Violante: seduta 36
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        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
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Sostituzione di un membro della Commissione:
Violante Luciano, Presidente .......................... 1685
Seguito dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia
e politica:
Violante Luciano, Presidente, Relatore .......... 1685, 1689
                                1692, 1693, 1694, 1696, 1697
Cabras Paolo .................................... 1695, 1696
De Matteo Aldo ........................................ 1697
Folena Pietro ................................... 1685, 1689
Imposimato Ferdinando ................................. 1697
Mastella Mario Clemente ............................... 1696
Matteoli Altero ............... 1690, 1692, 1694, 1695, 1696
                        Pag. 1684
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La seduta comincia alle 9.30.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
       Sostituzione di un membro della Commissione.
  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera, in
data 31 marzo 1993, ha chiamato a far parte della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia il deputato
Clemente Mastella in sostituzione del deputato Vincenzo
Scotti, dimissionario.
          Seguito dell'esame della relazione sui
rapporti tra mafia e politica.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito
dell'esame della relazione sui rapporti tra mafia e politica.
Proseguiamo la discussione.
  PIETRO FOLENA. Mi richiamo al giudizio che sulla
relazione è stato espresso ieri pomeriggio dal senatore Brutti
a nome del gruppo del partito democratico della sinistra.
Siamo di fronte ad un documento a mio giudizio di grande
valore, che evidentemente è suscettibile di miglioramenti ed
evoluzioni ma soprattutto di sviluppi successivi, alla luce
degli avvenimenti delle prossime settimane e dei prossimi
mesi. Ma è un documento necessario ora - perciò sono
nettamente contrario ad ogni ipotesi di rinvio - se si vuole
aprire una nuova pagina.
   Vorrei dedicare questo mio intervento all'interlocuzione
con alcuni colleghi. Ho ascoltato quasi l'intero dibattito di
ieri pomeriggio e l'ho trovato interessante e ricco anche
nella sua parte critica nei confronti della relazione; però,
ritengo importante che nel corso di questa discussione non ci
esprimiamo semplicemente in merito alla relazione ma cerchiamo
di comprendere se e come si possa costruire un ragionamento
comune anche con quei colleghi che hanno espresso delle
riserve o una contrarietà nei confronti della relazione. In
particolare ho ascoltato l'onorevole Sorice ed ho colto nel
suo intervento delle preoccupazioni che a me sinceramente
sembra non trovino fondamento nel testo che ci è stato
sottoposto; preoccupazioni che potrebbero essere legittime ma
che sono estranee rispetto al testo e al fondo del nostro
dibattito, quasi che vi fosse da parte di qualcuno
l'intenzione di mettere sotto processo o sotto accusa un
partito politico, la sua storia, il suo patrimonio, la sua
cultura politica.
   Voglio dirlo con chiarezza: non si tratta di questo.
Certamente per quello che riguarda il mio gruppo, il PDS, non
si tratta di questo.
   Non voglio scomodare interventi di parlamentari
dell'allora partito comunista italiano che, nel corso dei
decenni che abbiamo alle spalle (da Li Causi a La Torre),
rifuggivano pur in tempi molto duri, di grande
semplificazione, nei tempi anche della guerra fredda, da ogni
semplificazione e da ogni accusa generica a tutto un partito o
a tutta una storia: non si tratta di ciò e la relazione è
estremamente chiara su questo punto.
   Allora, ritengo che dovremmo soffermarci prima di tutto su
alcune affermazioni che sono, a mio giudizio, le colonne
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portanti della relazione, per capire se siamo d'accordo con
esse. Mi riferisco, in primo luogo, alla distinzione
essenziale tra responsabilità penale e politica. Le pagine da
10 a 12 rappresentano un passaggio in avanti che dovrebbe
essere positivamente valutato da tutti, sia nelle forze che
hanno avuto responsabilità di Governo negli anni e nei decenni
che abbiamo alle spalle sia forze che hanno avuto o hanno
responsabilità di opposizione. E' essenziale, questa
distinzione, e il documento ci aiuta e ci fa compiere un passo
in avanti nella definizione quasi formale - se così si può
dire - di che cosa sia la responsabilità politica e quindi
dell'autonomia della politica, delle forze e degli organi
politici nel sanzionare e sancire la responsabilità della
politica. Ci aiuta a farlo anche al di là della mafia: le
affermazioni contenute nel documento sulla responsabilità
della politica possono essere tout court riprodotte per
quello che riguarda le tangenti e la corruzione.
   Devo dire che non è una novità assoluta perché già la
Commissione Chiaromonte aveva anticipato, soprattutto in
materia di candidature alle elezioni locali, regionali e
nazionali, questo principio attraverso il codice di
autoregolamentazione. Si tratta di estenderlo, di allargarlo,
di considerarlo non solo un regolamento da sottoscrivere in
determinate circostanze ma un principio ispiratore di ogni
parte dell'attività politica. Si dice che i giudici fanno
politica o che si sostituiscono alla politica: i giudici
cercano di accertare le responsabilità e noi dobbiamo salutare
positivamente il fatto che finalmente ci sia un nuovo
dinamismo nella ricerca e nell'accertamento delle
responsabilità di tipo penale.
   Però, voglio fare una considerazione politica: è evidente
che, nell'equilibrio fra i poteri dello Stato, quando manca la
responsabilità politica, il vuoto che si crea tende ad essere
occupato da altri poteri. Questo problema, in prospettiva, non
possiamo non vederlo, per cui dobbiamo dare - io lo do, senza
problemi (mi pare che la riflessione sia stata fatta dal
collega Sorice e da altri) - un giudizio assai critico sul
ruolo svolto per molti decenni da una parte consistente del
potere giudiziario in Sicilia, tant'è vero che i giudici
Terranova, Costa, Chinnici, Ciaccio Moltalto, Rosario Livatino
- non voglio rifare l'elenco - sono stati, soprattutto i
primi, per un periodo, delle mosche bianche all'interno di un
potere giudiziario che aveva una forte consuetudine e
internità al potere politico e a un sistema di relazioni.
   A questo proposito, voglio dire che il rinnovamento della
politica non riguarda un partito, la democrazia cristiana, o
chi ha governato, riguarda tutti; si tratta di una condizione
vitale, preliminare e pregiudiziale perché si possa pensare ad
una fase nuova. Lo stesso si può dire per l'autonomia della
politica.
   Si aggiunge nella relazione che la responsabilità politica
è su fatti specifici e che bisogna non confondere - questo è
un altro passaggio importante - la responsabilità politica con
la lotta politica ma semmai con un uso politico, strumentale
della lotta contro la mafia. Anche questa mi sembra
un'affermazione di grande importanza: non sempre chi si è
opposto si è attenuto a questo comportamento e penso che anche
qui ci sia una sfida di tipo nuovo. Evidentemente dire che la
responsabilità politica è su fatti specifici, è individuale,
non ci può impedire - del resto la relazione non lo fa - di
fornire non sentenze ma un giudizio su gruppi, su componenti,
su indirizzi prevalenti nei partiti (i quali fanno congressi,
cambiano le maggioranze, gli orientamenti e le posizioni), su
decisioni e su fasi politiche. E nella relazione è contenuto
un giudizio su quella fase politica che è stato il milazzismo,
al quale la grande maggioranza del gruppo della democrazia
cristiana non partecipò e che chiama in causa le
responsabilità non della democrazia cristiana ma di altre
forze politiche. Penso che sia equilibrato e corretto porre le
questioni in questi termini.
   La seconda questione riguarda i pentiti. Su di essa si
sono soffermati in particolare i colleghi Sorice e Taradash, i
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quali hanno affermato che la relazione è un collage di
testimonianze dei collaboratori di giustizia (c'è una
forzatura in questa mia affermazione, e ve ne chiedo scusa, ma
è giusto che discutiamo in modo anche un po' vivace per non
rendere accademico il nostro confronto). Mi pare sinceramente
che questo sia uno svilimento del nostro lavoro. Nei mesi
trascorsi abbiamo sentito i magistrati, le direzioni
distrettuali antimafia di tutta la Sicilia, abbiamo sentito in
modo approfondito i rappresentanti delle forze dell'ordine e
soprattutto dei reparti impegnati prevalentemente nella lotta
contro la mafia, abbiamo sentito i collaboratori di giustizia.
La relazione è il frutto di questo insieme di audizioni, lette
alla luce di affermazioni che già erano state fatte da
precedenti Commissioni parlamentari antimafia. Non possiamo
non rileggere o non riprendere in mano la relazione Cattanei o
altre relazioni anche su temi specifici; penso a quella su
mafia e banditismo in Sicilia della Commissione Cattanei, che
ha più di venti anni e che contiene affermazioni a proposito
degli Stati Uniti d'America e del rapporto fra il potere della
mafia e la guerra fredda che ieri pomeriggio scandalizzavano
il collega Taradash. Non si tratta qui di dire che vi sono il
diavolo e l'impero del male: c'è stata la guerra fredda,
laicamente e come in nome della guerra fredda, nell'est, sono
state compiute cose infami, sono state costruite dittature ed
è stata sospesa la democrazia, all'interno dell'area
occidentale vi è stato il tentativo di usare anche mezzi
illegali, semilegali, eversivi, parzialmente eversivi per
tutelare quel sistema della guerra fredda. Laicamente e
storicamente non vi è uno squilibrio in questo giudizio: è un
dato di fatto che appartiene non solo alle modalità della
preparazione dello sbarco alleato in Sicilia ma anche ad una
collocazione che vi è stata almeno per il periodo storico
(fino alla fine degli anni sessanta) in cui le ragioni di
questa contrapposizione dovuta alla guerra fredda sono state
dominanti. Dagli anni settanta la situazione è stata diversa e
si sono prodotte alcune aperture.
   In realtà, la relazione ha tenuto conto di questo insieme
di fatti e, quanto ai collaboratori di giustizia, tutto si può
dire tranne che vi sia stato un atteggiamento di ricezione
acritica di quanto è stato detto. La Commissione ha assunto un
atteggiamento problematico, come testimoniano tutte le domande
fatte nel corso delle audizioni, e vi sono stati l'accortezza
e il rifiuto di entrare nel merito di questioni delle quali si
sta occupando la magistratura, cioè nell'accertamento della
responsabilità penale. Tra i collaboratori abbiamo sentito
quelli che vengono considerati più attendibili e la Corte di
cassazione, come ha ricordato ieri il senatore Florino, per
quello che riguarda per esempio l'istanza di annullamento dei
provvedimenti restrittivi nei confronti del dottor Contrada,
ha espresso un giudizio la cui validità dovrebbe essere
considerata da tutti noi.
   La chiave di volta politica della relazione è
rappresentata dal riconoscimento della soggettività autonoma
di Cosa nostra; ciò significa pensare al modo in cui Cosa
nostra ha costruito questa soggettività ed un sistema di
alleanze, di patti, di accordi, nell'ambito di quella che
nella relazione viene definita come una coabitazione con altri
poteri.
   A questo punto, vi è una doppia polemica: ho ascoltato il
collega Sorice sostenere che vi sono due tesi ma non ho
compreso bene se intendesse dire che ne occorre una terza
oppure che la sua posizione si riferiva alla prima. In
sostanza, le posizioni consistono nel considerare la mafia
come fenomeno meramente criminale oppure come sottoposta ad un
cervello politico, tesi che è stata sostenuta esplicitamente
dal senatore Florino e che non condivido.
   Con la relazione si porta avanti una polemica in due
sensi, innanzitutto contro l'idea della mafia intesa come
criminalità semplice o anche come criminalità organizzata di
tipo classico, poiché in tal modo non coglieremmo la
specificità di
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un'organizzazione criminale che fa del controllo del
territorio, della decomposizione istituzionale e della
costituzione all'interno dello Stato di altri staterelli (o di
uno Stato nello Stato) la propria natura. La criminalità
organizzata nella sua normalità (se così si può dire) non
presenta tali caratteristiche.
   Dall'altro lato, portiamo avanti una polemica esplicita
contro l'idea di una mafia dipendente da altri poteri: che
cosa vuol dire che il quartier generale è un altro? Il
quartier generale di Cosa nostra è il quartier generale di
Cosa nostra e Riina era, fino a prova contraria, il capo di
questo quartier generale di Cosa nostra. Altra cosa è vedere
che vi sono stati altri quartieri generali di altre strutture
che si sono alleati: accade infatti nelle guerre che possano
intervenire cambiamenti di alleanze e così è avvenuto che Cosa
nostra ha stretto alleanze con altri quartieri generali.
   Vi sono responsabilità penali da accertare nei confronti
di altri quartieri generali (esse vanno accertate e si stanno
accertando), ma non si può far venire meno la specificità
della lotta non contro la mafia militare, perché accettando
tale dizione si presupporrebbe che esiste anche la mafia
politica. No, Cosa nostra, la mafia, è un organismo che ha un
suo quartier generale e una sua struttura. Esiste poi un
sistema di alleanze formato da diversi soggetti, in cui Cosa
nostra è uno dei contraenti di un patto oppure uno dei
soggetti che si trovano all'interno di una coabitazione.
   Alla fine, le due tesi apparentemente opposte (la mafia
intesa come fenomeno meramente militare oppure come dipendente
dalla politica) rischiano di essere speculari e di riportarci
a un antico adagio che conosciamo bene, quello secondo cui la
mafia, nella sua originalità e specificità, non esiste.
   Poniamo invece l'accento sulla mafia intesa come sistema
di relazioni: vorrei ricordare, al riguardo, quanto Giovanni
Falcone ha affermato in varie occasioni, e in modo particolare
nel libro Cose di Cosa nostra, un best seller che
ormai da circa un anno è ai vertici delle vendite, laddove
egli afferma: "Credo che Cosa nostra sia coinvolta in tutti
gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare
dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra
mondiale". Successivamente aggiunge: "Non mi si vorrà far
credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa
nostra per un'evidente convergenza di interessi, nel tentativo
di condizionare la nostra democrazia ancora immatura
eliminando personaggi scomodi per entrambi". Condivido questa
affermazione, che non è generica, non "spara nel mucchio" ma
corrisponde ad una verità storica.
   All'interno della relazione si affermano queste cose e io
stesso sottolineo che si tratta non di mettere sotto accusa un
partito politico o la sua storia ma di leggere un'intera
vicenda; ne è una prova quanto è avvenuto dagli anni settanta
in poi: nel momento in cui i corleonesi si affermavano ai
vertici di Cosa nostra, in quello stesso momento si stava
aprendo in Sicilia un grande processo politico di
rinnovamento. Vi sono state le vicende che riguardano
l'onorevole Lima o altri uomini politici che negli anni
sessanta si erano affermati nella città di Palermo e nella
Sicilia occidentale, ma nella democrazia cristiana vi è stato
anche Piersanti Mattarella e vi è stato il grande filone del
cattolicesimo democratico che, cadute o allentatesi le ragioni
della guerra fredda, è venuto allo scoperto apertamente e
liberamente, in modo tanto più sofferto perché spesso si
trattava anche di liberarsi da condizionamenti di relazioni
personali o familiari.
   I collaboratori della giustizia ci hanno raccontato
qualcosa al riguardo: si dice che Bernardo Mattarella aveva
avuto negli anni cinquanta (nell'ambito del blocco agrario)
rapporti con settori della criminalità. E' stato quindi
straordinario, difficile e importante che una giovane
generazione, persino i figli, aprissero una strada nuova. Si
tratta quindi non di mettere sotto accusa qualcuno ma anzi di
riconoscere un fatto politico che si è verificato ed al quale
Cosa nostra ha
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risposto col fuoco, uccidendo non solo l'oppositore Pio La
Torre o i giudici che volevano le sanzioni, ma anche persone
all'interno della democrazia cristiana (non si trattava
soltanto di Mattarella ma era nata una grande corrente che
era, se non maggioritaria, comunque molto forte in quegli
anni).
   Questo è stato il tentativo e purtroppo quanto è avvenuto
dopo la stagione dei delitti politici è stata una vittoria
della mafia, perché il rinnovamento che era cominciato in
quegli anni è stato di fatto interrotto, malgrado i tentativi
di tenerlo in vita.
   Nella relazione si fa riferimento alla questione delle
altre entità in modo molto equilibrato, in quanto non sappiamo
di più e citiamo quanto è avvenuto: sarebbe estremamente
interessante poter contare, in futuro, non solo su
collaboratori di giustizia provenienti dalla criminalità o,
per quanto riguarda la corruzione, dall'interno del mondo
politico, ma anche su nuove collaborazioni di alcuni di quelli
che furono i protagonisti del terrorismo, delle stragi e di
taluni settori deviati dei servizi.
   Tornando al punto politico, negli anni ottanta si è
verificato uno scontro: non dobbiamo dimenticare che la
democrazia cristiana è stata commissariata (segretario
l'onorevole De Mita) ed é stato portato avanti, proprio dopo
la fase dei delitti politici, un significativo tentativo di
rinnovamento, che purtroppo rientrò rapidamente. L'ex sindaco
Insalaco, qualche giorno prima del suo assassinio, rilasciò
una nota intervista a proposito di questo tentativo di
rinnovamento e le sue frasi sono estremamente drammatiche.
  PRESIDENTE. A quando risale l'intervista di Insalaco?
  PIETRO FOLENA. L'intervista fu rilasciata qualche
settimana prima del suo omicidio: fu commesso nel 1988 e
l'intervista risale alla fine del 1987.
   Insalaco affermava: "La DC siciliana è un partito a pezzi;
l'hanno ridotto a una società per azioni dove ogni capo
corrente non molla il suo pacchetto di tessere e cerca in
qualunque modo di conquistarne altre. La battaglia per il
rinnovamento? Parole e proclami. Il congresso regionale di
Agrigento (che era quello in cui la DC aveva assunto un
impegno contro la mafia) è un lontano ricordo, sono tornati i
vecchi notabili...".
   L'intervistatore chiese: "Una settimana fa De Mita è
venuto in Sicilia per mettere ordine nella Babele delle
correnti e dei potentati del suo partito". Insalaco rispose:
"Tutta la base era convinta che la visita di De Mita avrebbe
coinciso con l'inizio della nuova era della chiarezza ma,
tirando le somme, è stata un'illusione". Si esprime in
sostanza una critica politica.
   Ho ripreso tale intervista non per affermare che Insalaco
avesse ragione o torto, dal momento che non lo so; so però che
già in quel momento era abbastanza chiaro che un tentativo di
rinnovamento era stato imprigionato e bloccato.
   Allora, ha veramente ragione il collega Ferrara Salute
(egli ha svolto ieri un intervento che mi sento di
sottoscrivere in toto): se il partito repubblicano ha
fatto i conti con la presenza di Aristide Gunnella o con il
sistema di relazioni che a lui faceva riferimento, ciò non ha
significato gettare un'ombra sulla cultura, sulla tradizione,
sulla funzione che questo partito ha svolto o svolge. Ciò
significa invece tagliare qualcosa che ha contribuito ad
offuscare un'immagine, una credibilità e un ruolo.
   Ritengo allora - concludo - che questo sia un giudizio
politico da trarre sugli anni che abbiamo alle spalle, e
soprattutto sugli anni ottanta, perché dopo la stagione dei
delitti e dopo il fallimento del rinnovamento, in una parte
consistente della società siciliana (dobbiamo ammetterlo) e
talvolta anche nelle forze di opposizione, è caduta l'idea
della pregiudizialità, della preliminarità della lotta alla
mafia: vi è stata l'illusione di poter convivere, di potersi
adattare.
   Ricordo che, ancora alla fine degli anni ottanta, si
svolgevano convegni intitolati "non solo mafia"; se era
certamente
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 giusto l'intento di dimostrare al mondo e all'Italia che la
Sicilia non era solo mafia, questa frase, che a Milano o a
Stoccolma può essere apprezzata, detta a Catania o a Palermo
rischia di assumere un altro significato, del tutto opposto, a
prescindere dalle intenzioni; non intendo muovere un processo
alle intenzioni ma citare un dato di fatto: l'Agenzia per lo
sviluppo del Mezzogiorno, il meccanismo della spesa pubblica,
l'uso della regione (diventata quella che un giornalista ha
definito la "macchina meravigliosa" della regione siciliana),
tutto questo ha contribuito, anche se probabilmente in maniera
inconsapevole, a far crescere quel dominio.
   La scorsa settimana abbiamo affrontato la questione degli
affitti e degli appalti nelle scuole e abbiamo dimostrato
quale tipo di rapporto si sia instaurato nel concreto di
Palermo per quanto riguarda tali affari.
   Questa caduta di pregiudiziali e di valori ha
rappresentato un fatto drammatico; i pentiti hanno formulato
alcune accuse, oggetto di valutazione da parte della Camera
per quanto riguarda le richieste di autorizzazione a
procedere, non contro parlamentari membri di Cosa nostra ma
contro parlamentari che, per avere piccoli pacchetti di voti,
sono andati a trattare, si sono fatti accompagnare con la
macchina dai guardaspalle di Cosa nostra e così via.
   Credo che siano caduti anche in una parte della classe
politica siciliana, e non solo siciliana, alcuni valori e
principi. Può comunque accadere anche che lo stesso
parlamentare accusato di aver stretto questi accordi, e contro
il quale è stata richiesta l'autorizzazione a procedere, abbia
presentato in Parlamento, come primo firmatario, una proposta
di legge (il mio non è un paradosso ma un dato di fatto) per
togliere il diritto di voto ai sospetti mafiosi. Questo è
accaduto: l'onorevole Maira, sul quale non esprimo giudizi ma
che è oggetto di una richiesta di autorizzazione a procedere,
ha presentato, come primo atto legislativo, una proposta di
legge che aveva proprio quell'oggetto. Non lo dico per
sostenere che l'attività legislativa non conta, perché essa è
importante (per cui è giusto l'argomento sostenuto da alcuni
colleghi che hanno sottolineato la necessità di verificare
l'attività legislativa), ma conta soprattutto l'applicazione
delle leggi e l'organizzazione concreta e quotidiana dello
Stato; conta, cioè, il modo in cui si dispongono le forze e si
costruisce la legalità.
   Per tali ragioni non sono favorevole ad un rinvio e credo
che sia ancora possibile svolgere un dibattito sereno con i
colleghi di tutti i gruppi, anche con quelli che hanno
criticato la relazione. Auspico anzi che nelle prossime ore vi
sia un ascolto reciproco, perché dobbiamo sforzarci non di
costruire giudizi sommari ma di mettere in campo una linea
credibile per avviare una fase nuova. Ritengo che questo sia
lo sforzo che compiamo, permettendo anche a chi ha sbagliato
(politicamente, non penalmente) di correggersi e di seguire
altri comportamenti.
   Questo è, a mio avviso, un aiuto che possiamo dare per
costruire una cultura della legalità e una nuova fase.
  ALTERO MATTEOLI. Signor presidente, una delle poche cose
che si evince dalla relazione è l'esistenza di un rapporto
mafia-politica-istituzioni. Non è un fatto da poco, perché mai
una Commissione antimafia aveva licenziato una relazione che
mettesse in luce questo aspetto, essendo state le relazioni
approvate dalle varie Commissioni sempre più generiche.
   Non per citare un personaggio del mio partito - tra
l'altro, scomparso, ma ricordato da tutti e addirittura da
Sciascia in un intervista televisiva a Parigi - ma l'onorevole
Niccolai aveva presentato una relazione che è citata da tutte
le parti nella storia delle tante Commissioni antimafia.
   Il resto della relazione porta in sé un concetto che non
condivido, cioè che il sistema politico non è un sistema
mafioso ma è un sistema che ha avuto al proprio interno la
mafia: così lo ha sintetizzato il
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presidente nell'illustrazione della relazione, ma il concetto
è questo. Ritengo che il problema di fondo della mafia sia
stato rappresentato dal fatto che per tanti anni la mafia è
stata considerata come un problema giudiziario e non come un
problema politico e questo ha allontanato evidentemente la
soluzione. Questo è il nodo di fondo.
   Allora, a nostro modesto avviso, per capire è opportuno
soffermarci qualche minuto su un'interpretazione storica
critica: il ruolo paradossale della mafia nella società
italiana deriva dalla profonda ambiguità politico-culturale di
Cosa nostra. Dice il pentito Calderone: "Mio fratello quando
vedeva un uomo d'onore lavorare nei campi diceva: 'che brutto
vedere un uomo d'onore che fa lavori così umili'"; in questa
frase c'è un mentalità di élite che ci fa capire come
nasce la mafia. Quindi, la mafia è da una parte l'erede delle
confraternite antiunitarie che portarono al cosiddetto
brigantaggio o, se vogliamo, alla guerra civile del Sud
inserito nel regno d'Italia; insomma, la lotta della servitù
della gleba contro gli obblighi formali della società di
diritto e del capitalismo che ancora non esisteva. E fasce
importanti della cultura cattolica hanno oggi ripreso certe
tematiche contro la cosiddetta società moderna. Non è un caso
che i referenti di tale cultura - il sodalizio
Andreotti-Sbardella, assai forte fino a poco tempo fa - siano
coloro che sono i più legati agli uomini politici più
chiacchierati e purtroppo assassinati nel Sud.
   Altro aspetto importante è quello relativo al legame tra
l'onorata società e il potere centrale. Lo Stato monarchico
unitario non ha mai avuto - salvo eccezioni: la Toscana - la
possibilità di comunicare direttamente con quella che oggi si
chiama società civile. Gli squilibri di bilancio e di
consorterie e soprattutto il dover governare realtà lontane e
arretrate portarono l'amministrazione savoiarda ad appoggiarsi
ai notabili locali del Sud e quindi della mafia, che diventò
il braccio diretto al controllo e all'impoverimento dei ceti
popolari. Ecco quindi la mafia agraria: la gestione del
favore, delle basi della produzione agricola (l'acqua, le
sementi, il capitale), al fine di garantire la rendita
parassitaria delle famiglie tradizionali e la stabilità
sociale delle campagne, bene primario dei "piemontesi" (detto
tra virgolette). La mafia in quel contesto diviene
indispensabile per chi vuole governare il Sud senza traumi.
Quindi, mafia come perenne ambiguità, struttura feudale che
diventa braccio secolare del regime laico, liberale e
massonico di un'Italia forse troppo presto e male unita.
   Una delle ipotesi di questo lavoro è che tale ruolo
ambiguo, codificato anche nei tradizionali rituali
paramassonici carbonari di 'ndrangheta e camorra (dove il
massimo grado è ancora il "garibaldino"), è una spia rilevante
di quel che ancora oggi è Cosa nostra. Essa era, e sotto certi
aspetti è ancora, l'interfaccia tra società moderna e
feudalesimo delle campagne, tra capitalismo asfittico e
rendita parassitaria agricola, tra Stato unitario e
consuetudini locali. In questo senso, capire la mafia vuol
dire capire la struttura del potere italiano: ecco perché è
tutto mafia, è tutto P2. La mafia è quella struttura costante
che ha permesso la stabilità di una classe politica
parassitaria in presenza di un forte frazionamento sociale: il
voto gestito dalla mafia e le sue risorse economiche sono
stati una garanzia, a cavallo tra il nuovo e il vecchio, tra
gli scontri sociali del capitalismo italiano ed europeo e le
masse elettorali del centro Sud.
   Il meccanismo è saltato, a mio avviso, quando la crisi
fiscale dello Stato non ha consentito più di nascondere i
pagamenti delle prestazioni elettorali che sostenevano le
lobbies transpartitiche di regime. Quindi, la fine della
politica di spesa allegra determina la crisi della mafia, che
da quel momento è costretta a ricorrere a procedure
finanziarie pericolose: ecco gli appalti, ecco la droga,
procedure di finanziamento che hanno reso redditi fortissimi
ma insicuri, che necessitano di ampie e costanti coperture a
tappeto, nelle quali la presenza di strutture dello
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Stato è indispensabile. Quindi, stabilire l'interfaccia tra
la mafia degli appalti e quella della droga vuol dire definire
il nucleo, sempre meno nascosto, del potere dell'attuale
classe politica di regime. E quindi, se vogliamo andare a
vedere la struttura del potere mafioso, la mafia è mediazione:
un potere politico malsicuro vuole stabilità elettorale e
contraccambia con appalti e libertà di manovra sul territorio.
Basta pensare che Riina è vissuto a Palermo per oltre
vent'anni muovendosi indisturbato, è vissuto intorno a Palermo
o addirittura nel centro della città per vent'anni!
  PRESIDENTE. Per ventitré anni.
  ALTERO MATTEOLI. Quindi, gli appalti vogliono dire
denaro che tenga calmo il proletario, controllato da tanti
rivoli del potere, e che permetta boccate di respiro al ceto
medio privo di tante risorse. Basta pensare, lo abbiamo visto
dalle carte, che il generale Dalla Chiesa a Palermo rifiutava
gli inviti del ministro Ruffini, nipote di un cardinale - uomo
che si dice legato ai Salvo, probabilmente uomo d'onore -
perché sapeva che egli viveva in un appartamento di proprietà
dei Salvo: lo abbiamo appreso da una serie di documenti e di
dichiarazioni. Nelle trame della mediazione - politici più
mafia più elettorato; politici più mafia più potere centrale -
Cosa nostra acquista legittimità e quindi stabilità. Essa è
centrale in ogni trattativa, guadagna sempre, è capace di
gestire un mercato di favori politici facendoli monetizzare
subito e al miglior prezzo. Da ciò, Cosa nostra trova quei
capitali indispensabili per indirizzarsi verso il grande
mercato mondiale della droga. La mafia, quindi, detiene una
quantità di potere enorme, perché è reale e cede parti di
legittimità a poteri vicari: politici, pubbliche
amministrazioni, imprenditori.
   E' utile ora - e la relazione non lo fa - vedere come le
tecniche di gestione del credito da parte delle grandi banche,
infeudate a politici spesso legati a Cosa nostra, almeno
indirettamente abbiano garantito spazi e possibilità di
espansione ad attività paracreditizie che hanno pian piano
assunto un ruolo leader nel mercato, anche in assenza di
una vera disposizione al credito da parte delle banche, che
ormai sono in tutt'Italia ubriache della rendita dei BOT.
   Non dobbiamo dimenticare che la droga è merce ricchissima.
Il rapporto - ce lo ha detto il pentito Mutolo ma anche altri
- tra spesa per la materia prima e rendimento finale è di
circa 1 a 6 e per la cocaina è maggiore che per l'eroina.
Ricordiamoci che in passato il Parlamento acclarò in
Commissione P2 che le banche di Sindona in Svizzera erano le
stesse di cui si servivano i mafiosi per fare i pagamenti
della droga. E tanto più la spesa statale si inserisce in
meccanismi di inflazione, tanto più la mafia ha bisogno di un
mezzo che le faccia da moltiplicatore. Dobbiamo quindi capire
meglio il nesso tra Cosa nostra e il potere, visto che è
questo che ci interessa, piuttosto che fare una sia pur utile
analisi delle origini della mafia.
   Quindi, Cosa nostra è potere politico vicario in quanto
controlla i meccanismi elettorali, che altrimenti sarebbero
vacui e altamente insicuri, e controlla i criteri di
concorrenza della classe politica. Poi fa da camera di
compensazione, nel senso bancario del termine, tra mercati
illegali e mercati legali, tra appalti e droga, tra organi
dello Stato e necessità di sopravvivenza della classe
politica.
   Ora, è pacifico che un sistema politico cresce di
legittimità quando mantiene aperti i contenziosi; altrettanto
pacifico è che quindi i politici di regime abbiano gestito
l'antimafia in rapporto con Cosa nostra. Calderone, Buscetta,
Messina dicono che anche quelli dei mafiosi sono voti che
servono per essere eletti. E il dottor Alicata, procuratore
capo di Catania, dice che "possono gli eletti con voti mafiosi
a determinare maggioranze", e che "i politici parlano contro
la mafia in pieno accordo, uscendo magari dalla casa di un
uomo d'onore". Insomma, nella misura in cui la mafia è
organica a questa classe politica, essa stessa si divide
                        Pag. 1693
in struttura palese e occulta e il nesso, a mio avviso, ha
tre fasi. La prima fase è una classe politica che non trova la
capacità di portare al potere veri statisti (è ormai chiaro);
quindi, la legittimità viene dalle aree elettorali che sono in
stretto contatto con la mafia. E' una specie di vendetta del
cardinale Ruffo contro Garibaldi e Cavour.
   La seconda fase: l'apporto ha un costo evidente e uno
occulto. Quello occulto, anche se sempre meno tale, è dato
dalle mani libere per gli affari, con tangenti agli uomini di
regime; quello evidente sono gli appalti. Messina dice che c'è
un filone degli appalti dove i mafiosi e i politici si
dividono le percentuali: 4-5 per cento alla mafia, 4 per cento
ai politici. In fin dei conti, i politici - lo dice sempre
Messina - mutuano dalla mafia il sistema.
   Non sono tra quelli - l'ho detto tante volte in questa
Commissione, nella quale sono uno di quelli che forse tedia di
più, perché intervengo sempre - che dicono che i pentiti sono
il verbo; però, non è nemmeno possibile - come ho sentito
dall'intervento del collega Sorice - considerare i pentiti
come il verbo quando parlano contro altri mafiosi, contro
giornalisti, contro direttori di carceri, contro i magistrati
e poi non considerarli più credibili, per cui tutto ciò che
dicono è falso, quando parlano dei politici. I pentiti sono
dei criminali e tutto ciò che dicono deve essere vagliato, ma
non da noi, dalla magistratura; noi possiamo solo fare
considerazioni ma o sono credibili nel loro complesso, dopo
opportuni accertamenti, o non lo sono mai. Per tanti anni è
stato considerato importante ciò che essi dicevano; ora lo
sarebbe meno perché hanno cominciato a fare i nomi di
politici. Ricordiamoci cosa Buscetta disse a Falcone: "Non mi
far parlare dei politici se no non vai avanti e ti bloccano
subito".
   Se politici e mafia hanno un unico obiettivo - il
controllo del territorio in funzione della stabilità del loro
potere -, allora è vero quello che dice Messina, cioè "voi e
la mafia fate lo stesso lavoro": i politici hanno copiato il
sistema dalla mafia.
   La terza fase: controllo politico del territorio
extramafioso. Sotto questo profilo, alle operazioni
internazionali di Cosa nostra sono necessarie coperture che
offrono megarisorse indispensabili per gestire gli apparati
politici ed amministrativi.
   In sintesi, intendo dire che l'attuale guerra di mafia
rappresenta la risposta di Cosa nostra a due convincimenti. Il
primo è che non esiste più un tramite privilegiato: democrazia
cristiana e partito socialista sono delegittimati ed in caduta
elettorale verticale, gli altri non sono ancora buoni per Cosa
nostra. Il secondo convincimento è che, in carenza di punti di
riferimento, per Cosa nostra non resta che la strategia del
terrore: lo Stato che non c'è più rende nervosa Cosa nostra e
ne alza il tasso di criminalità. Tanto vale, allora, incutere
paura. Ecco quindi che riemerge la linea separatista. Si
tratta di una scelta che potremmo definire imprenditoriale.
Gli appalti non sono più sicuri così come non lo sono i
controlli sulla classe politica, sempre meno ricattabile
perché debolissima; pertanto Cosa nostra pensa di costituirsi
in Stato per diventare una Malta più grande, un paradiso
fiscale, una lavanderia di capitali sporchi.
   Altre mafie si affacciano nel mondo: Cina, Giappone, aree
perdenti degli USA, Colombia. Si occupano di droga, di
traffico di armi, di estorsione e gioco d'azzardo. La mafia
siciliana potrebbe, se separata, riciclare capitali sporchi di
tutto il mondo.
  PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, mi scusi se la
interrompo, ma debbo informare i colleghi che il Presidente
Spadolini e il Presidente Napolitano hanno chiesto la
sconvocazione della Commissione per la concomitanza con
votazioni alla Camera e al Senato. Del resto, se ricorda,
avevamo già deciso di sospendere alle 10.
                        Pag. 1694
  ALTERO MATTEOLI. E' previsto che la seduta odierna della
Camera inizi alle 11, comunque prima delle 10,30 io finisco.
  PRESIDENTE. In tal caso, lei dispone di 5 minuti ancora
per concludere il suo intervento.
  ALTERO MATTEOLI. Dicevo che in tale contesto, il voto di
scambio rappresenta un falso problema. Per Cosa nostra non si
tratta più di controllare l'elettorato (attività nella quale è
maestra), ma di controllare la classe politica.
   Quanto alla proposta di relazione in esame, ho trovato di
cattivo gusto e considero una forzatura inaccettabile il fatto
di usare la relazione stessa per propagandare le posizioni del
"sì". Oltretutto, le valutazioni relative ai sistemi
proporzionali e maggioritario non corrispondono al vero, così
come non è vero il discorso sulla distinzione tra collegio
piccolo e grande. In un collegio piccolo, infatti, il mafioso
viene scelto. A tale riguardo ricordo quanto ci disse un
magistrato, se non sbaglio il procuratore di Caltanissetta, il
quale portò l'esempio del figlio di un mafioso al quale Cosa
nostra garantisce l'istruzione ed il conseguimento della
laurea per poi assicurarne l'elezione a sindaco. E' più facile
far eleggere un mafioso in un collegio piccolo piuttosto che
in un collegio grande. Comunque, a prescindere da tali
considerazioni, l'aver voluto usare la relazione per
propagandare il "sì" lo trovo di cattivo gusto. E spero,
indipendentemente dalle decisioni che adotteremo in merito,
che questo riferimento sia soppresso nella stesura definitiva,
anche perché si tratta comunque di una forzatura.
   Tra gli interventi svolti ieri dai colleghi, mi ha colpito
in particolare quello del senatore Ferrara Salute, che ascolto
sempre volentieri e del quale riconosco la lucidità. Il
senatore Ferrara Salute ha pronunciato un intervento che,
seppur lucido, ha proposto una filosofia che non condivido. In
pratica, egli ha sostenuto che è vero che la mafia ha aiutato
l'attuale sistema a scacciare il fascismo ma che comunque
sarebbe meglio non parlarne, per evitare di provocare danni al
sistema già in crisi. Ritengo che affermazioni di questo
genere, soprattutto se si considera la persona dalla quale
provengono, rappresentino una sorta di "caduta": non è certo
da Ferrara Salute fare dichiarazioni di questa natura!
   Il collega Ferrara Salute, inoltre, ha suggerito in
pratica di non parlare della massoneria in considerazione del
fatto che vi sono anche massoni onesti. Sono convinto di
questo, ma allora non dovremmo parlare nemmeno dei politici,
perché anche in quest'ultima categoria vi sono persone oneste.
La filosofia che sta alla base del ragionamento del senatore
Ferrara non è quindi accettabile.
   La proposta di relazione si sofferma su un aspetto,
affrontando il quale si cerca di mandare al macero tutta la
pubblicistica affermatasi negli ultimi decenni in relazione al
fascismo. Si afferma - non faccio questo rilievo per motivi
ideologici - che il fascismo riuscì a catturare i picciotti ma
poi addivenne ad un accordo con i big. Vorrei ricordare
che Mori ha vinto perché aveva alle spalle uno Stato, sia pure
sicuramente dittatoriale. Lascio parlare Pino Arlacchi che, in
un'intervista rilasciata ad Antonio Carlucci, afferma
testualmente: "Cosa nostra fu notevolmente indebolita dal
regime fascista, sia dall'azione del prefetto Mori in Sicilia
che da una generale rivendicazione da parte dello Stato
fascista del monopolio della violenza. Essendo un regime
totalitario, il fascismo non permise mai una grande
concorrenza sul piano della violenza, legale o anche
illegale". Arlacchi, inoltre, osserva: "La mafia si comportò
da opposizione al regime fascista per conto degli americani,
perché fu assolutamente chiaro che aveva tutto da guadagnare
dalla caduta del regime". E poi: "Dopo la caduta del fascismo,
ci fu un momento di ripresa dell'attività mafiosa e negli anni
cinquanta e sessanta ci fu una reale ed appariscente
ricostruzione del potere delle famiglie".
                        Pag. 1695
  PAOLO CABRAS. Uno storico che fa queste affermazioni non
lo prenderei come maestro!
  ALTERO MATTEOLI. Nella relazione è contenuto un
riferimento al milazzismo. In queste ore abbiamo la palmare
dimostrazione di cosa abbia rappresentato tale fenomeno: il
milazzismo rappresentò il primo serio tentativo dell'Italia
repubblicana di mandare all'opposizione la democrazia
cristiana, cioè quel partito che ha dimostrato anche ieri come
sia possibile, nonostante si possano arrestare centinaia di
persone ed inviare centinaia di avvisi di garanzia, non
cambiare mai! Per la democrazia cristiana va assolutamente
tutto bene, basta non toccare qualcuno del partito! Ieri hanno
tentato l'ostruzionismo, dapprima cercando di far sospendere
la votazione poi, visto che il lavoro della Commissione non
poteva essere rinviato, vi sono stati l'intervento di Sorice e
le minacce sui giornali. Questa mattina il telegiornale ha
informato che non voteremo domani e che la votazione è stata
rinviata perché, se così non fosse stato, i commissari della
democrazia cristiana sarebbero usciti dall'aula.
   Siccome nella relazione si dice che il milazzismo fu
un'operazione legata alla mafia, vorrei ricordare che il 6
dicembre del 1958 Togliatti intervenne in Aula e, a proposito
di questa operazione, dichiarò: "E' inevitabile, nel momento
che si manifesta una tendenza simile - e voi non potete negare
che essa si manifesti -, alla degenerazione del regime
democratico parlamentare in un regime di monopolio non più
soltanto di un partito, ma di una persona e degli aderenti a
questa persona, è inevitabile che vengano alla luce punti di
contatto tra tutti coloro i quali non accettano una simile
trasformazione. La cosa è oggi evidente in tutto il paese". E
poi: "Questo, al di sopra di tutto, spiega le convergenze che
si sono determinate. Esse hanno dato luogo anche qui alle
solite, nette arguzie sul comunista e sul missino che si
stringono la mano, si abbracciano e così via". Questo disse
Togliatti il 6 dicembre del 1958! Il milazzismo fu la prima
grande operazione politica che tentò di mandare
all'opposizione la democrazia cristiana.
  PAOLO CABRAS. Era un po' ambigua! Infatti Togliatti
aveva bisogno di giustificarsi.
  ALTERO MATTEOLI. Cabras, io posso anche non capire, ma
ti invito a leggere gli atti parlamentari relativi a tutto il
dibattito svoltosi quel giorno. Tra l'altro, si tratta di una
delle pagine più belle e di più elevato livello nella storia
dei dibattiti svoltisi in Parlamento.
  PAOLO CABRAS. Il trasformismo è una malattia antica
della politica italiana e di quella meridionale, ma non
rappresenta certo un modello!
  ALTERO MATTEOLI. Con il trasformismo Depretis ha
governato in Italia per 10 anni!
  PAOLO CABRAS. Ma non è un modello da assumere, neanche
per la cultura liberaldemocratica!
  ALTERO MATTEOLI. Un'altra considerazione sul milazzismo:
ci fu un'operazione antimafia; l'assessore all'agricoltura
destituì il dottor Cammarata, direttore generale dell'ERAS
(successivamente diventata ESA, Ente di Sviluppo Agrario)
perché questi era colluso con la mafia. Quell'assessore - che
mi sembra si chiamasse Grammatico - adottò il provvedimento in
considerazione del fatto che la mafia comprava i terreni e li
rivendeva alla regione, la quale provvedeva a lottizzarli.
L'assessore si accorse che il dottor Cammarata faceva questo
tipo di operazione e lo destituì dalla carica di direttore
generale.
   Mi avvio alla conclusione, anche se ho parlato meno del
collega Folena, il cui intervento è durato 29 minuti. Il
presidente, comunque, mi ha invitato a sbrigarmi...
                        Pag. 1696
  PRESIDENTE. Non le ho detto di sbrigarsi, ma mi sono solo
limitato ad informarla della richiesta di sconvocazione
formulata dai Presidenti delle due Camere.
  ALTERO MATTEOLI. Ho stima del collega Brutti e non
vorrei certo utilizzare termini offensivi nei suoi confronti.
Egli ieri ha dichiarato, un po' ingenuamente, che rinviare
alla seconda metà di aprile la votazione sarebbe immotivato e
darebbe un'immagine pessima del paese; lo ha detto con un
certo tono! Io sono perfettamente d'accordo che si debba
votare domani, tanto che non accetto nemmeno un rinvio tra 48
ore. Il collega Brutti è ingenuo perché ha potuto seguire le
manovre che sono già in corso: i colleghi democristiani ieri
appena sono usciti dall'aula della Commissione sono andati da
papà Martinazzoli a prendere istruzioni: è il solito partito
che non cambia mai!
  PAOLO CABRAS. Lei pensi per sé e lasci stare i colleghi
democristiani!
  ALTERO MATTEOLI. In questo momento i problemi dei
colleghi democristiani sono i problemi della Commissione
antimafia, della quale io rappresento un cinquantesimo e, per
quel che vale, voglio quindi esprimere il mio giudizio!
   La democrazia cristiana non cambia mai. Se la Commissione
accettasse un rinvio, anche di 48 ore, vorrebbe dire che
possiamo scrivere tutte le relazioni che vogliamo, più o meno
condivisibili, ma non riusciremo comunque a cambiare questo
sistema perché non intendiamo affrancarci da una certa
filosofia, da una certa cultura del partito. Del resto,
Cabras, non mi riferisco soltanto alla democrazia cristiana.
Vi ho fatto riferimento solo perché in questo momento il
problema è stato sollevato da tale partito. Direi le stesse
cose se nella medesima condizione si trovasse un diverso
partito politico.
  PRESIDENTE. Sospendo la discussione fino alle 15,30.
La seduta, sospesa alle 10,30, è ripresa alle
15,30.
  PRESIDENTE. L'onorevole Mastella ha chiesto di parlare
per formulare una richiesta relativa ai nostri lavori.
  MARIO CLEMENTE MASTELLA. Signor presidente, chiedo alla
sua cortesia, a quella dell'ufficio di presidenza e dei
colleghi, di aggiornare, e quindi di evitare, la riunione di
oggi considerato che, per quanto riguarda il mio partito, sono
congiuntamente convocati i gruppi parlamentari di Camera e
Senato.
   Debbo anche dichiarare, in merito alle polemiche apparse
oggi sui giornali, che da parte della democrazia cristiana non
vi è alcun intento di natura ostruzionistica. Credo anche che
sia opportuno rilevare - ma ritengo che questo sia ovvio - che
una relazione può essere oggetto di approfondimenti e di
proposte emendative e che ad essa possano essere riferite
opinioni differenziate ed articolate, peraltro rispetto ad un
fenomeno di tale devastante proporzione che abbisogna, esso
sì, di un'analisi che spero sia comune e che non arrivi, però,
a giudizi di natura politica.
   Credo che rilievi siano emersi in riferimento ad una forma
di equazione che, per quanto riguarda il mio partito,
evidentemente siamo in grado di accettare. Nulla più di tanto.
   Quindi, ci rivolgiamo alla sua cortesia, signor
presidente, per richiedere con garbo ma con autentica
sincerità di accenti di aggiornare la riunione tenendo conto
delle date già stabilite e di quelle che verranno indicate in
calendario.
  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mastella. Sulla
questione da lei posta possono parlare un oratore a favore e
uno contro ma voglio aggiungere che è tradizione, per ovvi
motivi, accettare sempre la richiesta di rinvio di una seduta,
quando questa sia avanzata per impegni di partito o di gruppo.
   Inoltre, vorrei cogliere l'occasione per fare un attimo il
punto dei lavori.
                        Pag. 1697
   Vi sono molti colleghi iscritti a parlare. E' stato
proposto un certo numero di correzioni, la gran parte delle
quali, anche quelle politicamente più rilevanti, sono
accoglibili o comunque assolutamente compatibili con la
struttura della relazione. Vorrei che i colleghi, se lo
ritengono, si pronuncino anche su questo, oltre che sulla
richiesta dell'onorevole Mastella.
   Evidentemente, rispetto a quanto avevamo ipotizzato, non
saremmo in grado di concludere i nostri lavori, considerato il
numero degli interventi e la necessità di riflettere sulle
proposte avanzate al fine di presentare un testo che abbia
tutte le integrazioni necessarie.
   Propongo pertanto che domani si esauriscano gli interventi
e che si decida insieme se sia il caso che io svolga la
replica domani stesso o nella seduta successiva, che propongo
sia fissata per la giornata di martedì, di modo che, avendo
potuto prendere visione del testo corretto della relazione
nella mattinata, nel pomeriggio sarà possibile aprire la
discussione, avendo avuto tutti il tempo di esaminarlo e
valutarlo.
   Non essendovi obiezione a considerare integrate le due
proposte testé avanzate - mi riferisco alla mia e a quella
dell'onorevole Mastella - può prendere la parola un oratore a
favore e uno contro.
  ALDO DE MATTEO. Chiedo di parlare a favore.
   L'itinerario prospettato risponde alle esigenze che
avevamo posto, cioè di svolgere un dibattito approfondito e di
disporre di un momento ulteriore dopo il dibattito da parte
della presidenza. Esprimo pertanto il mio parere favorevole.
  PRESIDENTE. Poiché nessuno chiede di parlare contro,
pongo in votazione la proposta di programma dei lavori che ho
formulato.
(E' approvata).
  Ripeto, per chiarezza, il programma dei lavori. Domani
mattina la seduta è fissata per le ore 9, per ascoltare gli
interventi degli onorevoli Buttitta, Imposimato, Galasso,
Rapisarda, De Matteo, Cappuzzo, Crocetta, Grasso, Frasca,
Cutrera, Robol, Cabras e Ayala. Martedì mattina, verso le ore
10, sarà consegnato il testo della relazione. Nel pomeriggio,
alle 15, avranno luogo le dichiarazioni di voto e la
votazione.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Signor presidente, se è
possibile, domani vorrei intervenire per primo.
  PRESIDENTE. Va bene, onorevole Imposimato.
La seduta termina alle 15,45.
                        Pag. 1698

 


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