cui il politico che s'interessava di procurare il
finanziamento pubblico di una determinata opera, imponeva
anche la presenza della ditta da lui "sponsorizzata" (per
usare l'espressione del Boffa);
  c) risulta non veritiera l'affermazione del Di Falco
secondo cui dalla fine del 1989 sarebbe cessata qualsiasi
attività di "reciproca assistenza" fra la ICLA ed il Pomicino,
in quanto le dichiarazioni del Recinto fanno riferimento ad
episodio assai successivo (1991).
  Solo approfondite indagini potranno dire se la ICLA
"appartenga" all'onorevole Pomicino, ovvero sia stata da
questi protetta perché a lungo ne ha finanziato ogni tipo di
attività politica, editoriale, imprenditoriale ecc. Appaiono
però esistere multiformi elementi, della più varia
provenienza, che confermano l'esistenza fra i due soggetti di
un rapporto di cointeressenza, sufficienti allo stato per
ritenere confermate le prime ipotesi investigative.
  Quanto alle dichiarazioni del Galasso sulla costruzione del
CIS di Nola, iniziativa nata a seguito del contatto fra
l'onorevole Pomicino ed il Carmine Alfieri, solo delicate e
complesse indagini potranno fare chiarezza sul punto.
  Quel che è certo però fin d'ora è che:
  l'opera ha avuto la possibilità di godere di cospicui
finanziamenti pubblici, avvenuti nel periodo in cui
l'onorevole Pomicino era presidente della Commissione bilancio
della Camera;
  l'iniziativa prevede futuri imponenti finanziamenti nella
sua espansione e nel suo collegamento con l'Interporto
NolaMarcianise-Maddaloni (importo finale previsto solo per
quest'opera: 1.294 miliardi). E Nola, come si è visto, è il
cuore, l'epicentro del potere criminale dell'Alfieri, che vi
controlla attività economiche, elezione
                         Pag.58
dei sindaci, funzionamento delle USL, ecc.: numerosissimi gli
omicidi nati dalla faida per il controllo dei subappalti
all'esterno dell'area nolana, omicidi culminati con l'eccidio
di Acerra dell'1 maggio 1992, che ha visto 5 morti - fra cui
un ragazzo di 15 anni ed una ragazza incinta - e 3 feriti,
come da provvedimento cautelare (doc. n. 27);
  vi partecipano fin dal primo momento altre ditte di fiducia
sia dell'onorevole Pomicino che dell'Alfieri, prima fra le
quali quella di Bruno Sorrentino: che merita un particolare,
approfondito discorso, che si riprenderà in seguito.
  Medesimi i protagonisti in quella che appare come la più
paradigmatica delle opere della ricostruzione: la sistemazione
dell'asta valliva dei cosiddetti Regi Lagni, operazione finora
finanziata con oltre 500 miliardi, e con previsione di spesa
di circa 900, con inizio nel nolano e fine in territorio della
potente banda dei casalesi, in cui:
  l'assegnazione dei lavori al consorzio CORIN, guidato
dall'ingegner Cabib, avvenne senza alcuna trattativa ma
semplicemente perché quel consorzio era concessionario della
realizzazione di un insediamento abitativo finanziato con la
legge n. 219 del 1981 in Marigliano, uno dei 9 comuni in cui
erano in corso analoghe iniziative e che, nell'area nolana,
scaricavano in quel canale (dichiarazioni del Guglielmi e del
Cabib: n. 28 e n. 29);
  nessuna disposizione normativa consentiva di ritenere
un'opera idraulica di quella portata finanziabile ai sensi
della legge n. 219 del 1981;
  progettista del CORIN in Marigliano era l'ingegner Greco;
  l'ingegner Cabib, pur avendo nominato progettista un
tecnico di chiara fama che da decenni trattava il problema
(l'ingegner Guglielmi), gli impose di esser affiancato dalla
soc. servizi ingegneria, controllata da ("di proprietà di"
dirà il Guglielmi) l'ingegner Greco (i rapporti fra tale ditta
ed il Greco, di totale identificazione, emergono con chiarezza
dalle intercettazioni telefoniche e dalle indagini bancarie
contestate al Greco nel corso degli interrogatori citati);
  l'ingegner Cabib impone lo stesso ingegner Greco quale
consulente ai progettisti, con modalità del tutto anomale (il
compenso per progettisti e consulenti è di svariati miliardi);
  il CORIN, che palesemente è inidoneo a gestire un così
complesso incarico, si associa varie altre ditte, fra cui
quella di Isidoro Balsamo, cognato del Greco (valgono per il
Balsamo le medesime considerazioni su assegni - per centinaia
di milioni - e telefonate che lo indicano in strettissimo
rapporto con il Greco);
  risulterebbero finanziate a quest'ultima ditta opere
funzionali non a quelle autorizzate ma ad interventi
stralciati e non ancora finanziati;
  il regista effettivo dell'intero intervento, e la vera
autorità nella direzione dei lavori era l'ingegner Greco;
  importantissimo subappalto dal Cabib fu affidato, come lui
stesso riconosce, a ditta appartenente al figlio di un noto
pregiudicato della zona (si ricordi: di area nolana);
  lo stesso Alfieri Francesco, congiunto di Carmine, di cui
spesso si è parlato, risulta sub-appaltatore di altro
componente del consorzio operante, cioè il cavalier Zecchina,
come risulta dalle citate intercettazioni telefoniche
sull'utenza dell'Alfieri, nonché dalle ammissioni di
quest'ultimo;
  sono acquisite agli atti le dichiarazioni di Maninetti
Alessandra, vedova del noto capo-camorra Raffaele Nuzzo,
secondo la quale l'omicidio del marito e di altra persona fu
dovuto allo scontro con la banda dei casalesi per il controllo
del subappalto di quelle opere, da cui si prevedeva di
ricavare un utile di circa 5 miliardi di lire (doc. n. 30);
  pure agli atti sono le dichiarazioni di altro dissociato
(di cui si tace il nome
                         Pag.59
per motivi d'indagine, ma le cui dichiarazioni hanno trovato
tutti i possibili riscontri) secondo cui ditte legate ai capi
camorra di Acerra e Casal di Principe controllavano tutti i
subappalti di quei lavori.
  Si ricordi a questo punto quanto affermato dal Galasso
circa il meccanismo di controllo politico-camorrista
dell'attività imprenditoriale nella ricostruzione postsisma, e
vi si troverà riscontrato l'intero disegno da lui tracciato.
  Altro rapporto strettissimo che l'onorevole Pomicino ha
tenuto con ditta legata all'organizzazione di Carmine Alfieri
è quello - cui si è in precedenza accennato - intrecciato con
la Sorrentino s.p.a. di Bruno Sorrentino, a sua volta
legatissima alla Pizzarotti di Parma.
  Tale legame ha trovato una prima illustrazione nella
relazione conclusiva del cosiddetto "giurì d'onore" più volte
citata, nella quale si legge:
  "l'onorevole Piro ha potuto dimostrare che il ministro era
da anni in relazione di amicizia con il fratello Alessandro
Sorrentino, assassinato nel 1985, al quale aveva rivolto delle
lettere confidenziali, come risulta anche dal rapporto dei
carabinieri n. 337/29 del 26 ottobre 1985, redatto in
occasione delle indagini sul suo omicidio, che la Commissione
ha acquisito, (quale) vittima di una vendetta trasversale".
  Ma il quadro diviene ancor più significativo ove si rilevi
che:
  l'onorevole Pomicino acquista dai Sorrentino le quote di
una società detentrice di un appartamento in via Nevio per la
somma di 200 milioni, sul cui pagamento sono in corso
indagini;
  la Sorrentino fa registrare un'improvvisa impennata
imprenditoriale nei primi anni '80, durante i quali acquisisce
numerosissime commesse pubbliche, fra le quali, appunto,
principale l'Interporto di Maddaloni ed il CIS di Nola;
  il Bruno Sorrentino è tuttora sottoposto a procedimento
penale per associazione per delinquere di stampo mafioso, ed
ha subito l'irrogazione di misura di prevenzione antimafia;
  il padre, Matteo, era sottoposto a procedimento penale per
il delitto di associazione camorristica, interrotto per il suo
decesso;
  il Galasso offre una descrizione (pienamente riscontrata,
allo stato, dai suddetti elementi) precisa e dettagliata
dell'attività camorristico-affaristica di quella società e del
suo titolare, a proposito del CIS di Nola, già sopra
riportate.
  Varrà a descrivere la figura del Sorrentino - con il quale
l'onorevole Pomicino, come si è visto, entra in rapporti
commerciali secondo il Galasso tutt'affatto episodici - il
ritratto che ne traccia il decreto che lo ha sottoposto a
misura di prevenzione (il provvedimento di appello, che lo ha
revocato, è stato annullato dalla Corte di cassazione con un
durissimo commento alla superficialità della motivazione della
Corte d'appello, favorevole al Sorrentino: doc. n. 31),
secondo cui tratti di rilievo della personalità sono:
  "innanzitutto la sua esperienza societaria con Vincenzo
Casillo (si ricordi che la morte di questo fu voluta, secondo
il GALASSO, con quelle eclatanti modalità, per segnalare al
Cutolo l'avvenuto passaggio con l'Alfieri di politici ed
imprenditori un tempo a lui vicini: n.d.p.m.) il potente
dirigente della N.C.O. misteriosamente ucciso ... la stessa
pericolosa disponibilità si ripresenta nell'aver consentito
che lo Iacolare (trattasi di pericoloso capo cutoliano, a sua
volta coinvolto nella trattativa Cirillo: n.d.p.m.) si
appoggiasse ad un suo appartamento. Bruno Sorrentino appare
troppo disinvolto nel prendere in locazione la
superaccessoriata villa di Michele Zaza.
  Ma ciò che - prosegue il Tribunale per le misure di
prevenzione - maggiormente induce a ritenere il Sorrentino
attualmente una persona disponibile alla mediazione fra
società civile e poteri criminali ... è il suo ruolo,
confessato, di cassiere delle bande di criminali associate che
con
                         Pag.60
il vincolo dell'intimidazione hanno taglieggiato gli
imprenditori ... ciò costituisce un meccanismo di trasmissione
dei piani e della progettualità dei poteri criminali nella
società civile, con un capovolgimento delle regole non solo
dei rapporti economici, ma dell'intera convivenza".
  Ed ancora, nota il procuratore generale nei motivi di
ricorso avverso la decisione d'appello accolti dalla Suprema
Corte (doc. n. 32):
  "... la seconda spiegazione riguarda l'aumento di capitale
della società Sorrentino Costruzioni S.p.A. da lire 20.000.000
a lire 1 miliardo ... avvenuto nel 1982 ... Sta di fatto che,
siano stati o meno pagati i titoli di favore, o siano avvenuti
per altra via i conferimenti alla società, nulla si sa su come
si siano formati i 9/10 del capitale sociale della Sorrentino
Costruzioni. Tale circostanza appare ben compatibile con la
posizione di riciclatori di capitali illeciti che i pentiti e
la polizia giudiziaria attribuiscono ai Sorrentino ... escluso
quindi (per le perdite in precedenza subite) che la società si
sia autofinanziata, deve spiegare il Sorrentino quali altre
attività personali abbiano consentito di realizzare risparmi
per investire lire 500.000.000 in pochi anni mentre la sua
società perdeva e mentre per le sue mani passavano fiumi di
liquidità provenienti da tangenti camorristiche".
  Va detto che la procedura di prevenzione è iniziata nel
1985 (come si evince dal numero di registro generale della
pratica) dinnanzi al tribunale, ma ben prima dinnanzi al
pubblico ministero: sicché, essendo la relazione
dell'onorevole Pomicino con Alessandro Sorrentino risalente ad
"anni prima" rispetto alla morte di quest'ultimo, avvenuta nel
1985 (come nota la relazione conclusiva del giurì d'onore) è
ben strano che l'onorevole Pomicino, allorché acquistò dal
Bruno Sorrentino l'appartamento di via Nevio nel 1983, non ne
conoscesse le "multiformi attività".
  Altro imprenditore "cerniera" fra il Carmine Alfieri e
l'onorevole Pomicino è, alla stregua degl'indizi raccolti,
Franco Ambrosio, titolare dell'Italgrani e di altre importanti
società nel settore cerealicolo.
  Il rapporto dell'Ambrosio con l'onorevole Pomicino risulta
già documentato nella citata relazione conclusiva dei lavori
della Commissione per il cosiddetto "giurì d'onore", laddove
si riportano le sue ammissioni:
  "a)    di aver avuto in affitto triennale dal gruppo
Armital-Sadav un'imbarcazione di 10 metri denominata "ITAMA
88"... dal 1989 al 1991 l'ha sostituita con un'altra
imbarcazione di 13,5 metri e di 117 HC denominata Claila
("dalle iniziali dei nomi delle figlie!" esclama l'onorevole
Piro) ... per tale imbarcazione l'onorevole Pomicino ha pagato
un canone annuale progressivamente salito a 30 milioni. La
società Armital-Sadav non ha mai, dal 1985 ad oggi, richiesto
od ottenuto l'autorizzazione all'esercizio di detta attività
(cioè, di noleggio armatoriale);
  b)    che la rivista Itinerario (che peraltro
l'onorevole Pomicino ha fondato insieme ad intellettuali di
prestigio) è di proprietà di una società, la Sevip, che
comprende diversi imprenditori fra cui lo stesso Ambrosio ...
Dalla composizione del capitale sociale risulta che il
capitale sociale dell'Italgrani s.p.a. di Ambrosio era nel
1988 di 35 milioni successivamente passati a lire 42.317.000
fino a raggiungere, come risulta dalla relazione della Sevip
sul bilancio chiuso al 31 dicembre 1989, lire 185.410.794;
  c)    che il pagamento dell'anticipo per l'intervento
chirurgico avvenne ad opera di un agente di Ambrosio, cui il
fratello di Pomicino si era rivolto trovandosi l'onorevole
Pomicino all'estero in situazione di emergenza;
  d)    di aver acquistato per 800 milioni l'appartamento
del signor Ambrosio, fornendo al giurì la copia e gli estremi
degli assegni versati ad Ambrosio stesso (circa 600 milioni)
nonché il contratto di mutuo per gli altri 200 milioni ...
Tale valore è risultato conforme ai coefficienti automatici
... Tuttavia, secondo i dati forniti dall'ufficio
                         Pag.61
tecnico erariale di Napoli con successive note ... il valore
immobiliare medio indicativo di mercato per il biennio 1988-89
è compreso tra i 6 e gli 8 milioni al metro quadrato
(l'estensione dell'appartamento è di mq. 386,40: n.d.p.m.). Il
prezzo pagato è, ad avviso della Commissione, oggettivamente
favorevole secondo il valore di mercato, all'acquirente ...".
  Prosegue poi la relazione:
  "Un discorso particolare merita il contratto di programma:
esso è stato istruito dal Ministero degli interventi
straordinari nel Mezzogiorno, e il CIPE, presieduto
dall'onorevole Pomicino, si è limitato a deliberare il
contratto nei termini proposti da detto Ministero, salvo le
modifiche imposte dalla CEE che hanno anzi portato ad una
riduzione del finanziamento, passato a 754 miliardi.
  Detto contratto appare ad alcuni componenti il giurì (come
del resto all'associazione mugnai e pastai, alla concorrente
Ferruzzi ed alla stessa CEE) non dettato dalle necessarie
ragioni di convenienza economica (ingenti interventi a carico
del bilancio pubblico per la costruzione di amiderie in un
paese importatore di cereali e per di più costruite in zone
del sud, sottoutilizzati al 58 per cento; poco convincenti
distillazioni dell'alcool dall'amido). Ma tali critiche,
ammesso che siano fondate, non valgono a provare che vi sia
stata corruzione, né tanto meno che di essa sia stato
partecipe l'onorevole Pomicino. ... E' ben vero che il
ministro, come l'onorevole Piro ha indicato al giurì, si recò
a Bruxelles il 5 ottobre per conferire con il commissario Ray
Mc Sherry, il quale aveva bloccato l'accordo di programma ...
  In conclusione, a giudizio della commissione, sono
intercorsi rapporti anche economici tra Ambrosio ed il
ministro Pomicino, il quale ne ha tratto alcuni vantaggi".
  Dunque, secondo la Commissione, l'onorevole Pomicino ha
tratto vantaggi dal rapporto con l'Ambrosio; l'Ambrosio ha
sicuramente ricevuto oggettivi vantaggi dall'attività politica
dell'onorevole Pomicino, ma fra le due circostanze non vi è
collegamento.
  E' stato poi accertato (cfr. dichiarazioni rese dal
rappresentante dell'Armital, Della Rotonda, doc. n. 33) che la
barca all'onorevole Pomicino fu sostanzialmente concessa con
un contratto di favore.
  Ebbene di Franco Ambrosio, titolare della Italgrani,
Pasquale Galasso ricostruisce la storia imprenditoriale, come
legata fortemente al Carmine Alfieri.
  Ed infatti, il 22 dicembre 1992 dichiara nel carcere di
Novara:
  "... Altri grandi e potenti imprenditori sicuramente
legatissimi ad ALFIERI sono (omissis),    AMBROSIO
Francesco, legati anche ai politici Cirino POMICINO ed Antonio
GAVA. Mi riservo di spiegare con maggiore precisione in
seguito. (omissis)   ".
  Altro collaboratore di giustizia, le cui parole hanno
trovato sempre elementi di positivo riscontro in relazione
alla faida nata per il controllo delle estorsioni e dei
subappalti che si concluse con l'eccidio di Acerra, di cui già
si è detto, si riferisce all'Italgrani come ditta quanto meno
"protetta" dall'Alfieri.
  Questo collaboratore, che per mesi ha operato nel campo del
traffico contrabbandiero di sigarette ed in quello di cocaina
per conto della banda dell'Alfieri, il 28 gennaio 1993 nel
carcere di Campobasso - riprendendo un discorso accennato mesi
prima - ha dichiarato:
  "Posso ancora dire che per motivi vari ho appreso che la
Findus e l'Italgrani erano direttamente controllati da Carmine
Alfieri.
  Per quanto riguarda la Findus ho già raccontato che, in
occasione della rapina che su un camion di tale merce facemmo
a Lagonegro, Peppe Ruocco s'interessò, anche attraverso un suo
compariello ... di far recuperare almeno il mezzo alla Findus;
in seguito (omissis:    trattasi di componente di grande
spicco della banda Alfieri), quando io gli proposi di
utilizzare quei camion per il contrabbando perché
difficilmente sottoposti a controllo, me lo
                         Pag.62
escluse categoricamente, in quanto non voleva che le attività
lecite dell'Alfieri venissero coinvolte nei traffici illeciti.
  Analogamente avvenne con l'Italgrani, allorché mezzi di
questa ditta erano stati usati, come seppe il (omissis:
vedi sopra) da un "padroncino" per il contrabbando.
(omissis:    vedi sopra) andò su tutte le furie, e
duramente redarguì, per lo stesso motivo sopra indicato, chi
aveva assunto quella iniziativa. Mi riferì quest'episodio
quando la stessa idea venne a me e gliela proposi".
  Non stupisca il richiamo alla Findus: l'attività di
commercializzazione del prodotto era riservata a ditta del
Malvento (che il collaboratore neanche conosce: si tratta di
pregiudicato di grande rilievo di Fuorigrotta, imprenditore,
già parente dell'Alfieri, inserito nella sua organizzazione e
da lui e dal Galasso fatto uccidere insieme ad altri, come il
collaborante ha già confessato).
  Come si vede, si tratta di riscontri incrociati di grande
spessore, che devono trovare in successive, complesse e
delicate indagini conferme ulteriori o definitive smentite.
                           ***
  4) Il legame fra l'onorevole Pomicino e l'organizzazione
criminale capeggiata da Ciro Mariano (di recente condannato
per il delitto di cui all'articolo 416-bis    con sentenza
di primo grado, ma pregiudicato per il medesimo delitto, capo
indiscusso, sanguinario e potente, delle organizzazioni
camorristiche che controllano i "quartieri spagnoli" di questa
città; attualmente tratto a giudizio come autore e mandante di
numerosissimi omicidi) risulta affermato con forza
dall'onorevole Piro in varie interpellanze parlamentari, che
hanno contribuito a far nascere quel "giurì d'onore" cui si è
accennato ripetutamente in questa richiesta.
  In particolare, la relazione della Commissione sul punto
così conclude:
  "Assai più vaghe sono le accuse riferite a "coperture
politiche" nei confronti del clan camorrista dei fratelli Ciro
e Salvatore Mariano. Tali coperture deriverebbero dalla
circostanza che un cugino di secondo grado della moglie
dell'onorevole Pomicino, Lello Scarano, gestore del teatro
Politeama, avrebbe usufruito, attraverso la società Sinthesys,
di denaro proveniente da riciclaggio (avrebbe ricevuto,
secondo l'onorevole Piro, a Cattolica da Ciro Mariano, 93
milioni).
  Lo stesso Pomicino ha dichiarato che Lello Scarano è cugino
in secondo grado della consorte, e di aver avuto da lui un
appoggio elettorale nel 1983 con l'uso del Politeama per una
manifestazione. Alla Commissione risulta inoltre che le
precarie condizioni finanziarie del signor Lello Scarano sono
state oggetto di preoccupazione da parte del Pomicino, come
rivela una telefonata intercettata nel citato rapporto dei
carabinieri ... ma tutto ciò non costituisce prova delle gravi
accuse lanciate al ministro ... su tutta questa vicenda,
coperta tuttora dal segreto istruttorio, la Commissione non
può pronunciarsi.
  E' ora opportuno, cessate le più strette esigenze di
segreto d'indagine, tornare su questa vicenda, che è assai
complessa, per le consuete omertà che scattano immancabilmente
allorché, come in questo caso, entra in scena, con tutta la
sua potenza economica ed intimidatrice, l'organizzazione
camorristica.
  Vengono allegati agli atti sia parte dell'informativa della
Criminalpol del Lazio (doc. n. 34) che un volumetto contenente
gl'interrogatori dei principali indagati nell'ambito del
procedimento penale che ne è nato (doc. n. 35). La vicenda,
come si ripete assai complessa, può esser schematizzata
(abbozzando una ricostruzione che tenga conto dei dati
accertati e di quelli più attendibili, per coerenza logica
interna e riscontri esterni fra la gran massa di quelli
comunque riferiti) in questo modo:
  a) Lello Scarano, titolare delle società Cilea,
Politeama e Compagnia (tutte prive di qualsivoglia
contabilità, tanto che, giunte al fallimento, lo Scarano è
stato in questi giorni oggetto di fermo del pubblico ministero
per bancarotta documentale), entra, fra il 1990 ed il 1991, in
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uno stato di forte insolvenza nei confronti delle esposizioni
debitorie - risultate ammontare a svariati miliardi dai primi
conteggi fallimentari -;
  b)    al fine di trovare una soluzione, tenta
contemporaneamente di trovare liquidità con operazioni
bancarie (in particolare, la concessione da parte del Banco di
Napoli di un mutuo per l'acquisto del Politeama) e ricorrendo
alla finanziaria Synthesys, di Edoardo Sorrentino, cui affida
la gestione economica di tutte le sue società, riservandosi la
direzione artistica dei teatri amministrati dalle società
stesse;
  c)    dinnanzi al fallimento dell'operazione, in quanto
il Sorrentino non è in grado di gestirla (questi in realtà,
già indebitato per suo conto per 4 miliardi, aveva visto nel
mutuo del Banco di Napoli la possibilità di risanare
contemporaneamente la situazione propria e quella dello
Scarano, ma, non essendo andata in porto quell'operazione, ha
accumulato di fatto soltanto i propri debiti a quelli dello
Scarano) l'unica soluzione consiste nel ricercare denaro ad
interesse. A fornirlo sono inizialmente degli imprenditori
irpini, tali Canelli (uno dei quali, Bruno, già proposto per
misura di prevenzione per i suoi contatti con Tancredi Emilio,
a sua volta pregiudicato per associazione camorristica ed
altri gravi reati come luogotenente di Michele Zaza) i quali
ben presto lasceranno il posto direttamente al Tancredi.
Questi, anticipati titoli di favore ed altre utilità fino ad
un ammontare di circa 700 milioni, inizia a premere per
ottenere la restituzione di quanto gli spetta, rivolgendo
minacce di morte al Sorrentino ed ai suoi collaboratori;
  d) entra in scena tale Criscuolo, il quale, per
iniziativa di tale Gennaro De Pasquale, introduce
nell'operazione prima un finanziere "d'assalto" di Milano,
tale Michelangelo La Porta (il quale tranquillizza il
Sorrentino garantendogli la sua possibilità di "proteggerlo"
dal Tancredi, ed organizza il passaggio di tutte le attività
del complesso delle società dello Scarano e del Sorrentino in
una nuova società con sede a Milano); poi direttamente Ciro
Mariano. Questi, a lungo latitante, viene poi arrestato in un
ristorante romano insieme al La Porta, al De Pasquale, ed
altri personaggi dell'entourage    che hanno condotto
l'operazione. In possesso del Ciro Mariano e del La Porta,
appunti, titoli, denaro eccetera comprovanti l'intenzione del
Mariano di portare circa 150 milioni a "rinsanguare"
finanziariamente il gruppo Scarano-Sorrentino, oltre a 3
miliardi circa in cambiali.
  Questa, in estrema sintesi, la ricostruzione della
complessiva operazione, che, ove non sventata da un'efficace
operazione della polizia di Stato, avrebbe portato, secondo il
classico schema 1) di prestiti usurari offerti dagli esponenti
finanziari della camorra a società in difficoltà, 2) di
successive intimidazioni, e 3) finali offerte di protezione
previo passaggio di mano del controllo effettivo della
società, al controllo effettivo e mascherato di pezzi del
sistema imprenditoriale (e, in questo caso, addirittura di
importanti, vivi momenti della cultura partenopea).
  Ebbene, in tutta questa vicenda, è inquietante rilevare la
presenza dell'onorevole Pomicino.
  1) lo Scarano ammette, solo nel corso dell'ultimo
interrogatorio, che la sua situazione debitoria è dovuta anche
ad alcune manifestazioni elettorali svolte in favore
dell'onorevole Pomicino, ciascuna delle quali del costo di 25
milioni (l'onorevole Pomicino ne ammetteva al giurì d'onore
una sola, lo Scarano parla ora di due, ma sul punto dovrebbe
ulteriormente indagarsi). Tali erogazioni erano dallo Scarano
"finalizzate ad ottenere eventuali interventi in mio favore"
da parte dell'onorevole Pomicino;
  2) un primo intervento dell'onorevole Pomicino in favore
dello Scarano consiste nella richiesta rivolta alla Synthesys
di gestire il risanamento delle società dello Scarano: si
vedano le dichiarazioni del La Porta del 28 aprile 1992,
secondo cui, in una riunione presso il Banco di Napoli di cui
si dirà, il Sorrentino minaccerà di
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rivelare alla stampa che in quella situazione lui era stato
trascinato per l'intervento della segreteria politica
dell'onorevole Pomicino;
  3) fallita quella prima operazione, altri interventi
vengono effettuati sul Banco di Napoli che si sostanziano:
  secondo lo Scarano, in telefonate dell'onorevole Pomicino a
dirigenti dell'Istituto a fine di sollecitare la concessione
di mutui a fondo perduto alle società dello Scarano per
manifestazioni teatrali che, secondo la SIAE, non potevano
riceverle;
  secondo il La Porta, in riunioni negli uffici della
Direzione generale del Banco, in cui si cerca la soluzione più
idonea alle difficoltà finanziarie per le difficoltà del
gruppo;
  comunque, sicuramente, in un pesantissimo indebitamento del
Banco di Napoli nei confronti del gruppo, molto al di là del
valore dei beni conferiti in garanzia; peraltro, lo stesso
Scarano riferisce nell'ultimo interrogatorio che era stata la
segreteria politica dell'onorevole Pomicino ad intervenire sul
Banco per favorire una soluzione (doc. n. 36);
  4) infine, per bloccare le minacce del Tancredi,
intervengono tali Criscuolo e Gennaro De Pasquale: questi è
sicuramente colui che ospita il latitante Ciro Mariano, com'è
evidente sia da alcune inequivocabili intercettazioni
telefoniche, sia dal ritrovamento in casa sua del
caricabatterie del telefonino cellulare che il Mariano aveva
in uso al momento dell'arresto. Va sottolineato: in uso, il
che smentisce qualsiasi ipotesi di precedente occasionale
dimenticanza dell'oggetto come afferma il De Pasquale.
  Ebbene:
  nel corso di un'intercettazione telefonica, il La Porta ben
chiarisce come la complessiva operazione di salvataggio della
Synthesys (si badi, per l'intervento del Mariano) si svolga
sotto l'egida dell'onorevole Pomicino;
  il De Pasquale aveva, nella sua rubrica, il numero
dell'ufficio dell'onorevole Pomicino, e quello di casa: al
momento dell'arresto affermerà di esser fidanzato della figlia
Ilaria del parlamentare, ma lo negherà in sede
d'interrogatorio;
  lo stesso De Pasquale ammetterà al pubblico ministero una
risalente conoscenza con l'onorevole Pomicino, ed una comune
militanza politica, in gruppi giovanili andreottiani della
città.
  Sul punto, l'onorevole Piro, sentito come teste da altro
pubblico ministero, ha riferito che la Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Rimini (luogo in cui il La
Porta ha riferito di aver conosciuto il latitante Mariano):
  "ha provveduto a numerosi arresti nell'ambiente di persone
inviate al soggiorno obbligato nella città di Rimini o
adiacenze; risultati appartenere alla camorra, e che durante
il periodo di soggiorno poterono contare su coperture
politiche che consentirono loro l'inizio di lucrose attività
economiche sul territorio".
  Inquietante, si diceva, la vicenda; doverosi gli
approfondimenti ove li consentirà codesta Camera dei deputati.
                       Capitolo IX
                        RICHIESTE
  Il nucleo qualificante del nuovo modello processuale
consiste nell'assegnare alla fase delle indagini preliminari
una funzione meramente endoprocessuale.
  L'articolo 326 del codice di procedura penale stabilisce
che la finalità delle indagini preliminari è quella di
svolgere le indagini necessarie per le determinazioni inerenti
all'esercizio dell'azione penale.
  In questa fase il pubblico ministero, in base all'articolo
358 del codice di procedura penale, compie ogni attività
necessaria e svolge accertamenti anche a favore della persona
sottoposta alle indagini.
  Al termine delle indagini, da espletarsi entro termini
rigorosi, il pubblico ministero,
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quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione
penale (articoli 405-50 del codice di procedura penale).
  Quando la persona sottoposta ad indagini è un membro del
Parlamento, il pubblico ministero deve richiedere
l'autorizzazione a procedere (che è una condizione di
procedibilità dell'azione) ancora prima di assumere le proprie
determinazioni in ordine all'eventuale esercizio dell'azione,
entro trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle
notizie di reato del nome della persona per la quale è
necessaria la autorizzazione.
  E' di tutta evidenza che nella ipotesi di indagini
complesse il termine di trenta giorni appare assolutamente
inadeguato ad esprimere determinazioni in ordine all'esercizio
dell'azione penale, per cui la richiesta assume la natura di
condizione per l'espletamento delle indagini preliminari.
                    Per questi motivi
  il pubblico ministero, visti gli articoli 343 e 344 del
codice di procedura penale, chiede l'autorizzazione a
procedere nei confronti del senatore Antonio GAVA, del
senatore Vincenzo MEO, del deputato Paolo CIRINO POMICINO, del
deputato Alfredo VITO, del deputato Raffaele MASTRANTUONO, in
ordine al seguente reato:
  delitto previsto e punito dagli articoli 110 -
416-bis    - primo, terzo comma del codice di procedura
penale per aver fatto parte di una associazione per delinquere
di tipo mafioso promossa, diretta ed organizzata da Carmine
Alfieri e da altri capi della camorra campana, contribuendo in
modo non occasionale al raggiungimento degli scopi della
associazione mafiosa, ed in particolare, al controllo di
attività economiche, al rilascio di concessioni e di
autorizzazioni, all'acquisizione di appalti e servizi
pubblici, al conseguimento di profitti e vantaggi ingiusti per
sé o per altri ed, inoltre, ad impedire ed ostacolare il
libero esercizio del voto ed a procurare voti in occasione di
consultazioni elettorali.
  Con le aggravanti di cui all'articolo 416-bis,    commi
quarto, quinto, sesto, trattandosi di associazione armata
volta a commettere delitti, nonché ad acquisire e mantenere il
controllo di attività economiche, mediante risorse finanziarie
di provenienza delittuosa.
  Accertato in Napoli fino al marzo 1993.
         I sostituti procuratori della Repubblica
                     Giovanni Melillo
                     Antonio Laudati
                        Luigi Gay
                      Paolo Mancuso
       Il sostituto procuratore nazionale antimafia
                      Franco Roberti
         Il procuratore aggiunto della Repubblica
                      Paolo Mancuso

 


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