Violante: seduta 27
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ESAME DELLA RELAZIONE SULLE RISULTANZE DEL FORUM
CON LE DIREZIONI DISTRETTUALI ANTIMAFIA, ALLA PRESENZA
DEL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, PROFESSOR GIOVANNI
                          CONSO
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Esame della relazione sulle risultanze del Forum
con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza
del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni
Conso.
Violante Luciano, Presidente .............. 1335, 1344, 1346
                          1349, 1350, 1351, 1357, 1362, 1372
Borghezio Mario ....................................... 1347
Boso Erminio Enzo ..................................... 1353
Brutti Massimo, Relatore .............................. 1335
Cabras Paolo .................................... 1355, 1356
Cappuzzo Umberto ...................................... 1352
Conso Giovanni, Ministro di grazia e giustizia
&&P 1362&&D Cutrera Achille &&P 1357&&D
De Matteo Aldo ........................................ 1350
Florino Michele ....................................... 1354
Imposimato Ferdinando ..................... 1345, 1346, 1349
Matteoli Altero ........................... 1335, 1348, 1349
Riggio Vito ........................................... 1347
Rossi Luigi ..................................... 1345, 1372
Scotti Vincenzo ................................. 1354, 1356
Tripodi Girolamo ................................ 1350, 1351
Comunicazioni del Presidente
Violante Luciano, Presidente .................... 1358, 1359
                                            1360, 1361, 1362
Borghezio Mario ....................................... 1362
Brutti Massimo ........................................ 1361
Ferrara Salute Giovanni ............................... 1362
Florino Michele ....................................... 1361
Frasca Salvatore .................... 1358, 1359, 1360, 1361
Rossi Luigi ........................................... 1362
Scotti Vincenzo ................................. 1358, 1361
Tripodi Girolamo ...................................... 1362
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                        Pag. 1335
La seduta comincia alle 15,30.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Esame della relazione sulle risultanze del Forum con le
direzioni distrettuali antimafia, alla presenza del ministro
di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame della
relazione sulle risultanze del Forum, tenutosi il 5 febbraio
scorso, con le direzioni distrettuali antimafia, alla presenza
del ministro di grazia e giustizia, professor Giovanni Conso.
   Credo di esprimere i sentimenti di tutta la Commissione se
rivolgo al professor Conso un ringraziamento per la sua
presenza in questa sede ed un cordiale augurio.
   Quella di oggi sarà una discussione politica sui risultati
del Forum, sui quali riferirà il senatore Brutti.
Probabilmente la discussione, per la sua complessità, non si
concluderà nella giornata odierna.
   Comunico che al termine dell'incontro vi saranno delle
comunicazioni del presidente.
  ALTERO MATTEOLI. Molti deputati alle 17 dovranno
assentarsi per partecipare a votazioni in aula.
  PRESIDENTE. Ci faremo informare non appena avranno
inizio le votazioni.
   Do subito la parola al senatore Brutti.
  MASSIMO BRUTTI, Relatore. Signor presidente,
signor ministro, colleghi, il Forum promosso a Roma il 5
febbraio dalla Commissione parlamentare antimafia offre alla
nostra riflessione un contributo assai ampio e vario di
argomenti e di idee. Distinguerò tre nuclei tematici, attorno
ai quali è possibile per la Commissione parlamentare antimafia
svolgere le proprie attività di indagine e definire proposte
da sottoporre al Parlamento.
   Il primo nucleo tematico riguarda l'egemonia e i caratteri
peculiari assunti dall'organizzazione mafiosa Cosa nostra.
Essa rappresenta oggi, nell'universo della criminalità
organizzata, l'entità più forte e pericolosa ma anche un
modello che altri raggruppamenti tendono ad imitare.
   Il secondo nucleo tematico è rappresentato dalle forme di
sviluppo e di penetrazione della criminalità organizzata di
tipo mafioso nel territorio nazionale, mentre il terzo nucleo
è rappresentato dalle proposte volte a rendere più efficace
l'azione integrata delle procure distrettuali e di quella
nazionale.
   Analizziamo anzitutto le forme in cui si manifesta oggi
l'egemonia di Cosa nostra.
   Anton Blok nel 1974 ha scritto: "I mafiosi prendono
decisioni che interessano la comunità. I rapporti tra i
mafiosi e le autorità costituite sono profondamente
ambivalenti. Da un lato, essi non rispettano la legge e sono
in grado di opporsi alla pressione dell'apparato giuridico e
governativo, dall'altro, agiscono in connivenza con l'autorità
ufficiale e rafforzano il proprio controllo attraverso
rapporti occulti ma concreti con coloro che ricoprono cariche
ufficiali".
   Ho scelto queste parole di uno studioso non italiano
perché delineano un modello nel quale l'ambivalenza tra i due
elementi costitutivi non è contraddittoria;
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inoltre, si tratta di parole molto efficaci nella loro
brevità: le due componenti, la violenza e la connivenza, si
integrano perfettamente nel modello.
   Lo stesso schema descrittivo si ritrova, ampiamente
motivato e nutrito di riferimenti a vicende concrete, a
uomini, a fatti di sangue, a collusioni, nella relazione
conclusiva presentata dalla Commissione parlamentare
antimafia, a firma del senatore Luigi Carraro, il 4 febbraio
1976. Credo che per i nostri lavori sarebbe utile tornare a
quel testo.
   Il modello corrisponde ad una lunga consuetudine di
comportamenti (sottintende un costume, una storia) ma è anche
alla base di strategie esplicite, come quelle proprie
dell'organizzazione mafiosa Cosa nostra.
   Non deve stupire il fatto che i due elementi del modello -
la violenza contro le leggi dello Stato e la ricerca di
accordi e connivenze con autorità pubbliche - si ritrovino,
pur con qualche variante legata alle vicende più vicine, nella
lucida analisi del fenomeno mafioso, che è stata proposta dai
magistrati della procura distrettuale di Palermo e da altri,
nel Forum del 5 febbraio scorso.
   Quella descrizione può servire ancora oggi, perché
profonda è la continuità dell'agire mafioso e vi è stata,
nelle stesse vicende di Cosa nostra durante gli ultimi
decenni, una notevole costanza di strategie.
   Con gli anni ottanta è intervenuto un mutamento negli
atteggiamenti politici prevalenti all'interno di questa
organizzazione. Prima, le relazioni esterne erano guidate da
un assioma enunciato da Gaetano Badalamenti, capo della
commissione provinciale di Palermo fino al 1976: "Noi non
possiamo fare la guerra allo Stato". Allora si ricorreva
all'infiltrazione, alla minaccia, alla corruzione ma non allo
scontro aperto.
   Negli anni successivi, lo scenario si trasforma. Cambiano
le tecniche di intervento e Cosa nostra ricorre con sempre
maggiore frequenza all'attacco terroristico. Si afferma il
potere dei corleonesi; non è più soltanto una famiglia ma una
corrente organizzata, che dispone di propri uomini nell'ambito
di ciascuna delle famiglie tradizionali e costruisce
progressivamente una struttura di comando segreta, anche
attraverso l'affiliazione riservata di personaggi non
generalmente conosciuti come uomini d'onore all'interno
dell'organizzazione. La corrente dispone anche di emissari
(gli ambasciatori) che hanno il potere, per determinate
materie, di intervenire autoritativamente sovrapponendo la
loro volontà a quella delle singole famiglie.
   Il dottor Lo Forte ha descritto nel corso del Forum una
procedura di compartimentazione. Gli uomini d'onore conoscono
sempre meno la loro organizzazione; assieme alla rappresaglia,
questo è uno strumento più complesso e forse più efficace di
autodifesa contro le defezioni e il pentitismo.
   Il ricorso all'aggressione contro uomini delle istituzione
alle stragi non segna il venir meno della linea più morbida,
quella del compromesso, volta alla ricerca di connivenze con
autorità ufficiali. Del resto, la scelta dei corleonesi di
fare entrare uomini d'onore di primo piano in logge massoniche
coperte, di cui ci hanno parlato i collaboratori della
giustizia, non dev'essere stata - se risponde al vero - che
una via per esercitare influenza su esponenti del mondo delle
professioni e degli apparati pubblici.
   Su tutta questa problematica che riguarda la dimensione
dell'agire mafioso nei rapporti con il sistema politico e con
gli apparati dello Stato, una dimensione richiamata più volte
nel corso del Forum, dovrà soffermarsi un'apposita relazione
della Commissione antimafia.
   Durante l'ultimo anno, dopo la conclusione del
maxiprocesso in Cassazione (tanto severa quanto sorprendente
per molti uomini d'onore), che cosa è avvenuto nel sistema di
alleanze e di collusioni che si stringe attorno a Cosa nostra?
I magistrati di Palermo ci hanno proposto un'analisi che apre
la via a due ordini di interrogativi, riguardanti il passato e
il futuro. Il vertice dell'organizzazione aveva garantito ai
quadri intermedi
                        Pag. 1337
e alla base che le condanne pronunziate nel maxiprocesso, già
in parte modificate in appello, sarebbero state cancellate,
annullate, come altre volte. Ma in questa occasione
l'andamento delle cose è stato diverso: la decisione della
Cassazione ha segnato una rottura dell'impunità.
   Da qui sarebbe scaturito l'omicidio di Salvo Lima,
l'esponente politico che i boss consideravano garante
dell'"aggiustamento" del processo; da qui le stragi, una
specie di colpo al cuore, mentre lo Stato riaffermava una
volontà di resistenza al fenomeno mafioso.
   Gli interrogativi che sorgono sono assai semplici ma hanno
implicazioni molto serie e di vasta portata. Anzitutto, alcune
che riguardano il passato: come avveniva l'aggiustamento dei
processi? Perché i mafiosi erano così sicuri? Se vi era
qualcuno che garantiva politicamente, quale era la via
d'accesso ai giudizi? Chi era partecipe delle intese? Ciò
evidentemente riguarda responsabilità penali individuali ed è
materia di indagini giudiziarie. Tuttavia, credo sia utile e
doveroso per la Commissione sottolineare l'esistenza di un
problema i cui termini sono evidenti e che il senso comune non
può ignorare.
   C'è inoltre un versante istituzionale di questo problema
che si riferisce in particolare ai giudizi davanti alla Corte
di cassazione e che stato affrontato nel forum dal dottor
Condorelli, componente del Consiglio superiore della
magistratura. Una garanzia contro le ipotesi di
"aggiustamento" in Cassazione è che non si possa in alcun modo
manipolare la composizione dei collegi giudicanti. Quindi,
occorre un'integrale applicazione della normativa tabellare
alla Corte di cassazione. Occorre garantire l'osservanza di
criteri oggettivi, certi, non derogabili, per la
precostituzione dei collegi, l'attribuzione della presidenza,
la designazione dei relatori, l'accesso alle sezioni unite. Il
secondo ordine di interrogativi si riferisce, invece, al
futuro. Se vi è stata una presa di distanze di Cosa nostra,
manifesta con le armi, dai propri tradizionali referenti
politici, ciò significa, d'ora in poi, una rivendicazione di
sovranità e di autosufficienza. Fino a che punto può giungere
questa rivendicazione? Dobbiamo attendere un periodo di
ritirata oppure un salto in avanti nell'aggressione
terroristica?
   Entrambe le vie possono essere perseguite. Perciò dobbiamo
in tempi strettissimi rendere più efficente e rafforzare
l'azione di contrasto.
   L'arresto di Salvatore Riina è stato un evento
rilevantissimo, ma per ora circoscritto. Non stiamo assistendo
ad una frana nell'organizzazione: evidentemente i capi stanno
mettendo in atto una serie di contromisure ed è verosimile che
abbiano bisogno di tempo. Dunque, a maggior ragione, lo Stato
non può permettersi di perdere un minuto. Tutte le innovazioni
e le scelte sulla cui utilità può oggi determinarsi un'azione
concorde, soprattutto tendendo conto delle esperienze e dei
pareri di chi è in prima linea, devono essere immediatamente
adottate e tradotte in pratica - è questo il punto che mi
permetto di sottoporre all'attenzione di tutti -.
   I magistrati di Palermo e della Sicilia hanno disegnato
un'immagine di Cosa nostra, come organizzazione fortemente
strutturata, capace di dominare il territorio. Così è a
Catania, dove regna la famiglia di Nitto Santapaola. Così a
Caltanissetta, dove è stato segnalato un ferreo controllo
sugli appalti - ma questo ha modalità omogenee in tutta la
Sicilia a quanto risulta agli organi investigativi - e così è
a Messina, provincia che ha ora un proprio rappresentante
nella commissione regionale. Dunque siamo di fronte ad
un'organizzazione che è - come si è detto - rassomigliante ad
uno stato e che appare oggi come il punto di riferimento
fondamentale di una serie di processi di imitazione e di
espansione: in sostanza, in varie parti del territorio
nazionale tende a costituirsi una rete criminale integrata.
Nel suo ambito si stabiliscono collegamenti e si intraprendono
affari comuni tra le varie associazioni di tipo mafioso, sia
tradizionali sia di più recente formazione. Cosa nostra
rappresenta non solo
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un interlocutore potente, ma anche un esempio di successo e
di impunità. Si comprendono perciò i fenomeni di mimetismo
anche organizzativo.
   Nel distretto di Reggio Calabria l'originaria struttura
orizzontale della 'ndrangheta, caratterizzata da molteplici
autonomie, sembra aver ceduto il passo negli ultimi tempi ad
una organizzazione verticistica. Quattordici famiglie
sarebbero rappresentate nell'organo dirigente centrale, a
quanto è stato detto dal procuratore distrettuale.
   L'organizzazione calabrese ha altri due punti in comune
con quella siciliana: la ricerca di alleanza e di influenza
politica, la latitanza storica di alcuni suoi esponenti, a
cominciare dal boss Imerti.
   Stessa situazione in Campania: una serie di gruppi
criminali autonomi, che hanno una lunga storia, una base di
massa ed una forte capacità di penetrazione nel tessuto
economico e istituzionale. In questa prospettiva, si nota una
tendenza a ricalcare i paradigmi organizzativi di Cosa nostra.
Alcuni tradizionali gruppi camorristici (Zaza, Nuvoletta) già
più di dieci anni fa si erano integrati nell'organizzazione
siciliana. In epoca più recente basta ricordare che
l'organizzazione di cui era a capo Carmine Alfieri, catturato
il 21 ottobre 1992, dopo sette anni di latitanza, è denominata
Nuova mafia campana.
   Come nel caso di Imerti in Calabria, anche in Campania,
nonostante i recenti numerosi arresti, abbiamo latitanti
storici come Fabbrocino, Imparato, Franco Ambrosio, Umberto
Ammaturo, Pasquale Scotti.
   Anche nel distretto di Lecce la Sacra corona unita ha
stabili rapporti con le organizzazioni criminali più forti
della Sicilia, della Calabria e della Campania soprattutto per
il traffico di droga. Si è sviluppata una tendenza alla
centralizzazione: nelle tre provincie di Lecce, Brindisi e
Taranto vi sono veri e propri consigli direttivi
dell'organizzazione e fra questi esiste un raccordo. A Bari
l'organizzazione detta "La Rosa", nonostante i colpi subiti,
presenta una notevole continuità e strutturazione interna.
   Al di là delle aree tradizionali, sono presenti
infiltrazioni mafiose in varie regioni italiane.
   In Lombardia vi sono agenzie locali di Cosa nostra:
presenze finalizzate al riciclaggio, compreso l'investimento
di capitali illeciti in attività lecite. Inoltre, sono
presenti emissari della 'ndrangheta.
   Milano è lo snodo per i traffici di eroina e cocaina che
si irradiano per tutta Italia.
   Nel Veneto la presenza di gruppi criminali di tipo mafioso
è cominciata negli anni ottanta con i soggiorni obbligati.
Oggi le attività fondamentali consistono nel traffico di
droga, in alcuni sequestri di persona a scopo di estorsione e
nel racket. Di recente si sono registrati investimenti
in beni immobili, esercizi pubblici, discoteche e strutture
turistico-alberghiere.
   Dello stesso genere sono le presenze in Liguria di gruppi
legati a Cosa nostra (in particolare elementi del clan
Fidanzati) e alla 'ndrangheta.
   In Toscana e in Emilia i gruppi mafiosi gestiscono, oltre
al traffico di droga, quello delle armi provenienti dal Belgio
attraverso la Sardegna o dalla Croazia attraverso il Friuli-
Venezia Giulia.
   In Toscana si è riscontrata la presenza di quattro gruppi
associativi diversi; mentre in Emilia Romagna vi sono
insediamenti mafiosi forti ed ormai storici. L'arresto recente
di Giacomo Riina e poi del giovane Piero Leggio a Budrio, il
ruolo di cerniera in numerosi traffici illeciti di ampia
portata svolto da elementi mafiosi a Morciano di Romagna,
confermano la gravità delle infiltrazioni.
   La rete criminale risulta in parte da vicende casuali: il
soggiorno obbligato di alcuni, il soggiorno in carcere al di
fuori delle regioni di origine per altri, con il conseguente
trasferimento delle famiglie. In parte la rete criminale
risulta da scelte strategiche, come gli investimenti in
determinati settori favorevoli, ed in parte anche dalla
riproduzione dei modelli mafiosi
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 forti. Così nascono cosche ed organizzazioni strutturate
all'interno di aree geografiche prive di tradizione.
   Quanto più l'espansione diventa il risultato di un
progetto consapevole, tanto più è verosimile e realistica
l'ipotesi avanzata dal dottor Pierluigi Vigna, procuratore
della Repubblica di Firenze. Vi è il pericolo che la rete
criminale si modelli sulla organizzazione giudiziaria,
insediandosi nei luoghi dove questa è più debole, dove più
ardua è l'iniziativa delle procure e dove non si è in grado di
reprimere i fenomeni mafiosi. Se questo è vero, l'obiettivo
fondamentale che la Commissione parlamentare antimafia deve
trarre dai lavori del Forum è quello della definizione e della
sollecita adozione di misure volte a far funzionare il sistema
nuovo delle procure distrettuali.
   Nasce da qui la necessità di una verifica attenta e
puntuale dello stato di funzionalità di questi uffici, in
relazione ai fatti criminali che hanno di fronte. Dobbiamo
puntare sull'efficienza. Ciò significa risorse, ossia
personale specializzato e strutture. C'è bisogno per questo di
un impegno concorde del Governo, del Parlamento e dell'organo
di governo autonomo della magistratura.
   E' urgente far agire e potenziare il circuito costituito
dalla procura nazionale antimafia e dalle procure
distrettuali, soprattutto per quel che riguarda l'acquisizione
e l'elaborazione di notizie, di informazioni e di dati utili
alle indagini. E' in questa prospettiva che vanno affrontate
alcune questioni di adeguamento della legislazione e
dell'ordinamento giudiziario.
   Quanto agli organici, il procuratore nazionale ha definito
"di emergenza" la situazione nella quale si trovano ad operare
le direzioni distrettuali antimafia. In numerosi uffici gli
organici sono insufficienti e talvolta i posti sono scoperti.
   La quantità e la destinazione dei magistrati vanno
valutate in rapporto alla qualità ed al peso dei procedimenti
che devono trattare. E' essenziale perciò tener conto delle
condizioni ambientali, così come è necessaria una revisione,
operata d'intesa tra il Consiglio superiore della magistratura
e il Ministero di grazia e giustizia, per intervenire nei casi
più gravi. Ne voglio richiamare solo alcuni, prendendo in
considerazione per primo il caso di Palermo. Si tratta di una
procura massimamente esposta perché è al centro del territorio
dove continua ad operare il gruppo dirigente di Cosa nostra.
E' competente per i reati di mafia commessi nei circondari di
Palermo, Agrigento, Marsala, Sciacca, Termini Imerese e
Trapani: tutte zone ad altissima densità mafiosa. I
procedimenti pendenti alla data del 31 dicembre 1992 risultano
essere 105 e le persone su cui sono in corso indagini sono
1.278.
   La procura della Repubblica di Palermo nel suo complesso
dispone di 37 sostituti e attualmente, oltre al procuratore
della Repubblica, sono assegnati alla direzione distrettuale
15 magistrati. Palermo chiede 10 nuovi posti, il che merita
una particolare attenzione. A Roma vi sono 54 sostituti, a
Napoli 52 e a Milano 47. La peculiare potenza del fenomeno
criminale nel distretto di Palermo richiede uno spiegamento di
forze almeno uguale rispetto a quello delle grandi sedi
giudiziarie che ho appena citato.
   Al tempo stesso, va rilevato che le attuali cinque sezioni
penali del tribunale non bastano. Ne va istituita subito una
sesta o sarà lento e problematico lo sbocco dibattimentale dei
procedimenti avviati. Del tutto insufficiente è il numero dei
giudici per le indagini preliminari. Sono soltanto sette
(adesso otto, a seguito di un provvedimento di applicazione):
un quinto rispetto ai magistrati della procura. Normalmente il
rapporto è da uno a tre: anche questa è un'anomalia da
rimuovere.
   E' indispensabile segnalare anche le situazioni di altri
uffici, che appaiono fortemente carenti: la procura di Catania
dove due dei magistrati assegnati sono stati applicati ad
altra procura; quella di Messina dove i posti in organico sono
per metà scoperti; quella di Caltanissetta che ha un organico
di tre posti con quattro applicati e tratta processi
delicatissimi;
                        Pag. 1340
quella di Bari con due soli sostituti e quella di Cagliari
anch'essa con solo due sostituti. Salta agli occhi, infine, la
totale impossibilità di un autonomo funzionamento delle
procure distrettuali di Campobasso e de L'Aquila. Nel Forum è
stato evidenziato il tema dell'autonomia finanziaria delle
procure distrettuali, che potrebbe essere un fattore di
speditezza e di efficienza. E' chiaro però che prima di
affrontare tale questione occorre costituire realmente le
procure distrettuali, sia pur con un numero limitatissimo di
addetti, ma garantendo che questi possano attendere con
pienezza di impegno alle loro specifiche funzioni.
   Come accennavo in precedenza, dobbiamo mettere il circuito
procura nazionale-procure distrettuali in condizione di
rappresentare una leva essenziale nell'iniziativa della Stato
contro la mafia. Perciò è necessario far funzionare al meglio
la circolazione e lo scambio delle informazioni, che è un
cardine delle attività investigative ed un elemento decisivo
del circuito.
   "Le singole direzioni distrettuali devono svolgere
attività investigativa diretta e metterla a disposizione di se
stesse, degli altri uffici e della procura nazionale.
Quest'ultima deve svolgere un ruolo di elaborazione, di vaglio
delle informazioni, per una successiva restituzione ai singoli
uffici operanti" come ha osservato il dottor Saviotti, della
procura distrettuale di Roma. Si può coordinare, soltanto se
si conosce e la procura nazionale deve essere messa in grado
di conoscere.
   La circolarità controllata delle informazioni è divenuta
un momento decisivo ed una condizione prioritaria per il
funzionamento del nuovo sistema. C'è bisogno di una
complessiva e coerente struttura informativa, al centro e
nelle singole sedi.
   La prima base informativa dovrebbe essere rappresentata da
una banca dati dei procedimenti in corso presso ciascuna
direzione distrettuale. Tale struttura può essere collegata
con altre banche dati di dimensione locale e nazionale. Ciò
può essere assai rilevante per l'acquisizione di notizie di
reato, in campi nei quali è necessaria una particolare ricerca
delle informazioni, come per i reati di cui agli articoli
648-bis e 648-ter del codice penale, ossia
riciclaggio e impiego di denaro, beni e utilità di provenienza
illecita. Soprattutto la struttura distrettuale dovrà mettere
a disposizione della procura nazionale il prodotto informativo
delle attività di indagine da essa svolte.
   In questa architettura resterebbero prioritarie le
funzioni di investigazione attiva delle sedi distrettuali, i
cui esiti informativi sarebbero destinati ad essere elaborati
dalla procura nazionale, congiuntamente agli altri dati cui
questa ha accesso, soprattutto nell'ambito dei rapporti con la
DIA, per essere rilasciati nuovamente alle direzioni
distrettuali in forma di analisi avanzata.
   Vorrei soffermarmi ora su una proposta di innovazione
legislativa, rispetto alla quale mi sembra sia ampio il
consenso: l'istituzione dei cosiddetti tribunali distrettuali.
   La concentrazione delle indagini preliminari nelle procure
distrettuali lascia immutata la disciplina delle competenze
per quanto riguarda il dibattimento. Ciò rende la riforma
ancora non sufficiente rispetto alle finalità di
razionalizzazione e di rafforzamento della risposta
giudiziaria al fenomeno mafioso.
   Proprio tenendo conto della centralità del dibattimento -
che resta un'idea-guida del nuovo processo - è necessaria,
dopo l'istituzione della procura distrettuale, una nuova
disciplina della competenza per materie e per territorio, in
relazione ai delitti di criminalità organizzata.
   Per questi delitti deve essere competente il tribunale o
la corte d'assise che ha sede presso il capoluogo del
distretto. Ciò eviterà che i magistrati addetti alle procure
distrettuali debbano recarsi in trasferta a sostenere l'accusa
presso i vari tribunali del distretto. Bisogna osservare che
in qualche caso le procure distrettuali non sono neppure in
grado di inviare propri magistrati ed è necessario che il
procuratore generale presso la corte d'appello
                        Pag. 1341
 provveda all'applicazione di sostituti che appartengono alle
procure non distrettuali.
   Non è un rimedio accettabile quello di riassegnare a
magistrati delle procure non distrettuali le funzioni
dell'accusa nei processi per reati di mafia, quando queste
funzioni sono state istituzionalmente affidate dalla legge ad
altri uffici. Il magistrato che ha curato la fase delle
indagini preliminari è quello che più di tutti gli altri può
garantire una partecipazione puntuale al dibattimento.
   L'istituzione dei tribunali distrettuali richiederà in
quelle sedi organici rafforzati, copertura dei posti e - nei
limiti del possibile - potenziamento delle strutture.
   Infine, questa nuova disciplina della competenza avrà come
effetto - io credo - un decongestionamento degli uffici non
distrettuali. Non dimentichiamo che in molti di questi, pochi
giudici sono costretti a fare tutto: processi civili, sezione
agraria, misure di prevenzione, GIP, processi penali. E nel
penale, sarà un buon risultato se potranno essere trattati con
maggiore sollecitudine ed impegno i processi riguardanti
fenomeni di criminalità ordinaria, che colpiscono la sicurezza
dei cittadini e che, se non contrastati adeguatamente,
rischiano di evolvere verso forme più gravi.
   Compiti assai delicati gravano sulle procure non
distrettuali in zone ad alta densità mafiosa. La condizione di
questi uffici è in alcuni casi desolante. Credo che la
relazione che sarà predisposta sull'attività di ricognizione -
ancora non conclusa - che si riferisce agli uffici giudiziari
della Calabria dovrà dedicare attenzione a questo aspetto. La
mia impressione su una di queste procure, quella di Vibo
Valentia, è stata veramente negativa e credo che tale
valutazione sia stata condivisa da molti colleghi.
   Sarebbe comunque opportuno che la Commissione antimafia
promuovesse un incontro con i rappresentanti di questi uffici
di procura che non trattano processi per reati di mafia ma
che, per collocazione geografica, hanno a che fare con
l'humus criminale entro cui si sviluppa l'agire mafioso.
   Un'altra questione di razionalizzazione delle competenze
giudiziarie riguarda le misure di prevenzione previste dalla
legislazione antimafia. Oggi esse spettano al tribunale nel
cui circondario dimora il soggetto "prevenuto". Possono essere
proposte anche dal procuratore nazionale antimafia ma
l'iniziativa processuale vera e propria è del procuratore
della Repubblica presso ciascun tribunale competente. Tutto
ciò crea - specialmente per le misure a carattere patrimoniale
- un rischio di polverizzazione degli interventi, che è in
contrasto con l'esigenza di unitarietà e di organicità
nell'esercizio dei poteri di indagine e nelle conseguenti
iniziative processuali da parte delle procure distrettuali.
   Normalmente, gli stessi fatti e le stesse circostanze
vengono prodotti a sostegno dell'accusa nel procedimento
penale e nella proposta di misura di prevenzione: sarebbe
utile una valutazione unitaria. Alle procure distrettuali
dovrebbe spettare l'iniziativa per quanto riguarda le misure
di prevenzione previste dalla legislazione antimafia. Questo
spostamento della competenza, una volta realizzata
l'istituzione dei tribunali distrettuali, non dovrebbe
riguardare soltanto l'iniziativa processuale e la funzione del
pubblico ministero ma anche il momento della decisione. In
questo nuovo contesto dovrebbero essere i tribunali
distrettuali a decidere sulle misure di prevenzione antimafia.
   La necessità più volte ribadita di un potenziamento della
polizia giudiziaria, che svolge indagini ed attività disposte
o delegate dalle procure distrettuali, ha indotto a riproporre
nel Forum un progetto di qualche anno fa, relativo
all'organizzazione dell'ufficio del pubblico ministero. In
proposito, la Commissione antimafia aveva approvato uno schema
nell'ottobre del 1990.
   La premessa di quello schema presupponeva che, per
svolgere i compiti nuovi che gli spettano, il pubblico
ministero
                        Pag. 1342
avesse bisogno di una struttura organizzata attorno a sé.
Perciò - secondo quello schema - dovrebbero far parte
dell'ufficio sia alcuni ufficiali di polizia giudiziaria sia
alcuni laureati in giurisprudenza, assunti a contratto come
assistenti del pubblico ministero, con le procedure e le
garanzie previste per i viceprocuratori onorari. Ad essi
verrebbe delegato il compimento di specifici atti,
naturalmente di rilevanza minore.
   E' un'innovazione non specificamente riferita alle procure
distrettuali ma che potrebbe giovare a rafforzare la
complessiva efficienza degli uffici del pubblico ministero.
   Infine, nel corso del Forum del 5 febbraio scorso sono
state sollevate numerose questioni relative ai collaboratori
di giustizia.
   Prima di entrare nel merito, credo si debba formulare una
valutazione di insieme riguardo al problema dei collaboratori
della giustizia. La valutazione d'insieme è che la legge sta
funzionando: l'alto e crescente numero di defezioni, che
minano la compattezza delle organizzazioni mafiose,
rappresenta una conferma della validità del cammino
intrapreso.
   Dunque, le correzioni da introdurre non possono che
assecondare lo spirito delle norme in vigore, garantendone
l'applicazione coerente, sia sul versante dei rapporti tra
organi dell'indagine e collaboratori sia sull'altro versante -
che bisognerà tenere ben distinto dal primo - relativo ai
rapporti tra il collaboratore e coloro che hanno il compito di
proteggerlo. Si tratta di due problemi distinti: rapporti tra
organi dell'indagine e collaboratori e rapporti tra organi
della protezione e collaboratori.
   Alcune delle questione poste riguardano i criteri di
determinazione e di attuazione dei programmi di protezione dei
collaboratori e dei loro prossimi congiunti. Altre sono
relative alla "gestione" degli stessi collaboratori e altre
ancora si riferiscono al trattamento sanzionatorio.
   Per quanto riguarda il programma di protezione, è stata
sottolineata l'opportunità che la commissione centrale,
istituita dal decreto-legge n. 8 del 1991, predetermini i
criteri da seguire ai fini dell'ammissione del collaboratore
allo speciale programma di protezione previsto dalla norma.
Sappiamo che tale programma ha contenuti diversi ed è
alternativo rispetto alle ordinarie misure di tutela.
   Il presupposto per l'ammissione al programma di protezione
speciale (comprendente anche misure di assistenza, finalizzate
alla tutela dell'incolumità, che possono estendersi fino al
cambiamento delle generalità) è, secondo la legge, la
inadeguatezza delle misure adottabili in via ordinaria
rispetto al fine di garantire la sicurezza personale. Il
procuratore distrettuale richiede l'applicazione del programma
e spetta alla commissione centrale valutare questa
inadeguatezza. Si tratta di un giudizio complesso, legato ad
elementi interni ed esterni al procedimento penale ed ogni
formulazione ulteriore di criteri è destinata a rimanere
indicativa ed elastica. Si può prevedere l'allegazione di
pareri degli organi di polizia giudiziaria, relativi ai
rapporti passati tra il collaboratore e l'organizzazione di
appartenenza, al tipo di organizzazione, al livello del
contributo prestato alle indagini e alle condizioni ambientali
in cui si trovino i congiunti (ma non si può andare al di là
di questo).
   Molti degli interventi hanno sottolineato la necessità che
venga assicurata la distinzione - alla quale prima facevo
cenno - tra gli organi dell'investigazione e quelli della
protezione. La custodia del collaboratore in locali diversi
dal carcere, sotto la tutela del medesimo organo di polizia
delegato alle indagini ma inquadrato nel servizio centrale di
protezione, rischia di determinare "intimismi investigativi" e
condizioni favorevoli ad un inquinamento della fonte di prova
(per effetto delle suggestioni che possono essere indotte nel
dichiarante dalle ipotesi investigative su cui lavorano gli
inquirenti).
   Il rimedio per non incorrere in tali rischi potrebbe
essere costituito dall'attribuzione al servizio centrale di
protezione
                        Pag. 1343
di una reale autonomia dai corpi di polizia incaricati di
compiti di indagine. L'eccessiva onerosità della misura, che
imporrebbe la sottrazione a quei corpi di un elevatissimo
numero di uomini, ha tuttavia indotto un certo numero di
magistrati intervenuti ad individuare nella custodia in
carcere del collaboratore la soluzione del problema
(personalmente concordo su questa ipotesi).
   Il pericolo delle intimidazioni, ipotizzabili
nell'ambiente carcerario, nonché il rischio di contaminazione
della fonte di prova, che può derivare da contatti con altri
detenuti, possono e debbono essere evitati attraverso la
destinazione dei collaboratori alla custodia in case
mandamentali, opportunamente prescelte nelle diverse aree del
territorio nazionale. Per i detenuti collaboranti dovrebbe
essere stabilito un trattamento penitenziario meno rigido
rispetto a quello ordinario e del tutto contrapposto a quello,
assai più severo, previsto per i detenuti "irriducibili". La
detenzione negli istituti mandamentali, inoltre, consentirebbe
di attuare più agevolmente proprio quel trattamento
penitenziario meno rigido.
   Poiché le occasioni di contatto tra il collaborante e le
forze di polizia incaricate della sua protezione rimarrebbero
comunque numerose, a mio parere è da prendere in seria
considerazione l'ipotesi - pure emersa nel Forum - della
costituzione di un autonomo corpo o servizio di polizia di
sicurezza, nell'ambito del Ministero di grazia e giustizia,
incaricato esclusivamente della protezione delle persone
collaboranti e dei loro prossimi congiunti.
   Quanto alla gestione processuale dei collaboratori, è
stata anzitutto evidenziata l'opportunità di un attento
coordinamento tra i pubblici ministeri dei diversi uffici
interessati all'esame dei collaboratori di giustizia. Il
coordinamento deve impedire deprecabili (ma non infrequenti)
ipotesi di esclusivo accaparramento dei pentiti da parte dei
magistrati che ne hanno registrato le prime dichiarazioni,
così come deve evitare casi di frenetici avvicendamenti di
magistrati in ogni sede attorno ai suddetti collaboratori,
tali da creare il rischio di involuzioni nello svolgimento
della collaborazione o, comunque, contrattempi
nell'espletamento delle attività d'indagine.
   Occorre che il procuratore nazionale metta allo studio
iniziative dirette a realizzare un più efficace coordinamento
nella gestione dei collaboratori di giustizia (in questo senso
va una prima circolare inviata dal procuratore nazionale alle
procure distrettuali). Iniziative di coordinamento potrebbero
essere assunte dal procuratore nazionale senza necessità di
alcuna modifica normativa, essendo sicuramente inquadrabili
nei generali poteri di coordinamento attribuiti a questo
organo.
   Inoltre, sono state discusse alcune possibili
modificazioni del trattamento sanzionatorio relativo ai
collaboratori di giustizia. In questo contesto possiamo
prendere in considerazione alcune proposte innovative che sono
state avanzate.
   Si è osservato che la pena della reclusione da dodici a
venti anni, comminata in sostituzione dell'ergastolo,
rappresenta per taluni collaboratori, soprattutto se di età
avanzata, un costo troppo elevato. Si è detto inoltre che la
norma citata riserva al giudice margini eccessivi di
discrezionalità nella determinazione in concreto della pena,
tanto da impedire al soggetto incline alla collaborazione di
valutare anticipatamente le conseguenze sanzionatorie della
propria dissociazione.
   Partendo da queste considerazioni, credo che possano
essere assunte dall'insieme del dibattito svoltosi nel Forum,
due ultime e più incisive proposte. Si è suggerito, anzitutto,
che venga prevista una riduzione delle pene temporanee in
misura fissa (preferibilmente in ragione della metà) ed in
secondo luogo che sia reintrodotta la possibilità della
definizione con rito abbreviato dei procedimenti per reati
punibili con la pena dell'ergastolo, possibilità venuta meno a
seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 176 del
1991, che ha dichiarato la parziale illegittimità del secondo
comma dell'articolo 442 del codice di
                        Pag. 1344
procedura penale. Questa reintroduzione comporterebbe una
riduzione ulteriore della pena nella misura di un terzo. In
tal modo, la pena dell'ergastolo, che può essere ridotta a
dodici anni per i collaboratori, per la scelta del rito
potrebbe essere ulteriormente diminuita di un terzo.
   Queste due proposte - entrambe volte a dare certezza, da
un lato, e ad incentivare più fortemente la collaborazione con
la giustizia, dall'altro - possono essere seriamente prese in
considerazione. La constatazione della insostituibilità
dell'apporto dei pentiti nei procedimenti per fatti di
criminalità organizzata consiglia di accogliere tali
suggerimenti. Le soluzioni proposte si risolvono infatti in
accorgimenti tecnici che non introducono eccezioni ai principi
generali dell'ordinamento e che possono concretamente
incentivare il fenomeno delle collaborazioni. E tale
incentivazione è più che mai utile nella lotta contro la
mafia.
   Signor presidente, signor ministro, onorevoli colleghi,
nelle ultime tre pagine della mia relazione è contenuta una
sintesi delle proposte che emergono da quanto ho detto sinora.
   Tali proposte si distinguono in due categorie: la prima
comprende innovazioni legislative che competono al Parlamento;
la seconda, scelte e decisioni di competenza del Governo.
Esiste - come ho già detto - un problema di tempi, ma si pone
anche la necessità di individuare tutte le possibili
convergenze istituzionali e politiche per intervenire in
questo settore e per porre il circuito delle procure
distrettuali e della procura nazionale nelle condizioni di
funzionare al meglio, al fine di spingere e rendere più
incisiva la risposta giudiziaria nella lotta contro la mafia.
  PRESIDENTE. Ringraziamo il senatore Brutti per la sua
relazione, che non soltanto ci ha descritto il quadro
dell'attuale situazione delle organizzazioni mafiose così come
emerso nell'ambito del Forum, ma ci ha anche prospettato una
serie di proposte di carattere amministrativo e legislativo,
sulle quali la Commissione dovrà pronunciarsi.
   Mi permetto di richiamare l'attenzione dei colleghi sulle
ultime tre cartelle della relazione, nelle quali sono indicati
i singoli punti sui quali dovremo discutere, integrando e
correggendo le proposte in modo costruttivo e non generico. Il
collega Brutti ha sottolineato come nei momenti di debolezza
dell'ordinamento la mafia riesca a penetrare ed a insinuarsi.
Sotto questo profilo, ritengo che la Commissione debba
dedicare un'attenzione particolare ai problemi connessi
all'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei mafiosi.
Ciò perché, a causa di uno scoordinamento e di una difficoltà
interpretativa emersi in ordine ad una norma di un ordinamento
penitenziario recentemente modificata, può accadere che anche
pericolosi capi mafia possano godere di qualche beneficio.
Proprio di recente, Mariano Agate - che non credo abbia
bisogno di alcuna descrizione - ha goduto di una riduzione di
365 giorni sulla pena a lui inflitta, essendo stato
considerato persona non pericolosa. Eppure, credo che tutti
sappiano chi è Mariano Agate. Ritengo che su questi aspetti
debba essere garantita una adeguata informazione e debba
manifestarsi un giusto allarme.
   La seconda questione, anch'essa molto delicata, riguarda
il prossimo svolgimento di processi a Palermo. A tale riguardo
chiedo ai colleghi di valutare l'opportunità che presso il
carcere dell'Ucciardone venga istituito un braccio
particolare, ben controllato e sorvegliato, al quale destinare
questi detenuti. Sappiamo che gli imputati nei processi contro
le organizzazioni mafiose sono detenuti in città diverse per
cui, ogni qualvolta si svolge un'udienza, sorge la necessità
di un continuo andirivieni, con rischi enormi per la scorta,
con il rischio politico che tutti possiamo comprendere, con
costi economici ed umani assai rilevanti. Nessuna democrazia
può ritenere che un carcere sia fuori dei limiti della
legalità! Ecco perché ritengo che vada dedicata particolare
attenzione alla necessità che anche a Palermo vi possa essere
un carcere
                        Pag. 1345
sicuro. Del resto, esistono i mezzi, sia sotto il profilo del
personale sia sotto l'aspetto tecnico, perché tale obiettivo
possa essere realizzato. In sostanza, si pone un problema di
riappropriazione del territorio e della legalità, aspetto,
quest'ultimo, che mi permetto di sottoporre all'attenzione dei
colleghi e del ministro.
   Quanto alle questioni sollevate con riferimento all'ordine
dei lavori - mi rivolgo in particolare ai colleghi del gruppo
del MSI-destra nazionale -, la Camera ci informerà
nell'ipotesi in cui dovesse sorgere un problema di numero
legale. In ogni caso, riferirò sull'evoluzione della
situazione ai colleghi, i quali potranno poi assumere le
decisioni più opportune. Non vi è stata comunque alcuna
richiesta di sconvocazione della Commissione. Ricordo inoltre
che l'ordine del giorno prevede alcune comunicazioni che debbo
rendere alla Commissione con una certa urgenza.
   Il ministro Conso si riserva di prendere la parola dopo
che i colleghi iscritti a parlare avranno svolto i rispettivi
interventi. Ricordo, che in base al regolamento della Camera,
nel momento in cui intervenga il Governo, è consentito ai
commissari di chiedere nuovamente la parola.
  LUIGI ROSSI. Poiché abbiamo il piacere di avere con noi
il nuovo ministro guardasigilli, vorrei sottoporre alla sua
attenzione una proposta della quale ho già parlato in
occasione dello svolgimento di una mia interrogazione alla
Camera. Probabilmente si tratta di una ipotesi provocatoria,
ma ciò non mi trattiene dal chiedere al ministro una
valutazione specifica. In particolare, la proposta riguarda la
possibilità di creare in seno alla magistratura due
specializzazioni diverse. Superato ormai il pericolo - almeno,
così credo - che il pubblico ministero possa rappresentare una
espressione dell'esecutivo (dopo che questa figura è stata
assimilata a tutti gli altri magistrati), ritengo che le
procedure attualmente in vigore possano essere snellite
prevedendo, appunto, due specializzazioni nell'ambito della
magistratura: la prima sarebbe riconducibile al pubblico
ministero stesso; la seconda, ai giudici chiamati ad emettere
le sentenze. Si tratta di un'ipotesi di riforma molto
dibattuta, sulla quale ho ascoltato il parere di autorevoli
giuristi, che, tra gli altri effetti, consentirebbe anche di
eliminare i GIP oltre ad attribuire al pubblico ministero la
competenza sugli atti attinenti alla fase istruttoria ed a
fornire ai giudici chiamati ad emettere la sentenza tutti gli
elementi che oggi passano attraverso il GIP. A mio parere (ed
anche sulla base di una lettura della Costituzione), la figura
del giudice per le indagini preliminari è stata prevista nel
timore che il pubblico ministero continuasse a costituire una
rappresentazione dell'esecutivo.
   Al ministro Conso chiedo inoltre a che punto si trovi la
riforma del codice di procedura penale. Ho letto con molta
attenzione la relazione del procuratore generale, dalla quale
si desume che molti interrogativi sono rimasti senza risposta.
Dalla stessa relazione si evince inoltre un eccessivo
ottimismo circa la possibilità di combattere, con i mezzi
attualmente a nostra disposizione, la criminalità organizzata.
   Da tale situazione discende la necessità di snellire il
codice di procedura penale, dando vita ad una seria opera di
riforma che consenta di ottenere al più presto il risultato di
processi non più chilometrici. In particolare, richiamo
l'attenzione sull'opportunità di abrogare il secondo capoverso
dell'articolo 27 della Costituzione, laddove si prescrive che
nessuno è considerato colpevole fino al giudizio finale. Al
contrario, io credo che, qualora sia stata emessa una prima
sentenza (che, ovviamente, comporti una pena abbastanza
grave), l'imputato debba rimanere in galera aspettando fino
alla fine l'evoluzione dell'iter procedurale.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Innanzitutto vorrei ringraziare
il ministro Conso per la sua presenza ed il collega Brutti per
la precisa e puntuale relazione.
                        Pag. 1346
   Intendo svolgere una riflessione su tre questioni che
considero particolarmente importanti. Mi riferisco, in primo
luogo, all'istituzione dei tribunali distrettuali antimafia
(ipotesi sulla quale, credo, siamo tutti d'accordo). Tale
organismi dovrebbero sorgere presso i distretti delle corti
d'appello. A tale riguardo faccio osservare che nel nostro
paese la distribuzione delle corti d'appello non è aggiornata,
né risulta conforme ai criteri indicati nella proposta di
revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Se la situazione
dovesse rimanere negli stessi termini di oggi, i tribunali
distrettuali antimafia sarebbero in numero di quattro in
Sicilia e addirittura di due soltanto in Campania, che pure ha
una popolazione di 5 milioni 900 mila abitanti e la più alta
densità abitativa...
  PRESIDENTE. Alta densità camorristica...!
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Eppure, in Campania, dal momento
che esistono due corti di appello, sarebbero istituiti
soltanto due tribunali distrettuali antimafia. Analoga
situazione si registrerebbe in Lombardia.
   In definitiva, sarebbe opportuno prevedere l'istituzione
dei tribunali distrettuali antimafia in una fase successiva
alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da attuarsi
in base ai criteri indicati nella proposta del Governo.
   Un'ulteriore questione concerne la legislazione premiale.
Considero con favore la proposta, avanzata da diversi
magistrati in occasione del Forum, di prevedere un'attenuante
di ordine generale riferita a tutti i reati. Del resto,
un'indicazione analoga era stata prospettata dai magistrati
appartenenti ai vari pool antimafia e antiterrorismo: in
sostanza, si tratta di evitare la previsione di benefici
premiali soltanto per alcune categorie di imputati, per
esempio per i mafiosi, giacché tale criterio sarebbe
assolutamente sbagliato. Penso, per esempio, ai benefici
introdotti a favore dei sequestratori di persona, senza
considerare che questi ultimi, oltre ad eseguire i sequestri,
spesso commettono anche omicidi o sono implicati nel traffico
di droga e di armi. Ne consegue che i sequestratori i quali
volessero parlare, non potrebbero farlo per la semplice
ragione che, siccome hanno commesso quasi sempre altri tipi di
reato, la legislazione premiale a favore dei sequestratori o a
favore soltanto dei trafficanti di droga, non avrebbe alcun
effetto. La proposta avanzata all'epoca da Falcone, Borsellino
e molti altri era quindi di prevedere un'attenuante generale
per ogni tipo di reato.
   Credo si tratti di una proposta di fondamentale rilievo
sulla quale, peraltro, a suo tempo si era dichiarato d'accordo
l'allora ministro dell'interno Scàlfaro e che aveva costituito
oggetto di una formale proposta di legge presentata dal
ministro della giustizia pro tempore, Martinazzoli.
Purtroppo, quella proposta è decaduta. Credo che si debba
invece insistere su questa strada, ove si consideri che
attualmente non vi è alcun beneficio, a differenza di quanto
accade, per esempio, negli Stati Uniti, dove addirittura si
può non esercitare l'azione penale nei confronti dei
collaboratori.
   Un'ultima considerazione riguarda il problema carcerario.
Sto constatando con viva preoccupazione come negli ultimi
tempi si stia di fatto realizzando una vanificazione della
legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di sottoposizione ad
un regime particolare per gli appartenenti alle organizzazioni
di tipo mafioso. Anche con riferimento ai recenti fatti
accaduti a Napoli, abbiamo purtroppo verificato che molti
degli appartenenti alle organizzazioni criminali sono riusciti
a ritornare nelle carceri di provenienza sfruttando il
sistema, pur legittimo, della presenza ai dibattimenti penali.
   Ciò sta creando seri problemi alle direzioni dei vari
carceri maggiormente esposti al rischio dell'aggressione della
criminalità organizzata. Mentre nel carcere di Poggioreale
sono circa sessanta gli imputati di associazione per
delinquere di stampo mafioso, all'Ucciardone sembra
                        Pag. 1347
che ancora una volta si stia verificando una concentrazione
di mafiosi.
   Poiché negli ultimi tempi abbiamo appreso dai mafiosi
pentiti quanto sia importante l'aspetto carcerario per la
lotta alla criminalità organizzata, credo sia necessario
prevedere, almeno per le grandi città, istituti in cui gli
imputati di associazione per delinquere di stampo mafioso
siano separati dal resto della popolazione carceraria, cioè da
chi è spesso imputato per reati di minor conto.
  MARIO BORGHEZIO. Desidero anzitutto esprimere una
valutazione favorevole alle proposte contenute al termine
della relazione del senatore Brutti, poiché a mio giudizio
contengono indicazioni che possono essere validamente recepite
dal Governo e sulle quali credo sia opportuno associarsi nel
momento in cui si tratta di passare dalla fase di lotta al
fenomeno mafioso ad una fase più avanzata ed incisiva. Ritengo
che soprattutto i punti in cui sono approfonditi il ruolo
delle strutture, l'organizzazione delle procure e il fenomeno
- mai così rilevante - dei collaboratori della giustizia
debbano essere valutati dallo Stato come una concreta
possibilità per conseguire risultati proficui e per radicare
nel tempo un'azione maggiormente incisiva.
   Ciò premesso, vorrei conoscere l'opinione del nuovo
ministro guardasigilli su alcuni aspetti. Il primo, sul quale
instancabilmente insistiamo, è quello relativo alla
penetrazione della mafia al nord, un fenomeno che è emerso
dalle relazioni dei vari procuratori sia pure con diverse
sfumature. Risultano indubbiamente acquisiti segnali molto
preoccupanti, i quali combaciano con le impressioni che
abbiamo noi quali parlamentari del nord. Intendo dire che
mentre nell'attività parlamentare assai spesso si hanno
soltanto echi indiretti di questa realtà, purtroppo le
cronache quotidiane si assumono l'incarico di darci avvisi
molto particolari. La cronaca giudiziaria del Piemonte - la
regione da cui provengo - ogni giorno ci riserva sorprese: un
giorno si tratta del "totonero", un altro di regolamenti di
conti tra bande calabresi, un altro ancora di rivelazioni sul
riciclaggio del denaro sporco.
   Vorrei conoscere l'opinione del ministro di grazia e
giustizia a proposito della risposta dello Stato al fenomeno
della penetrazione mafiosa al nord, in particolare nel
Piemonte. Gradirei altresì una sua valutazione complessiva sui
risultati e sull'attuale utilizzazione dell'istituto del
soggiorno obbligato al nord.
   Circa la penetrazione delle organizzazioni mafiose
nell'ambiente finanziario, bancario e parabancario, vorrei
conoscere dal ministro Conso la sua opinione in ordine alla
possibilità di istituire nell'ambito del suo dicastero un
osservatorio sull'applicazione delle norme antiriciclaggio,
perché un conto è l'emanazione di norme anche molto avanzate,
un altro è l'applicazione delle medesime. Proprio in questi
giorni, la magistratura piemontese ha emesso una sentenza
molto interessante in ordine alla mancata collaborazione degli
istituti bancari su un'inchiesta relativa a truffe perpetrate
tramite carte di credito. Se le resistenze degli istituti
bancari sono così forti nei confronti di una truffa così
semplice, è facile immaginare quali possano essere quando
vengano coinvolti altri interessi, altre forze in gioco.
   Vorrei anche conoscere l'opinione del ministro di grazia e
giustizia a proposito della penetrazione mafiosa sui
finanziamenti agevolati per il sud e sull'applicazione della
legge n. 64.
  VITO RIGGIO. Desidero anch'io ringraziare il senatore
Brutti perché ha compiuto un imponente sforzo di sintesi delle
tante situazioni emerse. Credo però, anche per agevolare il
dialogo con il ministro Conso, che nella relazione andrebbe
distinto ciò che è sicuramente consolidato (mi riferisco alle
proposte direttamente attinenti ai compiti del Governo). Non
v'è dubbio, infatti, che la situazione illustrata a mo'
d'esempio e riferita alla procura distrettuale di Palermo sia
tra quelle a cui si può e si deve porre immediatamente
rimedio, così
                        Pag. 1348
come è possibile realizzare la lamentata evidenziazione della
circolazione delle informazioni.
   Per quanto riguarda la legislazione premiale, concordo con
il senatore Imposimato, perché ritengo anch'io che i punti
sottolineati dai procuratori distrettuali fossero due: in
primo luogo l'esigenza di evitare un eccessivo utilizzo dei
pentiti da parte di tutti i magistrati, poiché ciò finisce col
determinare una sorta di inaffidabilità complessiva (nella
relazione del senatore Brutti tale punto è accennato ma credo
che vada maggiormente approfondito); in secondo luogo, la
necessità di eliminare o ridurre la discrezionalità. Non vi è
stata espressamente la richiesta di ulteriori riduzioni di
pena, che a me sembrano già abbastanza ampie, considerato il
livello di sensibilità sociale cui siamo giunti. Il problema è
che l'oscillazione tra una pena di dodici e una di vent'anni è
effettivamente troppo ampia e che inoltre si fa riferimento
non alla soggettività, cioè al collaboratore che in quanto
tale dimostra un'attitudine ad essere utilizzato all'interno
del circuito di giustizia, ma a tipologie di reati.
Bisognerebbe quindi meglio lavorare per assicurare certezza
prevedendo una sorta di riduzione fissa della pena commisurata
al profilo soggettivo del collaborante, cioè al fatto che egli
consente l'ottenimento di un certo risultato. Tra l'altro, ciò
consentirebbe di superare obiettive resistenze.
   Le notizie di stampa sul comportamento della magistratura
americana nei confronti di Marino Mannoia hanno provocato una
serie di perplessità in ordine al fatto che un pluriomicida
sia del tutto libero, anche se ha collaborato con la
giustizia. Questo è un problema che politicamente la
Commissione antimafia deve porsi, perché una riduzione di pena
di questo genere non costituisce un fatto tecnico, in quanto
ha a che vedere con strati profondi della sensibilità sociale,
per cui se vogliamo ottenere un risultato dobbiamo
preoccuparci che vi sia la persuasione della sua correttezza.
Da questo punto di vista, credo che sia meglio adoperare il
meccanismo della collaborazione soggettiva anziché il
riferimento alla tipologia dei reati.
   Per quanto riguarda la struttura carceraria, la proposta
relativa all'utilizzo delle carceri mandamentali per la
protezione dei pentiti a me pare assolutamente inapplicabile
(lo dico con molta amicizia nei confronti del senatore
Brutti). A me sembra che la condizione delle carceri
mandamentali sia tale da porre queste strutture
nell'impossibilità di essere utilizzate per il trattamento di
una materia così delicata. Altra cosa è invece la revisione
complessiva dell'ordinamento carcerario. Mi riferisco in
particolare all'Ucciardone e alla necessità di sapere a che
punto è la costruzione del nuovo carcere di Palermo al quale
si sta lavorando da anni. Sarebbe possibile realizzare
modalità diverse di trattamento carcerario anche in rapporto a
strutture non fatiscenti e assolutamente permeabili come
invece risulta essere l'Ucciardone.
   Ho prestato molta attenzione, perché la considero
importante dal punto di vista politico e culturale, alla
distinzione attuata dai magistrati tra coloro che proteggono i
collaboratori e coloro che investigano sulle loro
dichiarazioni. Ritengo infatti che i cosiddetti intimismi
possano obiettivamente dare luogo a difficoltà anche al di là
della volontà soggettiva. Credo che la via migliore sia quella
indicata al punto 5 della relazione, cioè un autonomo servizio
con costi stimati e con modalità di esercizio della funzione
di vigilanza non riferita soltanto ai collaboratori ma anche
alle famiglie, che considero meritevole di una più puntuale ed
attenta riflessione.
  ALTERO MATTEOLI. La relazione del senatore Brutti pone
aspetti di ordine politico che a mio avviso meriterebbero un
esame più approfondito. Credo comunque che non mancherà
l'occasione per portare avanti tale esame, perché vi sono
punti sui quali dovremo tornare a soffermarci: per esempio,
quello in cui viene sottolineata la commistione tra violenza e
connivenza; oppure quando, riferendosi ad una frase
pronunciata nel 1976 da
                        Pag. 1349
Badalamenti, il quale asserì che la mafia non poteva portare
avanti una guerra allo Stato, il senatore Brutti ritiene
invece che tale guerra vi sia stata. Credo che meriti di
essere approfondito il passaggio relativo alla dimensione
politica dell'agire mafioso, nonché quello dove si parla delle
condanne o della rottura dell'impunibilità e,
conseguentemente, del modo in cui si è giunti all'omicidio
Lima.
   Non vorrei in definitiva che la relazione del senatore
Brutti finisse per essere valutata soltanto con riferimento
alle ultime tre pagine, perché in questo caso sarebbe
vanificato lo sforzo che egli ha compiuto e l'obbligo che io
avverto di esaminarla nella sua globalità avendo a
disposizione il tempo che ciò richiederà.
   Per quanto riguarda le proposte formulate, approfittando
dell'autorevole presenza del ministro Conso, che peraltro ha
assunto la sua carica da poche ore, gradirei avere un suo
parere sull'istituto del soggiorno obbligato. Ho sempre
immaginato che se un soggetto è mafioso ed ha commesso dei
reati dovrebbe essere in galera e non in soggiorno obbligato
ma posso anche sbagliarmi perché non sono un operatore della
giustizia.
   Gradirei la sua opinione, signor ministro, anche a
proposito della penetrazione mafiosa al nord, dal momento che
il fenomeno non può intendersi soltanto come causa del
soggiorno obbligato - può essere stato così all'inizio e per
un altro tipo di mafia - ma anche conseguente alla necessità
di acquisire nuovi mercati dove investire il danaro
guadagnato. A mio avviso, il funzionamento della struttura
carceraria è legato ad una maggiore attenzione da parte dello
Stato alla preparazione di coloro che sono preposti alle
carceri. Lungi da me l'idea di voler usare parole che possano
apparire offensive nei confronti degli agenti di custodia, ma
credo che spesso ci troviamo di fronte ad un personale non
sufficientemente qualificato per affrontare un problema così
importante come quello delle carceri che accolgono criminali
di simile portata.
   Per quanto riguarda la legislazione premiale,
l'impressione che ho tratto dalla relazione del senatore
Brutti è quella di un'attenuante di ordine generale
estendibile a tutti i reati.
  PRESIDENTE. L'attenuante per la persona.
  ALTERO MATTEOLI. Siccome un individuo può
contemporaneamente essere assassino, trafficante di droga e
sequestratore, non possiamo fare una previsione che riguardi
soltanto uno di tali reati.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Come purtroppo è stato fatto.
  ALTERO MATTEOLI. In linea generale potrei anche essere
d'accordo con le proposte avanzate, ma ho l'impressione che ci
si incammini verso la totale impunità, cioè verso un qualcosa
di totalmente aberrante.
  FERDINADO IMPOSIMATO. E' una scelta politica.
  ALTERO MATTEOLI. Ci si può anche comportare come negli
Stati Uniti. A mio avviso, però, si tratta di una scelta
aberrante sulla quale non sono affatto d'accordo.
   A proposito della costituzione dei tribunali distrettuali
antimafia, concordo con quanto è stato detto. Siccome ciascuno
di noi finisce col portare come esempi le realtà che meglio
conosce, desidero ricordare che la Toscana - che ha quasi 4
milioni di abitanti - dispone di una sola corte d'appello.
Visto quanto sta accadendo, penso servirebbe a poco anche la
costituzione dei tribunali distrettuali antimafia. Le proposte
di legge miranti a costituire nuove corti d'appello - che in
regioni come la Lombardia e la Campania sono due - sono
numerosissime, ma di esse non si riesce mai a discutere perché
bene che vada si fermano alla fase della Commissione in sede
referente.
                        Pag. 1350
  PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, le sue osservazioni, come
d'altronde quelle dell'onorevole Imposimato, sono molto
precise. Desidero però segnalare uno degli aspetti della
relazione del senatore Brutti: quello dei tempi. E'
inevitabile che la necessaria revisione comporti tempi assai
più lunghi che non quelli occorrenti per la costituzione dei
tribunali distrettuali.
  ALDO DE MATTEO. Desidero innanzitutto ringraziare il
collega Brutti per la felice sintesi dei lavori del Forum e
per l'organizzazione logica delle tematiche lì trattate.
Personalmente, concordo anche su buona parte delle proposte
conclusive, ma desidero comunque soffermarmi su un aspetto a
mio avviso importante ma che può apparire secondario se
rapportato agli aspetti salienti della relazione. Mi riferisco
ai problemi dell'organizzazione della giustizia, alle gravi
carenze che abbiamo avuto modo di riscontrare anche nel corso
delle visite della Commissione in Calabria, in Puglia ed in
altre regioni.
   A proposito di questo nucleo di problemi, ritengo sia
utile segnalare al ministro l'importanza dei tempi attraverso
cui sarebbe possibile affrontarli. Non si tratta, infatti, di
grandissime questioni. Se c'è la volontà politica, è ben
possibile coprire un organico in tempi relativamente brevi:
non credo occorrano anni per risolvere problemi di struttura,
di tecnologie, di strumenti operativi. Muoversi in questa
direzione rappresenterebbe un'importante dimostrazione di una
volontà che tra l'altro mi pare esista. L'aver legato le
carenze strutturali ad altri problemi sicuramente più gravi ha
costituito uno dei punti deboli dell'azione dello Stato, una
delle ragioni che hanno impedito di ottenere risultati
concreti.
   A proposito dei collaboratori di giustizia, ritengo che i
punti di riferimento debbano essere quelli della legislazione
premiale e della tutela del collaboratore medesimo e della sua
famiglia. Ritengo pure che la valutazione dell'insieme dei
reati sia fondamentale - come dicevano poc'anzi gli onorevoli
Imposimato e Riggio - quanto lo è quella del profilo del
collaboratore, in considerazione dei risultati che si riescono
ad ottenere. Ritengo, inoltre, che si debbano valutare le
modalità di espiazione della pena - che potrebbero comunque
riferirsi anche soltanto a parte del periodo - che non
rappresentano certo un aspetto secondario della legislazione
premiale.
   Lavorando su questo aspetto e riducendo l'oscillazione
della durata della pena cui si è fatto cenno prima, riusciremo
forse ad adottare una misura che desta minore preoccupazione.
In questi casi, infatti, bisogna agire con saggezza ed
intelligenza per riuscire anche a recepire il senso comune, la
coscienza popolare. Queste considerazioni mi portano dunque a
sostenere che forse è più opportuno restringere quella
forbice, piuttosto che allargarla.
   Da ultimo, desidero soffermarmi su una considerazione
fatta ieri sera dal presidente nel corso di una trasmissione
televisiva "leggera". Mi riferisco a quanto egli ha detto - ed
io concordo - a proposito del fatto che dalle carceri i
mafiosi continuano a comandare; che Riina è ancora il capo di
Cosa nostra perché utilizzando certi sistemi - anche
facilmente immaginabili ed in parte conosciuti - può riuscire
a trasmettere i propri ordini.
   Il problema della sicurezza delle carceri si pone oggi
così come si è posto nel periodo del terrorismo. In quegli
anni la questione è stata affrontata e risolta ricorrendo
anche alla costruzione di carceri di massima sicurezza: forse
oggi potrebbe essere questa la soluzione, tenendo conto della
questione della territorialità. Nel caso in cui non esistano
certe condizioni, l'unico riferimento resta però quello della
sicurezza e della attivazione di strutture che non consentano
ai mafiosi di continuare a comandare dall'interno delle
carceri.
  GIROLAMO TRIPODI. Anch'io desidero esprimere il mio
apprezzamento per la relazione svolta dal senatore Brutti.
Ritengo, però, che si debba ulteriormente riflettere sia sulle
proposte in essa con
                        Pag. 1351
tenute sia sull'analisi compiuta, con particolare riferimento
alla questione delle collusioni tra mafia e politica.
Altrimenti, si resta nel generico nonostante oggi noi si
disponga di elementi che ci consentono di stabilire punti
fermi.
  PRESIDENTE. Onorevole Tripodi, la questione cui lei si
riferisce è stata volontariamente demandata ad altra sede dal
senatore Brutti. Non vorrei perciò che oggi se ne discutesse.
  GIROLAMO TRIPODI. Stavo per dire quasi la stessa cosa.
Se la questione deve essere affrontata nell'ambito della
relazione Brutti, sicuramente bisognerà approfondirla. Se,
invece, sarà rinviata alla relazione conclusiva di questa
prima parte dei lavori della Commissione, in quella sede
discuteremo di tutti gli argomenti. Ho voluto soltanto dire
che il problema - che comunque è stato posto - dovrà essere
approfondito.
   Partendo proprio dalla premessa che la relazione del
senatore Brutti rappresenta un documento estremamente
interessante e ricco di indicazioni, desidero soffermarmi su
alcuni aspetti che a mio avviso meritano una maggiore
puntualizzazione. Il primo è rappresentato dal grande rilievo
dato alla mafia di Cosa nostra, quasi che le altre
organizzazioni criminali, soprattutto la 'ndrangheta, non
fossero altrettanto pericolose ed altrettanto presenti sul
territorio, in termini di potenza di fuoco e quindi di
controllo. Se non si precisa questo aspetto, le altre
organizzazioni potrebbero essere considerate per così dire di
secondo piano, mentre a nostro avviso la loro valenza è la
stessa; visto che esistono ben 86 cosche, per certi aspetti
direi che la 'ndrangheta è anche più pericolosa. Per questa
ragione non condivido quanto detto nel corso del Forum dal
procuratore distrettuale di Reggio Calabria che ha parlato di
10 cosche: francamente non so da dove abbia tratto questo
dato.
   Ritengo, pertanto, che nel momento in cui compiamo una
valutazione complessiva del fenomeno mafioso, dobbiamo
considerare di ciascuna organizzazione il ruolo e la valenza
che effettivamente hanno sull'intero territorio nazionale ed
in particolare nelle regioni di maggiore presenza, che si
chiamino Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra o Sacra corona
unita.
   Valutando le risultanze del Forum, penso che la
Commissione debba esprimere un giudizio anche sui risultati
conseguiti dalle procure distrettuali nel loro primo anno di
vita. A me sembra che i giudizi non possano essere tutti
positivi perché esiste sicuramente una notevole diversità di
impegno e quindi di risultati: vi sono procure che funzionano
molto bene, mentre altre non fanno niente. Vorrei sapere anche
quale giudizio si dà sul funzionamento della procura nazionale
antimafia; francamente a me pare che ancora non siano stati
conseguiti risultati capaci di dimostrarne la validità.
   Nella relazione Brutti si fa cenno anche ad una serie di
insufficienze di organico, soprattutto in alcune sedi
distrettuali quali quelle di Palermo e Catania. Qualcosa mi
pare sia sfuggito a proposito della procura distrettuale di
Reggio Calabria, dove esistono pure carenze di organico che
rendono difficile lo svolgimento della sua attività. Anche
questo è un problema da porre in rilievo.
   A proposito della protezione dei collaboratori di
giustizia è stata avanzata la proposta di istituire un corpo
autonomo, un servizio di polizia e di sicurezza per i pentiti,
dipendente dal ministro di grazia e giustizia. Ritengo che sul
punto si debba riflettere meglio perché bisogna stare attenti
a non creare un altro corpo di polizia, viste le difficoltà
che in casi analoghi si sono determinate. Non condivido
neppure l'ipotesi secondo cui la cosiddetta gestione dei
pentiti possa essere affidata al procuratore nazionale
antimafia. Mi pare che qualcuno abbia affacciato tale ipotesi
che io ritengo non possa essere assolutamente accettata.
   Condivido quanto è stato detto a proposito di Vibo
Valentia. La situazione si sta ulteriormente aggravando, come
d'altronde abbiamo avuto modo di constatare
                        Pag. 1352
 prima e soprattutto dopo la nostra visita in loco. Non
so se la via da imboccare sia quella proposta, cioè quella di
un incontro con i responsabili degli uffici.
   Ritengo che si dovrebbe trovare un modo di agire, anche
perché qualcuno non si muove affatto ed è necessario superare
il lassismo attraverso l'adozione di determinate misure.
Poiché Vibo Valentia rientra nella competenza della procura
distrettuale di Catanzaro, dovrebbe essere quest'ultima ad
interessarsi della situazione. Credo comunque che le questioni
vadano analizzate complessivamente.
   Per quanto riguarda le indagini patrimoniali, si tratta di
un tema da approfondire perché è inutile effettuare le
indagini, oltre che (in alcune zone e non dovunque) i
sequestri dei beni illecitamente acquisiti, se poi questi
ultimi vengono successivamente restituiti ai mafiosi.
  UMBERTO CAPPUZZO. Desidero esprimere un vivissimo
apprezzamento per la brillante relazione del senatore Brutti,
il quale ha toccato tutte le questioni, evidenziando di ognuna
di esse le conseguenze logiche ed avanzando proposte
estremamente interessanti, che in gran parte condivido. Mi è
piaciuta anche la linea seguita, con il richiamo ad Anton Blok
da una parte e a Vigna dall'altra.
   Se è vero, come dice Blok, che ci muoviamo tra violenza e
connivenza, sarebbe forse opportuno avanzare qualche proposta
anche sul piano amministrativo per evitare che questa
connivenza sia facilitata. Per quanto riguarda invece l'idea
di Vigna, che condivido, secondo cui la mafia, dopo aver
individuato le vulnerabilità locali, adegua la propria azione
alle caratteristiche dell'area, si tratta di una questione che
richiederebbe qualche indicazione: dobbiamo in sostanza
valutare la mappa della mafia non soltanto quale essa è ma
anche quale potrebbe essere. In questo senso, ritengo che i
richiami dell'onorevole Borghezio vadano nella direzione
giusta, tenendo conto dell'esigenza di individuare le zone
potenzialmente a rischio per fare in modo di non trovarsi
scoperti nel momento in cui la mafia si manifesta.
   Un problema estremamente importante è quello della
magistratura; approfittando anzi della presenza del ministro
di grazia e giustizia, desidero ricordare che ormai da anni
sentiamo parlare di carenze e di necessità di adeguamento
degli organici. Colpisce, al riguardo, il fatto che a Palermo
vi sia una carenza di dieci unità, che rappresenta un fatto
inconcepibile: basti pensare che a Palermo operano 37 unità e
a Milano 47. Sarebbe allora necessario effettuare un confronto
riferito non all'utenza, intesa come popolazione, ma
all'indice della criminalità, da cui dovrebbe discendere la
definizione dell'organico della magistratura.
   Convengo, in questo senso, con le osservazioni del collega
De Matteo circa le necessità di superare la fase delle
continue denunce di carenze; credo comunque che il ministro
potrà offrirci qualche indicazione molto valida.
   Sul problema dell'aggiustamento dei processi si è in
qualche modo "sorvolato": se è vero che abbiamo individuato i
mediatori dell'aggiustamento, sarebbe opportuno qualche
approfondimento per individuare i destinatari della stessa
proposta di aggiustamento. Non vi è dubbio infatti che, se i
processi sono stati aggiustati, qualcuno si è prestato a
farlo; dobbiamo allora valutare quali siano le azioni da
compiere per individuare gli "aggiustatori" e per evitare che
in futuro si ripetano fatti del genere. Questo argomento resta
sempre in qualche modo velato a misterioso, anche se
l'aggiustatore (inteso come proponente) agisce in quanto
l'aggiustante è disposto a collaborare.
   Un altro problema molto importante è rappresentato
dall'evoluzione della mafia. Anche se finora abbiamo parlato
degli organici facendo riferimento a quelli convenzionali,
occorre considerare che la mafia si evolve anche nelle sue
modalità operative e se si sposta sempre più sul
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versante del white collar crime (crimine del colletto
bianco), è necessario avanzare qualche proposta per rivedere
l'iter della formazione professionale dei magistrati. Anche se
quelli di Milano dimostrano di aver già raggiunto una
preparazione adeguata in questo campo (ciò va ascritto a loro
merito), non credo che ovunque vi sia una preparazione
adeguata a seguire i nuovi fenomeni, costituiti non solo dalle
tangenti ma anche da vari tipi di riciclaggio.
   Per quanto riguarda il problema del soggiorno obbligato
(mi rivolgo al ministro), in Sicilia abbiamo assistito a
qualche manifestazione di massa di rifiuto del soggiornante.
Quando Vernengo fu condotto nella zona di Gangi fu rifiutato
dalla popolazione: si chiese di trasferirlo altrove, ma è
rimasto a Gangi e nessuno è intervenuto. Perché allora
meravigliarsi se si verificano connivenze e collusioni tra
amministratori e mafiosi? E' necessario pertanto valutare
l'opportunità di superare l'istituto del soggiorno obbligato,
considerandolo ormai fuori dalla realtà e non adeguato alle
esigenze dei tempi.
   In conclusione, non vorrei che avessimo fotografato la
situazione della mafia quale si presenta oggi senza indicare
quale potrebbe essere nel futuro. Lo dico non soltanto in
rapporto all'indicazione delle zone a rischio o potenzialmente
a rischio ma anche con riferimento alla risposta, sul versante
della magistratura, ad un tipo di criminalità mafiosa che sarà
diverso e diversamente distribuito.
   Se vi si inserisse qualche indicazione di questo genere,
la relazione, già a mio avviso perfetta, potrebbe risultare
per qualche aspetto ancora più completa.
  ERMINIO ENZO BOSO. Non rivolgo alcuna "leccata" al
relatore, come invece hanno fatti tutti, anche perché
ascoltiamo sempre frasi, che si trasmettono negli annali, del
tipo "si deve fare, si farà, questa cosa è stata intravista,
forse col tempo si potrà intervenire". Non vorrei ritrovarmi
tra 25 anni (quando probabilmente sarò ancora senatore, mentre
molti di voi a causa dell'età avanzata non lo saranno più) a
sentire ancora queste "cazzate": abbiamo infatti di fronte, da
un'infinità di anni, un "buco" giuridico.
   Se dinanzi a ciò si registrano carenze da parte degli
organi della magistratura, qualcuno ci dica di chi è la colpa.
Se vi sono carenze all'interno delle carceri, ci si dica
perché non si sono realizzati penitenziari e si è verificato
lo scandalo delle carceri d'oro. Se esistono inoltre
difficoltà in ordine alla residenza coatta di qualcuno, si
costruiscano campi di lavoro (là dove vi sono terreni
abbandonati) in cui vengano rinchiusi questi personaggi, in
modo che non vi sia più alcuna possibilità di inquinamento. Se
poi vogliamo fare i garantisti secondo il codice americano,
dobbiamo tenere conto che in Italia vi è una diversa realtà di
giudizio. Tra l'altro, occorre considerare che in America sono
previsti anche i lavori forzati e i detenuti lavorano in
carcere. Cerchiamo allora di valutare queste innovazioni.
   Se invece intendiamo soltanto chiacchierare facendo
promesse sulla base di un codice penale garantista per
introdurre un garantismo ancora maggiore all'interno della
delinquenza organizzata, allora dobbiamo dire con chiarezza
che non vogliamo combattere la mafia.
   Di fronte a tutto questo, dovremmo cominciare a fare in
modo che chi è stato condannato rimanga in carcere fino
all'ultimo grado del giudizio. A questo punto, se vi entrerà
qualche parlamentare, si potrà giungere facilmente ad un
snellimento del codice di procedura penale e civile; non si
possono infatti considerare cittadini di serie A, B e C.
   Sono d'accordo inoltre sulla necessità di protezione delle
famiglie dei pentiti; tuttavia, anche l'anno scorso abbiamo
constatato che tutti i giornali sapevano dove andava Buscetta.
Occorre allora che all'interno di queste istituzioni vi siano
più uomini e meno lavapiatti o donnette di famiglia (si
potrebbe chiamarle anche in altro modo).
   Se si vuole veramente combattere questa situazione, si
deve affermare una precisa volontà in tal senso: infatti, se i
magistrati mancano, quelli che da vent'anni
                        Pag. 1354
 amministrano la nazione devono recitare il mea culpa;
altrimenti, non credo di dover restare ancora in questa
Commissione a sentire persone che danno indicazioni ed
esprimono grandi pensieri. Se dobbiamo fare della falsa
sociologia, cominciamo a guardarci veramente negli occhi e
ammettiamo che questa è falsa sociologia, falso perbenismo,
che significa istituire una protezione per la delinquenza
organizzata.
   Nel momento in cui si comincia veramente a distinguere
quali siano i delinquenti, se non vi è la possibilità di
mandarli nelle carceri, si dovrebbe prevedere l'ipotesi di
inviarli in campi di lavoro sorvegliati dall'esercito.
All'interno di questi dovrebbero essere rinchiusi i
delinquenti più pericolosi. In tal modo sarà possibile
realizzare il piano istitutivo.
   Dal momento che l'attuale ministro di grazia e giustizia
ha ricoperto in passato la carica di presidente della Corte
costituzionale, possiamo chiedergli quante volte egli abbia
ravvisato, nel corso del suo mandato, l'incostituzionalità di
alcune leggi che sono state invece portate avanti per
un'esigenza di equilibrio politico all'interno della nazione.
   Se dobbiamo guardare ciò che fa comodo a un'infinità di
persone, a una falsa opinione pubblica, a un falso perbenismo,
cominciamo da oggi, se ne abbiamo il coraggio, a chiamare pane
il pane e delinquenti i delinquenti!
  VINCENZO SCOTTI. Ringrazio il collega Brutti per il
lavoro che ha svolto e ritengo opportuno che la Commissione
ritorni sulle tre pagine finali della relazione e si esprima
compiutamente sulle singole proposte, in modo tale da dare un
seguito operativo al lavoro che abbiamo compiuto.
   Desidero svolgere due osservazioni puntuali. In primo
luogo, negli ultimi giorni il presidente ha denunciato, per
quanto riguarda la DIA, una condizione di inapplicabilità o di
mancata attuazione di una serie di adempimenti necessari per
rendere questo organismo pienamente efficiente ed efficace. La
prima questione da sottoporre al ministro di grazia e
giustizia è rappresentata dall'esigenza di completare
l'operazione di istituzione delle procure distrettuali,
affrontando i temi della loro agibilità, degli strumenti e dei
mezzi necessari, oltre che del completamento dell'ordinamento
relativamente alla fase del giudizio (in questo senso il
collega Brutti è stato molto preciso), perché la cosa peggiore
è lasciare le iniziative a metà oppure con mezzi e strumenti
inadeguati.
   Ritengo che, da questo punto di vista, le indicazioni del
senatore Brutti siano estremamente puntuali e potrebbero
rappresentare la base per decisioni di grande portata da
assumere a livello prima amministrativo e poi legislativo.
   In secondo luogo, desidero riallacciarmi all'indicazione
finale, che dava anche il presidente, a proposito delle
carceri e dell'applicazione della legge n. 356 del 7 agosto
1992. Ho l'impressione che, di fronte ad altre emergenze
nazionali, rischi di calare l'attenzione e l'impegno nel
combattere la criminalità organizzata. La lotta alla mafia
richiede invece una tensione ed un impegno costanti ed
eccezionali. I corpi di polizia, se agiscono in un clima di
tensione politica e civile molto forte operano meglio. Ogni
volta che questa tensione cala (ciò avviene soprattutto dopo i
successi), la situazione diventa estremamente pericolosa.
   Chiedo quindi al ministro di grazia e giustizia (oltre che
alla Commissione, in rapporto ai suoi compiti ed alle sue
responsabilità) di non lasciar crescere in questo momento un
clima in cui prevalga la consapevolezza dei risultati
acquisiti piuttosto che della battaglia ancora da condurre.
  MICHELE FLORINO. Ritengo che al fenomeno mafioso non si
possa contrapporre solo la legislazione premiale per i pentiti
o il rafforzamento di alcune procure. Colgo l'occasione della
presenza del ministro di grazia e giustizia per sottolineare
l'esigenza di introdurre nella legislazione
                        Pag. 1355
 almeno delle norme più severe per gli uomini politici
coinvolti e condannati in vicende mafiose; questo potrebbe
dare risposta a tanti inquietanti interrogativi ormai
presenti, che rendono sempre più difficile il percorso della
giustizia per arrivare alle vere responsabilità e ai reali
intrecci.
   Mi associo ai ringraziamenti per il collega Brutti, anche
perché la prima parte della relazione sarà discussa
successivamente dalla Commissione. Trovo inoltre discutibile
che si assumano laureati a contratto come assistenti del
pubblico ministero: non mi sembra che di fronte ad
un'emergenza eccezionale e straordinaria ci si possa avvalere
di semplici laureati per rispondere ad un crimine sempre più
sofisticato, che si muove anche su un terreno legislativo con
l'appoggio incondizionato di uomini che gestiscono il potere,
i cosiddetti uomini diabolici, con una strategia che mette
addirittura in ginocchio il nostro ordinamento giudiziario.
   Un'altra parte della relazione riguarda il rafforzamento
delle procure distrettuali, su cui siamo d'accordo. Si è fatto
un raffronto con Palermo, ma più che il rafforzamento credo
occorra discutere l'efficienza dei sostituti procuratori
presenti in altre città d'Italia. Si è fatto riferimento a
Napoli, Milano e Roma, ma non si ha il coraggio di dire che a
Napoli nessun procedimento giudiziario iniziato dieci anni fa
trova logica conclusione con una sentenza finale, rispetto a
Palermo dove comunque si è giunti a sentenza, con processi di
rilevante ed ampio respiro. Le responsabilità derivano da un
intreccio, che non sto qui a denunziare, ma che mi allarma.
   Ho presentato alla Commissione una nota in cui si
denunciava come una unità sanitaria locale avesse riferito al
presidente della corte d'appello di Napoli di non avere a
disposizione un sanitario per visitare un eminente esponente
della delinquenza locale, il Nuvoletta; non si aveva - ripeto
- a disposizione alcun sanitario per la visita, né risulta che
il presidente della corte d'appello si sia avvalso dei poteri
a lui conferiti per ordinare comunque la visita. Di qui
l'esigenza, dicevo, di valutare l'efficienza, rispetto alla
potenzialità, dei sostituti in alcuni distretti. Se andassimo
a verificare più da vicino questi aspetti, forse
comprenderemmo come sia necessario preoccuparsi non tanto dei
pentiti quanto degli intralci che provengono da organismi che
invece dovrebbero operare per lo Stato.
  PAOLO CABRAS. Anch'io ringrazio per la relazione
puntuale, precisa e ricca di proposte svolta dal collega
Brutti. Concordo con larga parte delle pagine conclusive della
sua relazione ed esprimo solo due riserve, del resto già
sollevate da altri colleghi.
   La prima è riferita alle carceri mandamentali. Poiché
considero tali carceri - ne ho discusso anche con il
procuratore Vigna - un po' il tallone di Achille del sistema
carcerario italiano, il suo punto debole, mi sembra difficile,
per motivi di sicurezza ed anche ambientali, individuare nelle
carceri mandamentali un punto di riferimento ed una
collocazione sicura e garantita per i collaboratori della
giustizia. Credo quindi che sarà necessario trovare altre
soluzioni, anche se mi rendo conto che individuare soluzioni
di tipo speciale può significare un aggravio di spesa e ciò
può confliggere con le note ristrettezze di bilancio e con le
risorse a disposizione, senz'altro inadeguate ed anche con
altre destinazioni prioritarie rispetto a quella di nuove
strutture carcerarie ad hoc per i collaboratori di
giustizia.
   La seconda riserva riguarda - ma forse vi è bisogno anche
di un chiarimento e di un approfondimento tra noi -
l'eventuale istituzione di un corpo di polizia speciale per i
collaboratori di giustizia. Sono d'accordo con l'analisi del
collega Brutti sull'estrema complessità e delicatezza della
gestione dei collaboratori di giustizia, per quanto riguarda
il rapporto sia con i magistrati sia con i rappresentanti
delle forze dell'ordine che - come si dice - gestiscono i
collaboratori e li accompagnano, sia con le loro famiglie,
                        Pag. 1356
 nella fase di transizione dalla illegalità al recupero della
legalità e di una nuova identità. Ciò determina la necessità
di affrontare tutta una serie di problemi non solo di natura
giudiziaria e processuale, ma anche relativi a compiti di un
servizio sociale altamente specializzato. Si tratta infatti di
accompagnare non solo i collaboratori ma anche le loro
famiglie (la moglie, i figli, i parenti e gli affini). Una
particolare attenzione da questo punto di vista vi è, ad
esempio, per quanto è a mia conoscenza, nella legislazione e
nella esperienza pratica degli Stati Uniti. Più che ipotizzare
nuovi corpi di polizia, penso che, data l'alta qualità e
specializzazione del servizio richiesto, ci si debba orientare
verso l'utilizzo della DIA o dello SCO, settori molto
specializzati che già ora si occupano dei maggiori
collaboratori. Si tratterebbe semmai di aprire un confronto
con tali organismi per verificare come sia possibile collocare
al loro interno una sezione che assolva al compito indicato
dal senatore Brutti. Il problema esiste, ma ho paura di
soluzioni che, per apparire troppo specifiche, rischiano poi
di essere, nell'attuale situazione, un po' velleitarie o
comunque di complicare ancora di più l'ordinamento e
l'organizzazione.
   Desidero infine porre un quesito particolare al signor
ministro, che ringrazio per la sollecitudine con cui, a pochi
giorni dall'insediamento, ha voluto assicurare la sua
partecipazione ai lavori della Commissione. Il problema
riguarda una procura che nelle indagini e nella lotta alla
infiltrazione mafiosa ha avuto qualche benemerenza, cioè la
procura di Palmi. Una delegazione della Commissione è stata
recentemente a Palmi e ci è stato posto un problema di
organizzazione, ma questo tipo di problemi acquistano una
risonanza diversa se non trovano uno sbocco positivo, una
risposta, e vanno invece ad accumulare il contenzioso per
presunte o reali sordità o inadempimenti, chiamateli come
volete, del Governo e delle istituzioni.
   Si tratta dell'indagine che la procura di Palmi ha avviato
nella realtà complessa delle implicazioni di tipo affaristico
ed anche nella vita pubblica calabrese della massoneria.
Riteniamo tale indagine rilevante, anche per la ricaduta che
può avere per indagini condotte da altre procure, non solo del
sud; penso a Firenze e ad altri squarci che si sono aperti
nella realtà e nell'intreccio esistente tra massoneria e mafia
e tra massoneria, politica e mafia, che denotano un quadro
molto interessante, che riguarda cascami della P2, logge
coperte e scoperte.
   A distanza di dieci anni si scopre che se il capitolo
della P2, che si riteneva ormai chiuso nella storia nazionale,
fosse stato maggiormente approfondito, avesse suscitato più
attenzione, provocato più vigilanza e comportato anche meno
irrisione sulle conclusioni della Commissione parlamentare
d'inchiesta - anche da parte di vertici istituzionali,
ambienti politici e di opinione, nonché da parte della grande
stampa - si sarebbe forse potuta determinare una penetrabilità
rispetto ai seguaci ed ai cascami del piduismo che viceversa
sembrano, quanto meno sul piano dell'affarismo e della
corruzione, ancora operanti. Penso a Gelli...
  VINCENZO SCOTTI. E' stato assicurato l'ufficio a Roma?
  PAOLO CABRAS. Il problema che si pone è questo: la
procura di Palmi ha sequestrato, signor ministro, come lei
saprà (Commenti del deputato Girolamo Tripodi)...Io
pongo un problema concreto; sappiamo tutti che i problemi di
organizzazione non sono solo tali, ma anche in qualche modo di
qualità ed afferiscono quindi alla sfera politica come
orientamento ed indirizzo generale.
   L'ingente materiale sequestrato (elenchi, liste e
dischetti) è a Roma e riempie molti armadi e molte stanze; è
difficile ipotizzare, come pure era stato fatto nel tentativo
di trovare una soluzione al problema, l'uso di locali che
peraltro non sono completamente disponibili e che porrebbero
problemi di sicurezza non risolvibili nell'ambito della
disponibilità
                        Pag. 1357
delle forze dell'ordine e della situazione logistica del
tribunale e della pretura di Palmi. E' stata così avanzata la
richiesta da parte dei magistrati della procura di Palmi,
anche nostro tramite - e noi la rivolgiamo al signor ministro
- di trovare una soluzione che consenta ai magistrati di Palmi
di operare, nel giro di venti giorni od un mese, una selezione
di questo ingente materiale sequestrato a Roma, in una sede
idonea, quindi senza trasferimenti del materiale stesso;
soddisfatta tale esigenza di selezionare il sovrabbondante
materiale a disposizione, la procura di Palmi potrebbe poi far
trasportare agevolmente i fascicoli che risulteranno di
interesse all'indagine nella sede istituzionale, ossia presso
la sede della procura.
   Credo che ciò sarebbe importante, anche per chiudere una
questione che si è trascinata nel tempo e che agli occhi
dell'opinione pubblica non fa acquistare benemerenze alle
istituzioni di Governo del nostro paese; soprattutto perché
tale indagine, per il suo oggetto e per il collegamento
obiettivo che presenta (se poi l'indagine dovesse coinvolgere
responsabilità per reati di stampo mafioso, indubbiamente la
competenza verrà trasferita alla procura distrettuale; non c'è
problema su questo), è diventata, a torto o a ragione,
emblematica di una realtà di attriti e difficoltà rispetto
alla necessità di affermare l'esigenza che tutti - Parlamento,
Governo, forze politiche e magistratura - condividono, quella
cioè di fare quanto più rapidamente possibile giustizia e di
accertare la verità. In questo senso mi permetto di rivolgere
una sollecitazione al signor ministro.
  ACHILLE CUTRERA. In esito a questa osservazione, ritengo
importante, avendo fatto parte del gruppo di lavoro che si è
recato presso la procura di Palmi la nota del collega Cabras.
Chiedo, signor presidente, che si possa celermente discutere
in Commissione i risultati delle indagini conoscitive svolte.
La proposta del vicepresidente Cabras mi sembra infatti
importante e rilevante, però non l'abbiamo valutata insieme:
l'impressione che io ho avuto da quella visita è di gran lunga
più pesante di quella raccolta dal vicepresidente, nella
preoccupazione, di cui mi faccio carico, di tentare di
eliminare lo stato di tensione che intorno alla procura di
Palmi si è creato, secondo la mia opinione, per ragioni
complesse in parte fondate ed in parte inesistenti. Se questo
è vero, credo che rappresenti un punto che potrebbe portare la
Commissione ad ascoltare il procuratore e gli altri giudici
del tribunale di Palmi, avendo anche riscontrato un forte
contrasto tra la procura e i giudicanti.
   Questo insieme di elementi determina preoccupazioni ed è
causa delle incertezze attuali. Non vorrei contestare
l'ipotesi - che mi sembra interessante - di acquisire
materiale da Roma ma si tratta di un problema istruttorio di
secondaria importanza. Tuttavia, il fatto che il lavoro che
svolgiamo in sede di indagine sia seguito da una discussione
in tempi brevi mi sembra importante, anche per poter dare al
ministro indicazioni e suggerimenti che altrimenti potrebbero
apparire troppo personali.
   Colgo l'occasione per dire che condivido totalmente
l'appello dell'onorevole Scotti sul problema della tensione.
Mi permetto di chiedere al ministro chiarimenti a proposito di
una informazione avuta leggendo una nota di agenzia relativa
ad un particolare atteggiamento tenuto presso il carcere di
Napoli dove, in seguito alla buona condotta, sono stati
concessi benefici ai detenuti. La notizia ha suscitato
preoccupazione su un possibile cambiamento di atteggiamento
rispetto allo stato di tensione in sede politica che ha
portato alla collaborazione delle forze operative impegnate.
  PRESIDENTE. La visita in Calabria non si può considerare
ancora conclusa; laddove, come in Puglia, la visita è
terminata, sono stati designati i relatori nelle persone del
senatore Robol e dell'onorevole D'Amato, affiancati da
consulenti.
                        Pag. 1358
   Dichiaro chiusa la discussione sulla relazione del
senatore Brutti. Poiché alcuni deputati devono recarsi in
Assemblea per concomitanti votazioni, chiedo ai colleghi e al
ministro di procedere immediatamente alle comuncazioni di cui
ho parlato all'inizio della seduta, per poi dare la parola al
ministro di grazia e giustizia. Se non vi sono obiezioni,
rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
              Comunicazioni del Presidente.
  PRESIDENTE. Il senatore Frasca, in data 3 febbraio 1993,
mi ha inviato una lettera del seguente tenore: "Caro
presidente, apprendo che tra i consulenti della Commissione
antimafia vi è il dottor Colombo, sostituto procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Milano. La cosa mi sorprende
moltissimo perché, essendo il dottor Colombo uno dei giudici
che conducono l'indagine sui fatti di Milano, la sua presenza
tra i consulenti della Commissione antimafia mi sembra quanto
mai inopportuna. Vorrei essere tranquillizzato in merito". A
questa dichiarazione, resa contemporaneamente alla stampa,
devo rispondere in questa sede.
   In base al nostro regolamento le consulenze sono assunte
dall'ufficio di presidenza allargato ai capigruppo (mentre nel
corso della precedente legislatura decideva soltanto l'ufficio
di presidenza, senza la partecipazione dei capigruppo). In
tale sede, il 20 ottobre 1992, l'onorevole Taradash propose
per primo la presenza del giudice Colombo come consulente,
sulla base delle sue specifiche competenze in materia di
riciclaggio (sulla quale ha scritto anche dei libri). Tutti
gli altri colleghi concordarono, come risulta dal resoconto
sommario: "il senatore Cabras concorda; l'onorevole Borghezio
concorda; l'onorevole D'Amato dichiara di apprezzare i criteri
ed i nomi proposti ma si riserva comunque di far conoscere la
valutazione politica del suo gruppo; l'onorevole Grasso
concorda; l'onorevole Tripodi concorda pur riservandosi di
integrare..." e così via. Questo è lo stato delle cose. Alla
Commissione, come voi sapete, si dà comunicazione delle
nomine.
   La questione è di grande delicatezza per molti motivi.
  VINCENZO SCOTTI. Lei ha ricordato che, in sede di
ufficio di presidenza, fece delle proposte che furono
integrate da ciascun rappresentante di gruppo (ricordo che
diedi qualche indicazione da lei accolta); alla fine
esprimemmo il consenso su quanto proposto e di ciò lei dette
comunicazione alla Commissione.
   Al di là della responsabilità di gruppo, ritengo utile ed
indispensabile quella collaborazione, per cui ritengo di non
dover aggiungere altro al consenso a suo tempo dato, se non
ribadire l'efficacia della scelta fatta in quella sede.
  SALVATORE FRASCA. In realtà, signor presidente, alla mia
prima richiesta ne è seguita un'altra.
  PRESIDENTE. Se vuole rispondo anche alla seconda.
  SALVATORE FRASCA. Prima che si apra la discussione, devo
formulare una proposta.
   La seconda richiesta era volta a conoscere l'elenco
completo dei consulenti della Commissione, la loro qualifica,
la data e la durata della convenzione e tutto il resto.
   Ritengo che la Commissione debba affrontare questo
problema nel suo insieme, dopo che esso sia stato iscritto
all'ordine del giorno e non come semplice comunicazione del
presidente. Molti colleghi potrebbero non sapere che questa
sera si discuterà sui consulenti.
  PRESIDENTE. No, non si discuterà sui consulenti. Si sta
solo dando una comunicazione.
   Senatore Frasca, sto rispondendo ad una sua lettera.
Trattandosi di questioni politiche, non ho voluto rispondere a
lei
                        Pag. 1359
personalmente: lei pone questioni politiche anche quando
chiede l'ammontare della retribuzione ed i tempi, questioni
che io sottopongo alla Commissione.
  SALVATORE FRASCA. Vorrei avere la libertà di esporre
compiutamente il mio punto di vista, anche perché sono
l'autore della richiesta.
   Se lei intende seguire il regolamento per quanto riguarda
l'informativa, è giusto che la questione venga iscritta
all'ordine del giorno perché - come dicevo - molti colleghi
potrebbero non sapere quando essa verrà discussa. In nome dei
principi di democrazia ai quali si deve ispirare questa
Commissione, la invito ad iscrivere la questione all'ordine
del giorno in modo che tutti i colleghi ne siano informati e
siano in grado di intervenire.
   Ho sollevato una questione non di carattere personale ma
di ordine giuridico-costituzionale, della cui giustezza sono
convinto. Non entro nel merito ma chiedo che se ne discuta nel
plenum della Commissione e nel momento in cui tutti i
commissari siano informati.
  PRESIDENTE. Lei non può non ritenere che io debba subito
rispondere perché se così non facessi si creerebbe un equivoco
pubblico. Non metterò la questione all'ordine del giorno a
meno che non mi giunga un' esplicita richiesta da parte
dell'ufficio di presidenza o di un numero congruo di colleghi;
d'altronde questa non è materia da discutere in Commissione.
  SALVATORE FRASCA. Lei deve informare la Commissione.
  PRESIDENTE. Assolutamente no. Ciascun componente della
Commissione ha il diritto e il dovere di guardare gli atti
della Commissione, tra i quali vi sono i verbali dell'ufficio
di presidenza. In ogni caso sto informando adesso...
  SALVATORE FRASCA. Se non erro, lei è tenuto, a norma di
regolamento, ad informare la Commissione in merito alle
decisioni assunte dall'ufficio di presidenza e dall'ufficio di
presidenza allargato ai gruppi.
  PRESIDENTE. Ora la informo. Nella lettera mi si chiede
di fornire al più presto un prospetto contenente l'elenco dei
consulenti della Commissione, la loro qualifica, la data della
firma della convenzione, le modalità del loro lavoro, il
corrispettivo che percepiscono, la data di inizio e di
conclusione del loro rapporto.
   La nostra Commissione ha i seguenti compiti, che la
precedente Commissione non svolgeva: informatizzazione
dell'archivio, lavoro sui controlli amministrativi, verifica
dell'attuazione della legislazione esistente, versante
sociale, forum, rapporti con l'estero. Cito dei dati per
riferire ai colleghi cosa ciò comporti in termini di attività:
la precedente Commissione aveva un numero di protocollo
mensile pari a 140; il nostro è pari a 480 (entrate e uscite
mensili). La media dei documenti che giungevano alla
precedente Commissione era mensilmente pari a 44; attualmente
è di 114.
   Per quanto riguarda la retribuzione dei consulenti, il
criterio seguito è quello della precedente Commissione, quindi
non vi è stato alcun aumento: non solo, ma sulla base dei dati
che abbiamo acquisito, si tratta dei compensi medi più bassi.
Un funzionario della Camera o del Senato che vada in missione
percepisce in media 210 mila lire lorde al giorno; sulla base
delle decisioni della Commissione precedente, la Commissione
ha stabilito che i consulenti a tempo pieno, che sono tre
(dottor Pocci, dottor Di Lello e dottor Cottone) più due
ufficiali (capitano De Bonis e tenente Pizzurro), percepiscano
una retribuzione lorda di 30 milioni l'anno, enormemente
inferiore rispetto a quanto viene percepito dai funzionari in
trasferta. I consulenti a tempo parziale sono il dottor Rossi,
il dottor Pennisi, il dottor Colombo, il dottor Mandoi e il
dottor Berionne della Banca d'Italia che non percepiscono
alcuna retribuzione ma soltanto un rimborso spese.
                        Pag. 1360
   Inoltre, è pervenuta l'autorizzazione relativa alla nomina
a collaboratore a tempo pieno della signora Fernanda Torres
(che ha organizzato il forum), assistente giudiziario, la cui
retribuzione ammonta a circa 25 milioni lordi.
   Sempre a seguito di quanto stabilito dall'ufficio di
presidenza il 20 ottobre, sono state effettuate ulteriori
nomine a tempo parziale per il dottor Pietro De Franciscis e
per il dottor Giuseppe Cogliandro della Corte dei conti.
Inoltre, per quanto riguarda i gruppi di lavoro, l'ufficio di
presidenza, nella seduta del 3 febbraio 1993, ha deliberato le
seguenti proposte di collaborazione temporanea part time
e quindi senza oneri per la Commissione: gruppo di lavoro
coordinato dal deputato Riggio: professori Sabino Cassese,
Guido Corso, Ignazio Portelli; gruppo di lavoro coordinato dal
deputato D'Amato: professori Luciano Sommella e Francesco
Sidoti; gruppo di lavoro coordinato dal senatore Calvi:
professor Crescenzo Fiore; gruppo di lavoro coordinato dal
deputato Scotti: generale Ramponi, ex comandante generale
della Guardia di finanza. Il deputato Riggio mi ha inviato una
richiesta volta ad integrare i consulenti del gruppo che lui
coordina con il professor Cazzola; in proposito non è stata
ancora assunta alcuna decisione.
   I consulenti a tempo pieno prestano la loro attività, di
norma, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 20 e
percepiscono un corrispettivo annuo di lire 30 milioni e, i
non residenti, il rimborso a pie' di lista delle spese di
vitto e alloggio. Ai consulenti a tempo parziale non è
corrisposto alcun compenso, ma soltanto il rimborso spese.
   Oltre ai sopraindicati consulenti nominati dalla
Commissione, collaborano con la Commissione stessa il prefetto
Guido Nardone, il dottor Carlo Notaro, il dottor Pietro Grasso
e il dottor Giannicola Sinisi, nominati dal ministro
dell'interno i primi due e dal ministro di grazia e giustizia
i secondi (per il dottor Grasso la procedura è in via di
perfezionamento). Questo è il quadro complessivo delle
consulenze, delle retribuzioni, dei tempi ed anche del lavoro
che la Commissione svolge.
   Comunico, infine, che il presidente del Senato, con
lettera del 15 febbraio, ha chiamato a far parte della
Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia il senatore
Paolo Gibertoni in sostituzione del senatore Sergio Cappelli
dimissionario.
   Questa è la comunicazione che avevo il dovere di fare.
  SALVATORE FRASCA. Non si svolgerà un dibattito?
  PRESIDENTE. No.
  SALVATORE FRASCA. Troveremo una sede nella quale questi
problemi possano essere discussi.
  PRESIDENTE. Possono esservi dichiarazioni sulle
comunicazioni del presidente.
  SALVATORE FRASCA. Ritengo che a delle comunicazioni del
Governo o dello stesso presidente debbano seguire per lo meno
le dichiarazioni di voto.
  PRESIDENTE. Non vi sarà alcun voto.
  SALVATORE FRASCA. Una dichiarazione, comunque.
   Signor presidente, fatta salva per il mio gruppo la
prerogativa di risollevare questo problema nell'ambito
dell'ufficio di presidenza e, nelle forme consentite dal
nostro regolamento, anche in aula, ritengo che la presenza di
magistrati, soprattutto di quelli interessati ad inchieste
giudiziarie che coinvolgono settori del Parlamento, non sia
compatibile con il ruolo di consulente della Commissione. In
tal modo si determina una confusione tale di ruoli che la
Commissione rischia di essere condizionata da parte di altri
poteri, che comunque rispettiamo.
   Poiché lei, signor presidente, ha affermato che la
questione è stata già decisa, ci riserviamo - ripeto - di
riproporla, nei
                        Pag. 1361
termini e nelle forme consentite dal nostro regolamento, sia
dinnanzi al plenum della Commissione sia in altre sedi
che individueremo affinché possa essere sviscerata, stante la
sua delicatezza dal punto di vista politico e costituzionale.
  PRESIDENTE. Può intervenire un rappresentante per gruppo
per non più di due minuti.
  MASSIMO BRUTTI. Prendendo atto delle comunicazioni del
presidente, vorrei segnalare ai colleghi che qualsiasi motivo
di opportunità o inopportunità circa la prestazione di una
consulenza da parte di magistrati forma oggetto di
valutazione, proprio al fine di rispettare il corretto
equilibrio dei poteri, da parte dell'organo di governo
autonomo della magistratura, nel momento in cui viene
investito da una richiesta o da una comunicazione del
magistrato chiamato a prestare - sia pur a tempo parziale - la
propria consulenza ad un organo parlamentare.
   Il plenum del Consiglio superiore della magistratura
autorizza il magistrato tenendo conto delle inchieste di cui
si occupa, dei processi che celebra, della mole di lavoro che
grava sulle sue spalle, di tutti gli elementi che possono
formare oggetto di valutazione.
   Nei casi che abbiamo di fronte, il procedimento si svolge
secondo le regole prescritte e il Parlamento non può valutare
la decisione di competenza di un altro organo.
  VINCENZO SCOTTI. Presidente, concordiamo con le sue
comunicazioni in merito all'organizzazione e al lavoro della
Commissione. Credo di dover ringraziare chi sta collaborando
con noi per il lavoro che si sta svolgendo. Non ritengo
sussistano problemi. Tuttavia, se ne dovessero esistere,
atterrebbero al Consiglio superiore della magistratura oppure
al Presidente della Camera ed alla sua responsabilità.
   Ritengo comunque che questi problemi siano stati risolti
allorché, a novembre, si decise per quel tipo di
organizzazione, esprimendo assenso, in sede di ufficio di
presidenza, sulle proposte da lei avanzate.
  MICHELE FLORINO. Signor presidente, il regolamento parla
chiaro: è l'ufficio di presidenza, con i rappresentanti dei
gruppi, a decidere. Se volessimo rimettere in discussione ciò
che l'ufficio di presidenza, allargato ai gruppi, ha
deliberato, potremmo farlo, tutti. Ciò non mi esime però
dall'esprimere una constatazione politica: evidentemente al
gruppo politico del partito socialista sono saltati i nervi,
perché è inquisito nell'ambito di Tangentopoli da un giudice
che presta la propria opera in questa Commissione.
  PRESIDENTE. Senatore Florino, la prego di contenersi.
  MICHELE FLORINO. Lei mi deve permettere una
dichiarazione politica.
  PRESIDENTE. Diciamo allora che sono terminati i due
minuti a sua disposizione.
  SALVATORE FRASCA. Signor presidente, mi riservo di
parlare ancora: qui è in discussione il rapporto di fiducia
che noi socialisti abbiamo con lei!
  MICHELE FLORINO. Si può mettere in discussione ciò che
si vuole, ma questo non mi esime dal fare una dichiarazione
politica in quanto appartenente al gruppo del Movimento
sociale italiano. Un esponente del partito socialista si è
dichiarato contro un giudice che è presente legittimamente,
nel pieno delle funzioni previste dalla legge, e che viene
messo in discussione proprio da un partito "toccato" dalle
inchieste...
  PRESIDENTE. Senatore Florino...!
  Una voce. Non mettiamola sul piano politico.
  MICHELE FLORINO. Non mettiamola sul piano politico?! Il
caso messo in
                        Pag. 1362
discussione da Frasca è politico, non procedurale!
  (Interruzione del senatore Frasca).
  PRESIDENTE. A lei la parola, onorevole Tripodi.
  GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, concordo con le sue
comunicazioni, che confermano la decisione assunta ai sensi
del nostro regolamento, in sede di ufficio di presidenza, al
quale ha partecipato non solo una parte, ma tutte le
componenti della Commissione, compreso il gruppo socialista a
cui appartiene il senatore Frasca.
   Ritengo che sollevare una tale questione sia di nocumento
al funzionamento della Commissione, specie ora che siamo
impegnati nella lotta contro la criminalità organizzata.
Interventi del genere sono fuorvianti rispetto ai problemi che
dobbiamo affrontare.
   I collaboratori della nostra Commissione sono impegnati in
azioni giudiziarie nei confronti di chi ha violato la legge:
non li si deve punire per questo, semmai li si deve esaltare!
  PRESIDENTE. Non esageriamo!
  GIOVANNI FERRARA SALUTE. Signor presidente, alla
riunione di cui lei ha parlato non ero presente come
capogruppo repubblicano. Oggi non si può intervenire su una
decisione assunta a suo tempo, desidero però dire che se fossi
stato presente, mi sarei dichiarato d'accordo sulle proposte
avanzate ed accettate.
   In questa sede, pertanto, riconfermo la mia fiducia ai
consulenti, nessuno escluso. E' un'aggiunta tardiva, la mia,
ma rilevante.
  MARIO BORGHEZIO. In qualità di capogruppo della lega
nord ho presenziato a quella riunione, approvando la decisione
oggetto del dibattito odierno. Non ho alcun motivo per
rimettere in discussione quella deliberazione, la cui validità
è da confermare.
   Non è irrilevante constatare che gli sviluppi delle
indagini in corso stanno dimostrando la possibile esistenza di
rapporti tra finanziamento illecito dei partiti e finanza
mafiosa o comunque riciclaggio di denaro proveniente da
attività collegabili alle organizzazioni mafiose. Per tale
motivo, sono convinto che la nostra decisione debba essere
valutata ancor più positivamente di allora.
  LUIGI ROSSI. Chiedo di parlare.
  PRESIDENTE. Onorevole Rossi, lei appartiene allo stesso
gruppo dell'onorevole Borghezio. Mi scusi, ma non posso
consentirle di intervenire.
               Si riprende la discussione.
  PRESIDENTE. Do la parola al ministro di grazia e
giustizia, professor Giovanni Conso.
  GIOVANNI CONSO, Ministro di grazia e giustizia.
Signor presidente, signor vicepresidente, signori commissari,
il mio è un saluto di carattere generale, di esordio. E'
rilevante che le circostanze abbiano consentito che questo mio
esordio in sede parlamentare sia avvenuto in una importante
seduta di un'altrettanto importante Commissione.
   Credo che la necessità di una tensione da riproporsi
sempre, in modo incessante e convinto, e di un'attenzione
sempre più profonda da rivolgere ai problemi oggetto della
relazione fossero certamente in re ipsa. Siamo qui per
questo: la sento e l'ho sentita come un richiamo alla mia
tensione, non perché essa sia venuta meno ma perché, in un
momento in cui altri problemi incombono e premono, questa non
deve assolutamente mai perdere la sua priorità.
   Partendo da tale considerazione, peraltro formulata da
molti commissari ed alla quale aderisco pienamente, ritengo di
dover avviare il mio intervento anziché dall'inizio, come
avevo divisato fino agli ultimi due autorevoli interventi,
dalla
                        Pag. 1363
parte finale della discussione, per passare poi ad un'analisi
sommaria, rapida, a flash, della relazione.
   Ritengo però che la tensione e l'attenzione, considerati i
problemi contenuti nella esposizione, ma anche quelli che ci
avvolgono e che richiedono tensione di comportamento,
necessitino innanzitutto di una cosa, ossia la precisione nei
dati, nel riportare le affermazioni di altri.
   Dobbiamo combattere tutti insieme una grande partita di
trasparenza, di miglioramento. Mi domando però come sia
possibile arrivare alla trasparenza e al miglioramento se
continuamente ci troviamo di fronte a versioni di fatti e di
parole dette, non di idee, di ipotesi, di problemi, dove
certamente la varietà delle sottolineature è tanta! I fatti,
il diritto di cronaca, la cronaca... Largo e massimo spazio al
diritto di critica, che deve partire però da una cronaca
esatta. Troppe volte in questi giorni la tensione e
l'attenzione sono state, e continuano ad essere, fuorviate da
imprecisioni, a mio avviso gravissime, commesse da chi prende
la penna e scrive sugli organi di informazione.
   Il caso citato dal senatore Cutrera, con estrema
delicatezza, è sintomatico. La notizia di cui si è parlato,
relativa alla situazione delle carceri napoletane, è
assolutamente fuorviante, certamente per colpa non del
senatore Cutrera ma della fonte da cui ha attinto. Sono lieto,
nel disappunto, di poter partire da questo, perché nel
dibattito ci si è riferiti al tema carcerario, sia pur visto
da angolazioni ideologiche molteplici, in cui le parole sono
oscillate dal piano in forza del quale si chiede di non
esagerare in garantismo o in lassismo, a quello opposto
dell'allargamento dei benefici. Ciò in un dialettica di
opinioni che da tempo domina la scena e che è destinata a
potrarsi perché nessuno possiede la soluzione esatta. Ogni
giorno le cose cambiano attorno a noi! Quindi si deve via via
adattarle e verificarle, con estrema tensione ed attenzione.
   Ebbene, qui va detta la versione esatta dei fatti. Chi ha
scritto che c'è stato un ulteriore lassismo o la concessione
di misure carcerarie più favorevoli ha scritto una notizia
falsa! In questo caso, si è data applicazione - chiedo scusa
se cito un articolo, ma qui è determinante - all'articolo
41-bis dell'ordinamento penitenziario, inserito nel 1986
per far fronte alle situazioni di emergenza. Come loro sanno,
si tratta di una norma certamente non lassista ma che anzi
implica una risposta al lassismo, la quale dice che in casi
eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di
emergenza "il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di
sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso
l'applicazione delle normali regole di trattamento dei
detenuti e degli internati. La sospensione deve essere
motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la
sicurezza ed ha la durata strettamente necessaria al
conseguimento del fine suddetto".
   Questa norma è stata puntualmente applicata dal mio
predecessore in una situazione di grave emergenza nelle due
carceri napoletane. Nei due istituti interessati è stata
sospesa l'applicazione delle normali regole di trattamento dei
detenuti e degli internati, è stata cioè sospesa la normalità.
D'altra parte, l'articolo 41-bis dice chiaramente che
questo provvedimento deve avere durata "strettamente
necessaria al conseguimento del fine suddetto". Il Parlamento
della Repubblica italiana ha dettato questa norma, che
certamente tiene conto di tutte le esigenze contrapposte e che
consente di sospendere certi vantaggi secondo le normali
regole ma per una durata "strettamente necessaria al
conseguimento del fine suddetto". Posso assicurare il senatore
Cutrera - giustamente preoccupato per una versione inesatta
dei fatti - che ad un certo momento la situazione di emergenza
insorta in quelle due carceri si è dissolta, è stata superata
e non vi erano più i motivi per mantenere quelle limitazioni.
La legge imponeva, constatata quella situazione di ritorno
alla normalità, di ripristinare la normalità normativa: non è
stato dato un vantaggio in più, è stata tolta una limitazione
prevista per casi eccezionali, temporanei; finita la necessità
                        Pag. 1364
 di far fronte a quella situazione eccezionale con la deroga,
non c'era più motivo di mantenere quest'ultima. Dico questo
per tranquillizzare chi può temere, in un momento così
delicato, lassismi eccessivi.
   Ringrazio il senatore Cutrera di aver ascoltato con tanta
attenzione le mie parole e di aver colto il senso della mia
precisazione. Giacché sono partito da questo finale importante
- perché bisogna chiarire le cose quando le notizie che si
diffondono sono false - intendo fare una sottolineatura. In
questi giorni, dovendo seguire con attenzione e tensione tutti
i problemi, anche ciò che dice la cronaca, constato
continuamente errori gravissimi alla base di discussioni
fondamentali. Questo è antidemocratico! E' un modo di sabotare
la lotta che lo Stato italiano in questo momento deve
combattere! Quindi: sempre più trasparenza e giustizia ma
anche precisione assoluta! Dichiaro subito che questo
improvvisato ministro sarà inesorabile nel contraddire ogni
affermazione che sui fatti sia inesatta! Altrimenti, è inutile
che discutiamo. E' inutile che sui quotidiani e alla
televisione si aprano dibattiti su temi anche importanti, che
destano l'attenzione dell'opinione pubblica, se si parte da
una base sbagliata. Dio non voglia che talora le inesattezze
siano capziose! Spero siano dovute a negligenza; ma la
negligenza, in un momento come questo, non è un'attenuante.
   Per quanto riguarda la domanda del vicepresidente sulla
tematica di Palmi, mi riprometto la prossima occasione di
portare tutte le indicazioni, le più puntuali possibili, su
questa vicenda indubbiamente delicata e complessa. La proposta
che lei ha qui avanzato, di verificare la possibilità di
concedere un periodo di una ventina di giorni per consentire a
chi esamina questo materiale in una sede lontana, venendo qui
a Roma, di selezionarlo e di portarlo nella sua sede di
origine, mi sembra degna della massima attenzione. Certamente,
nei prossimi giorni questa attenzione sarà dedicata a
verificare la possibilità di una soluzione.
   D'altra parte, devo dire, proprio come ministro
guardasigilli, che ritengo che il Ministero debba impegnarsi
al massimo sul piano della organizzazione e dei servizi;
invece, per quanto riguarda le indagini in corso, ritengo che
il ministro di grazia e giustizia non possa assolutamente non
dico intervenire (sappiamo tutti bene che non è possibile) ma
nemmeno adottare prese di posizione che possano sembrare tali
da scalfire l'assoluto mondo nel quale l'autorità giudiziaria
è chiamata a svolgere il suo compito, all'interno del quale vi
sono le forme di gravame e al di fuori del quale l'opinione
pubblica ha la possibilità di intervenire (tutti possono
farlo, tranne il ministro di grazia e giustizia). Siccome in
questo caso ci sono anche indagini in corso, mi riprometto di
dire tutto ciò che è possibile sul piano organizzativo - e il
problema da lei indicato, senatore Cabras, era certamente di
ordine organizzativo -; ma su altri aspetti non potrò essere
così esauriente, perché ciò implicherebbe una invasione di
campo.
   Ritengo che la legalità repubblicana richieda da parte di
tutti l'assoluto rispetto dei confini. Mai come in questo
momento, in cui la confusione è massima e in cui la diaspora
delle contrapposizioni cresce, il rispetto dei confini è
indispensabile! Il potere esecutivo - almeno per quanto
riguarda il mio dicastero - sarà rispettosissimo degli altri,
restando nei suoi confini e ritengo che così debba fare il
potere legislativo e così debba fare anche il potere
giudiziario.
   Vengo al tema generale, al quale peraltro le due domande
finali attengono appieno, sia pure sotto profili particolari.
In fondo, in questa sede si presentava la splendida relazione
del senatore Brutti come la sintesi di un dibattito. Ma di
quale dibattito? Per la tematica ma soprattutto per coloro che
lo hanno promosso, per tutti questi organi, soggetti, gruppi
di lavoro, a cominciare da questa Commissione parlamentare
antimafia, si è trattato di un dibattito la cui relazione
finale non è solo una sintesi, è anche una
                        Pag. 1365
proposizione di problemi, di idee, che pone l'accento su
punti di particolare significazione.
   A questo punto, chiedo scusa se debbo mantenermi un po'
sulle generali ma ritengo prematuro da parte mia fare un
discorso a tutto campo, parlare della politica che in questo
momento potrebbe essere vista dalla posizione che occupo;
essenzialmente per due ragioni. Innanzitutto, perché il
Governo non è all'inizio del suo mandato, con un suo ministro
che inizia il proprio lavoro; qui si tratta di una situazione
particolare, di chi subentra quando il lavoro è già avviato,
con un programma di Governo già esposto, in certe parti
portato avanti, in altre discusso, magari criticato, anche
ampiamente. In gran parte debbo ricollegarmi ad esso, anche
perché non è molto tempo che, con una densissima relazione, il
mio predecessore ha presentato in questa sede tutta una serie
di considerazioni, indicazioni e proposizioni. Non posso dire
che le faccio tutte mie ma in linea di massima debbo
collocarmi su quella strada; per mutare avviso su certi punti,
è necessaria particolare meditazione e mi riprometto di farla
in un'occasione diversa dalla discussione di una relazione,
che ho ascoltato più per apprendere che per parlare.
   L'altra ragione è che, in un momento in cui i problemi si
moltiplicano - direi che quotidianamente ogni problema cambia
volto, diventando, ahimé, più crudo e più duro -, non è facile
fare affermazioni particolari, prendere posizioni che poi
legano le mani ("hai fatto questa promessa, hai assunto questo
impegno e poi cambi"). Per quel che riguarda le idee di fondo,
la metodologia - come quel che ho detto sulla necessità della
precisione e sulla smentita degli errori gravi sui fatti -
qualcosa si può dire qualunque sia il programma; ma quando si
tratta di programma, una meditazione è indispensabile, proprio
in relazione a quell'attenzione che qui è stata proclamata
come una indicazione di fondo insieme alla tensione. Quindi,
porrò attenzione alle cose che avvengono momento per momento,
senza precipitare mai nel fare promesse che dopo un po' di
tempo possono sembrare impegni non mantenuti.
   Prendo lo spunto dal passaggio cruciale con cui si chiude
il terzo paragrafo della relazione del senatore Brutti, la cui
parte generale tocca i problemi di fondo del fenomeno mafioso,
visti in una proiezione che molti hanno elogiato (e anch'io mi
unisco a questi elogi). In questa parte generale, ad un certo
momento c'è un passaggio che taluni hanno preso come punto di
riferimento e che anch'io ritengo bisognoso di sottolineatura:
lo Stato non può permettersi di perdere un minuto. Tutte le
innovazioni e le scelte sulla cui utilità può oggi aversi
valutazione concorde devono essere immediatamente adottate e
tradotte in pratica. E' il problema che alcuni di loro hanno
con incisività indicato come quello dei tempi, invocando
procedimenti più celeri e risposte puntuali sul piano
normativo e su quello organizzativo. Certamente, non bisogna
perdere un minuto e, laddove vi sia concordia su una
soluzione, questa va immediatamente adottata. E' la risposta
al timore che si dica troppo "si deve fare" e che poi non si
faccia nulla. In attesa di vedere l'arco completo e di
individuare una politica globale per fronteggiare tutti i
grandi problemi che ci affliggono, il tempo passa, non se ne
risolve nessuno, tutti si aggravano.
   Allora, dall'odierno dibattito, quali dati ricava in
questo momento - salvo una meditazione ulteriore che possa
fare cogliere altre prospettive, data la densità dei concetti
e la ricchezza della discussione - il ministro guardasigilli?
Quali sono le prese di posizione su cui, tra la relazione e
gli interventi, si possa ravvisare una concordia, che non deve
essere necessariamente unanimità ma larghezza di adesioni (se
vogliamo essere concreti anche dal punto di vista politico,
solo in questo modo le proposte possono andare avanti e
giungere in porto)?
   La prima risposta che mi sento di dover dare - con la
fermezza che implica convinzione, anche di notizie - attiene a
                        Pag. 1366
quel punto che giustamente nella relazione viene definito con
un termine virgolettato: il cosiddetto "aggiustamento" dei
processi e della formazione dell'organo, del collegio.
Qualcuno qui ha detto che bisogna sviscerare come sia potuto
accadere che collegi formati in modo che sembrerebbe
manipolato abbiano potuto emettere decisioni determinanti
dalle gravissime implicazioni.
   Sono lieto di potervi informare che la commissione
istituita dal mio predecessore con la finalità di studiare i
problemi relativi all'attività ed al funzionamento della Corte
di cassazione aveva già inserito nel programma dei suoi lavori
le questioni relative al modo in cui prevenire tutti gli
aspetti che potrebbero essere discutibili sul piano della
composizione dei collegi, con particolare riguardo alla
necessità che siano adottati criteri oggettivi nella loro
formazione (criteri dei quali sia garantita l'osservanza e la
non derogabilità), all'attribuzione delle presidenze, alla
designazione dei relatori, all'accesso alle varie sezioni,
all'assegnazione degli affari, alla sostituzione dei
consiglieri impediti. La commissione ministeriale (che,
ripeto, è stata istituita dal mio predecessore ed è tuttora al
lavoro) ha affrontato in profondità le problematiche di cui è
stata investita, procedendo ad audizioni molto meditate (nel
senso che il dialogo ha investito tutti coloro i quali hanno
una massima competenza sul piano sia normativo sia
organizzativo), con l'obiettivo di indicare proposte
applicabili nel breve periodo. E' stata addirittura valutata
la possibilità di evitare il ricorso a nuove norme,
limitandosi ad assicurare una loro applicazione più precisa e
serrata da parte di chi è preposto a questo tipo di attività
(Consiglio superiore della magistratura, primo presidente
della Corte di cassazione e presidenti di varie sezioni).
   Desidero in questa sede dire una parola di conforto a chi
ha sollevato il problema: la strada è già imboccata e potrà
presto condurre ad una conclusione importante. Questa
commissione, del resto, fornisce le più ampie garanzie. Sono
lieto di comunicarvi che, proprio poco fa, ho firmato un
decreto che ha designato alla presidenza di questo organismo
una persona alla quale va l'ammirazione mia e, penso, di
tutti: Antonino Caponnetto, la cui nomina rappresenta una
garanzia che questa disamina sarà condotta con assoluta
decisione per evitare il più possibile il ripetersi di episodi
conturbanti.
   Per quanto riguarda il fenomeno descritto nella relazione
come "infiltrazioni in regioni non tradizionali", va
indubbiamente considerato che la rete criminale si diffonde
sul territorio nazionale. Del resto, tale fenomeno non è
certamente nuovo, anche se sta assumendo dimensioni che
richiedono un'attenzione ben superiore di quella ad esso
dedicata fino ad oggi. Rifletterò approfonditamente sulla
proposta di istituire un osservatorio al fine di verificare in
modo più compiuto lo stato delle cose. Disporre di dati il più
possibile precisi è un obiettivo che mi sta a cuore, giacché
la precisione delle cose e delle affermazioni è la base da cui
si deve partire per non sbagliare sia nel dibattito sia nella
fase delle conclusioni propositive.
   La relazione del senatore Brutti ed almeno tre degli
interventi svolti oggi in quest'aula hanno posto l'accento sul
conturbante problema del soggiorno obbligato. Senza entrare
nel merito delle tematiche connesse alle misure di prevenzione
(che presentano implicazioni anche sotto il profilo della
competenza), mi limito ad osservare che noi, a volte, siamo
purtroppo prigionieri di idee antiche, di istituti che si
tramandano, senza peraltro avere la capacità, la forza, il
tempo e la voglia di adattare tali istituti al mutare dei
tempi. Ritengo - lo dico come espressione di studio - che il
soggiorno obbligato abbia perso di significato e possa essere
più pericoloso che utile; ciò perché il traffico, giuridico e
non giuridico, lo rende - chiedo scusa di questa affermazione
- quasi un nonsenso. Si tratta di un istituto che risale a
molto tempo addietro, quando non vi erano aerei ad ogni
momento, quando non esistevano i fax ed i telefoni portatili,
                        Pag. 1367
quando andare lontano significava sradicarsi dal proprio
territorio e rimanere isolati. In una situazione come quella,
nel momento in cui il soggetto era considerato pericoloso,
poteva essere separato dal territorio di origine, anche se
egli avrebbe potuto disperdere i fiori del male nella zona in
cui era costretto al soggiorno: si trattava comunque di
tentativi isolati ed era difficile che si potessero
diffondere. Noi sosteniamo che la mafia è pericolosa perché il
fenomeno parte dalla sua terra-madre e si diffonde. Permane
comunque un sostanziale legame, un cordone ombelicale che dà
forza e vita al male e che consente a quest'ultimo di
dilagare. Ovviamente, se si tronca tale cordone, il flusso si
attenua. Oggi, sarebbe inutile isolare una persona (anche
nell'ipotesi in cui la si mandasse sulla luna), ove si pensi
che qualsiasi telefonino, radiotelefono o circuito più o meno
chiuso consente facilmente di raggiungere il destinatario.
Addirittura, può essere più facile comunicare tramite il fax
piuttosto che contattare direttamente l'interlocutore.
   Per tali ragioni, ritengo che l'istituto del soggiorno
obbligato, fermo restando il ruolo che ha svolto in passato,
debba essere rivisto e riesaminato di fronte alla nuova
realtà. Mi riferisco non tanto alla realtà
social-criminologica ma, piuttosto, a quella sociale, alle
strumentazioni di vita, al modo in cui si vive oggi, con una
facilità di rapporti che rende illusorio isolare una persona
anche quando questa sia costretta a soggiornare lontano dal
suo luogo di origine. La persona sottoposta al soggiorno
obbligato finisce per fare più male che bene, non soltanto
perché il male continua a promanare intorno a lui ma anche
perché c'è il rischio concreto del formarsi di una "valanga"
che inquina.
   Ci troviamo di fronte ad un'ulteriore stranezza: alla luce
di problemi che si accavallano, dobbiamo fare i conti con una
serie continua di contraddizioni dalle quale possiamo
liberarci solo se comprendiamo la loro esistenza. Sotto questo
profilo, ritengo che la soluzione del problema possa essere
agevolata dal considerare il soggiorno obbligato come una
misura non più adeguata al mondo nuovo. Penso anche che alla
soluzione del problema possa contribuire la constatazione che
la rete criminale può dislocarsi in funzione della debolezza
della risposta giudiziaria: sono parole sacrosante! Pier Luigi
Vigna - che mi insegna e ci insegna - coglie nel segno quando
dice che la rete criminale può insediarsi nei luoghi dove
l'organizzazione giudiziaria è più debole. Occorre allora
definire e sollecitare l'adozione di misure volte a garantire
il funzionamento del nuovo sistema delle procure distrettuali.
Sotto questo profilo, è opportuno separare il dato di partenza
da quello di arrivo. Concordo sull'esigenza, manifestata dal
relatore e da alcuni intervenuti, di chiarire preventivamente
l'ambito dei distretti, evitando di addossare su una procura
distrettuale e, successivamente, su un tribunale distrettuale
tutto il carico di un intero distretto quando quest'ultimo
copra il territorio di un'intera regione dove il reato
imperversa anche per effetto dell'alta densità di popolazione.
Tuttavia, le dichiarazioni di Vigna collegate al capitolo
delle infiltrazioni criminali in regioni "non tradizionali",
il riferimento alle infiltrazioni in Lombardia, in Veneto, in
Piemonte, nel nord Italia e nel centro (penso alla Toscana),
mi fanno pensare ed anche tremare. Non è infatti vero, forse,
che l'organizzazione giudiziaria è più forte in Lombardia che
non in Campania, in Calabria ed in Sicilia? Certo, ci vuole
un'organizzazione giudiziaria forte, ma non basta. Se noi,
dopo aver sostenuto che la mafia può infiltrarsi in regioni
"non tradizionali", diciamo nel contempo che essa si intrica
in territori dove l'organizzazione giudiziaria è più debole,
il teorema non regge più. Se la mafia riesce ad infiltrarsi
laddove l'organizzazione giudiziaria è più efficiente che
altrove (anche se non è il massimo), che cosa si deve fare in
altre zone, dove non è riscontrabile la stessa efficienza e
dove la mafia è già operante? Credo che queste analisi
sociologiche molto importanti debbano essere superate e vadano
                        Pag. 1368
considerate sul piano di quello che deve essere fatto:
bisogna fare qualcosa di determinante, rafforzando tutti gli
uffici impegnati, sia quelli oggi meno deboli sia, a maggior
ragione, quelli più deboli. Per potenziare il circuito di
difesa e di lotta vanno quindi garantiti efficienza, personale
specializzato, strutture. Questa mi pare la grande conclusione
alla quale il ministro non può che aderire, anche perché sente
di dover affrontare in pieno il suo compito finalizzato
all'adeguamento della legislazione, contribuendo a tal fine al
lavoro quotidiano del Parlamento, ma, soprattutto, all'impegno
sul piano dell'ordinamento giudiziario, che deve essere
modificato: una legislazione che modifichi l'ordinamento
giudiziario e che incida direttamente sulla base entro la
quale il Ministero di grazia e giustizia deve calarsi,
cercando di fare il massimo.
   Credo di dovermi richiamare come leit-motive
dell'azione che, se me lo consentiranno le circostanze e le
difficoltà, intendo svolgere almeno in piccola parte, al
problema rappresentato dalla mancata applicazione
dell'articolo più trascurato della Costituzione repubblicana.
Mi riferisco alla disposizione relativa al buon andamento ed
all'imparzialità della pubblica amministrazione, valori
proclamati della nostra Costituzione ma che rappresentano la
causa di tutti i mali nei quali siamo annegati. Ebbene, il
buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione
non ci sono...! Si tratta comunque di valori da recuperare,
trattandosi di principi che vanno attuati sulla base
dell'impostazione di programmi e dell'azione quotidiana da
condurre attraverso l'ordinamento giudiziario ed il
coordinamento al quale si fa riferimento nella seconda parte
della relazione (e che trova in chi vi parla il massimo
dell'assenso). Credo che in una società pluralistica - si
tratta di un'affermazione che potrà apparire ardita e, magari,
lo è senz'altro -, in una società tormentata da ogni sorta di
impegno (impegni nobili, anch'essi difficili, ed inquinamenti
che vanno superati), il buon andamento della pubblica
amministrazione abbia assoluto bisogno di coordinamento e con
quest'ultimo debba quasi sposarsi. Credo impossibile che una
società come la nostra (ma penso anche all'Europa e al mondo
stesso) possa garantire il buon andamento della pubblica
amministrazione senza alcun coordinamento. Quando il nemico da
abbattere è forte ed organizzato, mi domando come sia
possibile contrapporre ad esso una organizzazione valida e
capace di assicurare il principio del buon andamento, se -
ripeto - non vi sia coordinamento. Ogni voce che si esprime in
questa direzione mi trova assolutamente in consonanza, per non
dire in posizione ancor più avanzata.
   Ho sentito qui, a proposito dell'importante problema di
come gestire i collaboratori di giustizia, proporre di
distinguere chi interroga e chi investiga da chi protegge in
una fase successiva, per evitare effetti pericolosi. Sono
pienamente d'accordo perché il problema è troppo delicato ed
estremamente importante. Non possiamo fare a meno dei
collaboratori e dei pentiti, però dobbiamo evitare di cadere
nel possibile tranello, che può essere doloso o anche soltanto
colposo, magari involontario, di ascoltare in modo non attento
e pieno di tensioni tutte le parole che i pentiti possono
dire. L'uso eccessivo del pentito, fargli ripetere decine di
volte le stesse cose - il che non sarà mai possibile - porta a
sgretolare la sua collaborazione. Dunque, è necessario usarla
in un modo attento che non conceda troppo all'intimismo e alla
ripetitività non controllata, altrimenti può divenire un'arma
a doppio taglio. Sono necessarie la massima attenzione e
precisione. Quindi, nessun abuso a questo proposito.
   Dunque, è bene distinguere. Però qualcuno ha invitato, con
molta acutezza, a prestare attenzione per non creare un'altra
polizia, cioè una che investiga e un'altra che poi protegge.
Ecco, qui credo di dover dire, proprio su un piano di
applicazione, che il coordinamento è ancora più necessario: se
è necessario che vi
                        Pag. 1369
sia nelle fasi successive, ancor più lo è che vi sia nelle
fasi iniziali, perché, se si scoordina la partenza, già
l'inizio è sbagliato, come dimostrano gli episodi verificatisi
continuamente in passato e oggi per fortuna molto meno:
episodi di forze di polizia che agiscono separatamente e che
finiscono per contrastarsi l'una con l'altra non devono più
trovar posto in uno Stato che ha bisogno di coordinamento e di
un buon andamento della pubblica amministrazione.
   Dunque, attenzione a creare troppe polizie. Condivido la
distinzione tra chi investiga rispetto al pentito e chi deve
proteggere il pentito, purché ciò non porti alla creazione di
nuovi corpi, perché questo renderebbe difficile il
coordinamento. Può anche andar bene che vi siano tante teste e
quindi tante idee diverse, perché la dialettica del confronto
è fondamentale; ma quando si giunge al momento operativo,
bisogna che la scelta sia determinata e non oscillante,
altrimenti viene meno la fermezza e conseguentemente il
raggiungimento dei risultati prefissi.
   Credo che una parte della relazione Brutti sia molto
propositiva per ciò che attiene all'incidenza delle procure e
dei tribunali distrettuali nonché ai collegamenti anche
all'interno della DIA, la quale deve essere messa in grado di
esplicare il suo compito. Dobbiamo ritrovarci tutti assieme
contro il nemico perché questo momento è drammatico, come lo è
stato quello in cui ci siamo trovati a difenderci dal
terrorismo, che siamo riusciti a vincere proprio perché
eravamo uniti. Deve essere questo proponimento il filo
conduttore della nostra azione. Quindi, basta alle rivalità e
alle gelosie continue, il cui insorgere è inevitabile quando
vi sono troppe contrapposizioni. Siamo tutti sulla stessa
barca e se essa cola a picco affondiamo tutti, per cui dopo è
inutile stabilire di chi sia stata la colpa. Se la barca
riesce a superare questa tormentosa traversata e ad approdare
ad una riva almeno relativamente tranquilla, riparata dai
venti minacciosi, credo che non abbia senso individuare di chi
sia stato il merito perché l'importante è approdare sani e
salvi.
   Non volendo abusare ulteriormente del vostro tempo, mi
limiterò a qualche considerazione su taluni dei punti emersi
durante il dibattito.
   Per quanto riguarda gli organici, credo che al tribunale
di Palermo debbano essere assicurate le dieci unità mancanti,
così come altre situazioni necessitano di essere riviste con
la maggiore prontezza possibile.
   In merito alla revisione delle circoscrizioni
distrettuali, da realizzare d'intesa tra Consiglio superiore
della magistratura e Ministero di grazia e giustizia, se sarà
possibile essa verrà senz'altro portata avanti in tempi brevi.
Le procure distrettuali debbono essere costituite realmente.
Non basta dettare una norma che le preveda, bisogna far sì che
esse siano in grado di funzionare.
   Per quanto attiene al circuito procura nazionale-procure
distrettuali-banche dati, stando alle informazioni direi che
trattasi di un tipico esempio concreto di coordinamento sui
dati, sull'informativa, sulla base di partenza, senza la quale
non si può costruire un processo, al di là delle norme più o
meno discutibili e che ancora necessitano di adeguamenti.
Comunque, anche la norma migliore non può funzionare senza il
coordinamento dei dati e le strutture necessarie.
   Certamente, la revisione delle circoscrizioni distrettuali
richiede una meditazione. Però vi è il rischio che, puntando
tutto sul tribunale distrettuale prima di aver operato la
revisione della circoscrizione distrettuale - operazione molto
più difficile -, si possa tardare. D'altra parte, è pur vero
che scaricare troppo lavoro su un tribunale distrettuale,
laddove coincida con l'intera zona regionale di una grande
regione, può significare soffocarlo in partenza, per cui è
necessario trovare degli adeguamenti. Va da sé però che il
fatto che i magistrati addetti alle procure distrettuali si
spostino presso i vari tribunali del distretto implica costi e
tempi
                        Pag. 1370
a proposito dei quali la soluzione indicata mi pare sia stata
accolta da tutti. Se il passaggio attraverso la necessaria
revisione delle circoscrizioni distrettuali avrà l'adesione di
tutti, non potrò non seguire la via indicata, sia perché ci
credo sia perché prendo atto di una forte convergenza di
opinioni.
   Per quanto riguarda le misure di prevenzione da attribuire
a quest'ordine di competenza più ampia, alla sua procura e al
tribunale, credo che in linea di massima si possa convenire,
anche se qualche meditazione in più va fatta per evitare un
eccessivo profluvio di iniziative e di impegni decisori che
porterebbero, sì, ad un risultato più coerente ma anche ad una
maggiore lentezza nelle risposte.
   Quanto agli assistenti del pubblico ministero, devo dire
che sono più tra coloro che hanno espresso perplessità che tra
coloro che li hanno propugnati. Certo, gli uffici giudiziari
hanno bisogno di ufficiali di polizia giudiziaria ed il
pubblico ministero necessita di ausiliari di ottima
preparazione, esperti ed impegnati; però credo che questi non
possano essere neolaureati in giurisprudenza, soprattutto
quando si tratta di reati così gravi. Possiamo forse
prevederli in una pretura che si occupa di reati minori ma non
in questo caso: quali garanzie ci offrirebbero? Qui ci vuole
grande segretezza, uno degli altri grandi problemi di cui
dobbiamo assolutamente renderci conto con coscienza e tutti
d'accordo. Il segreto è fondamentale per le indagini. Se
chiamiamo neolaureati di cui non sappiamo nulla, salvo che
hanno preso 110 e lode (o neanche questo), cosa cambia?
Ripeto, di segreto necessitano le indagini e, mi si consenta
dirlo, anche gli indagati.
   Per quanto riguarda il problema delle case mandamentali,
sono d'accordo con coloro che sono più scettici che
favorevoli. Credo sia mio dovere fare di tutto perché le
carceri mandamentali vengano usate, in quanto la situazione
carceraria è veramente incandescente e conturbante. Vi sono
situazioni inaccettabili sul piano dei più elementari diritti
umani: persone su persone accatastate in locali troppo
ristretti. Dunque, è bene usare le carceri mandamentali,
sperando che vi siano le attrezzature e le disponibilità non
solo finanziarie ma soprattutto di personale; taluni di questi
stabilimenti sono stati sistemati e sarebbero disponibili ma
di per sé ciò è insufficiente se non vi sono gli elementi
preposti al loro funzionamento. Riterrei opportuno l'utilizzo
delle carceri mandamentali soprattutto per coloro che devono
scontare pene per reati non particolarmente gravi anziché per
chi è ritenuto un soggetto molto pericoloso, proprio perché i
carceri mandamentali non hanno grande estensione, per cui la
situazione può essere più facilmente forzata dall'esterno per
trasformarli, in momenti drammatici, in piccoli fortilizi.
Assicuro comunque che il problema dell'uso delle carceri
mandamentali è già oggetto di meditazione e lo sarà ancor di
più da parte mia.
   Ritengo che le proposizioni finali della relazione siano
quelle in cui il proponente sembra più deciso a porre
l'accento sulle soluzioni a breve da adottare, soprattutto con
riferimento all'ultima pagina della relazione stessa, dove si
auspica che venga prevista una riduzione delle pene - in sede
di beneficio, si potrebbe dire - per i collaboratori pentiti
non più con quelle oscillazioni eccessive bensì in misura
fissa. Mi sembra che tutti coloro che sono intervenuti abbiano
aderito a questa proposta e credo anch'io che questa sia
apprezzabile anche a livello costituzionale. Ho forti dubbi su
una norma che dia al giudice il potere di oscillare tra un
massimo di pena troppo alto ed un minimo troppo basso, anche
perché lo porrebbe in una situazione di imbarazzo particolare
ogni volta che fosse chiamato a determinare la pena. Ripeto, è
necessario che l'oscillazione non sia eccessiva, per cui è
meglio fissare la misura che sarà concedibile, senza
oscillazione, se il soggetto sarà meritevole.
   In merito alla considerazione se estenderla a tutti i
reati o soltanto ad alcuni, credo che l'articolo 3 della
Costituzione
                        Pag. 1371
possa far nascere la stessa obiezione sorta in passato nei
trattamenti privilegiati a favore dei pentiti del terrorismo.
Già allora, infatti, molti si chiesero perché anche i pentiti
per reati meno gravi non potessero fruire degli stessi
benefici. Si tratta di un problema complesso, che potrà essere
esaminato a parte, considerato che adesso discutiamo di lotta
alla mafia. Per quanto mi riguarda, ribadisco che mi trova
consenziente la proposta che i pentiti di mafia possano godere
di una riduzione di pena ma non più oscillante tra un limite
troppo basso ed un limite troppo alto. Per gli altri tipi di
reato se ne discuterà in altra circostanza.
   Per l'esperienza che mi è stata riconosciuta quale
presidente della Corte costituzionale, non certo dimenticata
da parte di chi vi parla e che la considera ardua e difficile
ma formativa al massimo, posso dire che concordo con chi ha
sostenuto la necessità di tornare ai riti abbreviati. Non si
può caricare sulla nostra giustizia un cumulo smisurato di
processi e prevedere tempi che possano arrivare ai sette, nove
o dieci anni. La catena diventa insopportabile e strozza i
processi, nel senso che se un processo inizia e non termina è
difficile parlare di giustizia, né si tratta di giustizia se
il processo termina troppo tardi. La norma del codice che
prevedeva il rito abbreviato anche per i reati puniti con la
pena dell'ergastolo oggi non è più applicabile. La Corte
costituzionale l'ha dichiarata illegittima non perché l'abbia
ritenuta contraria ai parametri costituzionali generali ma
solo perché il delegante non offriva quella possibilità, che
può essere invece ripristinata da un provvedimento che, oggi
che la delega non c'è più, può veleggiare senza incorrere in
un'altra condanna della Corte costituzionale. Aggiungo che
quando fu pubblicata quella sentenza, molti ritenevano che non
vi fosse nulla da fare, che non fosse possibile, stante il
modo in cui la Costituzione italiana era interpretata dalla
Corte costituzionale, prevedere il rito abbreviato per i reati
puniti con l'ergastolo. No, tale rito non era ammissibile in
quel caso per eccesso di delega ma, oggi che essa non esiste
più, è possibile veleggiare, almeno su certe cose, con piena
libertà di scelta. Se il Parlamento sarà convinto della bontà
di questa scelta - e la relazione del senatore Brutti indica
in modo autorevole e apprezzabile da tutti la via da
percorrere - il ministro di grazia e giustizia sarà su di essa
allineato. Sarà un modo per accelerare i processi e per dare
risposte pronte, con condanne anche gravi. Non è comunque
necessario infliggere l'ergastolo per far sì che lo Stato
risponda alla criminalità. A volte è più importante una
condanna pronta, netta e chiara, senza arrivare a misure
esorbitanti, perché la gente chiede che la giustizia dica pane
al pane prontamente e con chiarezza, non costretta a
lungaggini sotto le quali crescono le imprecisioni, le
sofferenze, i ritardi, la disorganizzazione.
   Se c'è un'amministrazione per eccellenza, questa è la
giustizia. Tutta l'amministrazione ha diritto alla A
maiuscola, ma quella della giustizia ha diritto alla A
maiuscola più grande che ci sia. Ed allora, proprio da questo
punto di vista, l'amministrazione giudiziaria ha bisogno di
soluzioni pronte e celeri, che non siano troppo lassiste e
nemmeno troppo crude. Bisogna infatti dare sempre uno sguardo
all'uomo, perché i drammi che si accompagnano a queste vicende
sono drammi per il paese e per le vittime, ma sono anche
drammi per coloro che commettono questi reati, soprattutto se
sono in posizione non di comando; si tratta di persone molte
volte costrette a soggiacere alla crudele volontà altrui.
Pertanto, in certi casi, un'apertura può essere importante
anche sul piano umano, sul piano del recupero degli individui
più deboli.
   Nel ringraziare ancora tutti voi, mi scuso per avervi
rubato tanto tempo e per l'incompletezza delle mie risposte.
Per tutte le cose sulle quali non ho dato soddisfazione -
molti potrebbero dire "non sono soddisfatto" ed io mi dichiaro
dispostissimo a sentirmelo dire - risponderò
                        Pag. 1372
 più compiutamente quando il presidente mi chiederà di
intervenire nuovamente. Spero comunque di poterlo fare spesso
perché ho davvero imparato molto (Applausi).
  LUIGI ROSSI. Signor ministro, della questione di cui ho
parlato nel mio intervento avevo parlato anche con il povero
Falcone, il quale mi disse che si trattava di un'ipotesi degna
di essere approfondita e studiata.
   Visto che lei si è soffermato sulla necessità di celebrare
i processi e di punire i colpevoli, vorrei farle notare anche
che rimane aperto il problema dell'articolo 27 della
Costituzione. Su questi due argomenti mi permetto di
richiamare la sua attenzione.
  PRESIDENTE. Onorevole Rossi, lei ha introdotto
l'autogestione degli interventi come innovazione del nostro
regolamento.
   Tutti sentiamo il piacere di ringraziare il ministro Conso
non solo per quanto ha detto ma soprattutto per l'asse ideale
che ha motivato il suo intervento, che noi condividiamo
profondamente. Speriamo davvero, signor ministro, che si possa
proficuamente lavorare insieme.
   A conclusione del nostro lavoro, proporrei - se i colleghi
concordano - di dare mandato al senatore Brutti di valutare
l'esito della discussione, di prendere contatto con chi è
intervenuto, con i capigruppo e soprattutto con il Governo al
fine di presentare poi una proposta di documento conclusivo da
far pervenire a tutti i colleghi per tempo affinché possano
studiarla e quindi presentare eventuali proposte di
correzione. Rinviamo, quindi, al 2 marzo la discussione su
tale argomento, data per la quale il ministro si è dichiarato
disponibile.
   Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).
  Ricordo che venerdì prossimo il senatore Cabras esporrà
la sua relazione sui comuni disciolti per mafia - altro
problema di grande complessità - e che domani alle 8,30 il
gruppo di lavoro su appalti e subappalti avrà un incontro con
il ministro dei lavori pubblici Merloni per discutere alcune
questioni relative alla legge.
   Informo altresì che la Commissione interni del Parlamento
tedesco ha invitato la Commissione antimafia - in una
delegazione di sette-otto persone - ad un incontro a Bonn, che
avrà luogo il 22 ed il 23 marzo. La commissione tedesca sta
valutando alcune modifiche alla legislazione processuale e
penale in materia di mafia ed è particolarmente interessata a
conoscere bene le innovazioni da noi introdotte per mutuare
quelle più utili.
   Comunico che la Commissione per le libertà pubbliche del
Parlamento europeo ha invitato per l'8 giugno una delegazione
della Commissione per un incontro avente ad oggetto il
problema dell'omogeneizzazione delle legislazioni antimafia in
ambito europeo.
   Comunico altresì che l'ufficio di presidenza ha deliberato
di effettuare una missione a Napoli e a Caserta nei giorni 4,
5 e 6 marzo. Valuteremo insieme il programma. Inoltre, informo
che il MOVI (Movimento Volontario Italiano), che ha un settore
che si occupa attivamente di lotta alla mafia e di sostegno
nelle aree più disagiate, ha chiesto per il 30 marzo un
incontro con la Commissione. Ritengo che tutti saremo
d'accordo nell'accettare questa proposta.
   L'ufficio di presidenza propone alla Commissione
un'iniziativa volta ad organizzare un Forum con la
Giovane cultura italiana in tema di lotta alla mafia. Stiamo
conducendo un censimento di coloro che si sono laureati con
110 e 110 e lode nell'ultimo anno accademico con tesi relative
alla mafia e dei ricercatori che hanno fatto studi sul tema.
Valutato quello che c'è, vedremo in che termini organizzare
tale Forum.
                        Pag. 1373
   L'ufficio di presidenza ha deliberato inoltre di
richiedere l'elenco di tutti gli incarichi esterni ricoperti
da magistrati ordinari, amministrativi ed avvocati dello Stato
nelle regioni Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. Nel corso
delle visite fatte in quelle zone è emerso un intreccio un po'
discutibile, che ci ha spinti ad acquisire il quadro
complessivo di questa commistione tra controllori e
controllati, che francamente non appare conveniente.
   Ringrazio nuovamente il ministro ed i suoi collaboratori,
ricordando che la Commissione è convocata per venerdì
prossimo, alle 9,30, per la relazione del senatore Cabras.
La seduta termina alle 19.

 


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