Violante: seduta 15
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                         Pag. 505
       AUDIZIONE DEL COLLABORATORE DELLA GIUSTIZIA
                     LEONARDO MESSINA
        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Sui lavori della Commissione:
Violante Luciano, Presidente ...................... 507, 511
Borghezio Mario ........................................ 511
Brutti Massimo ......................................... 508
Buttitta Antonino ...................................... 508
Cafarelli Francesco .................................... 511
Ferrauto Romano ........................................ 509
Frasca Salvatore ....................................... 508
Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 509
Galasso Alfredo ................................... 510, 511
Matteoli Altero ........................................ 509
Riggio Vito ............................................ 507
Scalia Massimo ......................................... 511
Taradash Marco .................................... 507, 511
Tripodi Girolamo ....................................... 509
                         Pag. 506
Audizione del collaboratore della giustizia
Leonardo Messina:
Violante Luciano, Presidente ...................... 512, 513
            514, 515, 516, 517, 518, 519, 520, 521, 522, 523
            524, 525, 526, 527, 528, 529, 530, 531, 532, 533
            534, 535, 536, 537, 538, 539, 540, 541, 542, 543
            544, 545, 546, 547, 548, 549, 550, 551, 552, 553
            554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563
            564, 565, 566, 567, 568, 569, 570, 571, 572, 573
            574, 575, 576, 577, 578, 579, 580, 581, 582, 583
            584, 585, 589, 590, 591, 592, 593, 594, 595, 596
            597, 598, 599, 600, 601, 602, 603, 604, 605, 606
                           607, 608, 609, 610, 611, 612, 613
Acciaro Giancarlo ................................. 580, 588
Bargone Antonio ........................................ 591
Borghezio Mario .................... 534, 541, 552, 586, 600
Brutti Massimo ............................... 585, 588, 590
Cabras Paolo .................. 534, 539, 592, 596, 597, 612
Calvi Maurizio .......................... 532, 553, 559, 584
D'Amato Carlo ..................................... 579, 606
De Matteo Aldo ......................................... 588
Ferrauto Romano .............................. 577, 600, 606
Folena Pietro ..................................... 538, 589
Frasca Salvatore ....................................... 584
Fumagalli Carulli Ombretta ............................. 536
Garofalo Carmine ....................................... 589
Galasso Alfredo .................... 537, 578, 582, 587, 588
Imposimato Ferdinando .................................. 586
Matteoli Altero .............................. 548, 549, 552
            558, 559, 564, 582, 584, 585, 592, 594, 598, 599
                                                    602, 605
Messina Leonardo ........................ 512, 513, 514, 515
            516, 517, 518, 519, 520, 521, 522, 523, 524, 525
            526, 527, 528, 529, 530, 531, 532, 533, 534, 535
            536, 537, 538, 539, 540, 541, 542, 543, 544, 545
            546, 547, 548, 549, 550, 551, 552, 553, 554, 555
            556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 565
            566, 567, 568, 569, 570, 571, 572, 573, 574, 575
            576, 577, 578, 579, 580, 581, 582, 583, 584, 593
            594, 595, 596, 597, 598, 599, 600, 601, 602, 603
            604, 605, 606, 607, 608, 609, 610, 611, 612, 613
Rapisarda Santi ................................... 591, 592
Riggio Vito .................................. 552, 592, 601
Scotti Vincenzo .............................. 584, 585, 592
Taradash Marco ............................... 531, 535, 549
                                550, 553, 560, 569, 573, 578
                 581, 585, 586, 593, 597, 598, 604, 605, 611
Tripodi Girolamo ............................. 575, 588, 592
                         Pag. 507
La seduta comincia alle 9,35.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
              Sui lavori della Commissione.
  PRESIDENTE. L'onorevole Taradash ha chiesto di parlare
sui lavori della Commissione.
  MARCO TARADASH. Vorrei riproporre la questione che ho
già sollevato nella precedente audizione di un collaboratore
della giustizia. Non ho bisogno di vedere morti ammazzati per
la strada per capire se ci sono regole dello Stato di diritto
che devono essere rispettate. Ritengo che se abbiamo preso la
decisione - che non condivido ma che è stata assunta da questa
Commissione - di ascoltare i collaboratori della giustizia,
dobbiamo farlo almeno con le stesse garanzie presunte
attraverso le quali queste audizioni avvengono nelle aule di
giustizia o in altri luoghi dove i pentiti vengono ascoltati;
almeno con le garanzie presunte, perché poi per quanto
riguarda quelle reali vediamo tutti i giorni ciò che succede.
Il criterio della segretezza delle accuse dei pentiti dovrebbe
regolare anche questo tipo di audizioni.
   E' un problema di metodo, non è un problema di nomi che
vengono fatti, simpatici o antipatici, eccellenti o non
eccellenti. Abbiamo dato pubblicamente notizia di alcuni nomi
non eccellenti fatti dal pentito Buscetta e che sono stati
caricati di diversi significati; poi non ci sono state
reazioni perché non erano nomi eccellenti. A me non importa la
verità o non verità delle accuse del pentito (in questa fase
non spetta né a noi né ad altri verificarle), a me importa la
credibilità delle istituzioni. Credo che il problema di questa
Commissione parlamentare di inchiesta sia quello di arrivare a
formarsi delle valutazioni fondate, senza lasciare sulla sua
strada scorie che vanno ad inquinare la vita delle persone o
delle istituzioni. Quindi, rinnovo la richiesta di non rendere
pubblica l'audizione del collaboratore della giustizia che
stiamo per ascoltare.
  PRESIDENTE. Altri colleghi intendono porre la stessa
questione? Dico questo perché in base al nostro regolamento
affinché la richiesta venga posta in votazione deve risultare
appoggiata da almeno cinque membri della Commissione.
  VITO RIGGIO. Nella precedente occasione abbiamo assunto
la decisione di rendere pubblica l'audizione del collaboratore
della giustizia Buscetta sulla base della considerazione che
era impossibile, considerate la natura e le caratteristiche di
una Commissione parlamentare, garantire l'elemento della
riservatezza, anche perché non c'era una volontà unanime di
condurre le cose in questo modo.
   Devo dire al collega Taradash che sono d'accordo sul fatto
che - nonostante si fosse ritenuto utile, ai fini della
comprensione del fenomeno, ascoltare i collaboratori della
giustizia - mai nessuno avrebbe immaginato che invece la sede
della Commissione parlamentare potesse diventare, prima ancora
di predisporre una relazione, uno strumento alternativo o
aggiuntivo rispetto alle indagini dei
                         Pag. 508
magistrati. Solo sulla base di queste considerazioni, tutti
abbiamo deciso, almeno per quanto mi riguarda, di aderire a
queste audizioni in questi termini.
   Ribadisco l'esigenza di trovare un modo che garantisca la
riservatezza, ma contemporaneamente di impedire che nasca tra
di noi l'idea che chi chiede la riservatezza lo faccia per una
ragione che attiene alla difesa di interessi particolari. Ho
aderito all'invito a partecipare a questa audizione, però la
riservatezza, la garanzia del diritto delle persone alla loro
dignità è sicuramente un problema all'ordine del giorno in
questo paese e noi come Commissione parlamentare non possiamo
non porlo. Sono qui perché credo che ci sia questa volontà da
parte di tutti; se invece non ci fosse lo verificheremo e
ognuno trarrà le sue considerazioni.
  ANTONINO BUTTITTA. Penso che quando si tratta una
materia come questa, che investe il destino e la vita di
esseri umani, non ci si possa far trascinare dalle passioni
più o meno politiche e comunque in questa sede non ci si possa
far trasportare da interessi di parte; né a favore del proprio
partito né contro altri partiti o gruppi, né per polemizzare
con i magistrati, i rappresentanti delle forze dell'ordine o i
giornalisti, che fanno il loro mestiere, né per sottovalutare
o sminuire la funzione dei cosiddetti collaboratori della
giustizia, che hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo
positivo. Penso però che, trattandosi di una materia così
delicata e nei suoi esiti talora così drammatica, una
deontologia o comunque il richiamo al senso della misura per
tutti e per la stessa Commissione nelle sue rappresentazioni
esterne sia assolutamente indispensabile. Mi associo pertanto
alla richiesta del collega Taradash.
  SALVATORE FRASCA. Signor presidente, non possiamo vivere
sul pianeta Terra senza accorgerci di quello che avviene nella
realtà del nostro paese. Ci troviamo in una situazione
drammatica, rispetto alla quale abbiamo il dovere di essere
preoccupati, evitando nel contempo di allarmare con il nostro
lavoro l'opinione pubblica; per questa ragione concordo sulla
proposta avanzata dall'onorevole Taradash.
  MASSIMO BRUTTI. Considero ragionevole il richiamo fatto
al senso della misura: vorrei che valutassimo il problema di
fronte al quale ci troviamo con la stessa freddezza e la
medesima attenzione con cui l'abbiamo affrontato nell'edizione
precedente. Abbiamo ragionato, anche in base alla prima
esperienza fatta con un collaboratore della giustizia, sui
possibili rischi legati a formulazioni e dichiarazioni che
riguardassero persone e ci siamo dati una regola: quella di
ascoltare i collaboratori della giustizia in modo riservato,
per cui mentre li sentiamo nessun altro deve sapere che cosa
stiano dicendo - vi è anche un problema di autodisciplina,
rispetto al quale non bisogna uscir fuori e rilasciare
dichiarazioni -, e di decidere al termine dell'audizione che
fare.
   Un organismo come la Commissione parlamentare antimafia ha
anzitutto un dovere istituzionale: quello della trasparenza,
di condurre i propri lavori e i propri accertamenti davanti
agli occhi del paese. Anche questo è un aspetto importante.
L'immagine di disgregazione di Cosa nostra offerta dai pentiti
che parlano davanti a questa Commissione - così come è
avvenuto in altri momenti della storia della criminalità
organizzata - ha un significato civile che non è da
sottovalutare.
   Vi è tuttavia un problema: quando la Commissione
parlamentare antimafia si vale degli stessi poteri
dell'autorità giudiziaria? Quando ha il dovere di osservare le
cautele e le garanzie previste per le attività condotte dalla
stessa autorità giudiziaria? Potremo valutare questo aspetto
soltanto al termine dell'audizione ed eventualmente decidere
di considerarla del tutto o parzialmente riservata. Teniamo
ferma questa linea di comportamento, anche perché l'attualità
ci insegue
                         Pag. 509
con fatti drammatici e quelli che avvengono in questi giorni
non sono probabilmente gli ultimi.
   La Commissione parlamentare antimafia, in quanto organismo
istituzionale, deve mantenere la sua rotta, manifestare una
perfetta autonomia rispetto ai fatti ed anche alle aggressioni
provenienti dall'esterno. Non dobbiamo lasciarci condizionare
ma avere una linea istituzionale ferma, che mi sembra sia già
stata definita, e seguirla con coerenza.
  ROMANO FERRAUTO. La volta precedente siamo riusciti a
raggiungere un punto di equilibrio tra due posizioni, l'una
tesa come pregiudiziale a non rendere pubblica la seduta,
l'altra tendente a trasferirla immediatamente sul piano
esterno. Ritengo che il punto di equilibrio realizzato la
volta precedente possa essere mantenuto anche per questa
seduta, altrimenti daremmo all'esterno l'impressione di essere
ondeggianti. In una occasione precedente sono stati dati anche
nomi in pasto alla stampa e all'opinione pubblica, con gravi
risultati sul piano della credibilità complessiva, per cui se
dovessimo tornare indietro si assumerebbe una posizione che
non condivido.
  GIROLAMO TRIPODI. Condivido la posizione assunta dal
senatore Brutti e le valutazioni or ora espresse dal collega
Ferrauto, perché non possiamo seguire due strade: sarebbe
negativo per il prestigio e l'immagine della stessa
Commissione. Nel momento in cui si dovesse decidere, come è
stato proposto, di fissare fin dall'inizio una procedura
diversa da quella adottata negli incontri precedenti si
produrrebbero effetti negativi.
   Sono dunque dell'avviso che si debba procedere con
coerenza sulla stessa linea seguita nel passato, esaminando
alla fine l'opportunità di rendere la seduta totalmente o
parzialmente pubblica.
  ALTERO MATTEOLI. Presidente, vado oltre rispetto a
quanto sosteneva il senatore Brutti: sono dell'idea che sia
necessario rendere immediatamente pubblica la seduta. Dico
questo perché - so di dare una motivazione piuttosto debole -
preferisco che i giornalisti ascoltino con le loro orecchie
anziché ricevere le veline da qualcuno al termine della
seduta. Questo infatti è quanto è avvenuto e avviene
normalmente: basta ricordare che cosa è accaduto alla vigilia
dell'audizione di Buscetta.
   Qualora la mia tesi non fosse accolta, in via subordinata
voterei a favore della proposta avanzata dal senatore Brutti.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Signor presidente, come già
ho osservato nell'altra seduta vorrei far rilevare che non è
questione di contenuto ma di metodo. Mi pare che in proposito
abbia ragione il collega Taradash: il fatto di aver seguito
nel passato una certa linea non significa che sia di per sé
esatta.
   Vorrei domandare ai colleghi favorevoli al rinvio della
decisione al termine dell'audizione sulla base di quali regole
obiettive decideremo se renderla o meno pubblica, per sentirmi
dire, per esempio, che si deciderà per la segretezza se
emergeranno elementi coperti da segreto istruttorio o verranno
indicati nomi. Mi pare che stiamo ragionando, oggi come
l'ultima volta, senza avere come punto di riferimento un
metodo basato su certe regole. Non è questione di contenuti.
Certo abbiamo un dovere di trasparenza, ma abbiamo anche il
dovere di mantenere riservate eventuali questioni coperte da
segreto istruttorio e poiché questi pentiti - per quanto ne
so, per quanto ne sappiamo - stanno collaborando con
magistrati impegnati nello svolgimento di varie inchieste,
come possiamo sapere se le informazioni qui date
interferiscano o meno nei processi in corso? Non dispongo di
tutti gli atti di questi processi, non posso immaginare fin
d'ora quali tra gli elementi che eventualmente emergeranno
siano coperti da segreto istruttorio.
   Rispetto alla considerazione espressa dall'onorevole
Taradash - secondo il quale non è una questione di contenuto
ma di metodo e tale metodo è imposto dal fatto che i
collaboratori della giustizia
                         Pag. 510
stanno collaborando con i magistrati - credo che la
conclusione debba essere quella di cambiare rispetto a come
abbiamo agito fino ad ora.
   Non mi pare che l'aver deciso in passato di deliberare al
termine dell'audizione del pentito se renderla o meno pubblica
rappresenti un precedente tale da far perdere credibilità alla
Commissione una volta che sia stato abbandonato. Condivido le
osservazioni dei colleghi i quali si fanno carico della
preoccupazione di non assumere atteggiamenti ondeggianti, ma
ritengo che sia soprattutto necessario non seguire metodi
intrinsecamente sbagliati.
  ALFREDO GALASSO. Signor presidente, desidero ricordare
che sono stato uno dei pochi a mettere in discussione
criticamente la decisione di ascoltare i pentiti, o i
collaboratori della giustizia, come pare adesso più
precisamente si definiscano. Rivendico le ragioni che ho
espresso allora e dico tuttavia che in questo momento mi
sembra assolutamente fuori luogo mettere in discussione la
prosecuzione di questo programma.
   Non c'è dubbio che, essendosi ieri suicidato il povero
Mimmo Signorino, di fronte alla grancassa dei giornali di
questa mattina potrebbero sorgere alcuni dubbi sulla
opportunità per la Commissione di procedere come stabilito.
Non ho la preoccupazione di seguire la grancassa, ma non sono
affatto convinto che un gesto del genere, così tragico, possa
essere determinato esclusivamente da una fuga di notizie. Mi
sembrerebbe fuor di luogo che in una sede istituzionale così
alta decidessimo in relazione a ciò. Quindi, il programma va
sviluppato ulteriormente.
   Altro genere di dignità hanno le argomentazioni del
collega Taradash, peraltro formulate già a suo tempo, ma che
non mi sento di condividere. L'esperienza di questi anni mi
porta a ritenere che è molto più utile sul piano istituzionale
e sociale rendere la massima pubblicità e trasparenza a
qualunque notizia piuttosto che il contrario. Innanzitutto per
la ragione elementare che, fino a quando non si individua uno
strumento talmente coattivo da rendere impossibile la fuga di
notizie, tutto ciò finisce per tradursi in un danno e in una
discriminazione del tipo di quelli lamentati dal collega
Taradash. In secondo luogo, perché quella trattata è una
materia tanto grave, tormentata e tragica verso la quale
esiste solo un antidoto: il massimo della discussione e della
conoscenza.
   Mi rendo conto che ci sono rischi gravi e che si possono
produrre guasti, ma l'esperienza - ripeto - mi insegna che la
segretezza, anche giustificata da nobilissime ragioni come
quelle che riconosco al collega Taradash, è comunque
produttiva di danni maggiori.
   Sono, pertanto, contrario a decidere ora sulla segretezza
o meno della seduta. Abbiamo verbali in cui abbondano gli
omissis, che rendono, come altre volte è accaduto,
praticamente illeggibili tali deposizioni. Ritengo che il
programma vada concluso il più rapidamente possibile: quanto
meno ci faremo un'idea di cosa è oggi il pentitismo e non si
tratta di piccola cosa.
   Per concludere, signor presidente, vorrei ricordare che
siamo in una Commissione antimafia e non in un asilo
d'infanzia e quindi ciascuno si deve assumere le proprie
responsabilità, nei rapporti che si hanno con il mondo
esterno, con i giornalisti, con gli altri colleghi, con i
giudici, eccetera.
   In occasione dell'audizione di Buscetta mi sono state
rivolte critiche, alle quali non ho neanche risposto, del
tutto prive di consistenza. Prima della decisione della
Commissione, mi ero limitato a fare una dichiarazione, che
ritenevo importantissima, sulla deposizione in generale di
Buscetta. Dal momento che viviamo in un determinato clima è
bene che ciascuno si assuma la responsabilità di ciò che fa.
Questo è il senso di una Commissione istituzionale, altrimenti
si trasforma in un asilo d'infanzia, dove c'è l'allievo che
rivela al direttore cosa sta facendo il compagno di banco.
   Per cortesia, qui stiamo parlando di tragedie!
                         Pag. 511
  FRANCESCO CAFARELLI. Pur essendo d'accordo con le
motivazioni esposte dal collega Ferrauto, desidero aggiungere
alcune considerazioni per coerenza con quello che abbiamo
fatto fino ad ora; innanzitutto, perché sarebbe difficile
spiegarne le ragioni all'esterno, per evitare che la
Commissione si muova sulle emotività dettate dal mondo esterno
e per dimostrare la nostra intesa con i magistrati.
   La volta scorsa il presidente ci ha rassicurato
sull'assenso dei magistrati circa la nostra intenzione di
ascoltare il collaboratore di giustizia Messina. Per queste
considerazioni concordo sulla proposta formulata dal collega
Ferrauto.
  MASSIMO SCALIA. Pur riconoscendo la nobiltà dei motivi
che spingono il collega Taradash a formulare la sua proposta e
militando nell'associazione che egli presiede, credo che il
problema sollevato sia stato mal posto dal punto di vista
della teoria dell'informazione e della comunicazione. Non
vedo, infatti, come si possa fare appello alla segretezza dal
momento che un gran numero di persone è presente ai lavori
della Commissione. Non capisco come si possa non dare
pubblicità quando sono presenti più di quaranta persone, del
tutto onestamente incontrollabili rispetto alla rete di
comunicazioni e relazioni che hanno all'esterno.
   Si tratta di un dato così elementare ed ovvio che gli
stessi collaboratori di giustizia che vengono ascoltati dalla
Commissione si guardano bene dal fornirci le notizie più
importanti e si riservano di comunicarle in una sede molto più
ristretta di fronte al magistrato.
   Se fosse stata accolta l'obiezione di metodo mossa dalla
collega Fumagalli non si sarebbe dovuto procedere all'ascolto
dei pentiti dal momento che si tratta di un problema
irresolubile che, a mio modo di vedere, pecca di
superdeterminazione, nel senso che lo stesso atteggiamento dei
pentiti fa sì che le deposizioni in nostro possesso siano
piene di omissis.
   Ritengo, anche se la cosa fa sorridere, che le istituzioni
debbano svolgere una funzione pedagogica ed è molto ipocrita e
molto italiano - talvolta mi vergogno di esserlo - il fatto
che non si riesca ad avere quel livello di pubblicità e di
comunicazione che esiste nei paesi civili. Lo stesso
atteggiamento che muove il collega Brutti a me sembra dettato
più da ragioni di compromesso che da altre motivazioni;
tuttavia, ritengo si possa decidere alla fine dell'audizione
sulla sua riservatezza o meno.
  MARIO BORGHEZIO. Concordo sulla proposta del collega
Brutti e contesto che la scelta operata nel corso
dell'audizione del collaboratore della giustizia Buscetta
manchi di una logica.
   La regola alla quale dobbiamo attenerci è quella della
trasparenza, naturalmente dopo il controllo della Commissione
sugli argomenti trattati nel corso dei lavori, che non devono
interferire con le indagini della magistratura.
  MARCO TARADASH. Allora, decidiamo subito sulla
pubblicità.
  PRESIDENTE. Sono emerse tre posizioni. Porrò in
votazione la prima, relativa alla segretezza della seduta, in
quanto sostenuta da cinque colleghi, come prescritto dal
regolamento; la seconda è favorevole ad adottare una decisione
sulla segretezza o meno dell'audizione al termine della
seduta; la terza, infine, è quella della seduta integralmente
pubblica.
   Devo precisare, a fini di chiarezza, due questioni. In
primo luogo, la vicenda del magistrato che si è ucciso è
tragica, ma riguarda un pentito che è stato ascoltato in sede
segreta ed il relativo verbale è tuttora segreto. Questo
dobbiamo saperlo tutti...
  ALFREDO GALASSO. Quel pentito non è stato ascoltato da
noi.
  PRESIDENTE. No, stavo solo facendo una precisazione in
ordine alla distinzione tra seduta segreta e pubblica.
                         Pag. 512
   In secondo luogo, qualche giorno fa, la nostra Commissione
ha approvato all'unanimità un documento nel quale viene
distinto il profilo della responsabilità giudiziaria penale,
che deve essere accertata dal giudice e che non ci interessa,
ed il profilo di carattere politico, che riguarda invece
specificamente la nostra Commissione. In questo senso, per un
verso, non vi è un problema di concorrenzialità e, per un
altro verso, i verbali di cui disponiamo, coperti da
omissis, come ha ricordato qualche collega, ci sono
stati consegnati spontaneamente dall'autorità giudiziaria, che
non ha quindi ipotizzato alcuna interferenza. Le mie
osservazioni sono finalizzate, come accennavo, a rendere
chiaro il quadro nel quale ci muoviamo.
   Pongo ora in votazione la proposta Taradash di segretezza
della seduta, sostenuta da cinque colleghi, come previsto dal
nostro regolamento.
(E' respinta).
   Pongo in votazione la proposta Matteoli di pubblicità
della seduta.
(E' respinta).
   Pongo in votazione la proposta Brutti, in base alla
quale la Commissione si riserva di valutare dopo la
conclusione dell'audizione se sia opportuno renderla pubblica
ed eventualmente entro quali limiti.
(E' approvata).
Audizione del collaboratore della giustizia
                    Leonardo Messina.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
collaboratore della giustizia Leonardo Messina.
(Il signor Leonardo Messina viene introdotto
nell'aula).
  PRESIDENTE. Buon giorno, signor Messina; lei è davanti
alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della
mafia e sulle altre associazioni criminali similari.
  LEONARDO MESSINA. Buon giorno a tutti.
  PRESIDENTE. Può declinare le sue generalità?
  LEONARDO MESSINA. Sono Leonardo Messina, nato a San
Cataldo il 22 settembre 1955.
  PRESIDENTE. Può proseguire?
  LEONARDO MESSINA. Sono un uomo d'onore dal 21 aprile
1982; sono stato affiliato nella famiglia di San Cataldo,
davanti alla provincia mafiosa di Caltanissetta. Ho fatto
alcuni anni come soldato, sono stato sottocapo della stessa
famiglia: avevo il compito di rappresentarla, perché il
rappresentante era anziano, aveva 84 anni, ed ho coadiuvato
con il mandamento più importante della provincia di
Caltanissetta, quello di Vallelunga.
  PRESIDENTE. Per quali ragioni ha deciso di uscire da
Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Ho avuto problemi morali intorno al
1986-1987.
  PRESIDENTE. Può spiegarli alla Commissione?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Intanto, mentre in precedenza
stavo economicamente un po' più male, verso il 1986-1987,
iniziai a stare discretamente, non per il rapporto che avevo
con Cosa nostra. Vengo da una famiglia della Sicilia interna,
dove non c'è una grande ricchezza, anche se, come famiglia,
partecipiamo in tutti i traffici del mondo con la nostra
quota. Le amicizie che mi sono creato mi hanno portato ad
avere una visione lucida della vita e a capire molte cose del
mio comportamento; andavo in ferie con persone che non
appartenevano
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alla mafia ma erano del mondo imprenditoriale, non
imprenditori collusi, ma persone vicine o alla polizia o al
SISDE o ad altro. Ho avuto un contatto con il SISDE nel
1986-1987 ed incominciai a volere, in un certo senso, uscire,
ma non era possibile. Più avanti andavo con le amicizie e più
il terrore di rimanere in Cosa nostra aumentava; oltre a
questo ha giocato molto la perdita di tantissime persone.
Certamente per tutti si tratta di mafiosi ed assassini, ma per
me rappresentavano persone che vivevano con me; in questa
serie di morti e di eventi che mi sono capitati intorno si
faceva sempre più vivo in me il desiderio di cambiare
atteggiamento e vita. A ciò si è aggiunta una serie di vicende
sentimentali che mi hanno portato fuori dal mio mondo, a
vivere decorosamente di lavoro; lavoravo in una miniera, anche
se ero un capo della mafia che coadiuvava la provincia. Avevo
amicizie in tre province, le più importanti della Sicilia
centrale, cioè Agrigento, Caltanissetta ed Enna; ero compare
del Ribisi e di altri che controllavano la provincia di Enna.
Uscivo dal lavoro e andavo a casa, conducevo cioè una vita
tranquilla, ma il terrore di essere chiamato o di apprendere
che le persone accanto a me morivano uccise per la strada
incominciò a convincermi, un po' perché non ero più l'uomo che
era entrato in Cosa nostra, che avevo esaminato e continuavo a
guardare attentamente in tutti i suoi processi. In effetti non
avevo giurato di essere un assassino, bensì soltanto di
appartenere ad una setta, perché Cosa nostra è una setta
segreta.
   All'inizio ero infatuato, anche perché la mia è una
famiglia che appartiene per tradizione a Cosa nostra ed io
sono la settima generazione che fa parte di Cosa nostra; non
sono stato affiliato perché ero un rapinatore o perché ero
capace di uccidere, ma perché per tradizione familiare ero
destinato a farne parte. Nei primi rapporti antimafia si
parlerà sicuramente dei miei zii; ho inoltre sposato una donna
del mio stesso ambiente, nipote del sotto capofamiglia di San
Cataldo, quindi ero destinato a diventare un personaggio
importante nel paese ed in un certo senso lo sono diventato.
Quando sono diventato il personaggio del paese e della
provincia non ero più l'uomo che voleva vivere da mafioso
andando in giro per la Sicilia ad uccidere le persone.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione in che senso
passava le vacanze insieme ad appartenenti delle forze di
polizia o persone vicine al SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Non erano delle vere e proprie
vacanze. Si trattava di persone che hanno dei negozi, che
hanno una vita tranquilla e che non appartengono al mondo di
Cosa nostra, anche di gente politica pulita; sono diventato
per caso amico di queste persone, che mi hanno portato ad
avere contatti con il SISDE nel 1986-1987. Ho incontrato
diverse volte queste persone, che allora volevano per lo più
notizie sul terrorismo; qualcosa gli ho dato, ma non ho mai
tradito Cosa nostra. I rapporti sono proseguiti perché questi
uomini avevano in tasca un prezzario dei latitanti, ma io ero
impaurito dal loro atteggiamento, che non era particolarmente
attento alla mia salvaguardia. Essi volevano catturare dei
latitanti non curandosi del modo: bisognava che io gli
indicassi il posto, ma era assurdo, per me sarebbe stato come
morire. Ho fornito indicazioni che essi non hanno seguito:
avevo detto loro che occorreva seguire alcuni uomini per
arrivare a prendere la commissione mondiale di Cosa nostra
riunita.
  PRESIDENTE. Questi suoi rapporti non suscitavano nessuna
reazione negli altri uomini d'onore?
  LEONARDO MESSINA. La Commissione antimafia mi vede oggi
qua, in un ambiente estraneo al mio mondo, come un pesce fuori
dall'acqua, ma io allora ero un personaggio, il
rappresentante, il capo di una famiglia e l'uomo politico
della famiglia, il quale tiene i contatti sia
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con i politici e le imprese sia con i carabinieri e la
polizia, a volte anche depistandoli.
  PRESIDENTE. Lei ha dichiarato di aver dato informazioni
anche sul terrorismo.
  LEONARDO MESSINA. A quel tempo erano successe alcune
cose, ed in particolare erano sparite delle mitragliette dalla
questura di Varese; i sospetti erano sui sancataldesi e questi
uomini mi avevano mostrato una fotografia con un impiegato
civile della questura di Varese e le mitragliette le volevano
da me, ma io avevo detto che non le avevo. Erano anche
disposti a darmi dei soldi, ma poi hanno fatto un po' di
caciara ...
  PRESIDENTE. Era solo questo l'episodio o ce ne sono
stati altri?
  LEONARDO MESSINA. Hanno voluto indirizzi e numeri
telefonici di Roma, che io gli ho fatto avere.
  PRESIDENTE. Di persone legate a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Non ho mai dato informazioni alla
polizia di persone appartenenti a Cosa nostra, ma le ho date
circa i NAR ed altri gruppi armati.
  PRESIDENTE. Che lei conosceva come?
  LEONARDO MESSINA. Oltre ad essere un capo, sono stato
circa sei anni in carcere e varie volte anche al soggiorno
obbligato, perciò i miei spostamenti mi hanno portato a
conoscere determinate persone; in carcere ho conosciuto anche
dei terroristi. Tuttavia anche Cosa nostra, indipendentemente
da me, conosce dei ragazzi appartenenti ai NAR di Roma.
  PRESIDENTE. Soltanto dei NAR o anche appartenenti ad
altre organizzazioni terroristiche?
  LEONARDO MESSINA. In quella occasione, cioè quando ho
avuto l'incontro, soltanto dei NAR.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che Cosa nostra conosce
attraverso i suoi uomini, che sono in carcere od altrove,
appartenenti ai gruppi terroristici, indipendentemente dalla
vicenda che ci ha spiegato.
  LEONARDO MESSINA. Indipendentemente da quella vicenda
sono stato mandato al nord; sono arrivato a Roma e mi è venuto
a prendere un uomo che appartiene ai NAR, così mi hanno detto.
Quando siamo arrivati a Chianciano Terme ci hanno fermato i
carabinieri e ci hanno segnalato; solo dopo ho saputo il nome
del terrorista, prima non lo sapevo perché avevo solo l'ordine
di arrivare a Fiumicino ed egli mi doveva riconoscere da un
giornale.
  PRESIDENTE. Le è capitato di avere rapporti anche con
terroristi delle Brigate rosse o di altre organizzazioni di
questo tipo?
  LEONARDO MESSINA. No, ho conosciuto in carcere dei
terroristi, che però sono lontani dal nostro comportamento; ho
conosciuto Attilio Casaletti ed altri. Non hanno niente a che
vedere, almeno nel periodo in cui li ho conosciuti, con Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Quali sono le modalità di affiliazione a
Cosa nostra, cioè come si entra a farne parte, dal punto di
vista delle procedure formali? Vi sono delle cerimonie o
qualcosa di particolare?
  LEONARDO MESSINA. Non è che uno la mattina si alza e
dice "da oggi faccio parte di Cosa nostra"; è un tipo di
atteggiamento. Ti seguono fin da bambino, ti crescono, ti
allevano, ti insegnano a sparare, ad uccidere, a mettere le
bombe, sei un robot: sei uno destinato. Ci sono anche uomini
che entrano in Cosa nostra con il destino di diventare capi,
ed è così. In Cosa nostra il primo approccio
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è quello di "avvicinati"; dopo un periodo di avvicinamento,
che può durare uno, cinque o vent'anni, dipende dalla persona,
qualcuno ti infiltra e ti dice che è arrivata l'ora di entrare
a far parte di Cosa nostra. Tuttavia, già quando ti chiamano,
tu sai che quella è Cosa nostra, sai dove stai entrando, anche
perché tu hai già servito per dieci anni questi uomini. Sai
perfettamente qual è il discorso e comunque c'è sempre una
persona che ti guida: ogni uomo d'onore ha circa cinque, dieci
o quindici persone vicine, (ognuno non ciascuna famiglia).
Però, tutti gli uomini d'onore hanno il dovere di comunicare
all'intera famiglia i nomi degli avvicinati, perché devono
sapere chi sono coloro che portano avanti gli interessi della
famiglia stessa o di Cosa nostra.
   Dopo il periodo di iniziazione (i primi omicidi si
compiono da avvicinati), c'è una riunione formale, la quale
può essere o della provincia o del mandamento o della
famiglia. Di solito, la riunione del paese per affiliare degli
uomini è come una festa a cui partecipano tantissime persone.
Posso descrivere perfettamente la mia affiliazione. Sono stato
padrino di tanti altri affiliati...
  PRESIDENTE. Il padrino è colui che fa entrare ....
  LEONARDO MESSINA. Il padrino è quello che ti punge il
dito. Quando entri trovi tante persone riunite. La persona che
ti ha guidato, che ti ha osservato per conto della famiglia,
si mette dietro di te e ti dice di scegliere un padrino.
Ognuno sceglie il suo. C'è chi è molto furbo e per padrino
sceglie il personaggio, cioè c'è chi sceglie il rappresentante
o il capo mandamento (ma sono tutte cariche che non durano una
vita). Cominciano a illustrarti tutti i problemi ma nessuno ti
spiega le regole di Cosa nostra. Quest'ultime vanno
interpretate, devi intuirle da solo, te le spiegheranno poi, a
poco a poco.
   Quando hanno punto me, ero dinanzi alla provincia di
allora di Caltanissetta. La provincia era riunita, c'erano i
mandamenti, il rappresentante, il sottocapo e alcuni uomini
della mia famiglia. Con il padrino alle mie spalle, mi sono
rivolto alla provincia, mi sono state suggerite parole da
dire, mi è stato posto in mano un santino bruciato, e dopo ho
pronunciato queste parole: "Come brucia questa carne e come
brucia questa carta deve bruciare la mia carne se tradisco
Cosa nostra". Con il sangue uscito dal dito punto, viene
imbrattato un santino che poi viene bruciato.
   Queste sono cose che sanno tutti, che da anni i giornali e
i libri hanno già spiegato. Qualsiasi persona può pentirsi e
dire di appartenere a Cosa nostra, perché il rituale è sempre
quello, lo descrivono quotidianamente i giornali. Ma se uno
appartiene a Cosa nostra sa tutto, sa che le fasi non sono
solo queste.
   Anch'io ho scelto un padrino, e quando la cerimonia è
terminata mi hanno abbracciato. Di solito, in questa
circostanza si fanno regali sostanziosi. Quando le famiglie
contano, dalla riunione si esce quasi ricchi (si possono
ricevere cento o duecento milioni, oppure cinquanta, dieci o
cinque milioni, dipende dalla portata e dalla ricchezza della
famiglia).
  PRESIDENTE. Cosa intendeva dire quando ha detto che le
cariche non durano una vita?
  LEONARDO MESSINA. Intanto, la mafia è un organismo
democratico, uno dei più importanti organismi democratici: non
ci sono scrutini segreti, si vota per alzata di mano, davanti
a tutti. Il capo viene eletto dalla base e non è vero che
abbia un'immagine così rilevante: l'epicentro di tutto è la
famiglia, il capo ne è solo il rappresentante. E' sempre la
famiglia che decide, il capo viene votato dalla base, dagli
uomini d'onore, che hanno lo stesso potere del capo decina.
Prima di collaborare con la giustizia, ero il capo decina
della famiglia, l'uomo che impartiva gli ordini a tutti, che
era padrone del territorio.
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  PRESIDENTE. Può essere revocato chi è stato eletto capo?
  LEONARDO MESSINA. Il capo che non porta avanti gli
interessi della famiglia che lo ha eletto in un'altra riunione
viene automaticamente deposto. Se ha compiuto cose gravi viene
ucciso o posto fuori confidenza. Se è stato solo negligente è
posto da parte e viene eletto un nuovo capo, il quale, a sua
volta, ha solo il dovere di scegliere il capo decina, cioè
l'uomo di fiducia del capo. Il rappresentante si chiama
braccio, il sottocapo è il capo decina. La base, gli uomini
d'onore eleggono, di nuovo, il consigliere, che è l'uomo di
controllo della testa, perché la famiglia si divide in tre
tronconi (testa, cuore e coda).
  PRESIDENTE. Può dirmi qualcosa di più in merito a chi
esercita questa funzione di controllo della testa?
  LEONARDO MESSINA. Tenga conto che le famiglie hanno i
propri affari e che essi attengono a tutto ciò che riguarda il
territorio delle famiglie stesse. Per esempio, se nel comune
di Roma vi fosse una famiglia, tutto ciò che appartiene al
comune la riguarderebbe, dal punto di vista della politica,
degli appalti, delle estorsioni, dei traffici di droga
eccetera. In pratica, la famiglia è sovrana di tutto ciò che
accade in quel territorio.
  PRESIDENTE. Qual è il ruolo del consigliere?
  LEONARDO MESSINA. Quasi sempre, tra gli uomini d'onore
sorgono delle beghe, per cui il consigliere cerca di
aggiustare tutto svolgendo un ruolo simile a quello
dell'avvocato. Il consigliere è un po' il saggio della
famiglia. Però egli ha anche un compito di controllo, perché
nella famiglia circolano i soldi, per cui è necessario che si
sappia che i soldi non vanno... Ultimamente, per evitare che
il rappresentante o i capi decina intascassero dei soldi in
più rispetto a quelli che spettavano loro, è stato istituito
il libro mastro. In qualsiasi famiglia troverete un libro
mastro in cui, per tutti gli uomini, sono registrate le
entrate e le uscite.
  PRESIDENTE. In parte, lei ha descritto la struttura
interna di Cosa nostra. Quali sono, a tutti i livelli, gli
organismi di direzione?
  LEONARDO MESSINA. Partiamo sempre dalla famiglia del
paese....
  PRESIDENTE. La famiglia coincide con il paese?
  LEONARDO MESSINA. Sì, con il territorio dei comuni.
  PRESIDENTE. Di un solo comune o di più comuni?
  LEONARDO MESSINA. Ogni famiglia ha un comune.
  PRESIDENTE. Questo solo a Caltanissetta o ovunque?
  LEONARDO MESSINA. No, a Palermo vi sono i quartieri. Ciò
accade quando la città è grande.
  PRESIDENTE. Però, a Caltanissetta...
  LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta vi è solo una
famiglia. Da trent'anni a questa parte, a Caltanissetta siamo
sempre stati noi i reggenti.
  PRESIDENTE. Mi sembra di capire, quindi, che, di regola,
ad ogni comune corrisponda una famiglia. Però, quando il
comune è particolarmente grande possono esservene più di una.
  LEONARDO MESSINA. Sì, a Palermo vi sono circa quaranta
famiglie.
  PRESIDENTE. Allora, può indicare, a tutti i livelli...
  LEONARDO MESSINA. Sì. Partiamo sempre dalla famiglia che
elegge il proprio
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 rappresentante. I rappresentanti delle famiglie eleggono il
capo mandamento (in genere, si riuniscono tre o quattro
famiglie, a seconda che i comuni siano grandi o piccoli); il
mandamento elegge il rappresentante provinciale, che poi
nomina il sottocapo provinciale. Vi è quindi un organismo
provinciale composto dai mandamenti, dai rappresentanti
provinciali, dal sottocapo provinciale e da tre consiglieri. I
rappresentanti della provincia eleggono i rappresentanti
regionali e sono, a loro volta, componenti della regione. Il
componente della regione nomina sempre un sottocapo e altri
tre consiglieri. Questa è la struttura che è sempre esistita e
che esiste tutt'ora. Mentre prima diventavano capi gli uomini
più feroci, dopo il colpo di stato dei corleonesi, questi
posti di comando sono occupati da tutti coloro che hanno
creato la corrente...
  PRESIDENTE. Procediamo con ordine. Esamineremo poi anche
questo punto.
   Come si assumono le decisioni più importanti?
  LEONARDO MESSINA. Deve riunirsi la commissione
interprovinciale.
  PRESIDENTE. Per tutte le decisioni più importanti o solo
per alcune?
  LEONARDO MESSINA. Se si deve uccidere una persona
normale o se vi sono interessi normali, è sufficiente che il
paese lo comunichi al mandamento. Invece, se si deve uccidere
un giornalista o un magistrato, ci vuole l'ordine della
regione...
  PRESIDENTE. Anche per i poliziotti?
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche i poliziotti non si possono
uccidere senza l'ordine della regione. Per uccidere un uomo
d'onore serve l'ordine della provincia. Per uccidere un capo
decina è necessario l'ordine della regione.
  PRESIDENTE. Prima si è riferito a una specie di colpo di
stato da parte dei corleonesi. Può spiegarci bene come è nato?
Innanzitutto, chi sono i corleonesi?
  LEONARDO MESSINA. I corleonesi non vanno identificati
con gli appartenenti alla famiglia di Corleone o alle famiglie
palermitane: i corleonesi sono una corrente presente in tutta
la Sicilia, perché i nuovi capi delle provincie sono
espressione dei corleonesi. La vecchia struttura di Cosa
nostra - parlo degli uomini che sono morti, Bontade, Di
Cristina (che era rappresentante provinciale) - era la mafia
storica. Anche i corleonesi facevano parte di quel tipo di
mafia, poi piano piano si sono impadroniti del sistema.
  PRESIDENTE. Come si sono impadroniti?
  LEONARDO MESSINA. Con il sangue. Tutto nasce dalla morte
di Francesco Madonia a Riesi.
  PRESIDENTE. Quando è morto?
  LEONARDO MESSINA. Intorno al 1978. Francesco Madonia,
che era il papà di Pippo, fu ucciso a un passaggio a livello
tra Riesi e Butera. Francesco Madonia, non so perché, viene
scambiato con quello di Palermo, ma quelli fanno parte solo di
un mandamento, mentre quel Madonia era un componente
regionale, che è altra faccenda.
   Loro si sono impadroniti di questo sistema perché sono
arrivati in alcuni posti un po' a gomitate. Quando sono
arrivati al potere piano piano hanno ucciso tutti. Il problema
di questi uomini è che hanno fatto uccidere tutti, magari da
noi stessi: chi ha ucciso il fratello, chi il cognato, chi il
cugino, perché pensava di prenderne il posto. Invece, pian
piano quelli si sono impadroniti del sistema. Le strutture ci
sono sempre ma al potere ci sono uomini loro, che nessuno ha
votato. Tuttora è così, dal 1983 ad ora. Dal 1983 ad ora posso
dire tutti i rappresentanti
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delle province, che poi sono i corleonesi, non i corleonesi
di Corleone ma della corrente. Questa è una cosa importante.
  PRESIDENTE. Se non ho capito male, questo processo è
cominciato tra il 1977 e il 1978 con l'omicidio di Francesco
Madonia.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. E' andato avanti fino al 1982, più o meno,
quando si è solidificato. E' così?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Gradatamente cosa hanno fatto
questi signori? Non hanno ucciso la gente (i Ginardo di
Mazzarino, Bontade, Inzerillo), li hanno fatti uccidere
mettendoli in una trappola. Cosa hanno fatto? Hanno creato le
condizioni per far uccidere le persone dai loro uomini,
dicendo: "Ha fatto questo sbaglio e deve morire". Non si sono
creati inimicizie con tutti, mentre loro sapevano bene come
era... Si sono impadroniti dei posti. Ci sono persone che sono
capi delle province da dieci anni a questa parte. Queste
persone devono rispondere, dal 1982 ad oggi, di tutto quello
che è successo in Sicilia a livello di onorevoli, magistrati e
via dicendo.
  PRESIDENTE. Voi non avete colto che c'era questo
processo in atto? Non l'avete contrastato? Siete stati colti
di sorpresa?
  LEONARDO MESSINA. No, ma un po' ci siamo infatuati,
perché levando i vecchi pensavamo di detenere il potere, di
essere i nuovi rappresentanti, i nuovi capi, di fare i nostri
interessi, ma non è stato così. Se ne sono accorti pure i
Puccio di Palermo: prima hanno fatto la guerra all'interno di
Cosa nostra, hanno fatto vincere i corleonesi, poi... Anche
Scarpuzzedda... Che Scarpuzzedda era morto l'ho detto io al
SISDE nel 1986. Prima hanno levato i loro personaggi perché
pensavano che arrivare in un posto bastasse a fare il capo, ma
non è stato così. Prima si sono serviti di noi per levare i
vecchi capi storici, poi hanno levato quelli che hanno alzato
la cresta, Mariolino Prestifilippo, Puccio e tutti gli altri.
  PRESIDENTE. Prima hanno messo i giovani contro i vecchi,
questo è il meccanismo?
  LEONARDO MESSINA. Perfettamente.
  PRESIDENTE. Poi quando i giovani sono arrivati al
potere, hanno fatto fuori loro.
  LEONARDO MESSINA. A meno che non sono uomini che fanno i
pupi, che non hanno carattere, che non hanno nessun carisma.
Li tengono lì e fanno solo quello che dicono loro.
  PRESIDENTE. C'è stato qualche fatto particolare che ha
dato tanto peso ai corleonesi? Solo la loro abilità o anche
qualche altra cosa?
  LEONARDO MESSINA. No, è stata una tragedia continua.
Sono stati dei furbi in effetti.
  PRESIDENTE. Quindi, la loro abilità?
  LEONARDO MESSINA. Sì, la loro abilità. Loro
appartenevano già a Cosa nostra, non hanno fatto una guerra
dal di fuori, hanno fatto una guerra dall'interno.
  PRESIDENTE. Prima non si era verificata una cosa di
questo genere?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma era controllabile, mentre ora
cosa hanno fatto? Hanno messo gli uomini più rappresentativi a
rappresentare le province, poi hanno creato nuove figure per
controllare gli uomini e avere la sicurezza. Hanno creato le
tragedie in tutte le famiglie. Le famiglie non erano più
d'accordo: se c'era il vecchio dicevano che dovevano metterci
il giovane e così via. Così hanno fatto a Palma di
Montechiaro, a Riesi, a San Cataldo, a Enna, a Catania.
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  PRESIDENTE. Quindi, questo non riguarda solo la provincia
di Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. No, riguarda tutte le province.
  PRESIDENTE. Quali sono le differenze più importanti tra
la mafia tradizionale e la mafia moderna?
  LEONARDO MESSINA. Mentre la mafia tradizionale si
accontentava di stare vicino agli onorevoli - c'è stato sempre
contatto tra politici e Cosa nostra, sono stati sempre molto
vicini - ora è un atteggiamento di ricchezza. Prima il boss,
il mafioso non era così ricco e importante. I politici si sono
trovati ad averlo imposto; un po' gli è convenuto perché fanno
lo stesso nostro lavoro in un certo senso.
  PRESIDENTE. Questa ricchezza da dove deriva?
  LEONARDO MESSINA. Dalla droga, dagli appalti, dalle
estorsioni e anche - ma a un certo livello, non cose da strada
- da rapine o sequestri.
  PRESIDENTE. Quindi: droga, appalti e estorsioni?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Cose che prima non si facevano?
  LEONARDO MESSINA. Erano più limitate. A chi li dovevano
levare i soldi? Ora c'è a chi toglierli, c'è da dove
prenderli.
  PRESIDENTE. Lei ha accennato a questa abitudine dei
corleonesi di infilare i propri uomini in tutte le famiglie:
questi sono gli ambasciatori?
  LEONARDO MESSINA. No, gli ambasciatori li hanno creati
dopo perché non potevano muoversi essendo tutti latitanti. Lo
hanno fatto anche con me e con altri. Poiché vengo da un ceppo
storico di Cosa nostra sono un "rigenerato", cioè una persona
che hanno rigenerato al loro volere: ero uno di loro, uno
della corrente dei corleonesi. Non c'è nessuno che è stato
affiliato dopo solo da loro, appartenevano a famiglie che
hanno assimilato a loro.
  PRESIDENTE. Interessa alla Commissione capire se questa
trasformazione che lei ha spiegato dalla vecchia Cosa nostra a
quella di oggi sia stata determinata solo da questa strategia
politica nuova dei corleonesi oppure anche dall'ingresso del
traffico di stupefacenti.
  LEONARDO MESSINA. Principalmente dalla ricchezza che
hanno avuto dal traffico degli stupefacenti, perché c'è una
ricchezza immensa, e anche dai corleonesi che sono in una fase
di trasformazione di Cosa nostra. Stanno organizzando uomini
che non presentano più a nessuno. Sono nuove figure, alcune le
conosco essendo stato uno di loro, però non li presentano più
come uomini d'onore. Cosa nostra è destinata in un certo senso
a scomparire, a indossare una nuova veste.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato che le trasformazioni della
mafia sono state determinate essenzialmente dalla maggiore
ricchezza derivante tanto dalla droga quanto dagli appalti e
dalle estorsioni. Prima non c'era ricchezza perché non c'era a
chi prendere i soldi.
  LEONARDO MESSINA. Prima si stava vicino al principe, al
barone. Anche con l'uomo politico il contatto era diverso, si
levavano il cappello quando incontravano il politico. I
politici andavano a tutti i battesimi, sono venuti anche a
quello di mia suocera quando era bambina. Questo onorava i
mafiosi, li faceva sentire grandi. Mentre ora un po' la
politica ha preso il nostro costume un po' si sta allontanando
perché non è più una amicizia ma è un'imposizione.
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  PRESIDENTE. Quindi ora è Cosa nostra che impone ai
politici?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra si sta spogliando delle
vecchie alleanze. Sta creando di nuovo il sogno di diventare
indipendente.
  PRESIDENTE. Che ruolo svolgono gli ambasciatori?
  LEONARDO MESSINA. Gli ambasciatori possono essere creati
dal rappresentante di un paese, da un rappresentante
provinciale o regionale e via dicendo. Praticamente comunicano
... Per esempio, avevo un affare con il rappresentante
provinciale; senza che la mia famiglia fosse messa al
corrente, trattavo i miei affari direttamente con il
rappresentante provinciale e c'era un uomo che comunicava tra
me e lui, scavalcava il mandamento. Il provinciale per
arrivare da me doveva servirsi del mandamento, il mandamento
del rappresentante, il rappresentante del capo decina e via
dicendo.
  PRESIDENTE. Le varie province hanno tutte lo stesso peso
nella commissione?
  LEONARDO MESSINA. In un certo senso hanno lo stesso peso
perché sono i creatori della corrente corleonese. La provincia
più importante è Palermo, perché da lì partono i più grossi
traffici. Noi siamo una provincia centrale, loro sono stati al
mare ... anche perché gli uffici sono tutti a Palermo.
  PRESIDENTE. Quali uffici?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che siamo inseriti in un
contesto anche politico. Abbiamo la provincia a Caltanissetta,
a Palermo c'è la regione, per cui dobbiamo cercarci il
referente là.
  PRESIDENTE. Questo dà più peso...
  LEONARDO MESSINA. Sono anche di più. Consideri che nella
nostra provincia la realtà mafiosa non sta scomparendo, però
la gente, mentre prima ci venerava e si identificava nella
mafia, ora ci sopporta ... ha paura.
  PRESIDENTE. Ha detto un attimo fa, spiegando questo
cambiamento verificatosi per effetto dei corleonesi, che Cosa
nostra sta scomparendo e sta venendo fuori un'altra cosa. Può
spiegare questo passaggio?
  LEONARDO MESSINA. Non è la prima volta che Cosa nostra
cambia nome e pelle. I corleonesi si debbono spogliare di
tutti gli uomini. Quando sono arrivato come collaboratore ho
detto che c'era qualcosa che stava cambiando: sta cambiando il
sistema, si stanno rigenerando, non sarà più Cosa nostra, si
chiamerà ... lo hanno fatto anche in passato. Si spoglierà di
tutti gli uomini d'onore, un po' perché sono carcere e
carcere, un po' perché con la repressione li arresteranno. In
un certo senso le stiamo facendo un favore.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto? E'
molto importante; forse non abbiamo tutti gli strumenti per
capire, per cui la preghiamo di aiutarci.
  LEONARDO MESSINA. Tutti gli uomini d'onore di tradizione
che appartengono a Cosa nostra sono un disturbo per i
corleonesi. Già sono stati individuati dai vari pentiti;
stanno creando un'altra struttura di non presentazione che
sostituirà Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Una struttura segreta?
  LEONARDO MESSINA. Un'altra struttura segreta di non
presentazione. Già ci sono uomini sia sul palermitano -
qualcuno lo conosco - sia nel nisseno che non presentano a
nessuno, pur facendo i loro affari. E' una Cosa nostra
parallela.
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  PRESIDENTE. Quindi lei afferma in sostanza che in questo
momento prendendo gli uomini di Cosa nostra si finisce per
sgombrare il campo a loro, naturalmente senza volerlo.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Lei ha detto: "Non è la prima volta che
questo accade". Può spiegare che cosa vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che io ho trentasette anni,
per cui posso appartenere a questo tipo di Cosa nostra. Dal
momento che nella mia famiglia ci sono state sempre tradizioni
di Cosa nostra ... sa, tutti gli uomini d'onore pensiamo di
essere cattolici, si vuole fare risalire Cosa nostra
all'apostolo Pietro. Dall'apostolo Pietro ad ora ha avuto
molte fasi, tra cui quella della carboneria ed altro; siamo
arrivati ad oggi e Cosa nostra sta cambiando di nuovo perché
molti degli uomini di Cosa nostra appartengono alla
massoneria.
  PRESIDENTE. Torneremo su questo aspetto del rapporto tra
uomini d'onore e massoneria; seguiamo un certo schema, perché
ci aiuta a capire.
   Lei ha detto in un interrogatorio che appartenendo ad una
provincia che è al centro della Sicilia è riuscito a conoscere
un numero di informazioni particolarmente elevato. Vuole
spiegare questo concetto?
  LEONARDO MESSINA. Non solo perché appartengo ad una
famiglia centrale. A volte si costituiscono gruppi di fuoco
che appartengono a più province ed io ero uno che apparteneva
a tre province - Caltanissetta, Agrigento ed Enna -, per cui
la mia conoscenza spazia su tre province.
  PRESIDENTE. Che cosa vuol dire creare un gruppo di
fuoco?
  LEONARDO MESSINA. Alcuni omicidi vengono fatti da
batterie di uomini che appartengono a due-tre province;
dipende da quali sono le province interessate.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione come venne a
conoscenza di un'importante riunione che sarebbe stata
effettuata ad Enna?
  LEONARDO MESSINA. Ero molto legato ai rappresentanti. Ne
posso nominare alcuni perché sono morti: ero legato da
amicizia profonda con il rappresentante della provincia di
Agrigento che era Peppe De Caro e il rappresentante della
provincia di Enna. Da dopo Monciovì fino ad ora ho conosciuto
tutti i rappresentanti, fino ad arrivare a Salvatore Saitta.
Saitta non era di ceppo mafioso, ma un rapinatore divenuto
rappresentante di una provincia. In questa provincia avevo un
amico fraterno - siamo cresciuti insieme da bambini - che era
Moreno Miccichè, consigliere provinciale, uomo di fiducia dei
corleonesi; hanno fatto diventare un bravo ragazzo un
assassino. Era sempre un uomo d'onore, ma non poteva mai
arrivare a fare quello che ha fatto senza di loro.
   Da alcuni mesi prima della riunione questi uomini erano
posati nella provincia di Enna; prima della riunione erano lì,
da settembre-ottobre. Andavano a caccia, si divertivano, si
recavano nei ristoranti, anche perché era una provincia in cui
non c'è il controllo della polizia come nelle altre province.
  PRESIDENTE. Come mai?
  LEONARDO MESSINA. Lo dovrei dire a voi ...
  PRESIDENTE. Quindi, essendoci meno controllo, era più
frequente incontrarsi lì.
  LEONARDO MESSINA. Non riesco a spiegarmelo neppure io:
c'è stato un momento in cui hanno concentrato le forze dicendo
che la mafia era a Palermo, come se la parte restante della
Sicilia
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fosse immune, mentre io sono a conoscenza di quasi tutte le
province siciliane che appartengono o a Cosa nostra o alla
'ndrangheta.
  PRESIDENTE. Alla 'ndrangheta in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Sì, a Messina.
  PRESIDENTE. Di questa riunione che si tenne ad Enna
venne a conoscenza attraverso Miccichè?
  LEONARDO MESSINA. Sono venuto a conoscenza di questa
riunione perché Miccichè era un maestro di scuola, non era un
malavitoso nato, non veniva da tante tradizioni. E' stato
affiliato tra il 1984 e il 1986; non aveva spazio per
procurarsi niente. Dietro Moreno Miccichè c'ero io, dietro
Salvatore Saitta c'ero io, dietro l'avvocato c'ero io.
  PRESIDENTE. Dietro un avvocato di cui non intende fare
il nome?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Va bene.
   In questa riunione che cosa è stato deciso?
  LEONARDO MESSINA. La riunione è stata l'atto finale.
Erano lì da circa tre mesi...
  PRESIDENTE. Lì dove?
  LEONARDO MESSINA. Nella provincia di Enna. Avevano fatto
la nuova strategia e avevano deciso i nuovi agganci politici,
perché si stanno spogliando anche di quelli vecchi.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo passaggio di
alleanze?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra sta rinnovando il sogno di
diventare indipendente, di diventare padrona di un'ala
dell'Italia, uno Stato loro, nostro.
  PRESIDENTE. L'obiettivo è quello di rendere indipendente
la Sicilia rispetto al resto d'Italia?
  LEONARDO MESSINA. Sì. In tutto questo Cosa nostra non è
sola, ma è aiutata dalla massoneria.
  PRESIDENTE. Ci sono forze nuove alle quali si stanno
rivolgendo?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono forze nuove, si stanno
rivolgendo.
  PRESIDENTE. Può dire alla Commissione di quali forze si
tratta?
  LEONARDO MESSINA. Non vorrei creare qua situazioni ...
  PRESIDENTE. Va bene. Si tratta di formazioni
tradizionali o di formazioni nuove?
  LEONARDO MESSINA. Sono formazioni nuove.
  PRESIDENTE. Non tradizionali.
  LEONARDO MESSINA. No, non tradizionali.
  PRESIDENTE. In Sicilia sono forti o sono deboli?
  LEONARDO MESSINA. Non vengono dalla Sicilia.
  PRESIDENTE. Si tratta dunque di forze che vengono da
fuori?
  LEONARDO MESSINA. Da fuori.
  PRESIDENTE. Ora sono presenti in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Ancora no. Si stanno creando, perché
partirà, ma quelli che hanno avuto come alleati resteranno, ce
li hanno ancora.
                         Pag. 523
  PRESIDENTE. Può spiegare questo concetto?
  LEONARDO MESSINA. I contatti che avevano alcuni ce li
hanno sempre.
  PRESIDENTE. Con i vecchi partiti?
  LEONARDO MESSINA. Con alcuni dei partiti; questo o
quello non può essere identificato tutto in un contesto
mafioso, ma qualcuno ...
  PRESIDENTE. Con i personaggi?
  LEONARDO MESSINA. Con i personaggi tradizionali e alcuni
nuovi.
  PRESIDENTE. Lei ha fatto più volte riferimento alla
massoneria. Vuole spiegare questo rapporto?
  LEONARDO MESSINA. Molti degli uomini d'onore, cioè
quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla
massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché
è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con
gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che
amministrano il potere diverso di quello punitivo che ha Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Ed è nella massoneria che sta sorgendo
questa idea del separatismo?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Desidero precisare che tutto
quello che dico non è fonte di deduzioni o di interpretazioni
personali, ma è quello che so.
  PRESIDENTE. Queste cose le sa per conoscenza diretta?
  LEONARDO MESSINA. Sì, le so per conoscenza diretta.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che per tre mesi erano stati lì
a decidere questa strategia.
  LEONARDO MESSINA. Erano nella provincia di Enna da
alcuni mesi.
  PRESIDENTE. Quante persone erano?
  LEONARDO MESSINA. Ufficialmente la riunione è avvenuta
molto dopo. Erano quattro o cinque.
  PRESIDENTE. Era la commissione?
  LEONARDO MESSINA. Sì, era la commissione.
  PRESIDENTE. La interprovinciale?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Dalla fine di novembre in questa
commissione vi sono i rappresentanti di tutte le
organizzazioni criminali del mondo.
   Siamo sempre appartenuti ad un contesto mondiale. Ma Cosa
nostra, nella persona di Salvatore Riina, da novembre ne è il
rappresentante.
  PRESIDENTE. In uno dei suoi interrogatori lei ha parlato
di un aiuto fornito ad una cooperativa di giovani del PDS.
  LEONARDO MESSINA. Niente di politico. Questi ragazzi
erano impauriti perché dovevano fare una costruzione a Parra
Faranca. A voi può sembrare strano, ma da noi prima che si
posi un oggetto sul territorio ci vuole l'ordine del paese.
Non si può posare neppure una "uglia".
  PRESIDENTE. Quando dice del paese, vuol dire della
famiglia?
  LEONARDO MESSINA. Certo.
  PRESIDENTE. Allora questi giovani si rivolsero a lei
conoscendo il suo ruolo?
  LEONARDO MESSINA. In verità si sono rivolti ad un'altra
persona, originaria di quel paese. Mi aveva incontrato con
gente di quel paese che lui riteneva appartenessero a Cosa
nostra e aveva detto ai ragazzi di rivolgersi a lui nel
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caso ne avessero avuto bisogno. Si son rivolti a me, non per
un aiuto, ma soltanto per sapere quanto dovevano pagare.
  PRESIDENTE. Come è andata la cosa?
  LEONARDO MESSINA. L'accordo era che non dovevano pagare
niente, ma acquistare il calcestruzzo, il ferro e assumere
manodopera, imposti dal rappresentante di quella zona.
  PRESIDENTE. In questi casi il prezzo che si paga è
normale o più alto?
  LEONARDO MESSINA. Per una costruzione o un appalto?
  PRESIDENTE. Ad esempio, se devo comprare calcestruzzo da
quella ditta.
  LEONARDO MESSINA. Il prezzo è quasi sempre uguale. E' un
problema di forniture. Loro mandano gli uomini a lavorare,
forniscono il calcestruzzo. Hanno il controllo totale.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire essere "fuori confidenza"?
  LEONARDO MESSINA. Si può essere "fuori confidenza" in
molti modi. Ci sono persone che vengono escluse per un fatto
ancora da provare. Se è provato che uno è "storto", che abbia
fatto delle confidenze alla polizia, l'ammazzano. Questi
possono essere messi "fuori confidenza" se è un fatto lieve.
  PRESIDENTE. Chi è messo "fuori confidenza" ne è a
conoscenza?
  LEONARDO MESSINA. Chi è "posato" non lo sa. Chi è "fuori
confidenza" ne ha comunicazione dal suo capodecina.
  PRESIDENTE. Quindi, il "posato" non lo sa?
  LEONARDO MESSINA. Il "posato" non lo sa, perché le
riunioni avvengono senza l'uomo. Ad esempio, si decide che per
sei mesi deve essere osservato senza alcuna comunicazione. Gli
parlano, ma non gli dicono i fatti della famiglia. Se è furbo
se ne accorge.
  PRESIDENTE. Chi fa parte oggi della commissione
regionale o interprovinciale?
  LEONARDO MESSINA. Oggi fanno parte della commissione
regionale Salvatore Riina, come suo rappresentante, Giuseppe
Madonia, come sottocapo.
  PRESIDENTE. Quello arrestato?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Poi c'è Bernardo Provenzano.
  PRESIDENTE. Vive Bernardo Provenzano?
  LEONARDO MESSINA. Ho i miei dubbi. Poi c'è Nitto
Santapaola. Quando era vivo c'era anche Salvatore Saitta: a
quelle riunioni ha partecipato anche Salvatore Saitta. C'era
anche il rappresentante della provincia di Trapani, dopo
Salvatore Minore, ucciso dopo l'avvento di Mariano Agati,
rappresentante ufficiale di Cosa nostra dell'ala corleonese;
essendo ora detenuto c'è un suo sostituto.
  PRESIDENTE. Quindi, queste persone in quel periodo si
videro nella provincia di Enna.
  LEONARDO MESSINA. Sì. La provincia di Caltanissetta
stava aiutando la provincia di Agrigento perché c'era qualcosa
di nuovo che si stava muovendo. Era morto Giuseppe De Caro, il
vecchio storico corleonese era via e stavamo seguendo noi
della provincia di Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Quali sono i vari tipi di rapporto che si
hanno con Cosa nostra?
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 Essendo uomini d'onore si è dentro. Ma prima di essere
dentro, si è osservati?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ci sono altri tipi di rapporto tra l'essere
osservati in vista dell'entrare dentro?
  LEONARDO MESSINA. Cosa vuol dire "ci sono altri tipi di
rapporto"?
  PRESIDENTE. Ci sono forme di alleanza, di avvicinamento
a Cosa nostra fatte allo scopo non di entrare in Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono persone che non sono mai
volute entrare e che vivono ai margini di Cosa nostra. Sanno
che esiste, rispettano gli uomini, si accordano. Sono
imprenditori, politici e via dicendo.
  PRESIDENTE. Come si chiamano nel vostro gergo?
  LEONARDO MESSINA. Sono sempre avvicinati. Alcuni non
sono mai voluti entrare, per loro volontà. Mentre altri sono
entrati.
  PRESIDENTE. Uomini politici?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ci sono magistrati che appartengono a Cosa
nostra?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono magistrati molto vicini a Cosa
nostra. Nella mia provincia non ho mai avuto sentore di
magistrati "punti", cioè appartenenti organicamente a Cosa
nostra, ma ci sono magistrati molto vicini a Cosa nostra.
Sanno che esiste.
  PRESIDENTE. Dell'esistenza di Cosa nostra lo sappiamo un
po' tutti. Sanno che esiste e vi aiutano?
  LEONARDO MESSINA. Lo sa anche la gente della strada che
esiste Cosa nostra. A lei non deve sfuggire che ad un potere
come la giustizia che amministra i processi non poteva non
interessare Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Riuscite ad ottenere dei favori?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In base a quali criteri si scelgono i
killer?
  LEONARDO MESSINA. Gli appartenenti a Cosa nostra sono
tutti killer. Non esiste la parola killer da noi.
  PRESIDENTE. Mi sembra che lei l'abbia usata in un
interrogatorio.
  LEONARDO MESSINA. Un gruppo di fuoco. Gli incarichi più
importanti dentro Cosa nostra sono ricoperti dagli uomini più
feroci.
  PRESIDENTE. Per quale motivo Madonia utilizzava i gelesi
per queste operazioni?
  LEONARDO MESSINA. I gelesi vengono usati perché non
hanno tradizione storica di Cosa nostra. A Gela uno dei primi
uomini d'onore fu l'onorevole Aldisio, ora morto.
  PRESIDENTE. Non avevano tradizione di uomini d'onore. E
quindi?
  LEONARDO MESSINA. Praticamente se ne sono serviti per
commettere tutti gli omicidi in regola senza spiegare il
perché ai ragazzi.
  PRESIDENTE. Con loro era più facile.
  LEONARDO MESSINA. Era più facile e non si dovevano dare
spiegazioni. Si chiamava uno come me, che sapevo essere il
rappresentante del paese, quello ne
                         Pag. 526
 era il sottocapo, perché io vivevo una realtà totale di Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Non avendo tradizioni di mafia non si
ponevano tante domande?
  LEONARDO MESSINA. Non si ponevano tante domande. A Gela
la famiglia l'hanno ripristinata Madonia e Salvatore Polara.
Lui appartiene come uomo d'onore a Vallelunga, però è suo
padre, Francesco Madonia che ha voluto riaprire la famiglia a
Gela.
  PRESIDENTE. C'era un problema di riconoscimento? Quelli
di Gela non erano riconosciuti?
  LEONARDO MESSINA. Sono riconosciuti. Da noi sono
guardati in particolare perché dove vanno creano confusione,
non hanno il modo di mimetizzarsi.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto?
  LEONARDO MESSINA. Essendo una mafia giovane vuole
apparire con i vestiti belli, con i Rolex, con le Mercedes, le
BMW, eccetera, mentre il mafioso storico anche se ricco cerca
di mimetizzarsi.
  PRESIDENTE. Lei aveva una Mercedes?
  LEONARDO MESSINA. Ma io avevo uno stipendio di tre
milioni e mezzo al mese. Lavoravo alla miniera di Pasquasia.
Ho lavorato sempre. Avevo anche un lavaggio ed una macelleria.
Ho guadagnato di più con il lavoro che con Cosa nostra. Avevo
una mentalità diversa.
  PRESIDENTE. Lei, però, ha detto che il traffico di droga
rende molto.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Come mai, allora, lei dice di aver
guadagnato di più dal suo lavoro legale?
  LEONARDO MESSINA. Bisogna considerare che noi non siamo
gli artefici del traffico; "apparteniamo" quando la regione fa
dei traffici, su sigarette, droga, ed altro e il mandamento
chiama la famiglia alla quale domanda se vuole partecipare al
traffico. Molti anziani della mia famiglia non hanno mai
voluto partecipare; qualcuno ha partecipato a titolo
personale.
  PRESIDENTE. Avete quindi una tradizione di estraneità
rispetto a questo tipo di traffici?
  LEONARDO MESSINA. Negli anni passati, sì; però abbiamo
partecipato nei traffici a livello mondiale anche come
famiglia.
  ALTERO MATTEOLI. Come vengono gestiti? A chi vengono
dati i soldi?
  LEONARDO MESSINA. I soldi vengono dati al mandamento.
  PRESIDENTE. Come avviene la partecipazione a questi
traffici?
  LEONARDO MESSINA. Praticamente, il mandamento racchiude
in sé tre o quattro famiglie; qualcuno passa e chiede: volete
una quota per le sigarette, volete entrare per la droga? Se la
risposta è sì, bisogna "cucchiare" i soldi. Si fa una
riunione, si vede quello che si ha in cassa, quello che si
vuole aggiungere e tutte le famiglie mettono i soldi, per i
traffici che avvengono a Palermo, a Roma, a New York, e via
dicendo.
  PRESIDENTE. Quindi, poi, si partecipa agli utili?
  LEONARDO MESSINA. Certo; poi ci sono gli utili e il
mandamento dice: ci sono già 20 milioni dentro il pacco.
  PRESIDENTE. Per capire l'importanza di questo tipo di
traffici, ci può dire quanto si ottiene da una partecipazione
ad un traffico di droga per 20 milioni?
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  LEONARDO MESSINA. Tantissimo. Ci sono persone che hanno
messo 200 milioni ed oggi hanno 25 miliardi. I papà sono morti
da dieci anni ed hanno lasciato qualcosa al figlio, che per
esempio, nel giro di tre anni, dopo aver partecipato per 200
milioni con Stefano Bontade, ha venti miliardi di proprietà.
  PRESIDENTE. Passando alla commissione nazionale ed a
quella mondiale, cui lei ha accennato, può spiegarci meglio
cosa sono?
  LEONARDO MESSINA. Sì, la commissione regionale fa il suo
rappresentante e le altre regioni hanno il loro
rappresentante, perché non esistono altre organizzazioni in
Italia al di fuori di Cosa nostra. Tutte le altre sono
diciture, ma la struttura è sempre quella di Cosa nostra: si
chiamino sacra corona unita, 'ndrangheta, camorra, e così via,
si tratta di nomignoli, ma la struttura è Cosa nostra. Mi sono
stati presentati camorristi come uomini d'onore; sono stato in
contatto con il rappresentante regionale della Lombardia ed
altri. Le regioni eleggono il loro rappresentante nazionale,
che è il contatto con le altre organizzazioni, da non
confondere con le decine che le varie famiglie hanno sparse
per il mondo, che sono altre organizzazioni, altre mafie che
non sono Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Gli organismi nazionali e mondiali si
riuniscono quando ci sono particolari affari?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Solo per questo?
  LEONARDO MESSINA. No, anche per l'interesse che possono
avere, per esempio, in processi importanti, nei quali possono
essere coinvolti propri uomini. L'interesse è solo uno: quello
di un'unica organizzazione, non di cinque organizzazioni.
  PRESIDENTE. Lei ha fatto riferimento alla riunione di
Enna nella quale si decise una svolta: come mai parteciparono
soltanto i rappresentanti di alcune famiglie ad una riunione
così importante?
  LEONARDO MESSINA. Vuol dire che hanno fatto altre
riunioni ad altri livelli e lì dovevano comunicare. La
riunione per mettere al corrente gli altri rappresentanti
provinciali è avvenuta ufficialmente verso febbraio-marzo.
Quindi erano là solo per discutere.
  PRESIDENTE. Febbraio-marzo di quest'anno?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. C'è una gerarchia in base alla quale la
commissione nazionale comanda quella regionale?
  LEONARDO MESSINA. Sì, come ho spiegato, i livelli sono
provinciale, regionale e nazionale. Il rappresentante
nazionale si chiama sempre sottocapo e gli altri sono
componenti il nazionale: sono i rappresentanti delle varie
altre regioni, Campania, Calabria, Puglia, Piemonte, Lombardia
ed anche la Toscana (dove ci sono molti uomini d'onore, ma non
c'è ancora il livello regionale).
  PRESIDENTE. Quindi, la commissione nazionale comanda la
commissione regionale?
  LEONARDO MESSINA. Sì, sono gli stessi uomini.
Praticamente ora l'espressione è più chiara, ma nel tempo Cosa
nostra ha creato i maggiori esponenti delle varie altre
organizzazioni, che sono tutti uomini d'onore.
  PRESIDENTE. Quindi, la commissione interprovinciale
siciliana ha perso potere?
                         Pag. 528
  LEONARDO MESSINA. No, siamo padroni del nostro territorio,
padroni della regione Sicilia.
  PRESIDENTE. Prima, però, quando non c'era la commissione
nazionale, si decideva in Sicilia quello che bisognava fare,
mentre adesso non è più così?
  LEONARDO MESSINA. No, non è così. Parlo riferendomi al
periodo di cui sono a conoscenza, ma non è detto che sappia
tutto. Per sapere di più sulla commissione nazionale e sugli
altri organismi bisogna prendere un provinciale.
  PRESIDENTE. Comunque, in base a quanto le risulta, la
commissione interprovinciale ha un peso notevole?
  LEONARDO MESSINA. Certo, perché è nella propria regione,
con il proprio costume. Quelli della Campania hanno il loro
sistema e non devono dare conto di quanto avviene nel loro
territorio, a meno che non si tratti di fatti che possono
essere rilevanti a livello nazionale.
  PRESIDENTE. Da chi ha saputo dell'esistenza della
commissione nazionale e di quella mondiale?
  LEONARDO MESSINA. Che Cosa nostra apparteneva al livello
mondiale l'ho saputo sin dal 1980; che noi siamo oggi i
rappresentanti lo so da novembre.
  PRESIDENTE. Da novembre di quest'anno?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. E come l'ha saputo?
  LEONARDO MESSINA. Una sera ero a Pietraperzia, in
provincia di Enna, e c'erano tantissimi pacchi di scarpe. Ho
chiesto: cosa c'è, una festa? Mi hanno risposto: no, devi
essere contento perché il tuo principale è stato eletto
sottocapo mondiale. Da ieri, la rappresentanza mondiale di
tutte le organizzazioni è di Salvatore Riina e Giuseppe
Madonia.
  PRESIDENTE. E le scatole di scarpe?
  LEONARDO MESSINA. Hanno fatto regali a tutti: mi ero
meravigliato proprio per tutte quelle scarpe di valore.
  PRESIDENTE. Ma a novembre non era stato arrestato?
  LEONARDO MESSINA. No, sono stato arrestato il 17 aprile.
  PRESIDENTE. Quindi, parliamo del novembre non di
quest'anno, ma dell'anno scorso.
  LEONARDO MESSINA. Sì, prima mi sono sbagliato: mi
riferivo a quando ero in libertà.
  PRESIDENTE. Vi sono strutture segrete o riservate di
Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ci sono strutture che non
comunicano: non è che tutti gli uomini devono sapere. Vi sono
uomini che non sanno oltre la propria famiglia, o la propria
decina; non tutti gli uomini, cioè, vengono messi al corrente
di tutto.
  PRESIDENTE. Adesso, con i corleonesi, com'è questa
procedura?
  LEONARDO MESSINA. E' ancora peggiorata.
  PRESIDENTE. Vi sono persone che entrano in Cosa nostra
ed il cui nome è destinato a restare sconosciuto?
  LEONARDO MESSINA. Sì, o perché rivestono cariche
politiche, o perché sono uomini pubblici e nessuno deve sapere
chi sono. Lo sa soltanto qualcuno. Poi ci sono altri che sono
"punti", ai quali non tutti gli uomini si possono rivolgere,
perché c'è un passaggio obbligato. Perciò, il contatto è
sempre uno per tutti.
                         Pag. 529
  PRESIDENTE. In quale carcere si trovava quando vi fu la
strage di Capaci?
  LEONARDO MESSINA. Ero a Caltanissetta.
  PRESIDENTE. A San Cataldo?
  LEONARDO MESSINA. No, a San Cataldo c'è il carcere, ma
io ero nel carcere di Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Come si reagì in carcere alla notizia della
strage?
  LEONARDO MESSINA. Quando arrivò il flash della
notizia, ci fu un boato di festa, si battevano le mani, però
più da parte della stidda che da parte nostra, perché noi
eravamo i diretti interessati: a noi ci trasferiscono subito.
Qualcuno gridò dai piani (al carcere di Caltanissetta, Cosa
nostra sta al secondo piano): "ha detto di stare tutti zitti",
e tutti si sono quietati. Ciò non toglie che, nelle celle,
abbiamo brindato e bevuto.
  PRESIDENTE. Però, avete ordinato che in cella non si
facesse chiasso per evitare una reazione?
  LEONARDO MESSINA. Sì, non bisognava fare chiasso, ma il
boato c'è stato; se ne sono accorti tutti.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione i suoi
rapporti con Giuseppe Madonia?
  LEONARDO MESSINA. Sì; conosco Giuseppe Madonia dal 1982.
Appena sono entrato era il sottocapo provinciale, perché il
provinciale era Giuseppe Sorce, della famiglia di Mussomeli.
Diciamo che prima era diverso, perché la mia famiglia
apparteneva alla vecchia alleanza dei Di Cristina (perché
Luigi Calì, rappresentate della famiglia, era dicristiniano e
di conseguenza di Stefano Bontade, Gaetano Badalamenti ed
altri), ma con l'avvento dei corleonesi e di Giuseppe Di
Cristina si doveva stare molto attenti. Ho dovuto giustificare
dove ero il giorno che hanno ammazzato suo padre.
  PRESIDENTE. Perché ha dovuto giustificare questo?
  LEONARDO MESSINA. Perché, appartenendo al gruppo Calì-Di
Cristina, lui pensava che eravamo stati noi ad uccidere suo
padre; poi Calderone gli ha rivelato gli uomini che avevano
ucciso suo padre, molti dei quali sono morti. Ne è rimasto uno
solo.
  PRESIDENTE. Quale gruppo aveva deciso di uccidere il
padre?
  LEONARDO MESSINA. Di Cristina e Pippo Calderone.
  PRESIDENTE. Ma lei non c'entrava.
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Quindi si è instaurato un rapporto ...
  LEONARDO MESSINA. Si è instaurato un rapporto di stima,
però solo dopo il 1984-1985, dopo cioè che ero stato in varie
carceri siciliane; lui si era interessato a me in particolar
modo, poi mi hanno eletto sottocapo della famiglia, con il
compito di stare dietro al capo mandamento di Vallelunga, che
è il paese che guida anche San Cataldo, e coadiuvavo anche
Gaetano Pacino; da quel momento, dovunque egli fosse
latitante, avevo l'autorizzazione di andarlo a trovare.
  PRESIDENTE. Si riferisce a Madonia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Sapevamo che, in genere, un capo rimane nel
proprio territorio: come mai, invece, Madonia stava in Veneto?
  LEONARDO MESSINA. Attualmente è rischioso per tutti
stare sul proprio territorio;
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 sì, il colpo di stato, i corleonesi, ma ci sono anche nuove
organizzazioni che si affacciano: non si tratta di altre
organizzazioni, ma di espressioni della mafia stessa. Debbono
guardarsi da chi li vuole uccidere, perché tanto tempo fa
stavano riuscendo ad ucciderli e, quando in Sicilia succede
quel che è successo con gli omicidi Falcone e Borsellino,
girano molte forze di polizia in cui ci si può imbattere. Lui
ha fatto sempre così: saliva e scendeva dal continente, ma
c'erano sempre altre persone che prendevano ordini, ci sono i
suoi nipoti, i suoi cognati, non è certamente solo.
  PRESIDENTE. Faceva un po' su e giù.
  LEONARDO MESSINA. Un po' tutti fanno su e giù.
  PRESIDENTE. Anche Riina?
  LEONARDO MESSINA. Sì, so che si spostano sempre.
  PRESIDENTE. Con che mezzi viaggiano?
  LEONARDO MESSINA. Con macchine normalissime. E' inutile
dire che Riina cammina con sette macchine; qual è il posto in
Sicilia in cui si può camminare con cinque macchine armate?
Quella è una barzelletta. Riina viaggia solo.
  PRESIDENTE. Riina è vivo?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Riina si sposta da solo perché è il modo
migliore di camuffarsi?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Dopo l'omicidio di Gioacchino
Ribisi l'avevano fermato allo scorrimento veloce
Licata-Agrigento, ma l'avevano lasciato andare perché non lo
conoscevano.
  PRESIDENTE. Però Madonia aveva un'altra macchina dietro
quando è stato arrestato.
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma quelli non sono uomini d'onore.
Solo così lui può restare vivo. Nessuno in Cosa nostra ha più
la sicurezza di restare vivo.
  PRESIDENTE. Se non ho capito male vi è il pericolo
interno dei corleonesi, poi vi sono le altre organizzazioni
tipo stidde.
  LEONARDO MESSINA. Le altre defezioni, perché sempre
mafia è; è sempre la stessa organizzazione che ha delle
frange.
  PRESIDENTE. Vi è quindi un problema di nemici esterni e
di nemici interni?
  LEONARDO MESSINA. Perfetto. Intorno al 1986 la stidda
era riuscita ad uccidere tutti questi uomini; anch'io, quando
iniziai ad avere questa crisi morale, dopo che mi erano
successe varie peripezie, ero pronto a vendermeli tutti. Dico
venderli perché c'è un prezzo per tutti.
  PRESIDENTE. Vuole spiegare questa storia del prezzo?
  LEONARDO MESSINA. Gli uomini che ho incontrato camminano
con una tabella in cui ogni latitante ha un prezzo.
  PRESIDENTE. Uomini del SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Dalla polizia non ho mai avuto
offerte. Mi dissero che se gli avessi fatto prendere Riina mi
avrebbero dato ottocento milioni, per Madonia quattrocento
milioni, per Scarpuzzedda seicento milioni e via dicendo. Ho
chiesto, tramite altre persone, di contattare quel capitano,
ma quest'ultimo non è voluto venire ed io non potevo andare in
caserma.
  PRESIDENTE. Lui non è voluto venire da lei?
  LEONARDO MESSINA. Siccome mi perseguitava (evidentemente
aveva capito qualcosa) lo feci invitare a casa mia a
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prendere un caffè per vedere di cosa aveva bisogno: ero
pronto a dargli informazioni, ma non è venuto. Se lui fosse
venuto molte cose in Sicilia non sarebbero successe, molti
poliziotti o magistrati non sarebbero morti perché quegli
uomini sarebbero stati arrestati.
  PRESIDENTE. Quale motivo addusse quell'ufficiale?
  LEONARDO MESSINA. Il motivo non me lo ha detto, ma mi
fece sapere che gli appuntamenti intendeva darli lui. Non
potevo certo andare a casa sua a pregarlo.
  PRESIDENTE. E' verbalizzato il nome di questo ufficiale?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  MARCO TARADASH. In che anno avvenne il fatto?
  LEONARDO MESSINA. Quando loro erano riuniti tutti in un
posto. Avevo capito che tutti quelli che avevano la memoria
storica di Cosa nostra, tra i quali io, erano destinati a
morire, mentre io volevo "spedugliarmeli" tutti in una volta.
  PRESIDENTE. Lei aveva capito che ad un certo punto voi
eravate destinati ad esser fatti fuori?
  LEONARDO MESSINA. Per forza. Con me non ci hanno mai
provato fisicamente, però hanno cercato di creare le
condizioni; c'erano gli uomini giusti, che mi conoscevano fin
dalla nascita e non mi è successo niente, ma ciò non toglie
che ero destinato a morire.
  PRESIDENTE. Nel progetto dei corleonesi?
  LEONARDO MESSINA. In questo progetto dei corleonesi non
si può tenere un uomo che ha quarant'anni di storia dietro.
  PRESIDENTE. Nonché il peso della sua famiglia?
  LEONARDO MESSINA. Siamo un pericolo per loro.
  PRESIDENTE. Per capire meglio quello che dobbiamo fare,
ci può spiegare cosa teme di più Cosa nostra dallo Stato? Cosa
dobbiamo fare per accelerare, se è possibile, la sconfitta di
Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Finora siete stati a guardare, ora
state facendo qualche passo importante; non si deve dire che
siamo in democrazia perché, se volete, potete vincere, subito.
Dovete stringerli. Quando sono arrivato ho detto che vi
sarebbero stati moltissimi collaboratori; mi guardavano tutti
con sospetto perché non ero né palermitano né catanese, poi si
sono un po' ricreduti. In genere pensano che, se il pentito
non è palermitano, non ha niente da dire. Poiché mi muovevo
all'interno di una Sicilia che conoscevo bene, formata da
tante province, avevo tante sensazioni e tante notizie; si è
perfino arrivati a giustificare il pentimento di qualcuno.
  PRESIDENTE. Lei ha sentito giustificazioni?
  LEONARDO MESSINA. Si è giustificato il pentimento di un
paio di persone.
  PRESIDENTE. Questo vuol dire che vi è una specie di
crisi politica?
  LEONARDO MESSINA. Sì, i più anziani dicono che non
sopravviveranno dieci anni; ora molti nomi di nuovi
collaboratori che io conosco sono venuti fuori e porteranno la
distruzione, un po' facendo il loro gioco perché gli verranno
levate di torno alcune persone, ma un po' verranno bruciate le
tappe anche a lui. Non sarebbe poi così strano se qualcuno di
questi grossi latitanti venisse trovato morto.
                         Pag. 532
  MAURIZIO CALVI. Che significa "bruciare le tappe"?
  LEONARDO MESSINA. Praticamente eliminare gli uomini;
qualcuno che parla di Palermo già lo avete e vi dirà sempre
gli stessi nomi perché si trova in carcere da dieci anni. Ciò
non toglie che si tratti di cose importanti.
  PRESIDENTE. Quando dice "dovete stringerli", fa
riferimento a qualche azione particolare che bisogna fare?
  LEONARDO MESSINA. Non bisogna mai lasciare loro il tempo
di organizzarsi. Ho consegnato alla polizia i nomi di tutti i
componenti della provincia di Caltanissetta, dei quali mancano
solo dieci all'appello; in quella provincia la mafia non ci
sarà più se loro la vogliono veramente distruggere.
  PRESIDENTE. Insomma bisogna andare avanti su questa
strada.
  LEONARDO MESSINA. Sì. Non si deve dare spazio a nessuno.
E' vero che sono accaduti fatti eclatanti, è vero che vi sono
stati dei suicidi e che si sono verificati fatti che possono
far riflettere la gente ma bisogna andare avanti. Se si
stringe si vince subito. Se si molla, Cosa nostra avrà il
tempo di riorganizzarsi. Non dobbiamo attaccare sempre lo
Stato facendo il gioco di Cosa nostra. No, in questo momento
lo Stato va aiutato nel suo sforzo, ed io sono qui anche per
questo, non solo per i miei interessi. Non voglio fare
delazioni...
  PRESIDENTE. La ringraziamo.
   Può dirmi come è possibile restare latitanti per tanti
anni?
  LEONARDO MESSINA. Un po' perché in ogni paese comandano
il sindaco, il maresciallo, il capo della mafia. Tutti e tre
sono al corrente della presenza di un latitante sul loro
territorio, lo incontrano i poliziotti e i carabinieri ma si
voltano da un'altra parte, perché temono per la moglie, la
mamma o la suocera. Vivono nel terrore, sono prigionieri del
sistema, hanno paura di essere trasferiti. I prefetti hanno
dato l'ordine di non muoversi, e quindi hanno consentito alla
mafia di riorganizzarsi. Se si fosse data una stretta, il
gioco sarebbe finito anni fa. Si sta stringendo adesso e
finirà tra poco. Molte persone telefoneranno e vorranno venire
da voi.
  PRESIDENTE. Che intende dire quando parla del timore di
trasferimenti?
  LEONARDO MESSINA. In un paese non è che i carabinieri
possano fare tante cose. In certi paesi, la caserma dei
carabinieri è aperta fino alle sette, dopo si suona al
citofono. La caserma segue orari da bottega, mentre la mafia è
in servizio 24 ore su 24, non va in ferie né altrove.
  PRESIDENTE. Sì, ma lei ha parlato del timore di essere
trasferiti...
  LEONARDO MESSINA. Le cito un fatto: quando il
maresciallo faceva pressione e inviava sempre me al soggiorno
obbligato, gli dissi che al prossimo ci saremmo andati
insieme. Basterebbe bruciare una macchina per far sì che se ne
vadano dal paese. Ma siccome non possono allontanarsi dal
paese, perché hanno la fidanzata, la madre o la suocera, in un
certo senso dicono "basta che non succede niente nel mio
paese...". Quindi, il quieto vivere è assicurato per tutti.
  PRESIDENTE. A suo avviso, qual è l'errore più grave
commesso dallo Stato nella lotta a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Come ho detto prima, fino a quando è
stata al suo posto Cosa nostra ha fatto anche il gioco dello
Stato (gli ha portato i voti). E' esatto dire che non tutto lo
Stato ma una sua parte è stata prigioniera del sistema
mafioso, nel senso che, per esempio, lo hanno copiato e usato
i politici per assegnare gli appalti. Ora si stanno spogliando
                         Pag. 533
 e se lo volessero veramente potrebbero vincere adesso che è
vulnerabile...
  PRESIDENTE. In che modo Cosa nostra si rifornisce di
armi?
  LEONARDO MESSINA. Sono tutte fesserie gli articoli
giornalistici che parlano di navi che arrivano a Palermo
cariche di armi. Anche per le armi, come per la droga, la
mafia si avvale di mille strade: quando non può disporne le
ruba, oppure le compra al nord, in Svizzera o in Germania. Ho
funto da tramite per acquisti di centinai di milioni. Nessun
capo dirà mai di essere disarmato. Mai nessun capo regionale
dirà ad un altro capo regionale di procurargli un'arma. Le
strade sono mille...
  PRESIDENTE. Può indicarcene qualcuna, anche per capire
come bloccarle?
  LEONARDO MESSINA. La nostra fornitrice principale è
stata la Svizzera ma da qualche tempo lo sono la Germania e il
Belgio.
  PRESIDENTE. Perché la Germania?
  LEONARDO MESSINA. Dai centri NATO escono armi,
giubbotti, cartucce, tutto quello che si vuole (avete visto
come sono attrezzati!). Quando ho detto che erano in possesso
dei bazooka, si sono messi a ridere. Ne hanno trovati cinque!
  PRESIDENTE. Quindi, c'è qualcuno che li porta via da
quelle basi NATO?
  LEONARDO MESSINA. Sì, in mille modi, per mille strade,
giornalmente.
  PRESIDENTE. Lo fanno uomini di Cosa nostra oppure si
mettono d'accordo...
  LEONARDO MESSINA. No, basta andare fuori dall'Italia,
per esempio in Belgio. E' come andare a comprare le caramelle.
In Svizzera, se si ha la residenza e se si conosce un armiere,
si ottiene tutto ciò che si vuole. I kalashnikov costano un
milione e mezzo, un milione e 800 mila, 2 milioni e 300 mila,
con due caricatori a trecento colpi.
  PRESIDENTE. Quindi, ciascun gruppo si rifornisce per
fatti suoi.
  LEONARDO MESSINA. Sì, ciascun gruppo, ciascuna famiglia.
Vi sono famiglie le cui decine sono sparse a Bruxelles, a
Grenoble, in Germania, per cui hanno agganci ovunque.
  PRESIDENTE. Le armi circolano tra le varie famiglie o
no?
  LEONARDO MESSINA. No, ogni famiglia conserva le sue ma
tra i mafiosi è abitudine regalarsi armi.
  PRESIDENTE. Anche armi che sono già state usate?
  LEONARDO MESSINA. No, a meno che non se ne abbiano da
utilizzare. Per esempio, alcune armi usate a San Cataldo sono
state utilizzate a Siracusa.
  PRESIDENTE. Utilizzate a Siracusa e impugnate da persone
diverse?
  LEONARDO MESSINA. Sì, impugnate da persone diverse.
  PRESIDENTE. Quindi, se constatiamo che un'arma è stata
prima utilizzata in un posto poi in un altro, ciò non vuol
dire, necessariamente, che sia stata impugnata dalla stessa
persona o da un membro della stessa famiglia.
  LEONARDO MESSINA. Certo.
  PRESIDENTE. Può spiegare la presenza di Cosa nostra
nelle regioni del nord? Se non ricordo male, lei ha citato la
Lombardia e il Piemonte...
  LEONARDO MESSINA. Le mie conoscenze precise si
riferiscono alla Lombardia
                         Pag. 534
 ma so che in Piemonte i calabresi si sono appropriati della
regione. Gli altri gruppetti di siciliani non possono dare
fastidio all'organizzazione.
  PRESIDENTE. Può spiegare il modo in cui Cosa nostra è
presente in Lombardia?
  LEONARDO MESSINA. In Lombardia Cosa nostra è presente,
lo è già da una decina di anni ed ha costituito locali ad
Appiano Gentile, a Varese, a Como...
  PRESIDENTE. Che intende con il termine "locali"?
  LEONARDO MESSINA. Per Cosa nostra la parola "locale"
significa famiglia. Per costituire un locale occorrono, come
minimo, dieci persone.
  PRESIDENTE. Quindi, per usare il linguaggio più noto, vi
sono famiglie.
  LEONARDO MESSINA. Sì, oltre alle decine siciliane, in
Lombardia vi sono locali calabresi a tappeto: Brescia,
Sondrio, Milano eccetera.
  PRESIDENTE. E i loro affari sono gli stessi...
  LEONARDO MESSINA. Sì, però non sono ancora padroni del
territorio. Si sono inseriti anni fa e stanno iniziando a
tessere. Si impadroniranno del territorio fra cinque o sei
anni. Hanno strutture in tutti i paesi.
  PRESIDENTE. Per una organizzazione mafiosa è essenziale,
anzitutto, assicurarsi il controllo e l'occupazione del
territorio?
  LEONARDO MESSINA. Sì, prima inseriscono la famiglia,
poi, a poco a poco, assoggettano le persone. Il problema della
mafia è impadronirsi del territorio.
  PRESIDENTE. Quindi, uno dei principali strumenti di
lotta alla mafia è che a sua volta lo Stato si impadronisca
del territorio.
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma non con la presenza della
caserma, perché sarebbe una finzione.
  PRESIDENTE. E come?
  LEONARDO MESSINA. Cercando veramente di colpire dove è
necessario. Non è che inviando i soldati lo Stato può
ritenersi padrone del territorio. La gente deve credere nello
Stato. In Sicilia, almeno dalle mie parti, la gente sta
iniziando a credere nello Stato, perché adesso anche il figlio
di uno spazzino o di uno scarparo può essere laureato e come
tale può non volere più assoggettarsi agli uomini della mafia.
Questo è un fenomeno positivo che si è manifestato nelle mie
zone.
  PAOLO CABRAS. In Lombardia e in Piemonte vi sono
commissioni provinciali e regionali?
  LEONARDO MESSINA. In Lombardia, come in Sicilia, ci sono
il locale, un organo superiore, che è il controllo delle
famiglie, e il regionale. Conosco il regionale, il
mandamentale e alcuni locali. Sono calabresi e siciliani
insieme.
  PRESIDENTE. E in Piemonte?
  LEONARDO MESSINA. In Piemonte so che la struttura è
della 'ndrangheta ma non conosco nessuno.
  PRESIDENTE. Quindi, lei conosce direttamente la
struttura lombarda e non quella piemontese.
  LEONARDO MESSINA. No, non conosco direttamente la
struttura piemontese ma so che sono padroni.
  MARIO BORGHEZIO. Hanno rapporti con la politica?
                         Pag. 535
  LEONARDO MESSINA. Al nord meno che al sud. Almeno quelli
che io ho conosciuto, non sono a un livello tale da avere con
i politici...
  MARCO TARADASH. Cosa fanno?
  PRESIDENTE. Il collega desidera conoscere l'attività che
queste organizzazioni svolgono soprattutto in Lombardia.
   Dicevamo, quindi, che il problema principale è soprattutto
quello di espandersi sul territorio. E poi?
  LEONARDO MESSINA. Praticamente si occupano di tutti i
traffici che ci sono nel territorio e del reinvestimento del
denaro, creando agenzie immobiliari e finanziarie.
  PRESIDENTE. Negli appalti?
  LEONARDO MESSINA. Negli appalti, per quel che è mia
conoscenza, in Lombardia non sono a livello tale da avere
quelle infiltrazioni, quelli che conosco io.
  PRESIDENTE. Tornando alla questione della commissione
nazionale e della commissione mondiale, la commissione
mondiale è sede di consultazione o anche di decisioni
importanti?
  LEONARDO MESSINA. Anche di decisioni importanti.
  PRESIDENTE. Lei stava spiegando gli affari di Cosa
nostra in Lombardia. Ha detto che per quel che ne sa non si
occupa di appalti perché non sarebbero ancora arrivati alla
forza necessaria.
  LEONARDO MESSINA. Quelli che conosco non hanno la forza.
  PRESIDENTE. Invece, fanno investimenti immobiliari e che
altro?
  LEONARDO MESSINA. Agenzie immobiliari e tutti i traffici
possibili e immaginabili: dalla droga alle armi.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire agenzie immobiliari?
  LEONARDO MESSINA. Agenzie che comprano le case,
gestiscono l'usura. Hanno iniziato da lì.
  PRESIDENTE. I soldi li hanno loro o vengono da fuori?
  LEONARDO MESSINA. Un po' vengono anche da fuori, dipende
dal contatto che hanno. Per quanto riguarda Cologno Monzese,
dove c'è una decina, è la famiglia siciliana, il capo decina,
che gestisce, perché sono un'espressione della famiglia
siciliana. Per quanto riguarda gli altri uomini d'onore con la
dicitura 'ndrangheta, ne hanno per affari loro.
  PRESIDENTE. In Piemonte ha detto che non sa
specificamente.
  LEONARDO MESSINA. No, non so specificamente.
  PRESIDENTE. In Toscana?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono alcune decine, a mia
conoscenza. Una era espressione della famiglia di Gela.
  PRESIDENTE. Dove?
  LEONARDO MESSINA. A Campi Bisenzio.
  PRESIDENTE. A Prato?
  LEONARDO MESSINA. Di Prato ho un buon ricordo, ci sono
stato in soggiorno obbligato. Anni fa c'erano i sardi. Cosa
nostra ha entrature in quella zona. Quel personaggio anziano
che avete preso là...
  PRESIDENTE. Madonia?
  LEONARDO MESSINA. No, Giacomo Riina, da vent'anni era
là. Nel 1979 sono stato al soggiorno obbligato e lui era là.
                         Pag. 536
  PRESIDENTE. Lì faceva affari per Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Oramai per Cosa nostra la Sicilia
è piccola, non può ragionare solo nell'ambito regionale.
  PRESIDENTE. Quali sono le città o meglio le aree della
Toscana più prese, per così dire, da Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che quando si crea una
cellula non può più appartenere a quel paesino perché fanno
gli affari più vari a livello regionale, in tutti i posti; non
è più Campi Bisenzio, non va più interpretato per quel
paesino.
  PRESIDENTE. La dimensione è dunque regionale.
  LEONARDO MESSINA. E' regionale.
  PRESIDENTE. Non c'è una commissione regionale in
Toscana?
  LEONARDO MESSINA. No, il punto di riferimento era
Giacomo Riina per tutti.
  PRESIDENTE. L'unica commissione regionale fuori della
Sicilia è quella lombarda o ve ne sono anche altre?
  LEONARDO MESSINA. Ce ne sono anche altre. Quella della
Calabria.
  PRESIDENTE. E poi?
  LEONARDO MESSINA. Poi della Puglia.
  PRESIDENTE. E poi?
  LEONARDO MESSINA. Della Campania.
  PRESIDENTE. Quindi praticamente le commissioni regionali
sono cinque: Lombardia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
E' così?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quindi, quando si parla di commissione
nazionale, si intende far riferimento ai rappresentanti di
queste cinque regioni?
  LEONARDO MESSINA. Perfetto.
  OMBRETTA FUMAGALLI CARULLI. Prima ha detto anche in
Piemonte?
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche in Piemonte.
  PRESIDENTE. C'è una commissione in Piemonte?
  LEONARDO MESSINA. C'è una commissione che non conosco,
ma si sono appropriati loro; ci sono i calabresi in tutta la
regione. Anche nella Liguria ci sono varie decine che
appartengono alla Sicilia.
  PRESIDENTE. Andiamo con ordine, perché lei ne sa più di
noi.
   In Lombardia c'è una commissione?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In Piemonte c'è una commissione?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In Liguria?
  LEONARDO MESSINA. In Liguria ci sono le decine,
espressione ...
  PRESIDENTE. Quindi non c'è una commissione?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. In Veneto?
  LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza, anche se
molti affari ora partono dal Veneto.
                         Pag. 537
  PRESIDENTE. Perché?
  LEONARDO MESSINA. Perché desterebbe sospetto se
l'iniziativa partisse da una ditta di Palermo; allora sono
partiti dal nord. Hanno una ditta importante.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio? Non ho capito.
  LEONARDO MESSINA. Hanno creato la ditta.
  PRESIDENTE. Chi è il soggetto?
  LEONARDO MESSINA. Riina. Dietro questa ditta c'è lui, ma
non può essere solo lui.
  PRESIDENTE. Quindi, ha creato una ditta in Veneto e
questa ditta dal Veneto viene a lavorare giù?
  LEONARDO MESSINA. Ha punti di riferimento in ogni
regione e in ogni provincia perché si occupano di bitumi,
inerti ed altre cose. Sono del nord.
  PRESIDENTE. Ha fatto il nome di questa ditta ai
magistrati?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Scendiamo: in Emilia?
  LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza.
  PRESIDENTE. In Romagna?
  LEONARDO MESSINA. Uguale.
  ALFREDO GALASSO. A Forte dei Marmi?
  PRESIDENTE. Ci risulterebbe che Madonia è stato a Forte
dei Marmi.
  LEONARDO MESSINA. Questi si spostano dove hanno la
sicurezza di non essere aggrediti; come le ho detto, nessuno
ha più la sicurezza di restare in vita all'interno di Cosa
nostra. Anch'egli soffre di questo.
  PRESIDENTE. Come mai è stata scelta Forte dei Marmi?
  LEONARDO MESSINA. Mah... dipende forse dal fatto che lì
non aveva nessun nemico.
  PRESIDENTE. Lei è andato a trovarlo lì?
  LEONARDO MESSINA. No, io lo andavo a trovare a Palermo,
Bagheria, Enna, Villarosa. Lo dovevo trovare in Sicilia, ma
avevo dei punti di riferimento se dovevo mandargli a dire
qualcosa. Lo hanno preso al nord perché avevo un punto di
collegamento che è stato positivo.
  PRESIDENTE. In Umbria?
  LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza.
  PRESIDENTE. Nelle Marche?
  LEONARDO MESSINA. Uguale.
  PRESIDENTE. Nel Lazio?
  LEONARDO MESSINA. Cioè Roma?
  PRESIDENTE. Sì.
  LEONARDO MESSINA. Ci sono le decine di Palma di
Montechiaro che si occupano dell'usura; è in mano ai palmesi.
  PRESIDENTE. Poi?
  LEONARDO MESSINA. Io so della decina di Palma. Ci
possono essere anche venti decine; io sono a conoscenza di
quella di Palma di Montechiaro che opera su Roma.
                         Pag. 538
  PRESIDENTE. Non è a conoscenza di altre?
  LEONARDO MESSINA. Non sono a conoscenza di altre;
d'altronde le famiglie non mi debbono mettere al corrente
delle loro decine all'estero.
  PRESIDENTE. Non ha mai sentito parlare di una famiglia
di Santa Maria del Gesù?
  LEONARDO MESSINA. Santa Maria del Gesù che poi è Pippo
Calò?
  PRESIDENTE. Pippo Calò, sì.
  LEONARDO MESSINA. Questi della decina di Palma di
Montechiaro erano i suoi uomini.
  PRESIDENTE. Erano gli stessi?
  LEONARDO MESSINA. No. La decina è espressione del paese.
Se la decina viene creata da Palma di Montechiaro, debbono
fare riferimento a Palma di Montechiaro, però Pippo Calò si
serviva di quegli uomini. Me lo aveva detto Ribisi, il
fratello.
  PRESIDENTE. Quindi, non era una decina creata da Calò.
Calò si serviva di questa decina che non era la sua ma ...
  LEONARDO MESSINA. Non era la sua, però erano sempre
appartenenti a Cosa nostra ed avevano la presentazione
rituale.
  PRESIDENTE. Che tipo di lavoro fa questa decina di Roma?
  LEONARDO MESSINA. Si occupano di armi, di droga e di
usura. L'usura a Roma è in mano ai palmesi.
  PRESIDENTE. Hanno anche rapporti con la politica?
  LEONARDO MESSINA. Quella decina no perché sono soggetti
che fanno altre cose.
  PRESIDENTE. Altri?
  LEONARDO MESSINA. Altri sì.
  PRESIDENTE. Chi sono questi altri che hanno rapporti con
la politica?
  LEONARDO MESSINA. Si è detto sempre che Calò ha rapporti
con la politica, anche se non ne sono a conoscenza. Posso
parlare dei rapporti con la politica per la mia provincia, per
la mia regione. Parlo solo di quello che conosco.
  PRESIDENTE. Certamente. In Campania?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Più in generale nel Lazio, oltre che a Roma?
  LEONARDO MESSINA. Sono a conoscenza solo della decina e
del fatto che mi hanno mandato per espressione dei palermitani
ad un contatto con uno dei NAR.
  PRESIDENTE. Perché fece questo viaggio a Roma ed entrò
in contatto con i NAR?
  LEONARDO MESSINA. Perché dovevamo recuperare dei soldi a
Chianciano Terme, 300 milioni per conto di una famiglia
palermitana. L'incarico mi è stato dato dal mandamento.
  PIETRO FOLENA. In che anno?
  LEONARDO MESSINA. Credo nel 1989. Comunque, sono stato
fermato dai carabinieri insieme a quello là.
  PRESIDENTE. Che tipo di recupero era?
                         Pag. 539
  LEONARDO MESSINA. Qualcuno aveva preso della merce che non
aveva pagato. Hanno creato un gruppo, nel quale c'ero anch'io,
che doveva andare a recuperare i soldi.
  PRESIDENTE. Li ha recuperati?
  LEONARDO MESSINA. Si è impegnato a pagare. So che ha
chiuso.
  PRESIDENTE. Vuol dire che ha pagato?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Scendendo, arriviamo alla Campania. Può
spiegarci la presenza e la struttura di Cosa nostra in
Campania?
  LEONARDO MESSINA. Sono stati presentati degli uomini
come uomini d'onore appartenenti alla stessa organizzazione.
Sapevo che c'era la struttura. Mi hanno presentato ritualmente
delle persone che voi chiamate camorristi.
  PRESIDENTE. Chi sono queste persone?
  LEONARDO MESSINA. D'Alessandro.
  PRESIDENTE. Bardellino?
  LEONARDO MESSINA. So che anche Nuvoletta, Bardellino e
Zaza sono uomini d'onore appartenenti a Cosa nostra, ma non mi
sono stati presentati ritualmente. Io conosco ritualmente solo
Michele D'Alessandro.
  PAOLO CABRAS. Dove ha conosciuto D'Alessandro?
  LEONARDO MESSINA. Ci hanno presentati ritualmente al
carcere di Trapani nel 1984.
  PRESIDENTE. Lì però c'è una commissione regionale.
  LEONARDO MESSINA. Non so chi è il capo. So che ci sono
uomini che appartengono a Cosa nostra, ma non so chi è il
regionale.
  PRESIDENTE. Visto che stiamo trattando di camorra, vuole
spiegare bene alla Commissione il rapporto che intercorre tra
la camorra e Cosa nostra?
   Attualmente la camorra è composta tutta da uomini d'onore
o alcuni camorristi sono uomini d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Il vertice della camorra è composto da
uomini d'onore. Non hanno una struttura piramidale come la
nostra ma una struttura piatta e quindi le conoscenze sono
solo dei più rappresentativi.
  PRESIDENTE. C'è un rapporto tra la commissione
regionale...
  LEONARDO MESSINA. ... e la nostra commissione regionale.
  PRESIDENTE. Questi uomini d'onore della camorra per
affiliare altri uomini d'onore lo fanno automaticamente senza
dirvi nulla?
  LEONARDO MESSINA. Sì, senza dire niente. Anche la
famiglia affida i suoi uomini senza dire nulla alla regione e
al mandamento. Non è in dovere di dire niente a nessuno. La
famiglia nel suo territorio è sovrana.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, Bardellino è vivo?
  LEONARDO MESSINA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Nel senso che sa che è vivo o non sa se è
vivo o morto?
  LEONARDO MESSINA. Non so se è vivo o morto.
  PRESIDENTE. Sa nulla dei Galasso?
                         Pag. 540
  LEONARDO MESSINA. Ho sempre saputo che i Galasso
appartengono a Cosa nostra ma non mi sono mai stati presentati
ritualmente.
  PRESIDENTE. In Puglia?
  LEONARDO MESSINA. In Puglia è la stessa faccenda. La
Sacra corona unita è un'espressione dei palermitani.
  PRESIDENTE. Che vuol dire "espressione dei palermitani"?
  LEONARDO MESSINA. Hanno creato a poco a poco questo
nomignolo. Hanno cominciato a sbarcare in quella zona le
sigarette e la droga. Non è vero che hanno creato questa
struttura per difendersi dai palermitani. Questa struttura gli
è stata creata.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo concetto? Lei ha
parlato di "palermitani". Si riferisce alle famiglie di
Palermo o ad una in particolare?
  LEONARDO MESSINA. Dei traffici si interessa non una
famiglia ma un complesso di famiglie. Ho parlato dello stato
di Cosa nostra che fa un affare. Poi magari viene arrestato un
"soldato" e voi ritenete che si tratti di una persona
importante, mentre, in realtà, all'interno di Cosa nostra
riveste soltanto un ruolo marginale.
  PRESIDENTE. Se ho ben compreso, i palermitani hanno
deciso di utilizzare la Puglia per lo sbarco si sigarette e di
cos'altro?
  LEONARDO MESSINA. Di droga, perché veniva di fronte.
  PRESIDENTE. Che vuol dire di fronte?
  LEONARDO MESSINA. Veniva dai paesi dell'est ed era
quindi facilissimo con i motoscafi fare ciò che si voleva.
  PRESIDENTE. In che anni?
  LEONARDO MESSINA. Negli anni ottanta, per quello che è
in mia conoscenza, ma non è tutto quello che so io.
  PRESIDENTE. Dunque, negli anni ottanta viene scelta
quella zona.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. La droga veniva dai paesi dell'est?
  LEONARDO MESSINA. Lo scarico avveniva là, perché erano
zone meno controllate. Le forze dell'ordine hanno sempre
individuato Palermo e Trapani, mentre la provincia di Trapani
si sta spogliando di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Che vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono pochi uomini d'onore. Per lo
più si tratta di stiddari.
  PRESIDENTE. Quindi, Cosa nostra crea in Puglia
l'organizzazione della Sacra corona unita al fine di gestire
questi affari insieme?
  LEONARDO MESSINA. Inizialmente ne affiliano una o due e
poi fanno la struttura. Una volta impadronitisi del
territorio, fatta la struttura, diventano famiglie autonome da
quelle siciliane.
  PRESIDENTE. In quali zone della Puglia si è realizzato
ciò?
  LEONARDO MESSINA. Io so delle zone che vanno da Bari
verso sud.
  PRESIDENTE. Brindisi?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Verso il nord della Puglia?
                         Pag. 541
  LEONARDO MESSINA. Non so. Non mi dicevano il paese, ma la
regione.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda la Basilicata?
  LEONARDO MESSINA. Non sono a conoscenza di strutture di
Cosa nostra.
  PRESIDENTE. In Calabria?
  LEONARDO MESSINA. Il vertice della 'ndrangheta è Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Con lo stesso procedimento della Campania?
Cioè, gli 'ndranghetisti che comandano in Calabria sono
affiliati a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Il vertice è Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Gli altri?
  LEONARDO MESSINA. I soldati non sanno che appartengono
tutti ad un'unica organizzazione. Lo sa il vertice. Altrimenti
uno come me che girava l'Italia avrebbe conosciuto tutti e
invece non deve essere così. E' il vertice che deve conoscere.
  PRESIDENTE. Chi è che costituisce il vertice in
Calabria?
  LEONARDO MESSINA. Da Ciccio Mazzaferro. Uno dei vertici.
  PRESIDENTE. E' quello che si trova...
  LEONARDO MESSINA. No, quello è Peppe Mazzaferro.
  PRESIDENTE. Duttura?
  LEONARDO MESSINA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Altri nomi?
  LEONARDO MESSINA. D'Agostino, Furfaro ed altri sono
uomini di Cosa nostra.
  MARIO BORGHEZIO. Ciccio Mazzaferro è quello che opera a
Bardonecchia?
  LEONARDO MESSINA. Credo di sì. Comunque, è il fratello
di Giuseppe.
  PRESIDENTE. Mentre si parlava, l'onorevole Cafarelli ha
chiesto se conosce i vertici della Puglia. Lei cosa risponde?
  LEONARDO MESSINA. No, non li conosco.
  PRESIDENTE. Ha saputo mai nulla dell'omicidio del
giudice Scopelliti?
  LEONARDO MESSINA. Posso dire quello che si diceva dopo
l'uccisione di Falcone. Si pensava che quell'incarico fosse
ricoperto da Cordova. Si diceva come è stato ucciso Scopelliti
i calabresi uccideranno pure lui.
  PRESIDENTE. Dopo l'omicidio di Falcone si è data
un'interpretazione dell'omicidio del giudice Scopelliti?
  LEONARDO MESSINA. Non ho dato un'interpretazione, perché
sono al corrente dei fatti.
  PRESIDENTE. Non lei; si dette una certa interpretazione?
  PRESIDENTE. C'erano molti anziani in carcere, tantissimi
uomini d'onore di tutta la provincia del palermitano e di
altre.
  PRESIDENTE. Cosa dissero?
  LEONARDO MESSINA. Appena Cordova va alla superprocura
(dopo l'omicidio di Falcone si cominciò a vociferare il nome
di Cordova) saranno i calabresi a fare quello che hanno fatto
con Scopelliti.
  PRESIDENTE. Saranno i calabresi a decidere?
  LEONARDO MESSINA. E' sempre Cosa nostra a decidere.
                         Pag. 542
  PRESIDENTE. Come hanno fatto con Scopelliti?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quindi, Scopelliti sarebbe stato ucciso da
calabresi appartenenti a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì. La 'ndrangheta è solo un nome. La
struttura è tutta Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Lei ha mai saputo nulla dell'omicidio
Ligato?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Lei ci ha spiegato molto bene la presenza in
Italia di Cosa nostra. Volevo chiedere qualcosa sulle
"stidde".
  LEONARDO MESSINA. E' uguale. Le "stidde" sono
un'espressione di Cosa nostra. Un uomo messo fuori confidenza
che punge altri uomini diventa "stidda". Si comporta
precisamente come i mafiosi. Non hanno segnali, non hanno
tatuaggi, non hanno niente. Se una "stidda" in un paese
diventa forte diventa Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Però c'è anche una lotta tra le "stidde" e
Cosa nostra.
  LEONARDO MESSINA. C'è stata una rottura perché in alcuni
paesi si sono create due famiglie. Uno di questi paesi è
Riesi, centro storico per Cosa nostra. Si è creato un gruppo
dietro Di Cristina ed un gruppo dietro ai corleonesi. Quelli
di Di Cristina hanno creato il congiungimento di tutte le
"stidde". Prima la "stidda" non aveva agganci con tutti mentre
i riesani sapevano cosa vuol dire e quanti uomini d'onore nei
paesi erano messi fuori confidenza. A questo punto hanno
aggregato a loro Ravanusa, Palma di Montechiaro, Racalmuto,
Enna ed altri paesi creando una corrente. Si conoscono tra di
loro, sono gli uomini d'onore, buttati fuori, che combattono
Cosa nostra; è la stessa mafia e non un'altra organizzazione
che viene da fuori.
  PRESIDENTE. Tornando all'assassinio del giudice
Scopelliti, lei è venuto a conoscenza delle ragioni per le
quali venne effettuato?
  LEONARDO MESSINA. So quello che si diceva; posso
riferire quello che ho sentito dire. Quando la regione decide
un omicidio, a me non deve comunicare nulla.
  PRESIDENTE. Sì, cosa si diceva, e dove?
  LEONARDO MESSINA. Avevano la sicurezza che il
maxiprocesso sarebbe finito in un bluff; le sentenze
definitive, cioè, non dovevano accettare il "teorema
Buscetta".
  PRESIDENTE. Se c'era questa sicurezza, perché uccidere
Scopelliti?
  LEONARDO MESSINA. Perché non l'avevano potuto
controllare; quando non controllano i magistrati, li uccidono.
Guardi quanti ne hanno uccisi e si faccia il conto.
  PRESIDENTE. Quindi non erano riusciti a raggiungere
Scopelliti, o il giudice aveva detto di no?
  LEONARDO MESSINA. So che non l'avevano potuto
contattare, e in ogni caso non era persona contattabile.
  PRESIDENTE. In quali altre regioni italiane sono
presenti le "stidde"?
  LEONARDO MESSINA. In Liguria; anche quella del Lazio è
un'espressione della "stidda".
  PRESIDENTE. Per un quadro più completo, sono presenti in
Lombardia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
                         Pag. 543
  PRESIDENTE. In Piemonte?
  LEONARDO MESSINA. In Piemonte no, per quanto in mia
conoscenza. Preciso che è quello che mi risulta. A Palma di
Montechiaro c'è stata una frattura, la famiglia si è divisa in
due, e quella di Roma è "stidda", ma ciò non toglie che è Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. In Puglia?
  LEONARDO MESSINA. No, le "stidde" sono solo in Liguria,
a Roma, per quanto in mia conoscenza...
  PRESIDENTE. In Lombardia?
  LEONARDO MESSINA. In Lombardia no, per quanto mi
risulta.
  PRESIDENTE. Cutolo apparteneva a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Cutolo non ha mai appartenuto a Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Il soggiorno obbligato ha avuto un peso
particolare per lo sviluppo di Cosa nostra al nord?
  LEONARDO MESSINA. E' stato un punto di passaggio
importante. Anch'io sono stato al soggiorno obbligato; dove
arrivavo io, ne portavo altri cinque, sei, dieci. Avevo i miei
fratelli: siamo quattro, tutti abbastanza svegli. Siamo
arrivati lì, non ci siamo voluti rimanere.
  PRESIDENTE. Lì dove?
  LEONARDO MESSINA. Sono stato per due anni a Schignano di
Vaiano, a dodici chilometri da Prato.
  PRESIDENTE. Lì fece amicizia anche con un industriale
del posto?
  LEONARDO MESSINA. Sì, è stato uno sbaglio andar via di
lì, perché potevo vivere bene; mi voleva bene, senza i
rapporti di interesse fra un imprenditore e un mafioso. Era un
imprenditore limpido, che non aveva niente a che vedere con
Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Se non erro, temeva che qualcuno venisse
sequestrato?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Quando sono arrivato lì, mi ha
offerto del lavoro, che ho accettato. Si era messo a
disposizione: avevo comprato un duemila che apparteneva ad un
latitante, a Mario Sali, e quando mi sono venuti a cercare i
carabinieri e la polizia nel suo ufficio, si è accorto che
avevo questa macchina. Siccome gli imprenditori, in quella
zona, hanno paura dei sequestri, mi ha praticamente affidato i
suoi due bambini, che ho cresciuto come miei fratelli.
  PRESIDENTE. Può spiegare la presenza di Cosa nostra
all'estero?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Possiamo cercare di definire un quadro. In
Austria?
  LEONARDO MESSINA. No; io sono a conoscenza delle decine
in Francia, Belgio, Germania. Cosa nostra americana era
espressione delle famiglie siciliane che si sono date una
struttura.
  PRESIDENTE. Procedendo con ordine, può spiegare la
presenza di Cosa nostra in Germania?
  LEONARDO MESSINA. Sì; ci sono le decine delle varie
famiglie. Ce ne sono due di Palma di Montechiaro, una
appartenente alla "stidda" ed una appartenente ai Ribisi.
  PRESIDENTE. Ricorda in quale città?
  LEONARDO MESSINA. Credo a Mannheim.
  PRESIDENTE. Poi?
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  LEONARDO MESSINA. Per la Germania, so di quella città,
perché so di uno di quella famiglia.
  PRESIDENTE. In Francia?
  LEONARDO MESSINA. In Francia, a Grenoble.
  PRESIDENTE. In Belgio?
  LEONARDO MESSINA. A Bruxelles c'è una decina che dipende
dal paese di Campofranco.
  PRESIDENTE. In Svizzera?
  LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza.
  PRESIDENTE. Per gli Stati Uniti, cui stava accennando in
precedenza?
  LEONARDO MESSINA. Le famiglie americane hanno iniziato
come espressione delle famiglie siciliane: sono le decine che
si sono date una struttura in loco. Vi sembrerà strano
che un'organizzazione si chiami con il nome di un'altra
organizzazione. Le decine si sono date una struttura, ma le
famiglie appartengono al paese: troverete i castellamaresi,
gli alcamesi, i palermitani.
  PRESIDENTE. Lì, negli Stati Uniti?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quando queste famiglie degli Stati Uniti
devono prendere una decisione importante, la concordano con
voi in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. No, dipende da cosa si tratta. Nel
loro territorio, hanno il loro capo, parlano fra loro. Se però
si tratta di una cosa che riguarda il livello mondiale, che
può avere una risonanza internazionale, devono tener conto
dell'organizzazione.
  PRESIDENTE. La scelta politica di indipendentismo cui ha
accennato, che sarebbe stata fatta ad Enna, è stata concordata
con le famiglie di altri paesi, secondo quanto le risulta?
  LEONARDO MESSINA. Questo è un programma che non può
essere solo della mafia: è un programma della mafia e della
massoneria.
  PRESIDENTE. Lei ci ha descritto i rapporti con
'ndrangheta, Sacra corona unita e camorra; quali sono i
rapporti con le organizzazioni criminali di altri paesi?
  LEONARDO MESSINA. C'è un vertice, un punto di incontro
per tutti. Fino ad ora i capi sono stati gli altri. Come ho
spiegato, sono a conoscenza dell'esistenza di una struttura
mondiale dal 1980: sediamo in un tavolo mondiale con le altre
organizzazioni. Da quest'anno, hanno dato a noi la
rappresentanza.
  PRESIDENTE. Quando e come Cosa nostra comincia ad
occuparsi del traffico di stupefacenti?
  LEONARDO MESSINA. Ne sono venuto a conoscenza dai primi
anni in cui sono entrato in famiglia. Il vecchio Calì non
voleva sentire parlare di stupefacenti: molti vecchi non
vogliono sentire parlare di stupefacenti.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire occuparsi di stupefacenti?
  LEONARDO MESSINA. In precedenza, nei primi anni ottanta,
anche noi delle famiglie interne eravamo autorizzati a
trafficare in stupefacenti: oltre ad avere messo la quota,
ognuno poteva prendere la droga e venderla nel proprio
territorio. Da alcuni anni c'è stata tolta questa possibilità
e soltanto chi ha agganci fuori dalla Sicilia può trafficare
in droga.
  PRESIDENTE. Quindi, si compra e si vende la droga?
                         Pag. 545
  LEONARDO MESSINA. Sì, si compra e si vende.
  PRESIDENTE. Si raffina anche?
  LEONARDO MESSINA. Sì, in alcuni casi si raffina, ma non
nel caso della mia famiglia.
  PRESIDENTE. Dove si compra?
  LEONARDO MESSINA. I nostri mandamenti sono al corrente
di tutti i traffici. Quando si inizia un traffico, domandano
se una famiglia vuole partecipare con una quota. In ogni caso,
precedentemente, se la famiglia voleva lavorare con la droga
bastava che dicesse che ne voleva cinque, dieci o cento chili
ed aveva la droga, pagandola per il prezzo appartenente a Cosa
nostra; ora, c'è il divieto assoluto di vendere l'eroina in
Sicilia.
  PRESIDENTE. Perché?
  LEONARDO MESSINA. Non vogliono che la nostra gente si
droghi, perché sono stati coinvolti alcuni nostri figli e
pensano ai figli degli altri.
  PRESIDENTE. Ci sono raffinerie in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Sì, credo che ce ne siano ancora.
  PRESIDENTE. In quali aree?
  LEONARDO MESSINA. Non so se questo dibattito è pubblico
o no; ho dato delle informazioni che possono portare...
  PRESIDENTE. Se ha dato le informazioni ai giudici, va
bene.
  LEONARDO MESSINA. Quelle che ho segnalato non sono state
mai trovate.
  PRESIDENTE. Per capire meglio, si tratta di una o di
dieci raffinerie?
  LEONARDO MESSINA. Penso che ce ne siano due in attività;
comunque, ora è più conveniente farsela portare raffinata,
perché quella dei turchi costa quattro soldi.
  PRESIDENTE. Arriva attraverso la Puglia?
  LEONARDO MESSINA. Anche; la droga non ha un binario
fisso, arriva da mille posti. Va al sud, al nord, al centro,
ritorna al sud: è un viavai, un crocevia. Ogni famiglia, ogni
decina ne fa quello che vuole.
  PRESIDENTE. Cosa nostra ha ucciso, da una parte, Lima e
Salvo e, dall'altra parte, Falcone e Borsellino: quale può
essere in questa fase la reazione di Cosa nostra alla risposta
dello Stato? Non so se sono chiaro.
  LEONARDO MESSINA. Sì, lei si riferisce a quello che lo
Stato sta facendo contro Cosa nostra dopo queste morti. Nel
mirino di Cosa nostra possono entrare questi nuovi
superpoliziotti, che tutti pubblicizzano e non dovrebbe essere
così; perché ora questi vanno lì e non hanno più contatti con
nessuno delle questure, operano e vanno via, rubano e vanno
via. Nessuno può più segnalare: guarda che stanno arrivando,
"vattenne"; arrivano e pigliano corpo. Non hanno più il
controllo né della questura né dei carabinieri, dove hanno
degli infiltrati che gli comunicano le informazioni.
  PRESIDENTE. Cosa potrebbe fare Cosa nostra per risalire
questa strada un po' in discesa?
  LEONARDO MESSINA. Deve fare un colpo importante, cioè
colpire qualcuno di noi che sta collaborando per dimostrare
che ci possono colpire ovunque, così qualcuno si chiude la
bocca. Non penso che vi siano altri uomini a rischio oltre ai
superpoliziotti ed a qualcuno che si è spogliato dei vecchi
abiti e sta lottando.
                         Pag. 546
  PRESIDENTE. E' prevedibile un'altra guerra di mafia?
  LEONARDO MESSINA. E' in corso. Voi identificate la
guerra di mafia con la situazione di Palermo, ma non è così,
perché vi sono anche Racalmuto, Gela, Salaparuta ....
  PRESIDENTE. Ci sono stati un sacco di morti; a Racalmuto
mi pare siano stati cinquanta.
  LEONARDO MESSINA. A Racalmuto hanno ucciso il
rappresentante, che era Luigi Cina ed il vicecapo Burroano. La
famiglia non c'è più e sono rimasti solo quelli della
"stidda".
  PRESIDENTE. Lei ha detto che elementi del SISDE
l'avevano contattata per avere notizie utili per l'arresto di
Madonia: quando è avvenuto questo?
  LEONARDO MESSINA. E' avvenuto quando ero detenuto per un
omicidio, nel 1983.
  PRESIDENTE. Sono venuti a trovarla in carcere?
  LEONARDO MESSINA. Mi hanno mandato un segnale che
avevano un contatto; questi uomini in ogni paese hanno un
contatto.
  PRESIDENTE. Questi uomini del SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma fanno il loro lavoro.
  PRESIDENTE. Sì, certo. Essi sapevano che lei aveva
rapporti con Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì, mi hanno mandato in carcere un
segnale tramite una persona amica, chiedendomi se volevo
partecipare ad un incontro: non si sarebbe saputo niente e mi
avrebbero aiutato economicamente, ma io non vendo nessuno per
denaro.
  PRESIDENTE. Prima però lei ha detto che era pronto ....
  LEONARDO MESSINA. Quella era una guerra; poi è maturato
qualcosa di più.
  PRESIDENTE. Quando si è accorto che avrebbe fatto una
brutta fine?
  LEONARDO MESSINA. Se vuole sapere se io fossi
preoccupato di morire, ho cominciato a preoccuparmi non appena
mi hanno affiliato; tutti sono preoccupati di morire in
Sicilia. Mentre prima i boss morivano nel loro letto, ora
nessuno muore più nel proprio letto e, se ciò accade, è un
caso. Questo vale per me come per gli altri; io però avevo
perso tantissimi amici che erano cresciuti con me e sapevo
che, prima o poi, sarebbe toccato anche a me. Bisognava perciò
dare una svolta.
  PRESIDENTE. Chi decide i delitti più importanti?
  LEONARDO MESSINA. La regione.
  PRESIDENTE. Non la commissione regionale?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza le
comunicazioni vengono dalla regione, però tutto dipende da
cosa vi è da decidere; in certi casi si decide a livello
nazionale, perché gli interessi sono di una sola
organizzazione. Mi sono riferito alla regione perché in quel
caso la decisione finale spettava a quest'ultima.
  PRESIDENTE. Gli omicidi di Lima, Salvo, Falcone e
Borsellino sono stati decisi tutti da Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
                         Pag. 547
  PRESIDENTE. Solo da Cosa nostra od anche da altri?
  LEONARDO MESSINA. Gli interessi che muovono Cosa nostra
non appartengono solo a Cosa nostra, perché ormai sono a
livello mondiale. Si sono create le condizione per farli
uccidere.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che si sono create le
condizioni per farli uccidere?
  LEONARDO MESSINA. In un certo senso non avevano più
copertura. Essi sapevano che dovevano fare un atto di forza
anche per dare una risposta ai politici e, all'interno di Cosa
nostra, alla "stidda". Era un atto di forza, ma non vincente,
perdente.
  PRESIDENTE. Lei dice che, indebolita la forza politica,
ad un certo momento hanno dovuto ricorrere alla violenza di
tipo militare.
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche, ma anche per dare una
risposta ed una serenità d'animo a tutti gli uomini d'onore,
ergastolani, carcere e carcere. Ce ne sono tanti.
  PRESIDENTE. Questo riguarda l'omicidio di Falcone e
Borsellino o anche l'omicidio di Lima e Salvo?
  LEONARDO MESSINA. Di tutti. Essi praticamente si debbono
spogliare dei vecchi che non servono più e che non possono più
promettere né mantenere niente.
  PRESIDENTE. Questo riguarda Lima e Salvo?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. E per quanto riguarda Falcone e Borsellino?
  LEONARDO MESSINA. La spiegazione degli omicidi di
Falcone e Borsellino sta nel loro lavoro. I palermitani hanno
accusato specialmente Falcone di aver fatto delle soperchierie
e di averli perseguitati; loro stavano in carcere con Liggio e
gli altri e non volevano che Falcone andasse a passeggiare in
viale della Libertà: tutti in galera, noi e loro, perché anche
Falcone viveva in carcere. Comunque erano a conoscenza di
tutti gli spostamenti, non dal carcere. Sapevano dove mangiava
la pizza, quanti uomini aveva di scorta e così via ma, se
doveva essere un atto di forza, dovevano uccidere solo lui:
uccidendo gli altri quello è stato un atto di debolezza,
perché la gente non li accetta più.
  PRESIDENTE. Poiché avevano anche i bazooka, non potevano
centrare la macchina piuttosto che far saltare un chilometro
quadrato di autostrada?
  LEONARDO MESSINA. Non si trattava di una macchina ferma,
ma in corsa a 120-130 chilometri orari e per di più blindata.
  PRESIDENTE. Come possono essere entrati in possesso di
una quantità di esplosivo così grande?
  LEONARDO MESSINA. Facevo l'assistente in una miniera ed
ero il fornitore di quasi tutti i detonatori elettrici che si
usano in miniera. Sa in quanti uomini d'onore lavoravamo a
Pasquasia? Una quindicina e facevamo anche le riunioni
all'interno della miniera; faccia il conto di quante miniere
ci sono in Sicilia ... Non abbiamo la necessità di comprare
l'esplosivo all'estero perché le cave in Sicilia sono tutte in
mano nostra.
  PRESIDENTE. Passiamo ai rapporti tra mafia e politica.
In parte lei ha già risposto, tuttavia le chiedo di
sintetizzare quali erano e quali sono attualmente i rapporti
tra uomini d'onore e politici.
  LEONARDO MESSINA. In parte ho già risposto ed in parte
le dico che molti
                         Pag. 548
politici appartengono a Cosa nostra perché sono uomini
d'onore.
  PRESIDENTE. Politici siciliani o anche non siciliani?
  LEONARDO MESSINA. Quelli di mia conoscenza erano persone
anziane che poi sono morte e gente nuova che sono uomini
d'onore appartenenti alle famiglie siciliane.
  PRESIDENTE. Siciliani quindi, non di altre regioni.
  LEONARDO MESSINA. Per quanto a mia conoscenza solo
siciliani.
  PRESIDENTE. Come erano prima i rapporti tra politica e
mafia?
  LEONARDO MESSINA. Diciamo di sudditanza. Il mafioso si
atteggiava vicino al politico, anche se gli andava a chiedere
i favori. Ora è una spartizione. Facciamo le stesse cose.
  PRESIDENTE. Se non ho capito male, mentre prima vi era
un rapporto di deferenza del mafioso nei confronti del
politico ...
  LEONARDO MESSINA. Non di deferenza. Deve considerare che
la mafia si è attivata per ottenere amicizie, come se ci fosse
un patto tra la mafia ed una parte dello Stato.
  PRESIDENTE. Questo patto cosa ha ad oggetto?
  LEONARDO MESSINA. Se esaminiamo il passato ci accorgiamo
che quando Giuliano faceva il separatista Liggio lo ammazzò e
lo portò ai carabinieri; era un regalo, evidentemente non solo
a titolo personale, ma frutto di un accordo a monte.
  ALTERO MATTEOLI. Poiché Messina si sofferma molto sui
rapporti tra mafia e politica, potrebbe spiegare un po' meglio
...
  LEONARDO MESSINA. Non mi è stata rivolta una domanda
precisa perché avrei risposto.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che oggi mafia e politica,
uomini d'onore e politici fanno la stessa cosa?
  LEONARDO MESSINA. In Sicilia c'è un filone degli
appalti, che ho guidato direttamente nella mia provincia, in
cui tutti prendono le stesse percentuali: 4-5 per cento per i
politici e 3-4 per cento, 1,5-2 per cento per i mafiosi
locali. I politici guidano alcuni appalti, cioè autorizzano il
lavoro a favore di talune imprese. Poi, quando l'impresa deve
operare sul territorio, dà i soldi a Cosa nostra per la
percentuale che le compete.
  PRESIDENTE. Parleremo poi specificamente della questione
degli appalti. Questo è l'unico affare in comune o ve ne sono
altri?
  LEONARDO MESSINA. In comune hanno la massoneria.
  PRESIDENTE. Poi?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto mi risulta, gli appalti e
la massoneria.
  PRESIDENTE. Lei ha citato il nome di Caluzzo. Quali
erano le sue funzioni?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto riguarda la mia provincia,
assicurava il contatto con i politici.
  PRESIDENTE. Può dirci come avveniva questo contatto e in
che cosa si concretizzava?
  LEONARDO MESSINA. Quando questi uomini politici si
presentavano alle elezioni, Caluzzo li accompagnava, prima
                         Pag. 549
per ordine della regione poi di Madonia, nei vari mandamenti
dove .....
  PRESIDENTE. Quindi, Caluzzo li accompagnava nei vari
mandamenti. E cosa significava essere accompagnati?
  LEONARDO MESSINA. Era lui che gli uomini dovevano
contattare se volevano parlare con questo o quel politico. Lì
doveva esserci solo il mandamento e il rappresentante delle
famiglie.
  PRESIDENTE. Ciò è avvenuto per uomini politici di un
solo partito o di più partiti politici?
  LEONARDO MESSINA. Per tutti, escludendo comunisti e
fascisti.
  PRESIDENTE. Era solo Caluzzo ad accompagnare i politici?
  LEONARDO MESSINA. Solo di lui sono a conoscenza ma ce
n'è un altro in un altro paese.
  MARCO TARADASH. Puoi elencare i partiti?
  PRESIDENTE. Ci ha detto tutti i partiti, esclusi i due
che ha citato.
  LEONARDO MESSINA. Lo leggerà nelle carte dell'antimafia.
L'ho letto in uno dei primi rapporti antimafia. C'è scritto.
  PRESIDENTE. Però tenga presente che ci sono nuovi
partiti, per cui lo stesso principio vale anche rispetto ad
oggi?
  LEONARDO MESSINA. No, ce n'è qualcuno che non ha
contatti con noi, almeno nella mia provincia.
  PRESIDENTE. Può dire quali sono nella sua provincia i
partiti che non hanno contatto con lei?
  LEONARDO MESSINA. Sarebbe come se gli facessi un favore
a questi partiti.
  PRESIDENTE. Però questo favore lo ha fatto ad altri due
partiti, perché ha detto che né i comunisti né i fascisti...
  LEONARDO MESSINA. E' la verità. Con questi uomini non ho
mai avuto contatti e dove ho partecipato si sono espressi
diversamente.
  PRESIDENTE. Siccome lei asserisce che con comunisti e
fascisti non ha mai avuto...
  LEONARDO MESSINA. Intanto, io non sono comunista, per
cui lei comprende...
  PRESIDENTE. Ma è solo per capire...
  LEONARDO MESSINA. Non posso dire questo o quel partito,
perché sono venuto qui per dire quello che so. Le deduzioni
spettano a voi.
  PRESIDENTE. Sì, però mi spieghi solo questo punto. Lei
sostiene che anche altri partiti, al di fuori dei due che ha
citato, nella sua provincia non hanno avuto rapporti con Cosa
nostra. E' questo che intende dire o no?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Però non intende dire qui a quali partiti si
riferisce.
  LEONARDO MESSINA. E' così.
  PRESIDENTE. Quindi, non è esatto dire che tutti gli
uomini dei partiti politici, esclusi quei due...
  LEONARDO MESSINA. Ce ne sono anche di altri partiti.
  ALTERO MATTEOLI. Allora, aggiriamo la domanda: può dirci
con quali partiti avete contatti?
  LEONARDO MESSINA. La domanda è la stessa!
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  PRESIDENTE. Colleghi, basta leggere gli atti...
  LEONARDO MESSINA. Sono un autodidatta, però...
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda gli appalti, la
percentuale andava ai politici che li gestivano?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma non solo a loro direttamente,
nel senso che dovevano spartirseli con la commissione della
zona.
  PRESIDENTE. In sostanza, ciò riguarda solo gli appalti
della sua provincia o di tutta la regione?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che è a tappeto, è
capillare. Non si può fare nulla senza un'autorizzazione.
  PRESIDENTE. Questo avviene perché vi è un accordo tra
uomini politici e uomini di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Prima c'è un accordo tra uomini
politici e imprenditori, poi tra imprenditori e Cosa nostra,
tra politici e Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Qual è la funzione di Cosa nostra in
quest'accordo?
  LEONARDO MESSINA. Di controllare e proteggere tutto. In
ogni passaggio, se è Cosa nostra che deve assegnare un appalto
ad una ditta, lo guida fino all'ultimo. Se qualcuno non vuole
concedere il ribasso, muore.
  PRESIDENTE. Quindi, in quest'accordo, Cosa nostra funge
un po' da esercito...
  LEONARDO MESSINA. Sì, gli imprenditori che sostengono di
non sapere nulla non dicono la verità. Gli imprenditori non
possono parlare di mafia ma conoscono il discorso. Lo sanno
pure i politici.
  PRESIDENTE. Oggi, Cosa nostra sostiene candidati e
partiti politici diversi dal passato?
  LEONARDO MESSINA. Anche.
  PRESIDENTE. Quindi, mentre prima sosteneva candidati e
partiti di un certo tipo, oggi anche candidati di altri
partiti o candidati al posto di quelli?
  LEONARDO MESSINA. Si sta spogliando delle vecchie
amicizie.
  PRESIDENTE. E sta cercando...
  LEONARDO MESSINA. Si, già li ha.
  MARCO TARADASH. Quali sono?
  PRESIDENTE. Ha già risposta a questa domanda, onorevole
Taradash. Ai magistrati ha detto che Cosa nostra sta cambiando
alleanze e che adesso sta appoggiando uomini politici diversi
da quelli che sosteneva prima, anche appartenenti a partiti
politici diversi da quelli appoggiati in passato.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Per capire se un uomo politico è sostenuto
da Cosa nostra, è sufficiente valutare come i voti sono stati
espressi nelle zone controllate dall'organizzazione?
  LEONARDO MESSINA. No, perché Cosa nostra guida un
candidato per tanti anni fino a che non lo fa decollare. I
primi anni lo conosce, poi lo guida e lo presenta. Dopo non ha
più bisogno del mandamento perché si è creato da solo l'alone,
le amicizie eccetera. Comunque, molti politici hanno il
contatto con il vertice di Cosa nostra. Quando ci sono le
elezioni ci arrivano ordini di scuderia di votare per questo o
quel tizio ma non sappiamo che accordi hanno preso e cosa
hanno dato. A volte, a livello provinciale, locale o
nazionale, ci impegniamo come famiglia diversamente. Se
l'ordine di sostenere
                         Pag. 551
 un tizio arrivava dalla scuderia, va bene; invece, se si
doveva votare per due o per tre persone, una era quella
indicata dalla scuderia, le altre le cercavamo noi.
  PRESIDENTE. Che vuol dire di scuderia?
  LEONARDO MESSINA. Vuol dire ordine di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Di Cosa nostra regionale o provinciale?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che a una famiglia gli
ordini arrivano dal mandamento. E' la linea regionale che
decide.
  PRESIDENTE. Quindi, è a livello regionale che si
decidono quelli che lei chiama candidati di scuderia, quelli
da appoggiare comunque?
  LEONARDO MESSINA. E il contatto ce l'hanno loro.
  PRESIDENTE. Invece, quando vi sono più preferenze,
alcune potete distribuirle voi?
  LEONARDO MESSINA. Sì ma gli accordi li fanno solo al
vertice.
  PRESIDENTE. Nelle ultime elezioni politiche, svoltesi
con la preferenza unica, c'è stato solo il candidato di
scuderia? Oppure, che altro è successo?
  LEONARDO MESSINA. Non so se ci siano stati candidati di
scuderia ma qualcuno degli uomini d'onore ha chiesto il
permesso al mandamento e abbiamo portato...
  PRESIDENTE. Però, stando a quanto lei dice, se andassimo
a vedere come i voti sono stati espressi nei quartieri e nelle
zone maggiormente dominati da voi, potremmo o meno desumere
chi sono i politici che avete sostenuto?
  LEONARDO MESSINA. In un certo senso sì. Per esempio, mi
sono preso l'impegno, non al mio paese ma a Caltanissetta, per
evitare che entrassi in contrasto con gli altri uomini
d'onore. Avevo amicizie a Caltanissetta e mi muovevo in questa
città.
  PRESIDENTE. Quindi, se controllassimo come sono stati
espressi i voti a Caltanissetta, capiremmo chi è la persona
che lei ha sostenuto. E' questo che intende dire?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che c'è altro oltre a
questo: quando le scorte accompagnano i politici ai vari
pranzi, cene o riunioni, vedono chi sono gli uomini politici
seduti ai tavoli, che sono anche uomini di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Scusi, non ho capito.
  LEONARDO MESSINA. Prima delle votazioni si fanno dei
giri, si organizzano pranzi e cene, e ai tavoli sono seduti
anche uomini di Cosa nostra...
  PRESIDENTE. Questo lo so. Ma siccome dobbiamo capire ciò
che accade dopo, le chiedo se esaminando adesso i risultati
elettorali e constatando che il paese X, dominato dalla mafia,
ha votato Rossi...
  LEONARDO MESSINA. Posso conoscere le indicazioni che
Cosa nostra invia al mio paese. Cioè, non è che tutti i paesi
devono votare lo stesso candidato. A San Cataldo mandano a
dire: "Ordine di scuderia: tu devi votare tizio".
  PRESIDENTE. Se andiamo a vedere per chi ha votato San
Cataldo, capiamo che quella persona...
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Questo vale per tutti?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
                         Pag. 552
  MARIO BORGHEZIO. Anche al nord?
  LEONARDO MESSINA. Non sono padroni del territorio al
nord.
  PRESIDENTE. Messina ha detto di parlare delle cose che
conosce. Ha detto che al nord il meccanismo non è ancora così
forte da condizionare in questo modo la politica.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  ALTERO MATTEOLI. Un chiarimento lo deve dare perché
secondo quel che ha detto poc'anzi sul controllo del
territorio, si desume che verrebbero eletti solo i collusi.
  LEONARDO MESSINA. No. Una volta ho incontrato un
onorevole in una casa e gli ho detto: "Dobbiamo far votare un
altro, vogliamo 50 milioni". Mi ha detto: "Se volete votarmi,
puliti, se no non vi do niente". Non ci ha dato niente ed è
salito per conto suo.
  PRESIDENTE. Mi sembra di aver capito che voi orientate i
vostri voti per eleggere qualcuno ma non tutti gli eletti in
una zona li eleggete voi?
  LEONARDO MESSINA. No, ma arrivano ordini ben precisi. A
volte anche con gli ordini la persona non viene eletta.
  PRESIDENTE. Ci può essere l'ordine di eleggere una
persona che poi non viene eletta?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Si può fare un conto dei voti che riuscite a
controllare?
  LEONARDO MESSINA. Solo io, 500.
  PRESIDENTE. A Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. A San Cataldo.
  VITO RIGGIO. E in tutta la provincia di Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. Come famiglia eravamo orientati sui 3
mila voti.
  PRESIDENTE. Può capitare che in una zona controllata da
Cosa nostra, come San Cataldo, un politico prenda molti voti
senza essere sostenuto da Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Dovrebbe essere un caso raro.
  PRESIDENTE. C'è qualche scelta a favore, ma ci sono
anche scelte contro, "quello lì non lo voti"?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono uomini di un partito... Uno in
particolare che il suo stesso partito non lo può vedere.
Allora, da Cosa nostra, con i propri agganci, si diceva che si
dovevano dare i voti ad un altro di un altro partito. Questi,
avendo sentito o odorato qualcosa, ha fatto pressioni tali che
si sono mossi, e per forza doveva andare così, ma a lui
nessuno lo vuole, nemmeno il suo partito.
  PRESIDENTE. Avete indicazioni di non sostenere un uomo
politico che si batte contro la mafia?
  LEONARDO MESSINA. Bisogna vedere se lotta contro la
mafia a parole o nei fatti. Di solito tutti i politici salgono
sul palco e dicono che sono contro la mafia; bisogna vedere
nella realtà quello che fanno o gli accordi che hanno. In
Sicilia, chiunque sale sul palco è contro la mafia.
  PRESIDENTE. Questo non vi preoccupa?
  LEONARDO MESSINA. No, non ci preoccupa, è una farsa.
Pensi che un uomo politico che la sera era a cena a casa mia,
l'indomani è andato in comitato antimafia con la fascia, ed
era il primo.
                         Pag. 553
  PRESIDENTE. Comitato antimafia della città o della
regione?
  LEONARDO MESSINA. Non era un comitato antimafia, era una
fiaccolata.
  PRESIDENTE. Questo rapporto nasce anche sulla base del
pagamento di somme di denaro?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Per quanto riguarda la mia
famiglia, molte volte ci siamo mossi, oltre l'ordine di
scuderia, per ricevere denaro dai politici o in previsione di
favori.
  PRESIDENTE. Che tipo di favori?
  LEONARDO MESSINA. Abbiamo chiesto dei posti, se ci
aiutava; il fine ultimo è sempre l'appalto.
  PRESIDENTE. Ci sono candidati che pagano?
  LEONARDO MESSINA. Tantissimi.
  PRESIDENTE. Ci sono stati casi di candidati finanziati
da Cosa nostra a rovescio?
  LEONARDO MESSINA. Questo può avvenire solo a livello
superiore alla famiglia. Quando a una famiglia arrivano gli
ordini, lo deve fare. La famiglia a volte ha un piccolo
politico locale, a livello di comune o di provincia, ma gli
accordi a loro servono con la testa, non li prendono con uno
di noi.
  PRESIDENTE. Se ci sono questi accordi, può accadere che
Cosa nostra finanzi una campagna elettorale?
  LEONARDO MESSINA. Sì, oppure gli imprenditori vicini a
Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Sempre su vostra indicazione?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Una persona sostenuta in una campagna
elettorale deve essere necessariamente sostenuta in quella
successiva?
  LEONARDO MESSINA. No, a volte si è cambiato. Per uno
l'hanno fatto per una campagna sola e poi non l'hanno portato
più. C'è chi non è salito sulla prima ed è riuscito alla
seconda ed è stato sostenuto in tutti e due i casi.
  PRESIDENTE. Se un partito o un candidato che avete
sostenuto non favorisce i vostri interessi, che succede?
  LEONARDO MESSINA. Uno l'ho preso a schiaffi.
  PRESIDENTE. A che livello? Consigliere comunale,
provinciale o regionale?
  LEONARDO MESSINA. Consigliere regionale.
  MARCO TARADASH. Chi era? Siamo qua per sapere queste
cose, altrimenti a che servono le audizioni!
  PRESIDENTE. Di queste cose abbiamo già discusso, andiamo
avanti. Poi basta leggere i verbali.
  MARCO TARADASH. Non c'è scritto nei verbali.
  MAURIZIO CALVI. Perché l'avete preso a schiaffi?
  LEONARDO MESSINA. Perché ci aveva dato dei soldi e non
aveva mantenuto gli impegni. Si era impegnato a fare delle
cose, poi quando andavamo a casa sua non voleva che si
portasse il rappresentante del paese. Non poteva più venire
nel nostro territorio.
  PRESIDENTE. Quindi, aveva preso i voti poi non voleva
ricevere il rappresentante del paese in casa sua?
                         Pag. 554
  LEONARDO MESSINA. Sì, perché lui in un certo senso abitava
in zona.
  PRESIDENTE. E non voleva esporsi?
  LEONARDO MESSINA. Prima si era esposto, poi non voleva
esporsi. Di tutte queste persone, oltre a quel che dico io,
troverete un sacco di carte.
  PRESIDENTE. Quali sono le utilità concrete che le mafia
riceveva dal rapporto con i politici? Innanzitutto, gli
appalti, e poi?
  LEONARDO MESSINA. Gli appalti, la pressione sui
processi. Non dobbiamo dimenticare che ci sono tutti gli
uomini in carcere. Sapete quanti mafiosi sono in carcere? Più
di quelli che sono fuori. L'interessamento è totale: la
patente, quando c'era questo problema, il soggiorno obbligato,
quando il problema era questo, il processo. Se un mafioso va
in carcere, il problema è non prendere l'ergastolo. Se non
prende l'ergastolo, in ogni caso nel giro di 10-12 anni esce.
  PRESIDENTE. Il problema è evitare gli ergastoli?
  LEONARDO MESSINA. Sì, è evitare l'ergastolo, perché in
questo caso bisogna restare dentro per 20-25 anni almeno.
  PRESIDENTE. Come avveniva l'aggiustamento dei processi?
  LEONARDO MESSINA. Ci parlano direttamente. O il politico
o il mafioso, il rappresentante, parla direttamente con il
magistrato. A voi sembra strano ma in un ambiente come il
nostro quando il politico si presenta, il personaggio è il
mafioso non il politico.
  PRESIDENTE. Si presenta come politico ma è un mafioso,
questo vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. Quando il politico parla con un
rappresentante non ha la figura che può avere nel suo
ambiente; lì è un uomo inerme davanti ad una struttura.
  PRESIDENTE. Quindi, fa quel che la struttura gli dice?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma non è un obbligo, lo sa.
  PRESIDENTE. Anche nei rapporti con i giudici?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. L'uomo d'onore va dal giudice e chiede?
  LEONARDO MESSINA. Certo, non tutti gli uomini d'onore, a
un certo livello, o un imprenditore. C'è un'usanza: quando
arriva un magistrato, un imprenditore si preoccupa di
procurargli la casa, il giardino e altro, in attesa ...C'è chi
ci sta, c'è chi non ci sta, c'è chi muore. C'è chi vive e
sceglie la strada di mezzo.
  PRESIDENTE. Quindi, i rapporti con i magistrati erano in
parte mediati dai politici e in parte dagli uomini d'onore e
dagli imprenditori?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. La massoneria?
  LEONARDO MESSINA. La massoneria è un punto di incontro
per tutti. Anche alcuni uomini della mia famiglia sono
massoni. A San Cataldo è venuto ad abitare Michele Sindona.
  PRESIDENTE. Cosa nostra è in grado di orientare il voto
solo a Palermo, Caltanissetta e Catania, o in tutte le
località?
  LEONARDO MESSINA. E' capace di orientare il voto in
tutte le località.
                         Pag. 555
  PRESIDENTE. Naturalmente, dove più, dove meno a secondo
della forza o dappertutto?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono alcune province che non hanno
una struttura, ma comunque ci sono sempre degli uomini; in un
paese c'è un uomo d'onore ed è come se ci fosse una struttura.
  PRESIDENTE. Quali sono i mezzi per ottenere il voto?
Basta dire che volete votare per Tizio per indurre la gente a
seguire la vostra indicazione?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che intorno agli uomini
d'onore girano tantissime persone: piccoli imprenditori,
dottori. Ho la quinta elementare ed ho raccomandato gente
laureata per un posto di lavoro. Dovevano assegnare alcuni
posti in un ospedale, Cosa nostra doveva appoggiare un dottore
ed io mi sono occupato di fermare l'altro, dicendogli che il
posto doveva essere occupato ...
  PRESIDENTE. Cioè gli ha detto: "Mettiti da parte".
  LEONARDO MESSINA. L'uomo d'onore può avere la seconda
elementare, ma ciò non significa che deve badare solo al suo
livello; anche se ignorante, anche se non sa leggere e
scrivere, condiziona.
  PRESIDENTE. E' un'altra scuola.
  LEONARDO MESSINA. E' la scuola della strada.
  PRESIDENTE. Ci sono intimidazioni sulla gente, sugli
elettori per farli votare o non è necessario?
  LEONARDO MESSINA. Quando un uomo d'onore si rivolge ad
una persona e questa non fa il suo dovere - perché possono
controllare quello che vogliono - poi succede ...
  PRESIDENTE. Come fanno a controllare un voto?
  LEONARDO MESSINA. Sanno più o meno i loro uomini nel
quartiere come sono combinati e possono contare anche quelli
delle sezioni.
  PRESIDENTE. Ci sono casi di brogli elettorali?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In che cosa consistono questi brogli?
  LEONARDO MESSINA. In un paese hanno fatto votare anche i
morti.
  PRESIDENTE. Anche gli immigrati?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Nello stesso paese o in paesi diversi?
  LEONARDO MESSINA. Nei paesi di una provincia.
  PRESIDENTE. Questo è accaduto una sola volta o è
frequente?
  LEONARDO MESSINA. Un paio di volte a mia conoscenza.
  PRESIDENTE. Elezioni comunali o nazionali?
  LEONARDO MESSINA. Regionali.
  PRESIDENTE. Nella sua provincia?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Si può sapere in quale provincia?
  LEONARDO MESSINA. Enna.
  PRESIDENTE. Come si faceva a far risultare i voti degli
immigrati?
                         Pag. 556
  LEONARDO MESSINA. Una persona ha votato trenta volte
perché quelli che gestivano il seggio erano tutte persone di
Cosa nostra.
  PRESIDENTE. In uno degli interrogatori ha detto di aver
sentito queste cose nello studio dell'avvocato Bevilacqua ...
  LEONARDO MESSINA. Non solo.
  PRESIDENTE. Anche in altri posti. Può dire alla
Commissione che ruolo svolgeva l'avvocato Bevilacqua?
  LEONARDO MESSINA. L'avvocato Bevilacqua è diventato uomo
d'onore di Barrafranca. Quando l'ho conosciuto era sottocapo
della provincia di Enna.
  PRESIDENTE. Nelle ultime elezioni regionali Cosa nostra
- per quello che lei sa - ha appoggiato i partiti tradizionali
o anche partiti nuovi?
  LEONARDO MESSINA. I partiti tradizionali, almeno nel mio
paese. Ci sono stati partiti non appoggiati che hanno preso
3.300 voti senza nessun controllo.
  PRESIDENTE. Un commissario vorrebbe sapere se ha notizia
di atti criminosi commessi da Cosa nostra su richiesta di
uomini politici.
  LEONARDO MESSINA. Consideri che il politico crea la
condizione. Nessuno può ordinare a Cosa nostra, perché Cosa
nostra ordina da sola.
  PRESIDENTE. Ho detto "richiedere", non "ordinare".
  LEONARDO MESSINA. Può essere che per esempio un
poliziotto, un questore sta dando fastidio, sta arrivando in
un posto dove ... lo segnalano, non dicono "ammazzatelo"; se
la vede sempre Cosa nostra. Viene segnalato.
  PRESIDENTE. Cioè dice: "Quello sta dando fastidio"?
  LEONARDO MESSINA. "Sta arrivando là".
  PRESIDENTE. Questo basta?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quindi è sufficiente che un politico segnali
a Cosa nostra che una certa persona sta dando fastidio e Cosa
nostra capisce che cosa deve fare? E' così?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra intanto valuta se il
fastidio è per tutti, compresa se stessa.
  PRESIDENTE. Certo. Sa o è a conoscenza di casi anche di
delitti gravi, omicidi, commessi in questo modo?
  LEONARDO MESSINA. In un certo senso. Se un politico è
uomo d'onore e ha partecipato a delle riunioni è responsabile.
  PRESIDENTE. Riunioni in cui sono decisi omicidi?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare l'ipotesi separatista? Lei ha
detto che la Sicilia è troppo piccola ormai per gli affari di
Cosa nostra; poi però ha aggiunto che a Cosa nostra e ai
massoni insieme ora interesserebbe il separatismo siciliano.
Può spiegare questi due concetti che sembrano apparentemente
in contraddizione?
  LEONARDO MESSINA. "Massone" è una parola che poi
racchiude tantissimi tipi di persone. Cosa nostra non può più
rimanere succube dello Stato, sottostare alle sue leggi, Cosa
nostra si vuole impadronire ed avere il suo Stato.
  PRESIDENTE. Quindi il problema è quello di avere una
grossa base per essere più coperta, più tutelata e da lì
partire per fare operazioni all'esterno?
                         Pag. 557
  LEONARDO MESSINA. Sì. Cosa nostra non viene mai alla sua
regione. Vende la droga all'estero perché non vuole che i suoi
figli siano drogati.
  PRESIDENTE. Riina, che lei sappia, è massone?
  LEONARDO MESSINA. Dicono che è massone.
  PRESIDENTE. Sa quali altri dei grandi capi di Cosa
nostra sono massoni?
  LEONARDO MESSINA. Le posso dire quali sono stati perché
purtroppo molti sono morti.
  PRESIDENTE. Mi può dire quali sono stati?
  LEONARDO MESSINA. Sono stati Stefano Bontade, Nicola
Terminio, Moreno Miccichè ed altri.
  PRESIDENTE. E di quelli viventi, oltre a Riina,
Santapaola?
  LEONARDO MESSINA. Credo che il vertice di Cosa nostra
sia massone. Bisogna vedere anche il loro livello di cultura;
non entrano tutti, il potere deve essere detenuto da due-tre.
Santapaola è l'espressione di una corrente, è un uomo di
Madonia.
  PRESIDENTE. Madonia è massone?
  LEONARDO MESSINA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. Le spinte separatiste vengono da fuori o
sono dentro i confini nazionali?
  LEONARDO MESSINA. Penso che vengono da fuori dei confini
nazionali. Posso parlare del programma della regione mafiosa;
sarebbe assurdo che sapessi che cosa decide la massoneria. So
che cosa ha deciso Cosa nostra.
  PRESIDENTE. E la regione ha deciso, come lei ci
spiegava, di orientarsi verso l'indipendentismo, verso un
nuovo separatismo?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Questo separatismo sarebbe in collegamento
con forze - lei dice - non nazionali o anche con forze
nazionali?
  LEONARDO MESSINA. Anche con forze nazionali.
  PRESIDENTE. Quindi con forze nazionali e non nazionali?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Le forze nazionali sono politiche o no?
  LEONARDO MESSINA. Anche politiche.
  PRESIDENTE. Politiche e non, quindi?
  LEONARDO MESSINA. Politiche ed imprenditrici.
  PRESIDENTE. Non istituzionali?
  LEONARDO MESSINA. Anche.
  PRESIDENTE. Quindi ci sono settori, per così dire, delle
istituzioni, dell'imprenditoria e della politica che
sosterrebbero questo progetto?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Questo per quanto riguarda l'Italia. Per
quanto riguarda l'estero, che lei sappia?
  LEONARDO MESSINA. Dell'estero non so. So quello che
hanno deciso là.
                         Pag. 558
  PRESIDENTE. Quindi sa che c'è un sostegno anche
dall'estero, ma non sa da che parte venga. E' così?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Consideri che vengo a conoscenza
solo dei fatti che decide Cosa nostra; posso parlare dei
passaggi di cui sono a conoscenza, non posso fare deduzioni
sull'estero.
  PRESIDENTE. Non c'è dubbio. La teoria separatista vuol
dire colpo di Stato o vuol dire ...
  LEONARDO MESSINA. In precedenza Cosa nostra si adoperava
per fare colpi di Stato.
  PRESIDENTE. Nel passato sì, così come ha spiegato ...
  LEONARDO MESSINA. Oggi possono arrivare al potere senza
fare un colpo di Stato.
  PRESIDENTE. Quando ha fatto riferimento su mia domanda
anche ad interessi di alcuni settori istituzionali ad un
progetto di separazione della Sicilia. Può spiegare a quali
settori si è riferito?
  LEONARDO MESSINA. Che cosa vuol dire con la parola
settori? Mi scusi, ma non la capisco.
  PRESIDENTE. Le istituzioni sono tante: c'è la
magistratura ...
  LEONARDO MESSINA. I politici che sono uomini d'onore
sanno del progetto. Non è solo di Cosa nostra; c'è il politico
che è di Cosa nostra perché è "pungiuto". Il programma lo
fanno insieme ...
  PRESIDENTE. Questo è chiarissimo. Siccome ci ha spiegato
che anche nelle istituzioni ci sono persone o interi gruppi
(non ho ben capito) che appoggiano questo progetto, le
istituzioni sono tante, magistratura, forze dell'ordine ...
  LEONARDO MESSINA. Non è esistito mai un terzo livello
che desse ordini a Cosa nostra, ma c'è la massoneria che
racchiude tutti gli altri organismi ...
  PRESIDENTE. Quindi, questi sostegni vengono da tutte le
istituzioni o da una in particolare?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza, dicono
da una in particolare.
  PRESIDENTE. Può dire da quale delle istituzioni in
particolare?
  LEONARDO MESSINA. Anche dalla giustizia.
  PRESIDENTE. Della magistratura, quindi.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Si parla di magistratura siciliana o di
magistratura al di fuori della Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. I processi li hanno fatti a Palermo.
Ci sono magistrati che sono stati contattati da Cosa nostra,
che non si sono voluti assumere l'onere di assolvere. Sono
stati uccisi per la strada.
  PRESIDENTE. Saetta, in questo caso?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ricordo ai colleghi che Saetta è l'unico
caso di giudice di dibattimento ucciso; presiedeva il processo
per l'omicidio Basile.
  LEONARDO MESSINA. Credo di sì.
  ALTERO MATTEOLI. Perché contattato aveva dato
assicurazione...?
  LEONARDO MESSINA. Perché aveva detto che non faceva
queste cose. Questo lo so con certezza perché gli uomini che
hanno partecipato li conosco tutti.
                         Pag. 559
  MAURIZIO CALVI. Chi sono gli uomini di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Non lo posso dire.
  PRESIDENTE. Mi pare di aver già detto che per quanto
riguarda le responsabilità penali sono altre le autorità che
intervengono. Noi non abbiamo competenza.
  MAURIZIO CALVI. Non volevo sapere i nomi.
  PRESIDENTE. Ha detto che Saetta è stato ucciso perché
avvicinato ha detto di no.
  LEONARDO MESSINA. Sì, ha detto di no.
  PRESIDENTE. Tra l'altro vorrei ricordare ai colleghi che
quel processo era particolarmente importante. Era l'omicidio
Basile che tornava, se non ricordo male, dall'annullamento
della Cassazione. Quindi, c'era un nodo particolarmente
rilevante. Ha poi spiegato che l'omicidio è stato commesso da
uomini di Cosa nostra. Credo che la Commissione parlamentare
non abbia interesse a conoscere gli autori dell'omicidio.
  ALTERO MATTEOLI. Saetta paga con la vita il rifiuto. Ma
fu avvicinato. Chi lo ha avvicinato?
  PRESIDENTE. Questo lo potremo vedere per via
istituzionale.
  LEONARDO MESSINA. Io non parlo del colpo di Stato della
magistratura. Ho detto che ci sono alcuni magistrati massoni
che sono a conoscenza di questo disegno.
  MAURIZIO CALVI. Siciliani?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Non posso dire di magistrati che
vengono da Milano perché non li conosco.
  PRESIDENTE. Prego i colleghi di rimanere nei binari
stabiliti. Non possiamo chiedere a Messina notizie di cui non
è a conoscenza. L'onorevole Lima aveva un ruolo particolare
nel rapporto con Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare quale era questo ruolo?
  LEONARDO MESSINA. Era il punto di contatto di alcuni
politici per arrivare ad un altro posto.
  PRESIDENTE. Qual'era?
  LEONARDO MESSINA. Non lo posso dire.
  PRESIDENTE. Un posto istituzionale, politico?
  LEONARDO MESSINA. Sì, politico.
  PRESIDENTE. Lo ha già detto all'autorità giudiziaria?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quest'altro posto era quello che faceva
favori a voi?
  LEONARDO MESSINA. Anche Lima faceva favori a noi.
  PRESIDENTE. Quindi, Lima li faceva sia direttamente sia
da intermediario per un livello più elevato?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Non tutti gli uomini d'onore vanno
a parlare con Lima o con altri politici. C'è sempre un punto
di contatto che è un uomo d'onore importante o meno
importante.
  PRESIDENTE. Quindi, c'era un uomo d'onore che prendeva
contatti con Lima?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
                         Pag. 560
  PRESIDENTE. Alcune cose Lima le faceva direttamente?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Per altre cose a sua volta era mediatore con
un livello più alto?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Si trattava di un livello politico più alto?
  LEONARDO MESSINA. Sì, una corrente.
  PRESIDENTE. La corrente di Lima?
  LEONARDO MESSINA. Una corrente.
  MARCO TARADASH. Non è un segreto di Stato.
  LEONARDO MESSINA. Vi mando la foto dell'uomo del SISDE.
Se lei vuole, le dico il nome e lo va a prendere.
  PRESIDENTE. Questo è compito dei giudici, non nostro.
   I favori che poteva fare Lima erano favori di tipo
siciliano e anche di tipo nazionale?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Da cosa derivava il credito che Lima aveva
in Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Non so se i suoi familiari sono stati
mafiosi o no. Io so che era un uomo molto vicino alle nostre
posizioni. Ad esempio, si interessava degli appalti in ambito
minerario. L'avvocato che prima ho menzionato rappresentava il
punto di contatto per la provincia di Enna.
  PRESIDENTE. Bevilacqua?
  LEONARDO MESSINA. Sì, io so di quello di Enna.
  PRESIDENTE. Tra gli uomini politici che vi aiutavano
c'erano anche uomini politici non eletti in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Quando si fa un appalto partecipano
anche le ditte del nord. Per questo si erano create delle
figure di uomini d'onore di controllo degli imprenditori del
nord. Credo che i favori li chiedano anche quelli del nord.
  PRESIDENTE. Quindi ci sono anche uomini politici non
eletti in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio cosa sono questi uomini
di controllo?
  LEONARDO MESSINA. Nel momento in cui si finanzia un
appalto alla gara non partecipano soltanto ditte siciliane ma
anche ditte del nord. Quindi, ci sono uomini che hanno il
compito di stabilire determinati contatti per ottenere il
ribasso.
  PRESIDENTE. Quindi, ci sono uomini che contattano le
ditte e che rivelano il tipo di ribasso stabilito?
  LEONARDO MESSINA. Sì. In ogni caso se Cosa nostra deve
vincere una gara d'appalto, la vince.
  PRESIDENTE. Anche con l'imbroglio, come ha spiegato una
volta?
  LEONARDO MESSINA. Ho dei certificati antimafia in mano.
  PRESIDENTE. Sottratti dalle buste?
  LEONARDO MESSINA. Li ho sottratti personalmente.
  PRESIDENTE. Aiutato da qualcuno o da solo?
  LEONARDO MESSINA. In prefettura non potevo entrare.
Evidentemente qualcuno me li avrà dati.
                         Pag. 561
  PRESIDENTE. Dall'interno della prefettura?
  LEONARDO MESSINA. Credo di sì.
  PRESIDENTE. Può dire sì o no.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Non c'è nessuna ditta che vinca un appalto
in Sicilia che non abbia ricorso a questa intermediazione? E'
questo il principio?
  LEONARDO MESSINA. Non c'è nessuna ditta in Sicilia che
non abbia fatto una mediazione con i politici e con la mafia.
  PRESIDENTE. C'è qualche imprenditore in particolare che
è più dentro Cosa nostra o sono tutti fuori?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono molti imprenditori "pungiuti",
cioè uomini d'onore, poi ce ne sono alcuni fiduciari di Cosa
nostra. Se un uomo d'onore cade in disgrazia si va da loro a
chiedere, ad esempio, cento milioni. Questo è il contatto.
Nelle varie province della Sicilia si sono fatte riunioni per
stabilire come si doveva aggiustare.
  PRESIDENTE. C'è qualche imprenditore che sia
organicamente dentro Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Molti imprenditori sono uomini
d'onore.
  PRESIDENTE. In atti pubblici lei ha riferito di un
imprenditore (forse due) particolarmente vicino a Riina. Che
funzione aveva questo imprenditore?
  LEONARDO MESSINA. Sì, in qualsiasi paese seguiva
l'appalto. Alla famiglia del luogo non dava più dell'1 per
cento perché il resto era della regione e nessuno doveva
toccarlo.
  PRESIDENTE. Se qualche imprenditore non era d'accordo,
cosa succedeva?
  LEONARDO MESSINA. Quello che è successo a Ranieri.
  PRESIDENTE. E' stato ucciso?
  LEONARDO MESSINA. E' stato ammazzato.
  PRESIDENTE. Era quest'altro imprenditore che decideva?
  LEONARDO MESSINA. No. L'imprenditore dice: quello non mi
ha voluto ricevere per il ribasso. Poi è sempre Cosa nostra a
decidere cosa fare, a meno che l'imprenditore non sia uomo
d'onore ed allora partecipa alle riunioni.
  PRESIDENTE. L'imprenditore al quale ci riferiamo è stato
arrestato ed ora è sottoposto a procedimento. Le chiedo qual
era il ruolo di Siino.
  LEONARDO MESSINA. Siino è l'uomo che ha fatto tutte le
riunioni nelle province siciliane per accordare tutte le
grosse imprese, per aggiustare. Quando si doveva fare un
appalto si parlava con Angelo per il ribasso. Tutti gli
appalti avvenivano in questo modo.
  PRESIDENTE. Angelo Siino?
  LEONARDO MESSINA. Angelo Siino.
  PRESIDENTE. Siino è vicino a Riina?
  LEONARDO MESSINA. E' l'ambasciatore di Salvatore Riina.
  PRESIDENTE. Ed è uomo d'onore, naturalmente?
  LEONARDO MESSINA. Non me l'hanno mai presentato come
uomo d'onore. Fa parte di una casta che non è presentabile.
Comunque è un rigenerato, cioè viene come me da una corrente
che esisteva prima dei corleonesi.
                         Pag. 562
  PRESIDENTE. E' una famiglia antica?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Siino è massone?
  LEONARDO MESSINA. Mi hanno detto che è massone, ma lui
personalmente non me lo ha detto.
  PRESIDENTE. Dopo la sentenza della Cassazione del
gennaio 1992, che confermò gli ergastoli, quali furono le
reazioni di Cosa nostra? Lei dov'era allora? Era in carcere?
  LEONARDO MESSINA. Ero fuori.
  PRESIDENTE. Nel gennaio 1992 era fuori?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Sono stato arrestato il 17 aprile.
  PRESIDENTE. Quali furono le reazioni di Cosa nostra? Ve
l'aspettavate?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Perché non ve l'aspettavate?
  LEONARDO MESSINA. Si pensava che non avrebbero creduto
sino in fondo a quel discorso. Praticamente la magistratura
quando non ha prove concrete sceglie una via di mezzo
(10-15-20 anni) ed il mafioso avrebbe accettato.
   Consideri che molti sono ergastolani; in un certo senso, è
un favore che i corleonesi hanno chiesto ai suoi ergastolani,
perché ce ne sono tantissimi della corrente contro.
  PRESIDENTE. Quando c'è stata la conferma degli
ergastoli, quale reazione hanno avuto Cosa nostra e i
corleonesi?
  LEONARDO MESSINA. Ho parlato direttamente con alcuni
uomini vicini a Salvatore Riina, con i suoi bracci armati, che
erano a conoscenza dei movimenti di Falcone e mi avevano detto
che non potevano ucciderlo in quel momento perché ne avrebbero
fatto un mito. Comunque - dicevano - vedremo. Poi hanno preso
altre decisioni, evidentemente, dovevano dare una spiegazione
agli uomini dentro ed una risposta a quelli fuori.
  PRESIDENTE. Praticamente, Riina aveva promesso qualcosa?
  LEONARDO MESSINA. Sì; tutti sapevano che il maxiprocesso
doveva andare bene in cassazione.
  PRESIDENTE. Qualche uomo politico aveva garantito che le
cose sarebbero andate bene, secondo quanto le risulta?
  LEONARDO MESSINA. All'interno di Cosa nostra si
vociferano tante cose: quello che si dice all'interno di Cosa
nostra deve essere per forza verità, riscontrabile; non può
essere che si dica il falso.
  PRESIDENTE. Non le ho chiesto i nomi; volevo sapere se
il rapporto che avrebbe dovuto garantirvi era con un uomo
politico, con un massone, o direttamente con un magistrato.
  LEONARDO MESSINA. Consideri che tra di noi non si nomina
un determinato massone, perché è il vertice che è massone:
loro sanno dove si può arrivare. C'era stato garantito che il
maxiprocesso sarebbe andato a finire bene, punto e basta.
  PRESIDENTE. E perché venne ucciso Lima?
  LEONARDO MESSINA. Lima cominciò ad essere prigioniero di
un sistema, di una struttura, perché essere amico dei mafiosi
prima di questa generazione era facile per tutti: quando
vedevano gli onorevoli, "si levavano o cappieddo e ci davano a
seggia". Avere un onorevole ad un battesimo, o a
un'inaugurazione, era
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una cosa in. Ora è diventata un'imposizione: devi fare
così e basta.
  PRESIDENTE. Dopo, Lima è rimasto prigioniero di una
struttura che stava cambiando, diventando più oppressiva?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma altre persone, anche a livello
locale, avevano cambiato: a lui non hanno dato la possibilità
e lo hanno ucciso.
  PRESIDENTE. Perché lo hanno ucciso?
  LEONARDO MESSINA. Non avendo potuto fare niente per
loro, non aveva più senso. Sono così ricchi che ora possono
gestirsi tutto. Tutti gli altri sono prigionieri del loro
stesso sistema: come vive Riina, può vivere un onorevole che
veramente fa...
  PRESIDENTE. Se era diventato inutile, che ragione c'era
per ucciderlo?
  LEONARDO MESSINA. Si doveva dare dimostrazione che chi
non mantiene i patti muore: in Cosa nostra è così.
  PRESIDENTE. Quale patto non aveva mantenuto?
  LEONARDO MESSINA. L'interessamento e la sicurezza che
gli uomini d'onore non sarebbero stati ergastolani.
  PRESIDENTE. Perché è stato ucciso Ignazio Salvo, secondo
quanto le risulta?
  LEONARDO MESSINA. I Salvo appartengono alla famiglia di
Salemi, della quale conosco qualcuno, perché essendo stato al
carcere di Trapani conosco tantissimi uomini d'onore. I Salvo
sono un ceppo storico: tutti quelli che appartengono alla
storia di Cosa nostra devono morire; tutti quelli che hanno
avuto il contatto con i politici devono, in un certo senso,
perire. Non ci devono essere tracce, né memorie storiche del
passato.
  PRESIDENTE. Perché?
  LEONARDO MESSINA. Perché si sta cambiando pelle.
  PRESIDENTE. Lei, in un suo interrogatorio, ha detto che
era dovuto andare a Palermo per parlare con i palermitani
quando si appaltavano i lavori nella sua provincia. Non so se
ricorda.
  LEONARDO MESSINA. Sì, sono andato in un posto dove ci
doveva essere il rappresentante della provincia di Trapani: io
ero con l'ambasciatore della provincia di Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Perché doveva andare a Palermo?
  LEONARDO MESSINA. Non a Palermo; siamo andati sotto
Corleone, a San Giuseppe di Altera.
  PRESIDENTE. Per incontrarvi con i palermitani?
  LEONARDO MESSINA. Per incontrarci con i palermitani e
con quello là; a volte, ci sono ditte che riguardano una
provincia e bisogna passare attraverso forme ben precise. A
volte, i capi sono fuori dalla Sicilia e si muovono gli
ambasciatori sotto direttiva.
  PRESIDENTE. Quello là che dovevate incontrare è
l'imprenditore?
  LEONARDO MESSINA. L'imprenditore l'ho incontrato a casa
di Angelo Siino, ma per un caso; ero là per altro.
  PRESIDENTE. Ma nell'incontro a San Giuseppe di Altera,
aveva visto questo imprenditore?
  LEONARDO MESSINA. Sì, avevo incontrato l'imprenditore a
casa di Angelo Siino e poi siamo andati là.
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  PRESIDENTE. Quella volta che siete andati poi a mangiare
in una casa di campagna?
  LEONARDO MESSINA. Sì, siamo andati a casa di Bernardo
Brusca.
  PRESIDENTE. Il sistema degli appalti, quindi, funziona
sinteticamente così: il politico dà l'autorizzazione...
  LEONARDO MESSINA. A finanziare il lavoro.
  PRESIDENTE. Una volta che il lavoro è finanziato,
intervenite voi? Oppure intervenite anche per sollecitare il
politico?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono due casi: nel primo il
politico guida il lavoro insieme con Cosa nostra; nel secondo
lo guida insieme con l'imprenditore. In ogni caso, comunque,
Cosa nostra deve sempre avere il suo: solo che, se lo guida
Cosa nostra, ad un mese dall'aggiudicazione dell'appalto,
quando nessuno può fare ricorso, ci vuole la percentuale;
mentre, nell'altro caso, quando si esegue il lavoro nella zona
si deve pagare.
  PRESIDENTE. Quindi, nel primo caso, il pagamento avviene
subito, anticipatamente?
  LEONARDO MESSINA. A trenta giorni dalla vincita della
gara d'appalto, quando nessuno può fare più ricorso.
  PRESIDENTE. Quando è certo che l'aggiudicazione è stata
effettuata: anche se non sono cominciati i lavori?
  LEONARDO MESSINA. Non ci riguarda: in quel caso li
prendiamo anticipati.
  ALTERO MATTEOLI. Quindi, il politico fa finanziare il
lavoro e poi l'appalto viene gestito nel modo che ha detto?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Con due tipi di intervento: il primo, con il
pagamento a trenta giorni dopo che l'aggiudicazione è stata
effettuata e non vi è più possibilità di impugnazione; il
secondo, con il pagamento quando cominciano i lavori. Quale
differenza c'è tra queste due forme? Quando si ricorre all'una
o all'altra?
  LEONARDO MESSINA. Quando l'imprenditore si mette
d'accordo con il politico e fa finanziare il lavoro senza Cosa
nostra, entra in gioco Cosa nostra quando comincia
l'esecuzione del lavoro.
  PRESIDENTE. Quindi, dipende dal momento in cui entra in
gioco Cosa nostra; se Cosa nostra interviene sin dal primo
momento il pagamento avviene a trenta giorni
dall'aggiudicazione.
  LEONARDO MESSINA. In ogni caso, o prima o dopo, a Cosa
nostra deve sempre arrivare il suo.
  PRESIDENTE. Comunque, per lavorare, devo portare le
macchine...
  LEONARDO MESSINA. Prima che portino i mezzi.
  PRESIDENTE. Praticamente, per vincere l'appalto, ci sono
o i brogli, come quello di sfilare i certificati dalla
busta...
  LEONARDO MESSINA. In quel caso c'era una ragione di
fretta e non avevamo potuto controllare un imprenditore.
  PRESIDENTE. Oppure anche l'intimidazione nei confronti
dell'imprenditore, che può arrivare fino alla morte?
  LEONARDO MESSINA. E' arrivata fino alla morte.
  PRESIDENTE. Il caso di Ranieri è l'unico, o ci sono
altri casi?
  LEONARDO MESSINA. Questo è quello che conosco, perché io
ho guidato solo degli appalti.
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  PRESIDENTE. A quale punto di questo quadro si colloca
Siino?
  LEONARDO MESSINA. Una sera eravamo seduti al Ristorante
delle rose, tra Canicattì e Serradifalco; c'erano seduti
tantissimi uomini politici, c'ero io, Angelo Siino, ed altre
persone di tutte le tre province, tra cui quella palermitana.
In quel tavolo, c'erano tanti politici: quella sera, in quel
tavolo, volevano uccidere Liborio Cortese, che era un
esponente dell'ASI della provincia di Caltanissetta. Si disse:
"chistu disturba o zio", ma un altro fece osservare che non
c'era l'autorizzazione.
  PRESIDENTE. I politici ed altri erano seduti insieme?
  LEONARDO MESSINA. Sì, i politici stavano mangiando per
conto loro e noi siamo capitati lì.
  PRESIDENTE. Quindi non eravate andati insieme?
  LEONARDO MESSINA. No, noi eravamo lì per gli affari
nostri.
  PRESIDENTE. Vorrei capire meglio un aspetto: Siino
interveniva quando le cose si complicavano, oppure sempre?
  LEONARDO MESSINA. E' Siino che ha ideato questo sistema:
praticamente, ha fatto delle riunioni per ogni provincia
amministrativa e ha contattato gli imprenditori vicini a Cosa
nostra, ai quali ha spiegato che, se per la provincia di
Caltanissetta, per San Cataldo, arrivava Nardo Messina per il
ribasso glielo dovevano dare, oppure lui stesso gli
telefonava. Tutti gli imprenditori delle province sono
d'accordo: calato questo livello, anche quelli che puliscono i
tombini sono d'accordo, perché alla fine è lo Stato che paga.
  PRESIDENTE. Sospendo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 13,25, è ripresa alle
14,55.
  PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta.
   Stava spiegando la questione degli appalti ed i due
diversi tipi di intervento di Cosa nostra o all'inizio o
successivamente.
  LEONARDO MESSINA. In ogni caso Cosa nostra c'entra
sempre.
  PRESIDENTE. Ed in ultima analisi c'entra come
organizzazione che fa fuori l'imprenditore che non ci sta. I
casi di certificati sottratti si riferiscono ad interventi
tardivi, quando cioè non si è riusciti a condizionare prima.
  LEONARDO MESSINA. Sì, quando un imprenditore cerca delle
scuse perché sa qual è il problema o non ce l'ha realmente,
allora non vogliono parlare con i geometri ...
  PRESIDENTE. Lei ha detto che in questo modo Cosa nostra
controlla gli appalti dell'intera regione siciliana.
  LEONARDO MESSINA. Sì, da quelli comunali in su.
  PRESIDENTE. Indipendentemente dal valore dell'appalto,
anche su un valore non particolarmente importante?
  LEONARDO MESSINA. Tutto dipende dal livello culturale
della famiglia. Per esempio noi di San Cataldo, quando si
parlava di valori inferiori ai 300 milioni, non accettavamo.
Le imprese lo sanno e prima di posare i mezzi parlano.
  PRESIDENTE. Lei ha parlato di un ingegnere che portava
le tangenti alla commissione regionale; può spiegare questo
episodio?
  LEONARDO MESSINA. Mi sono trovato a casa di Angelo
Siino, ma l'ingegnere era già uscito da quella stanza avendo
lasciato una valigetta piena di
                         Pag. 566
soldi. Non appena è uscito siamo entrati noi e ci siamo
salutati perché l'imprenditore era della mia provincia; si
parlò del più e del meno e del fatto che l'imprenditore ci
aveva portato i soldi per la regione. Ma non è solo questo il
punto, perché quell'imprenditore sta edificando sotto San
Cataldo un paese di calcestruzzo; quando fu indetta la gara,
l'appalto era di un miliardo e mezzo e lui mi diede l'un per
cento, cioè quindici milioni. Quando pretendevo di più perché
si trattava di palificazione - anche lui avrebbe ottenuto di
più - mi è stato detto di non insistere perché l'uno per cento
o il resto lo avrebbe dato alla regione.
  PRESIDENTE. Lo dava autonomamente alla regione?
  LEONARDO MESSINA. Sì, autonomamente.
  PRESIDENTE. Ed era questo ingegnere Di Vincenzo?
  LEONARDO MESSINA. Sì era Di Vincenzo.
  PRESIDENTE. Mi spieghi questa storia della
palificazione.
  LEONARDO MESSINA. Sotto San Cataldo c'è una zona franosa
e, per il raccoglimento delle acque, sono in corso lavori da
cinque anni. Si è partiti da un miliardo e mezzo e si è
arrivati a 150 miliardi.
  PRESIDENTE. E' un lavoro che rende molto?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Oltre al lavoro è stata fatta una
palificazione per frenare la montagna.
  PRESIDENTE. A chi era collegato questo imprenditore?
  LEONARDO MESSINA. A Madonia ed a Riina; doveva passare
per forza attraverso Madonia. In quell'occasione Madonia non
c'era; avevamo un appuntamento con il provinciale e non
avevamo titolo per partecipare ad una riunione provinciale. Mi
trovavo lì con l'ambasciatore di Giuseppe Madonia.
  PRESIDENTE. Ricorda il nome di quell'ambasciatore?
  LEONARDO MESSINA. Salvatore Ferraro.
  PRESIDENTE. Ha conosciuto l'imprenditore Farinella?
  LEONARDO MESSINA. Di persona non l'ho conosciuto, però
nelle sue terre si svolgevano le più importanti riunioni. Ha
comprato un feudo tra San Cataldo e Marianopoli, il feudo
Mimiani, nel quale prima si riuniva la regione (la prima volta
che ho partecipato ad una riunione avevo 15 o 16 anni); lì il
campiere era Li Vecchi e la proprietà era di un principe e poi
l'ha comprata Cataldo Farinella. So che è un uomo d'onore, ma
non l'ho mai conosciuto fisicamente. La famiglia di San
Cataldo aveva pure le chiavi per attraversare il suo feudo per
andare da un altro uomo d'onore, che si trova un po' più
sopra; praticamente questo feudo è circondato da uomini
d'onore, perché all'entrata c'è la casa di Pasquale Li Vecchi,
un personaggio storico di Cosa nostra, sopra c'è un'altra casa
che controlla il feudo ed a monte ce n'è un'altra che
appartiene ad un uomo d'onore della famiglia di Mussomeli.
  PRESIDENTE. In queste grandi proprietà vi sono anche
rifugi per i latitanti?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma non rifugi precari.
  PRESIDENTE. Non stanno in condizioni di disagio?
  LEONARDO MESSINA. No, vanno in giro ben vestiti; inoltre
le famiglie, quando viene Natale o quando hanno
                         Pag. 567
concluso buoni affari, inviano vestiti di marca, armi, soldi.
Arriva di tutto.
  PRESIDENTE. I latitanti sono mantenuti dalla famiglia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Tutti o solo quelli più importanti?
  LEONARDO MESSINA. Quasi tutti. La famiglia di Gela è
quasi tutta in carcere e noi, come famiglia di San Cataldo,
ultimamente abbiamo mandato 75 milioni come contributo per il
mantenimento detenuti, senza che nessuno ce lo avesse imposto.
  PRESIDENTE. Se una persona è detenuta è la famiglia che
provvede?
  LEONARDO MESSINA. Se è detenuta per conto di Cosa
nostra, Cosa nostra lo mantiene. Se possedeva una Mercedes,
una Rolls Royce od altro gliele mantiene fino a che non esce.
  PRESIDENTE. Se un'intera famiglia è in galera è sempre
Cosa nostra a provvedere?
  LEONARDO MESSINA. E' il mandamento che provvede, cioè il
livello superiore.
  PRESIDENTE. Lei ha parlato dei rapporti tra
imprenditoria e lavori pubblici: la presenza di Cosa nostra è
anche in altri settori economici o soltanto nei lavori
pubblici?
  LEONARDO MESSINA. E' in qualsiasi settore ove ci sia un
introito, per esempio quando si deve comprare un grosso
appezzamento di terreno; hanno infiltrazioni nelle banche (non
parlo per sentito dire), come avviene anche nel mio paese.
  PRESIDENTE. Le banche svolgono qualche funzione
particolare?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Quando per esempio la provincia
doveva fare degli affari e non c'erano i soldi, i soldi
uscivano dalla banca non ufficialmente: compravano, vendevano
e davano guadagno sia al banchiere sia alla famiglia
d'origine.
  PRESIDENTE. Praticamente davano degli anticipi. Questa è
l'unica funzione o ce n'è anche una di lavaggio del denaro
sporco?
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche di lavaggio del denaro
sporco.
  PRESIDENTE. Anche in una provincia come quella di
Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. No, di solito si muovono fuori, dove
possono suscitare meno sospetti che in Sicilia, dove quasi
tutto è controllato, a meno che non ci sia di mezzo anche la
banca, come nel caso di San Cataldo. Parlo di San Cataldo
perché vivo lì e sarebbe assurdo che parlassi di Napoli. Devo
parlare del mio paese.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di rapporti con i
cavalieri del lavoro di Catania di Cosa nostra e con quali
eventualmente?
  LEONARDO MESSINA. Ultimamente si sono svolte delle
riunioni anche nei loro uffici. Sono uomini molto vicini a
Cosa nostra. Praticamente dicono Graci e Costanzo ...
  PRESIDENTE. Quando dice "dicono" vuol dire che non lo sa
direttamente ma che glielo hanno detto?
  LEONARDO MESSINA. Non me li hanno mai presentati. Hanno
detto "sto andando da Graci perché c'è una riunione; mi
aspetta Nitto, mi aspetta Pippo Madonia", ma non mi hanno
detto "è un uomo d'onore". Comunque prestano, ma non solo a
questo imprenditore; è successo anche ad imprenditori più
piccoli. E
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noi avevamo le chiavi delle fabbriche, dei loro garage e,
quando volevamo, entravamo e mettevamo le macchine che ci
servivano per fare le operazioni.
  PRESIDENTE. Che vuol dire "ditte inserite organicamente
in Cosa nostra"?
  LEONARDO MESSINA. Vuol dire che vi sono uomini d'onore
che hanno delle ditte ma ciò non toglie che si debbano sempre
rapportare alla regola di Cosa nostra, per cui, se vanno in un
altro paese, anche se sono uomini d'onore devono pagare. E'
una regola della mafia che vale per tutti, compresi gli
appartenenti a Cosa nostra.
  PRESIDENTE. In sostanza, il principio è questo: poiché
tu hai preso soldi dallo Stato, devi darcene una parte. E'
così?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Esiste o meno l'imprenditore protetto?
  LEONARDO MESSINA. Sì, vi sono imprenditori che per la
protezione pagano uno stipendio mensile a Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Se un imprenditore da voi protetto, che va a
lavorare a Milano, a Torino, a Verona o da qualsiasi altra
parte, ha delle difficoltà, voi intervenite?
  LEONARDO MESSINA. Sì, interveniamo sempre, in ogni caso.
  PRESIDENTE. Quindi, intervenite anche per favorirlo nel
mercato, per fargli vincere gli appalti eccetera, anche se è
fuori della Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ovunque, anche perché le ditte del
nord che vengono al sud si debbono adeguare al nostro
comportamento.
  PRESIDENTE. Quindi, le regole degli appalti che lei ha
qui indicato valgono anche nelle regioni dove è più forte la
presenza di Cosa nostra, per esempio in Calabria, in Campania
e in Puglia?
  LEONARDO MESSINA. In Calabria è come da noi. Non si può
posare uno spillo senza il permesso della famiglia locale.
  PRESIDENTE. E in Campania, che lei sappia?
  LEONARDO MESSINA. In Campania non tutte le famiglie
dipendono da una struttura, ci sono delle bande. I vertici
sono Cosa nostra, e a volte se li spartiscono.
  PRESIDENTE. Quindi, mentre in Calabria è come da voi, in
Campania c'è più disordine?
  LEONARDO MESSINA. Sì ma un po' di disordine, un po' di
problemi ci sono anche a Catania.
  PRESIDENTE. Cosa intende per problemi?
  LEOANRDO MESSINA. A Catania ci sono i gruppi, c'è una
forte spinta, per cui deve esserci un accordo a monte, in base
al quale si sappia che di qualsiasi lavoro bisogna dargliene
una parte, altrimenti finisce a guerra.
  PRESIDENTE. E in Puglia?
  LEONARDO MESSINA. Non ne sono a conoscenza.
  PRESIDENTE. Per la Lombardia ha già detto che non sono
arrivati al livello...
  LEONARDO MESSINA. Almeno quelli che conosco io.
  PRESIDENTE. Lei ha parlato di rapporti tra uomini
d'onore e massoni e mi sembra che abbia sostenuto che il
vertice di Cosa nostra sia massone. Qual è il rapporto tra
mafia e massoneria? La
                         Pag. 569
massoneria obbedisce alla mafia, come capita per la politica,
oppure si tratta di un rapporto di tipo diverso?
  LEONARDO MESSINA. No, la mafia obbedisce solo a se
stessa. Hanno stabilito punti di incontro per vari affari, per
giustificare un processo, un grosso appalto.
  PRESIDENTE. Quindi, è una sede in cui ci si incontra...
  LEONARDO MESSINA. Per forza, è un passaggio obbligato
per la mafia che è a livello mondiale.
  MARCO TARADASH. Il signor Messina è massone?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Ci sono massoni che non sono uomini d'onore
e che vi aiutano?
  LEONARDO MESSINA. A San Cataldo sì. Alcuni non sono mai
stati presentati ritualmente. Si dice che siano massoni...
  PRESIDENTE. I massoni sono utilizzati in qualche settore
particolare?
  LEONARDO MESSINA. A Cosa nostra interessa tutto,
soprattutto i processi, gli appalti e i contatti esterni.
  PRESIDENTE. Lei è al corrente dell'esistenza di due rami
della massoneria?
  LEONARDO MESSINA. No, non ne sono al corrente. So che ce
ne è una ufficiale e un'altra... So quello che dicono i
giornali.
  PRESIDENTE. Ma lei fa riferimento ad entrambe le
massonerie o ad una in particolare?
  LEONARDO MESSINA. No... E' un'ala della massoneria che è
segreta. E' una setta segreta, cioè non è ufficiale.
  PRESIDENTE. Della massoneria ufficiale o dell'altra?
  LEONARDO MESSINA. In pratica, c'è una parte della
massoneria che è coinvolta con noi e che non ha niente a che
vedere con la massoneria ufficiale. Non è scritto in alcun
posto che Totò Riina o Leonardo Messina sono iscritti alla
massoneria.
  PRESIDENTE. Dunque, distinguiamo le questioni. La prima
è che il vertice di Cosa nostra è massone, però lei dice che
non si troverà mai alcun documento in cui questo sia scritto;
la seconda è legata alla funzione della massoneria, a
proposito della quale lei ci ha spiegato che garantisce favori
giudiziari, appalti eccetera, e che possono anche esservi
uomini della massoneria che non sono uomini d'onore ma che li
aiutano lo stesso.
  LEONARDO MESSINA. Sì, è così.
  PRESIDENTE. Le massonerie sono due, una più importante,
un'altra...
  LEONARDO MESSINA. Quella ufficiale...
  PRESIDENTE. No, sono entrambe ufficiali ma diverse, è
come se fossero due partiti diversi. Lei sa se gli uomini
della massoneria che erano vicini a voi appartenevano a
entrambe?
  LEONARDO MESSINA. No, non lo so. Uomini della mia
famiglia erano capi mandamento, controllavano la provincia di
Caltanissetta ed erano massoni.
  PRESIDENTE. Non sa di quale obbedienza massonica
fossero?
  LEONARDO MESSINA. No, non lo so.
  PRESIDENTE. Lei ci ha detto che i livelli d'iscrizione
sono segreti, cioè non ufficializzati. E' così?
                         Pag. 570
  LEONARDO MESSINA. Sì, è così.
  PRESIDENTE. Quindi, non si tratta di un rapporto come
quello tra politica e mafia. Si entra in massoneria perché è
utile per compiere affari, per ottenere favori eccetera.
  LEONARDO MESSINA. E' così.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, Pino Mandalari è uomo
d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Non lo conosco.
  PRESIDENTE. Sa se è un massone?
  LEONARDO MESSINA. Non mi dice nulla questo nome.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda Giacomo Vitale, ha già
detto prima che era massone...
  LEONARDO MESSINA. No, avevo detto Stefano Bontade,
Terminio...
  PRESIDENTE. Il nome di Giacomo Vitale non le dice nulla?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Le risulta che Michele Greco fosse massone?
  LEONARDO MESSINA. Dicono che sia massone, però non mi
sono mai incontrato con Michele Greco né con Terminio e con
altri.
  PRESIDENTE. Le risulta che Liggio sia massone?
  LEONARDO MESSINA. Non lo so.
  PRESIDENTE. Prima, lei ha fatto un cenno interessante
quando ha detto "tanto è vero che Sindona è venuto a San
Cataldo". Può dirci qualcosa di più su questo punto?
  LEONARDO MESSINA. Sindona è venuto a San Cataldo ma non
per ordine di Cosa nostra bensì per ordine della massoneria.
Lo aveva affidato Stefano Bontade a Terminio. Cosa nostra
ufficiale non era al corrente della presenza di Sindona da
noi. Ne erano al corrente soltanto Terminio e Gaetano Piazza,
massoni di San Cataldo.
  PRESIDENTE. Sindona cosa era venuto a fare in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Occupava un appartamentino vicino a
mia madre, in un quartiere popolare. Era venuto a nascondersi
per qualche giorno.
  PRESIDENTE. Perché?
  LEONARDO MESSINA. Il perché l'ho appreso dopo dai
giornali.
  PRESIDENTE. Perché è venuto proprio a San Cataldo?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che Nicola Terminio, capo
mandamento, appartenente alla mafia, era massone e aveva
affiliato Stefano Bontade nella massoneria.
  PRESIDENTE. Quindi, è Terminio che gli ha offerto questa
possibilità?
  LEONARDO MESSINA. Sì, Gaetano Piazza e Terminio.
  PRESIDENTE. Lei non sa cosa ha fatto Sindona a San
Cataldo. Non ha visto chi ha incontrato?
  LEONARDO MESSINA. A San Cataldo è stato a casa di Piazza
e della mamma di Terminio. Ha lasciato un libro con una
delega...
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare del notaio Cordaro,
di Caltanissetta?
                         Pag. 571
  LEONARDO MESSINA. No, ho sentito parlare del notaio La
Spina, di San Cataldo, che è palermitano. Si dice che sia
massone.
  PRESIDENTE. Quindi, del notaio Cordaro non ha mai
sentito parlare. Eppure, Caltanissetta non è una metropoli, i
notai saranno tre o quattro!
  LEONARDO MESSINA. Lei non deve considerare il fatto che
siamo vicini, deve considerare quando divengo persona che può
sapere certe cose. Non tutte le persone sanno, non tutte hanno
la confidenza...
  PRESIDENTE. Le ho chiesto soltanto se ne aveva mai
sentito parlare.
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una persona che si
chiama Miceli Crimi?
  LEONARDO MESSINA. Sì, sui giornali.
  PRESIDENTE. Non direttamente?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Sapeva che Sindona era massone?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Che era iscritto alla loggia P2?
  LEONARDO MESSINA. Questo l'ho saputo dai giornali. A me
dicono "massone", non l'appartenenza.
  PRESIDENTE. Di Carlo Morana sa nulla?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Non le dice niente questo nome?
  LEONARDO MESSINA. No, comunque so che c'è una cellula
della massoneria a Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una loggia Diaz?
  LEONARDO MESSINA. No, a me non hanno mai detto i
nomignoli di appartenenza.
  PRESIDENTE. Sapeva che c'era una loggia massonica a
Palermo in via Roma?
  LEONARDO MESSINA. No, questo non lo so.
  PRESIDENTE. Che ci fossero logge massoniche a Trapani lo
sapeva?
  LEONARDO MESSINA. Mi hanno detto che Mariano Agate era
massone. E' il rappresentante della provincia di Trapani.
  PRESIDENTE. Della loggia Scontrino ha mai sentito
parlare?
  LEONARDO MESSINA. No. Sono stato quasi un anno al
carcere di Trapani con i reggenti della famiglia di Trapani.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di una specie di
patto tra mafia e massoneria alla fine degli anni settanta,
per cui si decise che i mafiosi importanti avrebbero potuto
entrare nella massoneria?
  LEONARDO MESSINA. No, non ne ho mai sentito parlare. Ci
sono stati momenti nella mia vita - ero un ragazzo - nei quali
abbiamo controllato alcuni obiettivi da assaltare. Aspettavamo
un ordine perché dovevamo assaltare la caserma dei carabinieri
e altri uffici.
  PRESIDENTE. Quando?
  LEONARDO MESSINA. Avevo circa 16 anni.
                         Pag. 572
  PRESIDENTE. Quando è nato?
  LEONARDO MESSINA. Sono nato nel 1955.
  PRESIDENTE. Quindi, intorno al 1971?
  LEONARDO MESSINA. Sì, 1970-1971.
  PRESIDENTE. Sono i tempi del golpe Borghese?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Avete avuto ordine di fare questi assalti?
  LEONARDO MESSINA. Eravamo pronti ad assaltare caserme e
prefetture, municipi e tutto.
  PRESIDENTE. Chi aveva dato quest'ordine?
  LEONARDO MESSINA. Noi prendevamo ordini dal vecchio Calì
di San Cataldo. Eravamo circa 20 giovani, uomini d'onore ed
avvicinati, i figli del Calì ed io che ero il nipote.
  PRESIDENTE. Una volta assaltati quegli obiettivi, cosa
dovevate fare?
  LEONARDO MESSINA. Aspettavamo già da giorni l'ordine di
occupare che poi non è arrivato.
  PRESIDENTE. Perché non è arrivato?
  LEONARDO MESSINA. Non avevo titolo per farmelo spiegare.
Sapevamo di dover controllare, avevamo pronti i mezzi e le
armi, eravamo a disposizione, seduti.
  PRESIDENTE. Quella fu l'unica volta o è successo in
altre occasioni?
  LEONARDO MESSINA. E' successo in due occasioni.
  PRESIDENTE. Può dire quale fu l'altra?
  LEONARDO MESSINA. Intorno alla fine del 1973 avevamo
l'ordine di assaltare soltanto la caserma.
  PRESIDENTE. Fine del 1973 o 1974?
  LEONARDO MESSINA. Fine 1973, 1974.
  PRESIDENTE. Cioè, fine del 1973 e inizi del 1974?
  LEONARDO MESSINA. Già ero diciottenne. Purtroppo la mia
pecca è di non ricordare le date precise.
  PRESIDENTE. Faceva caldo o freddo?
  LEONARDO MESSINA. Una volta mi hanno chiesto se c'era
luce o il buio. Comunque, penso fosse novembre, alla fine
dell'autunno.
  PRESIDENTE. Questi contatti tra Cosa nostra e la
massoneria si limitano alla Sicilia oppure no?
  LEONARDO MESSINA. No, non si limitano alla Sicilia. Ho
detto che a Cosa nostra sta stretta la Sicilia.
  PRESIDENTE. Quindi questi rapporti sono anche in altre
regioni?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Le uniche cose che lei sa del tentativo di
colpo di Stato del 1970 sono che stavate ad aspettare un
ordine che non è arrivato?
  LEONARDO MESSINA. Sì. C'erano altri due o tre ragazzi
giovanissimi, poi gli altri erano gli uomini d'onore e gli
avvicinati.
                         Pag. 573
  PRESIDENTE. Ha mai saputo di un rapporto tra il soggiorno
di Sindona in Sicilia e l'omicidio del giudice Terranova?
  LEONARDO MESSINA. No, non ne ho saputo niente.
  PRESIDENTE. Dell'omicidio del giudice Terranova ha mai
saputo qualcosa in particolare?
  LEONARDO MESSINA. No. La mattina che hanno ucciso il
giudice Scaglione, il mio rappresentante, ancora non ero in
famiglia, mi disse: "Vidi come l'ammazzammu?"; cioè era
partecipe, era il consigliere della provincia di
Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Perché Scaglione era stato ucciso?
  LEONARDO MESSINA. Non me lo ha detto, però aveva
commentato quell'omicidio dicendo: "Noantri fummo". Allora ero
avvicinato. Io sono stato avvicinato sin da bambino.
  PRESIDENTE. Non sa perché Sindona andò via dalla
Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Non ne avete mai parlato?
  LEONARDO MESSINA. No, non ne abbiamo mai parlato, anche
perché gli altri non sapevano niente.
  PRESIDENTE. Ricorda il nome di Troja Alessandro?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Sa chi é?
  LEONARDO MESSINA. Alessandro Troja è quello del
sequestro dell'onorevole Verzotto. L'ho conosciuto in carcere
tra la fine del 1975 e il 1977, egli era in carcere con noi.
Quest'uomo è stato ucciso circa due anni fa in Svizzera. Aveva
tantissimi contatti; a suo dire, perché non ho mai constatato
niente, lavorava per i servizi segreti. Se era vero non lo
sapevo, comunque era in grado di muoversi liberamente.
  PRESIDENTE. In che circostanze è stato ucciso?
  LEONARDO MESSINA. L'ho appreso dai giornali. Lo hanno
ucciso in Svizzera. Comunque è stato ospite in casa mia,
conosceva mia figlia.
  PRESIDENTE. Continuò a tenere rapporti con Verzotto
anche quando era latitante?
  LEONARDO MESSINA. No, non aveva una lira quando l'ho
conosciuto. L'ho ospitato a San Cataldo.
  MARCO TARADASH. Che anno era?
  LEONARDO MESSINA. Tra il 1979 e il 1980, quando sono
tornato dal soggiorno obbligato.
  PRESIDENTE. Può indicare i casi concreti di favori
giudiziari ricevuti? L'attenuazione delle pene è uno di
questi.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Le assoluzioni?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. E' mai capitato che qualcuno vi avvertisse
di un mandato di cattura?
  LEONARDO MESSINA. A noi come paese no, perché il
contatto lo ha la provincia. So l'uomo del contatto ma non lo
abbiamo avuto noi soldati o il capo famiglia.
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  PRESIDENTE. Però vi è capitato che qualcuno vi dicesse che
era il momento di cambiare aria?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Era un caso raro o abbastanza frequente?
  LEONARDO MESSINA. Nelle maggiori occasioni. Quando si è
pentito Calderone, la notte dovevano fare il blitz e noi lo
sapevamo dalle due di pomeriggio a San Cataldo, figuriamoci a
Palermo.
  PRESIDENTE. Sapevate che era stato arrestato Calderone?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Sapevamo che dovevano effettuare
il blitz. Quella notte non c'era nessuno a San Cataldo.
  PRESIDENTE. Si ricorda il periodo?
  LEONARDO MESSINA. Credo intorno al 1987.
  PRESIDENTE. Credo sia un fatto la cui data possiamo
acquisire. Anche la questione del soggiorno obbligato era,
diciamo così, aggiustata?
  LEONARDO MESSINA. Sì. I piccoli andavano al soggiorno
obbligato, i più grossi non ci sono mai andati. Sono andato al
soggiorno da ragazzo, poi tutte le pratiche me le sono
aggiustate. Non sono mai più partito, solo una volta nel 1978.
  PRESIDENTE. Come avveniva l'aggiustamento? Lo faceva la
provincia o lei direttamente?
  LEONARDO MESSINA. Ero un uomo della provincia per cui
passava attraverso di loro, ma avevo anche un contatto
personale.
  PRESIDENTE. Di tipo giudiziario o di polizia?
  LEONARDO MESSINA. Di tipo giudiziario.
  PRESIDENTE. Un magistrato o un cancelliere?
  LEONARDO MESSINA. Un pretore onorario.
  PRESIDENTE. Cioè, quell'avvocato che cita
nell'interrogatorio?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. La questione dei giudici amici di Cosa
nostra era presente anche a Palermo, non solo a Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Qualche nominativo è tra i
palermitani, si è saputo.
  PRESIDENTE. A Roma anche?
  LEONARDO MESSINA. Non ne ero a conoscenza.
  PRESIDENTE. Le è stato detto per caso che c'erano dei
giudici amici?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Erano giudici di origine siciliana o no?
  LEONARDO MESSINA. Quando mi dicevano le cose non potevo
domandare se il giudice era siciliano.
  PRESIDENTE. La stessa cosa accadeva per appartenenti
alla polizia, ai carabinieri e così via?
  LEONARDO MESSINA. La mafia ha fatto sempre depistaggi
nei confronti delle forze dell'ordine perché i marescialli e i
questori si sono accontentati sempre di prendere qualcuno con
la pistola.
                         Pag. 575
  PRESIDENTE. Prendere qualcuno con la pistola vuol dire
prendere soltanto un esecutore?
  LEONARDO MESSINA. No, qualcuno faceva depistaggio. Quasi
la metà degli uomini d'onore è in contatto con il maresciallo
del paese, o con qualche funzionario, ogni tanto gli fa
arrestare qualcuno, qualche ragazzo, si tira avanti.
  GIROLAMO TRIPODI. Per porto abusivo d'armi.
  PRESIDENTE. Vuol dire questo?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Qual è la condizione dei detenuti in
carcere? E' un problema grave essere in carcere? Siete
contattati ugualmente?
  LEONARDO MESSINA. Prima non era un problema grave, ora è
diventato gravissimo.
  PRESIDENTE. Perché?
  LEONARDO MESSINA. Perché prima si aveva il riscontro che
si era sempre appartenenti ad una famiglia. Anch'io sono un
po' l'artefice di questa situazione; c'ero io quando hanno
preso la decisione che chi era in carcere doveva farsi gli
affari suoi.
  PRESIDENTE. E' stata una decisione di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì, della regione.
  PRESIDENTE. Chi è in carcere è andato...
  LEONARDO MESSINA. Chi è in carcere può essere solo
assistito, mantenuto, ma non può mandare ordini. Questo però
non è valso mai per tutti. Siccome a volte un soldato o
un'altra persona mandava a dire delle cose, hanno detto che
quando erano in carcere si dovevano occupare dei propri affari
carcerari. Quando i detenuti sono in carcere e appartengono a
varie famiglie, si crea una struttura all'interno del carcere,
una vera e propria famiglia; nulla può avvenire dentro il
carcere senza che tutti gli uomini d'onore detenuti non lo
sappiano.
  PRESIDENTE. Quindi, se vi fosse un frequente spostamento
di carcere degli uomini d'onore sarebbe una fatica ogni volta
ricostruire questa cosa o no?
  LEONARDO MESSINA. L'unica linea è quella là. Non si può
rimanere nella stessa zona in cui si è nati, perché le guardie
e la direzione sono succubi, perché si muore.
  PRESIDENTE. Questo in tutte le carceri?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che siamo padroni del
territorio della nostra zona e nelle carceri calabresi; vi
sono alcune carceri, dove sono padrone le guardie e bisogna
stare un po' zitti.
  PRESIDENTE. Quindi, in Sicilia e in Calabria siete
padroni voi?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In Campania?
  LEONARDO MESSINA. In Campania in passato sì; ora per chi
arriva viene "buttato" il 416-bis e piglia legnate in
matricola. Già ci sono problemi in matricola; debbono
dimostrare chi comanda e allora devi stare a posto fin da
quando entri. Te lo dicono prima.
  PRESIDENTE. Questo da parte della vigilanza?
  LEONARDO MESSINA. Da parte delle guardie.
  PRESIDENTE. In Puglia?
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  LEONARDO MESSINA. In Puglia è la stessa faccenda, ma sono
un po' diversi come comportamento; essendo una mafia giovane,
sono tutti orecchini, capelli lunghi, coltellate, come noi
eravamo venti anni fa.
  PRESIDENTE. Le è mai capitato di ricevere ordini in
carcere dall'esterno?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Che tipo di ordini?
  LEONARDO MESSINA. Di stare attento a delle persone
contro di noi o a delle persone che io non avevo presentato,
di mettermeli vicino, di stare attento a delle dichiarazioni.
  PRESIDENTE. Le è mai capitato, stando in carcere, di
partecipare a decisioni di Cosa nostra esterne?
  LEONARDO MESSINA. L'uomo detenuto no; non può dare, a
meno che non sia una persona importante, un rappresentante
provinciale o altro. Un soldato deve stare al suo posto; ti
mantengono in carcere, l'avvocato, ma non puoi ... a meno che
non hai bisogno, dici "c'è una guardia che mi infastidisce",
mandi a dire, allora va bene.
  PRESIDENTE. Questo soprattutto in Sicilia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quindi, da quello che ho capito, dovrebbe
seguirsi il principio per cui gli uomini d'onore non
dovrebbero essere detenuti né in Sicilia né in Calabria?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Appena si sale dalla Calabria, le
carceri non sono uguali.
  PRESIDENTE. Quali sono le carceri considerate meno
affidabili?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che, per esempio, San
Cataldo è un carcere giovane, lo hanno aperto ora, però lo
hanno in pugno le guardie e il direttore. Intanto, sono tutti
giovani che debbono fare tre-quattro anni; le guardie hanno un
certo atteggiamento e guai a chi parla, devi fare il detenuto,
ti danno quello che ti tocca, senza possibilità... E' una
struttura nuova ed è così.
  PRESIDENTE. Quindi anche in qualche carcere siciliano
siete chiusi.
  LEONARDO MESSINA. Certo. Consideri che sono carceri dove
ancora non è andato a finire nessuno importante; appena ci
andrà qualcuno di importante, si prenderà il provvedimento che
tocca.
  PRESIDENTE. E' mai capitato che qualche guardia sia
stata uccisa o ferita o intimidita perché era troppo dura con
voi?
  LEONARDO MESSINA. Anche presa a pugni, a legnate,
corridoio corridoio. Negli ultimi tempi, eravamo circa ottanta
uomini d'onore: eravamo tanti, ci sentivamo forti perché
eravamo tante famiglie.
  PRESIDENTE. A San Cataldo?
  LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Lei ha parlato di manovrabilità dei
magistrati, dicendo che c'erano dei magistrati manovrabili. A
chi o a che cosa intendeva riferirsi?
  LEONARDO MESSINA. Non mi ricordo di questa cosa.
  PRESIDENTE. Non ricorda di aver usato il termine
"manovrabilità"?
  LEONARDO MESSINA. C'erano magistrati per cui, anche se
facevano il tribunale della libertà, qualcuno se l'è
"scapezzata" perché era raccomandato dalle persone adatte. Ci
sono soggiorni
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obbligati che vanno venti volte al Consiglio e pigliano
sempre. Avevo un soggiorno dal 1986 e me lo hanno discusso nel
1990; mi è costato cinquanta milioni. Poi mi è toccato pagare
l'avvocato che diceva che era stato lui, mentre invece ero io
che facevo rimandare questa cosa.
  PRESIDENTE. Il rinvio del processo è un altro dei favori
che vi servono?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Sono mai capitate cose di questo genere
relativamente ai processi per le misure di prevenzione, il
sequestro dei beni, la confisca e via dicendo?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che per il sequestro dei
beni nella nostra zona parlano, parlano, ma non hanno mai
fatto niente; non hanno mai sequestrato i beni nella mia
provincia a nessuno, a meno che non era un povero diavolo.
  PRESIDENTE. Ci sono i presupposti per confiscare beni
nella sua provincia?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono persone che hanno fatto i
minatori ed hanno venti-trenta miliardi di proprietà. Ho
spiegato che gente che ha messo duecento milioni nella droga
oggi si trova ad essere ricca.
  PRESIDENTE. Chiaro.
   Quando è cominciato il maxiprocesso, che tipo di reazione
ha avuto Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Diciamo di sfottò. Si sapeva - anche
perché nella mia provincia pochi sono stati presi, qualcuno di
contorno - che doveva finire in una bolla di sapone; queste
erano le voci che facevano circolare per tranquillizzare gli
uomini.
  PRESIDENTE. Le dissero come si sarebbe fatto perché
tutto si risolvesse in una bolla di sapone?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Come in tutti i processi, si
diceva che il primo grado sarebbe andato in una maniera. Lei
deve capire che nei processi dove ci sono i giurati, appena
c'è nel mezzo un uomo d'onore vengono tutti contattati. Appena
c'è un uomo d'onore che deve andare ad un processo, tutte le
persone sedute là sono "parlate".
  PRESIDENTE. Ci fu un processo importante per voi, perché
Cosa nostra purtroppo ne uscì bene: quello di Catanzaro nel
1970. Si diceva da voi che quei giudici erano stati
avvicinati?
  LEONARDO MESSINA. Di questa faccenda non so niente; ero
un po' giovane.
  PRESIDENTE. Ha spiegato adesso che eravate abbastanza
tranquilli per la sentenza della Cassazione, quella che poi
invece è stata negativa.
  LEONARDO MESSINA. Questa è la voce che facevano
circolare la provincia, il mandamento e tutti.
  PRESIDENTE. Come si spiegherebbe, se c'era questa
tranquillità, l'omicidio del giudice Scopelliti?
  LEONARDO MESSINA. Vuol dire che gli avevano parlato e
non aveva dato garanzie di poter pigliare quella linea.
  PRESIDENTE. Cercate di parlare con tutti i giudici o
solo con quelli che si presentano come avvicinabili?
  LEONARDO MESSINA. Con tutti.
  PRESIDENTE. Poi c'è chi respinge e chi no. Non è che
ammazzate tutti quelli che respingono?
  LEONARDO MESSINA. No.
  ROMANO FERRAUTO. Qualcuno ha denunciato di essere stato
avvicinato?
  LEONARDO MESSINA. Quasi nessuno.
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  PRESIDENTE. Non è che - lo dico per i colleghi - uno si
presenta dicendo "sono un uomo d'onore" ...
  LEONARDO MESSINA. Non ci va Leonardo Messina; ci va un
imprenditore, ci va un politico vicino che dice: "sa, è un
bravo caruso, è successo pure con me". "Ma come, aveva la
fedina?". "Ma no, guarda che così... si è rimesso...".
D'altronde la magistratura esercita un potere che alla mafia
non poteva sfuggire.
  PRESIDENTE. Cosa nostra può chiedere l'esecuzione di
omicidi ad appartenenti alla 'ndrangheta?
  LEONARDO MESSINA. Vuole sapere se è una cosa ufficiale o
di una famiglia che agisce per conto suo? C'è l'ufficialità
che riguarda Cosa nostra mentre molte famiglie fanno degli
omicidi di cui non si sa nulla.
  PRESIDENTE. Vogliamo fare entrambi i casi?
  LEONARDO MESSINA. Dentro alla famiglia ci sono le
correnti. Si fa un omicidio da parte di uomini che non
appartengono alle zone limitrofe. Molte volte ci siamo serviti
dei siracusani o di altre persone, mentre Cosa nostra al suo
livello può ordinare tra loro e fare un omicidio nella zona.
  PRESIDENTE. Quindi può accadere che si utilizzi anche
gente appartenente all'ndrangheta. Può accadere che si
utilizzino anche criminali comuni?
  LEONARDO MESSINA. Sì, gliel'ho detto. Quando si è
iniziata la corrente corleonese gli omicidi li hanno fatti
fare ai siracusani. Noi avevamo i siracusani dentro San
Cataldo che uccidevano i Di Cristina.
  PRESIDENTE. Che fine facevano poi i siracusani?
  LEONARDO MESSINA. Qualcuno è vivo, qualcuno non c'è più.
  PRESIDENTE. Sa qualcosa dell'attentato al giudice Carlo
Palermo?
  LEONARDO MESSINA. Ho segnalato che in quel momento la
famiglia di Trapani era composta di tre persone. La reggenza
sulla famiglia di Trapani era della famiglia di Gibellina.
  PRESIDENTE. Quindi?
  LEONARDO MESSINA. La famiglia precedente era quella dei
Minore che con l'avvento di Mariano Agati non esiste più nella
mafia.
  MARCO TARADASH. A chi l'ha segnalato?
  LEONARDO MESSINA. Nella mia dichiarazione ho detto che
in quel momento la famiglia di Trapani era composta solo da
tre persone, di cui ho fornito i nomi. Non c'era né il
rappresentante né altro, ma la reggenza della famiglia di
Gibellina.
  ALFREDO GALASSO. Agati era un uomo d'onore?
  LEONARDO MESSINA. No. Anche se può essere un uomo di
Minore... Con l'avvento di Mariano Agati è sparito Totò
Minore, in quanto è diventato il rappresentante provinciale.
  PRESIDENTE. Agati è massone?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Prima ha accennato al problema del
riciclaggio, cioè nascondere le origini del denaro. Per quello
che lei sa, come avviene il riciclaggio?
  LEONARDO MESSINA. Avevo detto al dottor Borsellino della
casa dei soldi e lui si era messo a ridere. Avevo detto che
c'era un appartamento pieno di soldi e
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che al nord i soldi venivano riciclati piano piano. Quando il
traffico è enorme, i soldi sono tanti. Ci sono scaffali pieni
di soldi. Anche il dottor Borsellino era incredulo della casa
dei soldi.
  PRESIDENTE. Per riciclare a poco a poco era necessario
custodire il denaro liquido.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Lei sa come si ricicla il denaro? Può
spiegarcelo?
  LEONARDO MESSINA. I personaggi più importanti hanno
tutti grosse imprese, con dei prestanome, per il movimento
terra, per il calcestruzzo, per l'acquisto e la vendita.
  PRESIDENTE. Il riciclaggio avviene soltanto in Italia o
anche all'estero?
  LEONARDO MESSINA. Anche fuori. La famiglia di Palma
Montechiaro, avendo interessi all'estero, inviava soldi fuori.
  PRESIDENTE. Dove?
  LEONARDO MESSINA. In Germania.
  PRESIDENTE. Il riciclaggio avveniva lì?
  LEONARDO MESSINA. Lo faceva la decina.
  PRESIDENTE. Lei ritiene di poter fare il nome di qualche
ditta inserita nel meccanismo del riciclaggio?
  LEONARDO MESSINA. La Valtransport di Dittaino. Ce ne
sono a centinaia.
  CARLO D'AMATO. Ci sono grandi ditte nazionali?
  LEONARDO MESSINA. La Calcestruzzi SpA di Riina.
  PRESIDENTE. Poiché il denaro è tanto, ci devono essere
anche delle capacità professionali di uomini della finanza,
banchieri eccetera.
  LEONARDO MESSINA. Nella nostra provincia si tenta di
tirare insieme a noi dei grossi imprenditori, che non hanno
niente a che dividere... E' una zona diversa, non ha molti
contatti con noi, ha contatti con il vertice.
  PRESIDENTE. Quindi gli imprenditori costituiscono il
passaggio per i finanzieri?
  LEONARDO MESSINA. Sì, poi c'è la banca.
  PRESIDENTE. Lei prima ha accennato al sequestro di
persone importanti. Parlando ne ha fatto solo un accenno. Lo
ricorda? A cosa intendeva riferirsi?
  LEONARDO MESSINA. No, ho parlato del tentativo di
sequestro avvenuto a Cermignaga, spiegando il motivo del mio
incontro con il rappresentante regionale della Lombardia.
  PRESIDENTE. Poi il sequestro non è stato più fatto?
  LEONARDO MESSINA. Non l'hanno più fatto, io non c'entro
niente; non c'entrava neanche lui.
  PRESIDENTE. I sequestri in Sicilia non si fanno?
  LEONARDO MESSINA. C'è ordine di non farli.
  PRESIDENTE. Fuori si possono fare?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra ufficialmente non fa
sequestri.
  PRESIDENTE. Però una mano la date?
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  LEONARDO MESSINA. Una volta un imprenditore è stato
lasciato nella zona di Gela, trasportato in una betoniera di
calcestruzzo.
  PRESIDENTE. Quindi, sottobanco quel sequestro è stato
fatto?
  LEONARDO MESSINA. Sì, qualcuno l'ha fatto.
  PRESIDENTE. In altre parti d'Italia Cosa nostra fa
sequestri?
  LEONARDO MESSINA. Si dice che Cosa nostra non fa
sequestri.
  PRESIDENTE. Questa è la parola d'ordine.
  LEONARDO MESSINA. L'ufficialità.
  PRESIDENTE. Quando abbiamo parlato delle regioni ci
siamo dimenticati della Sardegna.
  LEONARDO MESSINA. Non ho mai sentito che in Sardegna ci
siano infiltrazioni di Cosa nostra. Comunque ci sono andati i
gelesi e sono giunti a buon punto. C'è una colonia di gelesi
su in Sardegna.
  GIANCARLO ACCIARO. Al nord o al sud della Sardegna?
  PRESIDENTE. Al nord della Sicilia, vuol dire.
  LEONARDO MESSINA. Passare lo stretto significa andare in
continente.
  PRESIDENTE. Dopo che è stato effettuato un delitto, le
armi vengono modificate o no per impedirne il riconoscimento?
  LEONARDO MESSINA. Dipende.
  PRESIDENTE. Cioè?
  LEONARDO MESSINA. Se hanno gli uomini adatti sì.
  PRESIDENTE. Se possono lo fanno? Questo è il concetto?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Cosa nostra fa il traffico d'armi a fini di
lucro o no?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Cosa nostra traffica droga, tabacco e non le
armi?
  LEONARDO MESSINA. Non so, forse non vuole chiedere. So
questo con certezza perché a volte non solo nella mia famiglia
ma anche i palermitani ed altri sono andati a "scassare" le
casse per avere fucili.
  PRESIDENTE. C'è una struttura della 'ndrangheta a Roma
che fornisce o che ha fornito armi a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. C'è una telefonata intercettata con me
nella quale mi dicevano: siamo pronti a Roma, salite per
prendere le casse.
  PRESIDENTE. Le armi come viaggiano? In macchina?
  LEONARDO MESSINA. In mille modi: containers per cavalli,
pulmini, furgoncini, a piedi, in treno, come la droga.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato il rapporto di Cosa nostra
con la politica, con le istituzioni, con gli imprenditori. Ci
sono anche rapporti con medici, avvocati, commercialisti,
eccetera?
  LEONARDO MESSINA. Certo.
  PRESIDENTE. La presenza riguarda tutti gli strati
sociali?
                         Pag. 581
  LEONARDO MESSINA. Dallo spazzino a salire.
  PRESIDENTE. Può spiegare cosa è l'avvocato di corridoio
e l'avvocato di controllo?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Nei tribunali quando fanno i
consigli, gli avvocati entrano ed escono. Non c'è una porta
chiusa. Lei andrà a trovare cinque, sei avvocati. Chi entra,
chi esce: c'è l'avvocato di corridoio che deve guardare, anche
se non l'hai nominato, ed è lì per controllare. C'è l'avvocato
che comunica subito se tu hai sbagliato a parlare durante
l'interrogatorio e ci sono gli avvocati che sono uomini
d'onore, che è una cosa diversa.
  PRESIDENTE. Quindi, il secondo è l'avvocato di
controllo, quello che deve controllare quello che dici?
  LEONARDO MESSINA. Qualsiasi cosa.
  PRESIDENTE. E' nominato per un solo imputato?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra usa additare un avvocato
ai propri affiliati, che poi se ne scelgono un altro per conto
proprio.
  PRESIDENTE. Quindi uno è di propria fiducia e l'altro è
di fiducia di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quello di fiducia di Cosa nostra è
l'avvocato di controllo?
  LEONARDO MESSINA. Quasi per tutto, sì: è l'avvocato di
controllo.
  PRESIDENTE. L'avvocato di corridoio, invece, non viene
nominato difensore ma sta lì a vedere cosa succede?
  LEONARDO MESSINA. Sta sempre lì a vedere: entra ed esce.
  PRESIDENTE. E' pagato da Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì
  PRESIDENTE. Lei ha accennato a rapporti con i NAR: erano
al di là della pura occasione?
  LEONARDO MESSINA. Sono stato mandato in quella occasione
insieme a quell'uomo: il contatto non era a San Cataldo, ma
era a Palermo.
  PRESIDENTE. Tramite Palermo vi hanno messo in contatto?
  LEONARDO MESSINA. Sì; i soldi, 300 milioni, li dovevano
dare i palermitani.
  PRESIDENTE. Ed è l'unico caso di contatto con
appartenenti ad un gruppo eversivo?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto di mia conoscenza, sì.
  PRESIDENTE. La stidda romana aveva contatti con i NAR,
secondo quanto le risulta?
  LEONARDO MESSINA. Praticamente è successo questo: la
famiglia di Palma di Montechiaro era una sola ed era tutta
unita; poi c'è stata la rottura e alcune decine sono diventate
stidda, altre decine sono rimaste Costa nostra ufficiale.
Quella di Roma era prima ufficiale e poi è diventata stidda,
perché era dietro agli stiddari.
  MARCO TARADASH. In che anno?
  LEONARDO MESSINA. Nel 1989, credo; comunque, c'è un
fermo dei carabinieri.
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  PRESIDENTE. Che relazione c'è fra la divisione della
famiglia ed il rapporto con i NAR?
  ALTERO MATTEOLI. Ma nel 1989 i NAR non c'erano più!
  PRESIDENTE. Non venivano più arrestati.
  LEONARDO MESSINA. Siamo stati fermati insieme; neanche
sapevo chi era, poi.
  PRESIDENTE. Lei sa qualcosa sul delitto Mattarella?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che un personaggio fuori
confidenza era stato ricontattato da Cosa nostra di
Caltanissetta in quanto poteva disporre del gruppo di
Siracusa: era un gruppo di killer?
  LEONARDO MESSINA. Sì; i siracusani erano prima in mano a
Giuseppe Di Cristina, poi a Terminio, poi a Iannì, poi a
Vincenzo Purcheria.
  PRESIDENTE. Cosa nostra, come ha già accennato, può
utilizzare come assassini persone che non sono uomini d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Sì; quella non era una cosa ufficiale.
Dovevano uccidere uomini d'onore. In quel caso hanno ucciso Di
Cristina.
  PRESIDENTE. Per un grande omicidio politico possono
esser utilizzati come assassini persone che non sono uomini
d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Ho sentito di un caso in cui sono
state utilizzate.
  PRESIDENTE. Persone che non sono uomini d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Sì, quello non era un uomo d'onore,
era un tecnico delle armi.
  PRESIDENTE. Questo tecnico delle armi era la vittima, o
l'esecutore?
  LEONARDO MESSINA. No, era uno che si è occupato anche
dell'esecuzione, uno che ha partecipato.
  PRESIDENTE. Un esecutore?
  LEONARDO MESSINA. Sì, era un maniaco delle armi e a casa
sua hanno trovato il tornio e il resto.
  PRESIDENTE. Chi è stata la vittima in questo caso?
  LEONARDO MESSINA. L'onorevole Pio La Torre.
  PRESIDENTE. Che è stato ucciso, fra gli altri, da un
tecnico delle armi che non era uomo d'onore?
  LEONARDO MESSINA. Sì, c'era anche questo tecnico non
uomo d'onore ed è stato ucciso dopo giorni.
  PRESIDENTE. E' stato ucciso?
  LEONARDO MESSINA. Sì, l'hanno ucciso in via Folaga il 4
maggio.
  PRESIDENTE. Può dire il suo nome?
  LEONARDO MESSINA. Sì, Plicato Loreto.
  PRESIDENTE. Era siciliano?
  LEONARDO MESSINA. Era di Vallelunga: è quello che
chiamano muto nel film Cento giorni a Palermo.
  ALFREDO GALASSO. Ha partecipato nel senso che faceva
parte del commando?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
                         Pag. 583
  PRESIDENTE. Sa la ragione per la quale è stata uccisa
questa persona?
  LEONARDO MESSINA. Si era impegnato per il sequestro dei
beni dei mafiosi.
  PRESIDENTE. No, mi riferivo all'uccisione di Plicato.
  LEONARDO MESSINA. Plicato ha ucciso il rappresentante ed
il sottocapo della famiglia di San Cataldo, ha ucciso uno
stiddaro, Giuseppe Temporale e Guido Dellaira ed era in
contatto con il mandamento di Palma di Montechiaro. In quella
sera che è stato ucciso a Palermo veniva da Palma di
Montechiaro ed aveva gli uomini dietro: gli hanno fatto fare
l'omicidio e poi lo hanno ucciso.
  PRESIDENTE. Sa se Cosa nostra, o suoi uomini, si erano
attivati durante il sequestro Moro?
  LEONARDO MESSINA. Non lo so; comunque, ero detenuto e
c'erano i ragazzi delle BR, che nulla avevano da dividere con
noi.
  PRESIDENTE. Sull'omicidio Dalla Chiesa sa nulla?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Quando venne ucciso lei era appena entrato
in Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. In che anno è stato ucciso?
  PRESIDENTE. Il 3 settembre 1982.
  LEONARDO MESSINA. Sono stato affiliato nell'aprile 1982.
  PRESIDENTE. Quindi, era già in Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Cosa si disse nell'ambito di Cosa nostra
quando venne ucciso Dalla Chiesa?
  LEONARDO MESSINA. Dalle nostre parti, poco. Non c'è
stato quel grande messaggio, perché siamo una provincia
derivata, anche se in un certo senso siamo entrati
nell'indagine perché il giudice Falcone aveva avuto sentore di
un incontro tra i siracusani e Vincenzo Purcheria in un
ristorante. C'erano stati dei problemi e l'aveva mandati a
chiamare.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato che La Torre è stato ucciso
perché voleva la confisca dei beni; perché è stato ucciso
Dalla Chiesa?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che a volte vengo a
conoscenza di notizie e a volte la regione, o la provincia,
non mi deve dire nulla.
  PRESIDENTE. In questo caso non le hanno detto nulla?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un gruppo di
delinquenti di Roma che si chiama "banda della Magliana"?
  LEONARDO MESSINA. Ne ho sentito parlare soltanto da un
punto di vista giornalistico.
  PRESIDENTE. Pippo Calò è stato recentemente condannato
all'ergastolo per la strage su un treno: non so se ricorda...
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quella strage venne decisa dalla
commissione?
  LEONARDO MESSINA. Quando lo Stato fa pressione su Cosa
nostra, Cosa nostra fa un altro movimento diverso quando
allenta la sua morsa.
  PRESIDENTE. Da un'altra parte?
                         Pag. 584
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In questa fase, che tipo di movimento
potrebbe fare Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Non vorrei essere preso per
visionario, ma penso che dietro gli ultimi fatti ci sia
un'espressione della massoneria. Guarda caso, escono quando
c'è la morsa, ma non bisogna allentare la morsa.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio? Escono in che senso?
  LEONARDO MESSINA. Escono nuove realtà e vengono fuori a
livello della televisione, quando impegnano il popolo a nuovi
fatti e non a guardare sempre Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Perché si riferisce alla massoneria?
  LEONARDO MESSINA. Perché penso che dietro ai
naziskin ci sia questo.
  PRESIDENTE. Ho capito, lei pensa che vengano gonfiati di
volta in volta alcuni episodi?
  LEONARDO MESSINA. Sì, lo fanno apposta, per distrarre
l'attenzione dalla Sicilia e mandare gli obiettivi su altre
cose.
  PRESIDENTE. Bene, la ringrazio: abbiamo esaurito la
prima parte di domande. Ora definiremo un altro gruppo di
domande che le rivolgeremo fra breve.
(Il signor Leonardo Messina viene accompagnato fuori
dell'aula).
  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi invito a proporre
altre domande da rivolgere a Leonardo Messina.
  SALVATORE FRASCA. Dovremmo chiedere a Messina di
precisare meglio i rapporti fra mafia siciliana e 'ndrangheta:
ha detto che esiste un vertice e ne ha indicato il
responsabile in Pippo Mazzaferro. Vorrei che il pentito ci
dicesse qualcosa di più perché mi sembra che abbia detto
alcune cose inesatte.
  VINCENZO SCOTTI. Sempre con riferimento alla
'ndrangheta, Messina ha detto che è controllata da una
commissione che vieta i sequestri: come mai in Calabria
avvengono?
  SALVATORE FRASCA. Messina ha parlato della mafia della
Locride, che è la zona dei Mazzaferro, ma non ha parlato della
mafia di Gioia Tauro: dovremmo chiedergli se sa qualche cosa
di più al riguardo.
  MAURIZIO CALVI. Credo che debba essere chiarito il ruolo
della massoneria negli omicidi Lima, Salvo, Falcone e
Borsellino.
  ALTERO MATTEOLI. Anche se lo ha già fatto in due
passaggi, vorrei che parlasse di questa nuova forza politica
che starebbe dietro i separatismi. In secondo luogo, Messina
ha affermato che, pur essendo Troja in contatto con i servizi
segreti, lui lo aveva ospitato a casa; vorrei sapere se a Cosa
nostra non dava alcun fastidio il fatto che Troja dicesse
chiaramente di essere al servizio dei servizi segreti.
   Non so, inoltre, se avete avuto la mia stessa impressione
e cioè che in tutto il racconto di Messina vi siano tantissime
imprecisioni, nonché alcuni passaggi nei quali si contraddice;
una cosa però è costante in tutto il suo ragionamento, vale a
dire una specie di mitizzazione del vertice di Cosa nostra.
Può darsi che la cultura che lo ha accompagnato per tutta la
vita lo porti ad affermare che i politici sono i servi di Cosa
nostra, i magistrati sono assoggettati e così via. Forse
parlandone ancora potremmo capire qualcosa di più.
   Per quanto riguarda la massoneria, chi ne abbia un minimo
di conoscenza - non perché ne faccia parte, almeno per quanto
mi riguarda - deve desumere che o in
                         Pag. 585
Sicilia vi è un'altra massoneria, oppure che Messina non ne
conosce nemmeno l'abc. Non vorrei che egli usasse il termine
massoneria per indicare un'altra cosa; non ne conosce neanche
le caratteristiche più elementari e fa una confusione, un
cacciucco, una specie di marmellata della massoneria. Uno che
arriva a dire che dietro i naziskin vi sono la
massoneria e la mafia, cioè una strategia mirata ad allentare
la morsa dello Stato ... Le cose sono due: o in Sicilia vi è
un altro tipo di massoneria, che configura un'altra Cosa
nostra, oppure bisogna capirne qualcosa di più, perché forse
Messina si riferisce ad una sorta di P2 o P3.
   In ultima analisi, Messina ha parlato di magistrati che
sarebbero coinvolti in un progetto di golpe.
  PRESIDENTE. Ha parlato di un colpo di Stato nel passato,
ma ha aggiunto che adesso non c'è più bisogno di un colpo di
Stato.
  ALTERO MATTEOLI. Però ha parlato del separatismo, che
sarebbe un colpo di Stato indolore. Vorrei un chiarimento su
quel passaggio.
  VINCENZO SCOTTI. Vorrei un chiarimento più puntuale
circa i rapporti di Messina con il SISDE, nel 1982 e nelle
fasi successive; egli infatti ha dichiarato che vi è una
presenza del SISDE comune per comune, cioè un certo controllo
diffuso, se ho capito bene.
   Messina ha inoltre affermato che all'epoca della presenza
di Sindona in Sicilia vi fu un controllo dei servizi: in che
termini sarebbe avvenuto? La terza questione riguarda il
rapporto di mediazione fra imprenditori e politici ai fini
degli appalti ed il ruolo di Cosa nostra come è andato
evolvendo da una prima fase fino alle vicende attuali: Messina
lo racconta con l'inserimento ed il ruolo di Riina in questa
direzione, ma vorrei conoscere qualche elemento in più circa
il modo in cui è stato attuato questo cambiamento.
  MARCO TARADASH. Vorrei fare innanzitutto un'osservazione
sull'audizione che abbiamo avuto con i giudici di
Caltanissetta: nello spiegare e valorizzare molto il ruolo di
questo pentito, essi hanno sottaciuto un elemento non
secondario di cui invece egli stesso ha parlato, e cioè che
sarebbe in contatto con il SISDE dal 1986. Francamente questo
non è un elemento che si può sottacere ad una Commissione
parlamentare che sta conducendo un'inchiesta. Sappiamo dunque
che dal 1986 Messina è in contatto con il SISDE e che in
quell'anno ha dato l'informazione che Scarpuzzedda era morto;
inoltre nel marzo 1991 avrebbe comunicato che vi sarebbe stata
un'importante riunione del governo mondiale, ma il SISDE per
qualche motivo non ha preso in considerazione tale notizia. Vi
è dunque un rapporto di collaborazione tra il SISDE e questo
signore, che bisognerebbe approfondire dal punto di vista dei
contatti e delle vacanze (con chi ha trascorso le vacanze,
anche se a un certo punto ha precisato che non si trattava
proprio di vacanze?); inoltre vorrei sapere dove è andato,
dove è stato portato e che frequentazioni ha avuto. Immagino
infatti che dal 1986 ad oggi Messina, che è un capo decina,
abbia partecipato ad una serie di attività criminali e di
omicidi di cui, evidentemente, i servizi segreti erano al
corrente; pertanto è stato fatto un doppio gioco da lui, dai
servizi segreti o non so da chi altro. Fatto sta che questo
non ce l'hanno detto i magistrati, ma ce l'ha detto lui e
vorremmo capirne qualcosa di più, anche perché dal 1986 al
1992 la mafia non è certo rimasta inoperosa.
   In secondo luogo, Messina ha parlato della riunione di
Enna, della quale ha avuto notizia, dicendo che vi avrebbe
partecipato Bernardo Provenzano. Ha poi aggiunto di non sapere
se sia vivo o morto. Se è morto, è difficile che abbia
partecipato alla riunione..
  MASSIMO BRUTTI. Il problema è successivo, se ho ben
compreso.
                         Pag. 586
  MARCO TARADASH. Per quanto riguarda la questione dei
pentiti, vorrei sapere se all'interno della mafia se ne sia
mai discusso, perché mi sembra impossibile che
un'organizzazione che controlla tanti traffici, magistrati
eccetera non si preoccupi mai di tale questione.
   Chiedo, quindi, se ci sia mai stata, a sua conoscenza, una
riunione in cui si è discusso di una eventuale gestione, da
parte di Cosa nostra, dei pentiti. Per esempio, rispetto alle
centinaia di arresti operati nei confronti della camorra
organizzata, Messina è al corrente di qualche gestione da
parte di Cosa nostra, considerato che, se non sbaglio, la
camorra organizzata sfuggiva al controllo degli uomini di Cosa
nostra all'interno della camorra napoletana?
   Vorrei sapere, quindi, se in quel caso vi sia stata
gestione dei pentiti e se all'interno di Cosa nostra si sia
mai posto il problema di inviare alcuni pentiti per aiutare
Cosa nostra a cambiare pelle attraverso quello che lui stesso
ha definito un aiuto indiretto e involontario da parte dello
Stato nel momento in cui ha liberato Cosa nostra da tutta una
serie di personaggi.
  MARIO BORGHEZIO. Ho prestato molta attenzione al
materiale sui pentiti che è stato fornito alla Commissione ed
ho notato che moltissime pagine, quelle che si riferiscono ai
quadri di Cosa nostra, sono dedicate ad esponenti
dell'organizzazione nella regione Lombardia.
   Ciò premesso, ritengo che i commissari, nonostante la
vastità delle loro domande, abbiano un po' perso l'occasione,
che considero irripetibile, di delineare un quadro più
approfondito di una realtà molto preoccupante, considerate le
parole del signor Messina, il quale ha parlato di una
conquista del territorio in atto.
   Credo, quindi, che al signor Messina dovremmo rivolgere
una serie di domande per conoscere la realtà della situazione
attuale, cioè per sapere cosa stia facendo Cosa nostra in
Lombardia, in un contesto molto diverso da quello meridionale,
dove è evidente che gli appalti sono gestiti in maniera
sostanzialmente diversa. Dobbiamo conoscere i rapporti di Cosa
nostra con il partito degli affari, con "tangentopoli".
Dobbiamo chiederci se le misure di controllo sono o meno
adeguate, cosa stanno facendo gli organi di polizia per
intralciare la penetrazione territoriale di Cosa nostra e come
sono controllati i confinanti.
   Poiché il signor Messina ha parlato di attività di agenzie
immobiliari e finanziarie, vorrei sapere in quali settori ed
in quali città esse operino. Per esempio, svolgono un lavoro
di supporto a quello del vicino casinò di Campione? E' un caso
che i responsabili indicati si localizzano tutti a province di
confine, come Varese? E' un caso che in Liguria la zona più
endemicamente nota per la penetrazione mafiosa sia quella di
Ventimiglia?
   Per quanto riguarda un altro aspetto dell'attività di Cosa
nostra, ho letto con molta attenzione il rapporto del
comandante dei carabinieri di Corleone, del 1988, che è ricco
di intercettazioni di conversazioni telefoniche - mi pare
riferentesi all'utenza del ragionier Mandalari - e che, però,
è riferito ad un unico oggetto, cioè quello relativo
all'applicazione della legge n. 64 del 1986. Vorrei sapere se
il signor Messina sia in grado di fornirci notizie sulle
attività di Cosa nostra che, stando a quanto si desume da
quelle intercettazioni, sembrano addirittura impiantate ad
hoc per inserirsi nell'utilizzazione dei fondi della legge
n. 64 e sugli eventuali collegamenti con il fenomeno
dell'immigrazione extracomunitaria ad opera del gruppo di Cosa
nostra impiantato a Tunisi.
  FERDINANDO IMPOSIMATO. A proposito dei pentiti, sarebbe
interessante conoscere la responsabilità della mafia per
quanto riguarda la strategia di sterminio dei familiari dei
pentiti. Vorrei, quindi, che il signor Messina ci parlasse, in
generale, dei massacri dei familiari di Buscetta, di Contorno,
di Badalamenti eccetera e ci dicesse da chi partivano gli
ordini.
                         Pag. 587
   Per quanto concerne i rapporti con l'ufficiale del SISDE
di cui ci ha parlato Messina, poiché sappiamo che il vertice
di tale organismo era massone (mi riferisco a Santovito, a
Miceli e a tutti gli altri), vorrei sapere se egli ne fosse o
meno al corrente.
   In merito ai rapporti di Cosa nostra con la Calabria e la
Campania, vorrei sapere se la regola in base alla quale un
certo omicidio non può essere compiuto se non con l'assenso
della famiglia competente per territorio valesse anche per
queste due regioni, nel senso che era di competenza della
famiglia il luogo in cui doveva essere consumato l'omicidio.
Per esempio, se Scopelliti fu ucciso in territorio della
famiglia De Stefano, ciò significa che essa non poteva non
sapere.
   Infine, per quanto riguarda la banda della Magliana,
ricordo che Pippo Calò aveva rapporti con esponenti politici
della capitale e con esponenti del mondo industriale, per cui
vorrei acquisire notizie più approfondite in merito a tali
rapporti, soprattutto su quelli riferiti agli imprenditori e
agli uomini politici di Governo.
  ALFREDO GALASSO. Credo che vi siano due o tre questioni
di fondo, una delle quali già posta dai colleghi Scotti e
Taradash. Associandomi alle richieste avanzate, manifesto
qualche esigenza in più, nel senso che, ad un certo punto, non
ho ben capito se Messina, a proposito di una fotografia, si
sia riferito o meno al SISDE. Effettivamente, nel 1986 ha
inizio il maxiprocesso e per Cosa nostra vengono individuate
talune vie strategiche, per cui credo sarebbe importante
conoscere da Messina il nome del capitano del SISDE a cui ha
fatto cenno, perché potrebbe aiutarci a capire come realmente
si siano svolti i fatti in quegli anni.
   La seconda questione che mi pongo è relativa ad un'altra
asserzione di Messina, il quale non ha detto di supporre ma di
sapere cosa oggi sia Cosa nostra. Egli ci ha descritto un
quadro che va da un forte radicamento territoriale in Sicilia
ad una dimensione mondiale, che però a me pare resti anche
abbastanza incerta. Ancora di più resto confuso e perplesso
quando sento parlare di questa strategia separatista che si
svolgerebbe comunque dentro lo Stato. Cosa è questa strategia
separatista? Cosa vuol dire? Cosa nostra vuole il suo Stato?
Egli ha detto "su questo io so". Tutto ciò configura un
qualcosa rispetto al quale continuare a parlare di Cosa nostra
diventa perfino equivoco. Ci confondiamo tutti, a questo
punto. Ha parlato di governo mondiale e di Riina come
rappresentante e di Madonia come suo vice (non più ora).
Vorrei capire cosa faccia Riina: è a capo di una strategia
separatista in Italia? E' un punto che secondo me resta molto
vago e che può essere fonte di confusione.
   Un altro punto che interessa la nostra Commissione è
anch'esso di fondo. Messina dice: "ho saputo di alcuni fatti:
attenzione, può succedere che i pentiti siano nel mirino".
Vorrei saperne un po' di più, se possibile, su chi, quando e
come segue i fatti e le vicende del mondo esterno a Cosa
nostra. Chi svolge questa sorta di funzione di osservatorio
sulle strategie politiche altrui? Egli dà la sensazione che in
questi anni in Sicilia ci sia stata solo Cosa nostra come
protagonista di tutta la vita economica, politica, sociale e
civile. Così non è e del resto diversamente non si capirebbero
le stragi che ci sono state.
   Poi ci sono due domande più precise. La prima riguarda
queste imprese di riciclaggio di cui Messina ha parlato come
un modo di articolarsi di Cosa nostra per quanto riguarda gli
affari. Forse è opportuno chiedergli se sia a conoscenza, al
di là della Calcestruzzi SpA di Totò Riina, di altre agenzie o
imprese al di fuori della Sicilia che svolgono questo genere
di attività nell'interesse di Cosa nostra e se si tratti di
una rete o di presenze occasionali.
   L'altra domanda è se Messina sappia qualcosa di una storia
che rimase abbastanza oscura, quella del giudice Gianfranco
Riggio, che si svolse proprio a Caltanissetta. Quel giudice fu
avvicinato e poi rinunciò all'idea di andare all'Alto
commissariato.
                         Pag. 588
  MASSIMO BRUTTI. Sembrerebbe lo stesso modello di
comportamento che Messina ha indicato, quindi la domanda è
molto pertinente.
  ALFREDO GALASSO. Vorrei poi sapere da quale fonte abbia
avuto conoscenza della partecipazione di Plicato al commando
che assassinò Pio La Torre e se Messina sia a conoscenza di
altri che parteciparono a questo assassinio.
   Forse sarebbe opportuno approfondire quanto egli ci ha
detto rispetto a questa vicenda di Pio La Torre. Dubito che
sappia qualcosa di più e francamente ho l'impressione che
abbia ripetuto notizie già lette. Questa vicenda dei
provvedimenti di sequestro e confisca dei beni sta poco in
piedi, tenendo conto dei tempi dell'iniziativa di La Torre.
Sarebbe opportuno verificare se egli sappia qualcosa di più,
perché ci furono quelle preoccupazioni.
  GIANCARLO ACCIARO. Mi soffermo sul separatismo cui ha
accennato più volte il collaboratore della giustizia. Vorrei
capire se quando parlava di stranieri fuori della Sicilia, in
particolar modo in riferimento a quel che avvenne nella zona
di Catania, egli si riferiva a un progetto che coinvolgeva
anche la Sardegna.
   Messina dice di essere stato a Prato in soggiorno
obbligato e di aver avuto contatti con i sardi. Vorrei sapere
se questi contatti abbiano avuto come risultato certi affari o
progetti in Sardegna. Mi riferisco a episodi poco simpatici
per noi sardi come i sequestri di persona. Messina ha lasciato
un dubbio quando ha detto che Cosa nostra non li fa almeno
ufficialmente; vorrei capire se invece non ufficialmente li
faccia o vi partecipi.
   Inoltre vorrei sapere se egli ritenga indispensabili per
la lotta alla mafia i supercarceri di Pianosa e Asinara.
Poiché Messina parecchie volte ha affermato che l'importante
per Cosa nostra è evitare gli ergastoli, vorrei sapere se, una
volta usciti dal carcere, questi personaggi rientrino a pieno
titolo nell'organizzazione.
   Infine vorrei porre una domanda sugli investimenti dei
gelesi in Sardegna e, in particolare, se abbiano ad oggetto il
nord o il sud della Sardegna.
  ALDO DE MATTEO. Una delle cose che mi ha più colpito è
il costante richiamo alla massoneria. Però non mi sembra di
cogliere nel signor Messina un'idea precisa di massoneria.
Qual è la massoneria che conosce? Le persone che normalmente
vengono indicate come massoni della provincia vicina o del suo
stesso paese? Mi sembra importante avere qualche informazione
in più per conoscere qual è la sua idea di massoneria.
   Riprendendo un argomento sollevato dal collega Galasso,
anche a me sembra che il richiamo alla "mondializzazione" di
Cosa nostra non sia stato spiegato in modo adeguato. Di questo
incarico che sarebbe ricoperto da Riina alla fine troviamo
solo il regalo delle scarpe e niente altro. Mi sembra un
riferimento che lascia qualche perplessità.
   La terza questione emersa dall'intero ragionamento è la
visione un po' totalizzante di Cosa nostra, al punto che
Messina ha fatto affermazioni secondo cui tutto il mondo
dell'imprenditoria, delle attività produttive, delle
professioni sarebbe collegato in un sistema dal quale
resterebbero fuori solo le cose che si ritengono marginali.
Anche questa mi sembra un'affermazione spropositata.
   Un ultimo aspetto riguarda un richiamo fatto da Messina su
cui il presidente ha già insistito, per vedere se è possibile
cogliere il senso della sua reticenza: quando afferma che
tutti i partiti hanno contatti per voti di scambio con Cosa
nostra, ad eccezione dei comunisti e dei fascisti, egli
aggiunge che vi è anche qualche altro partito, di cui però non
fa il nome. Qual è il senso di questo atteggiamento, nel
momento in cui alcuni nomi vengono detti?
   Riterrei infine opportuno rivolgere qualche altra domanda
su questa forza politica nuova che sarebbe interessata al
disegno di secessione e a quant'altro.
  GIROLAMO TRIPODI. Sarebbe anzitutto opportuno chiedere a
Messina se
                         Pag. 589
sappia qualcosa in merito al suicidio, avvenuto ieri, del
giudice Signorino, che ha colpito tutti.
   Messina ha poi parlato di appalti ma gli è sfuggito oppure
non ha voluto trattare un altro aspetto; interesserebbe sapere
se, oltre alle tangenti che le imprese debbono dare, vengano
concessi lavori in subappalto e quali siano.
   Un'altra domanda dovrebbe riguardare il modo in cui si
interviene sui comuni rispetto alle scelte urbanistiche
relative alla destinazione dei suoli a fini edificatori.
   Visto che ha parlato di massoneria - concordo con tutti i
colleghi che hanno manifestato l'esigenza di un maggiore
approfondimento - vorrei sapere se è a conoscenza di rapporti
avuti da Gelli con Cosa nostra.
   Egli ha inoltre affermato che la provincia di Messina
sarebbe sotto il controllo della 'ndrangheta anziché sotto
quello di Cosa nostra, mentre un pentito come Buscetta ha
detto qualcosa di diverso.
   Un'ulteriore affermazione mi sembra molto importante,
quella fatta quando sostiene che la difficoltà nel condurre la
lotta alla mafia è dovuta alla mancanza di volontà politica.
Sarebbe interessante sapere qualcosa di più in proposito, se è
un fenomeno generalizzato e come lo giudica.
   Mi sembra infine che Messina abbia trascurato il rapporto
dei mafiosi detenuti in carcere con il mondo esterno. Non mi
pare che le sue affermazioni siano molto chiare; Buscetta ha
detto altre cose che ci sembravano più precise.
  PRESIDENTE. Buscetta è di un livello diverso.
  CARMINE GAROFALO. Vorrei che ci si soffermasse
ulteriormente - ma insisto perché la domanda sia rivolta in
maniera indiretta - sulla questione dei rapporti con i
servizi. Mi sembra che questo sia un aspetto per la verità
molto oscuro. Egli dà un quadro secondo cui la mafia
controllerebbe tutto; poi dice di aver avuto, pur svolgendo un
qualche ruolo all'interno dell'organizzazione, una serie di
rapporti con i servizi. La domanda da porre in maniera
indiretta dovrebbe essere la seguente: se e in quali
situazioni Cosa nostra autorizza e conosce i rapporti dei suoi
aderenti con i servizi?
  PIETRO FOLENA. L'onorevole Grasso ha chiesto di
rivolgere qualche domanda sul controllo relativo alla famiglia
di Messina e, prima di questo, a proposito di Vaccaro, della
mafia del tessile e di Prato, delle zone privilegiate per le
latitanze, dei collegamenti della provincia di Messina e, in
particolare, dei comuni di Mistretta, Barcellona e Tortorici.
   Vorrei avere da Messina, in aggiunta ai quesiti posti
dall'onorevole Grasso, una ricostruzione in termini sintetici
della guerra di mafia a Gela, perché nelle sue dichiarazioni
risulta che Iannì era vicino a Santapaola; poi però gli uomini
di Madonia fanno questa durissima guerra con Iannì.
   Si tratterebbe di capire quali siano stati i termini,
quali siano le stidde e via dicendo. Dico questo anche in
riferimento alla visita compiuta a Gela.
   In secondo luogo, vorrei sapere che cosa ha da dirci di
Vito Ciancimino.
   In merito alla droga, Messina ha fatto un'affermazione
molto netta: Cosa nostra non vende droga in Sicilia perché non
vuole rovinare i sui giovani. Come è a tutti noto, in realtà
la droga nell'isola si consuma, per cui si tratta di sapere
chi la vende. Sono organizzazioni mafiose dissidenti,
laterali, piccoli gruppi?
   Bisognerebbe ancora chiedere se conosce personalmente il
mafioso Giancarlo Giugno di Niscemi.
   In merito alle banche, mi pare che Messina sia un
grandissimo conoscitore delle vicende di San Cataldo, gran
parte delle sue risposte ruotano su quel mondo, come è
naturale. Se non ricordo male, la Banca d'Italia ha dichiarato
che in quel centro nella banca locale - non so se la dizione
fosse Banca popolare di San Cataldo - nel 1984-1985 - bisogna
verificare la data - avveniva riciclaggio da
                         Pag. 590
parte della mafia catanese. Sarebbe interessante se ci
raccontasse in proposito del ruolo di Beniamino Maira, massone
legato anche a questa banca, che poi stava a Roma, di cui
parla nelle dichiarazioni che abbiamo letto. Estenderei la
domanda anche ad altre banche presenti nella zona, per sapere
in modo particolare se quella di Canicattì viene utilizzata
per il riciclaggio.
   Se ho ben capito, Messina ha dato un giudizio piuttosto
drastico sul carcere di Caltanissetta. Esiste tra l'altro
un'interrogazione presentata da alcuni parlamentari in cui si
sostiene grosso modo la stessa cosa. Vorrei che precisasse
questo giudizio. Siamo di fronte, all'interno di quel carcere,
ad un potere di Cosa nostra, che controlla il secondo piano ed
esercita una funzione di intimidazione? Si tratta di un punto
estremamente delicato perché un situazione del genere
imporrebbe un intervento.
   Ha parlato infine dei tre uomini più influenti nei singoli
comuni: il sindaco, il maresciallo dei carabinieri e il capo
mafia. E' presente però un altro potere, rappresentato dal
parroco; vorrei sapere che rapporto ha Cosa nostra, nel
sistema delle relazioni a livello locale, con la struttura
della Chiesa, se anche in questo caso siamo di fronte a forme
di accettazione, di convivenza o di collusione.
  MASSIMO BRUTTI. In merito ai contatti avuti con
esponenti del SISDE nel 1986-1987, vorrei si chiedesse a
Messina se si trattasse di informazioni che in qualche modo
aveva acquisito nel carcere e se tra queste vi fosse anche
quella relativa a indirizzi e numeri telefonici di elementi
dei NAR, che egli dice di aver fornito.
   Vorrei anche chiedere, in rapporto all'uomo dei NAR (che
evidentemente deve essere un ex terrorista, uno che aveva
avuto precedenti terroristici con i NAR e che poi, come è
accaduto per molti, aveva continuato un'attività di tipo
malavitoso - l'episodio della rapina di qualche giorno fa
dimostra come ci sia questa continuità di comportamenti
criminali da parte di personaggi che sono stati a suo tempo
coinvolti nel terrorismo nero), chi aveva organizzato
l'incontro con l'uomo dei NAR nel 1989?
  PRESIDENTE. Da Palermo, l'ha detto.
  MASSIMO BRUTTI. Vorrei chiedere, in sostanza, quale
fosse il punto di riferimento.
   A me sembra particolarmente interessante un aspetto del
discorso di Messina che si riallaccia a cose dette perfino da
Buscetta negli interrogatori resi a Falcone nel 1984 e a cose
che abbiamo letto circa il riferimento ad una struttura
supersegreta.
   Messina, a pagina 9 dell'incartamento che ci è stato
fornito, dice che i corleonesi stanno creando una struttura
segreta di non presentazione all'interno di Cosa nostra; a
pagina 15 riferisce di persone che entrano in Cosa nostra i
cui nomi rimangono segreti. Vorrei approfondire questo punto,
partendo da un esempio concreto riferito da Messina e
precisamente quello di Angelo Siino. Secondo Messina, Angelo
Siino fa parte della struttura segreta di non presentazione, è
ambasciatore di Totò Riina con l'incarico generale di curare
tutto il settore degli appalti. Secondo Messina è massone.
   A pagina 109 c'è una definizione abbastanza articolata
della funzione di ambasciatore quale emissario del
rappresentante provinciale, il quale ha contatti diretti con i
singoli uomini d'onore a qualsiasi famiglia della provincia
appartengano, senza dover tenere conto delle gerarchie
interne, delle articolazioni tradizionali.
   Vorrei sapere se l'ambasciatore ha una delega per materia
e l'incarico di occuparsi di un insieme di cose. Nel caso di
Siino sembrerebbe di sì. Ma allora Salvatore Ferraro,
ambasciatore di Madonia, di cosa si occupa? E' soltanto il
rappresentante degli interessi di Madonia che in una questione
di appalti cede il passo all'autorità più forte di Riina?
Messina dice di essersi rivolto a Ferraro, il quale riferisce
che c'era in ballo un interesse di Riina e quindi era meglio
lasciare stare.
                         Pag. 591
   Vorrei sapere se anche Salvatore Ferraro fa parte di una
struttura segreta di non presentazione e se anch'egli è
massone.
   Mi ha particolarmente colpito il riferimento ad una prima
disponibilità a collaborare che vi sarebbe stata da parte di
Messina all'inizio del 1992, prima di essere arrestato,
collaborazione che forse avrebbe potuto evitare il verificarsi
di alcune stragi.
   Per quanto riguarda il sistema degli appalti, vorrei
sapere chi ha definito le regole di cui parla Messina. Si
tratta di regole imposte da Cosa nostra oppure decise di
comune accordo con le altre parti di questo sistema, cioè
imprenditori, politici e funzionari che intervengono nella
fase dell'esecuzione? Inoltre, a chi ci si rivolge nel caso in
cui il meccanismo si inceppi? Decide autoritativamente Cosa
nostra, cioè la parte più forte, più spregiudicata, più
brutale, oppure c'è una struttura di tipo arbitrale? Ci si
rivolge ad una personalità particolarmente autorevole, ad una
personalità che può anche non essere uomo d'onore? Può
trattarsi di un imprenditore, di un politico? Insomma, vorrei
che Messina ci spiegasse come si risolvono i problemi quando
questo complesso meccanismo si inceppa, perché è possibile che
ciò accada.
   Tutti coloro che hanno avuto il contatto con i politici
devono morire, così dice Messina per spiegare l'omicidio
Salvo. Questo vogliono i corleonesi affinché "si perda la
memoria storica". Vorrei capire cosa significa perdere la
memoria storica e che si devono far fuori gli uomini che
svolgevano funzioni di tramite.
  ANTONIO BARGONE. Messina ha parlato di qualcuno che si è
spogliato dei vecchi panni e che adesso fa la lotta a Cosa
nostra. A chi si riferisce, cosa vuol dire?
  SANTI RAPISARDA. L'ha detto.
  ANTONIO BARGONE. Non ho sentito.
   Successivamente ha detto che altre volte Cosa nostra ha
cambiato nome, precisamente quando ha fatto riferimento alla
strategia separatista.
  PRESIDENTE. Non il nome, ha mutato il carattere.
  ANTONIO BARGONE. Cosa vuol dire quando afferma che altre
volte ciò è accaduto nella storia di Cosa nostra?
   Parlando della strategia separatista ha fatto riferimento
ad alcune forze alleate in questo processo al di fuori della
Sicilia, ma non ha detto nulla di eventuali forze presenti
nell'isola. Vorrei sapere se conosce quali sono le forze
alleate in questo progetto. Inoltre, rilevo una contraddizione
nelle dichiarazioni di Messina allorché dice che Cosa nostra
controlla anche la 'ndrangheta, mentre all'inizio ha detto che
la 'ndrangheta c'è anche in Sicilia e precisamente a Messina.
Credo che questo aspetto vada meglio precisato.
   Vorrei inoltre sapere se Cosa nostra è presente anche in
Abruzzo e in Basilicata, soprattutto alla luce del riferimento
che è stato fatto al nord della Puglia, a Foggia eccetera.
   Per quanto riguarda il rapporto con la Sacra corona unita,
Messina ha detto che si tratta di una diramazione di Cosa
nostra. Vorrei chiedere a Messina se il fondatore della Sacra
corona unita, Rogoli, è un affiliato di Cosa nostra e comunque
se ci sono affiliati di Cosa nostra ai vertici della Sacra
corona unita.
   In ordine agli avvocati, vorrei chiedere se sono stati
effettuati scambi in occasione dei due maxiprocessi, il primo
svoltosi a Lecce e il secondo in corso a Brindisi. Sarebbe
opportuno sapere se Cosa nostra fornisce assistenza inviando
suoi avvocati e se c'è uno scambio in tal senso e se risulta
che gruppi di fuoco siciliani o calabresi siano stati
utilizzati in Puglia.
  PRESIDENTE. Vorrei ricordare ai colleghi che prima di
concludere i nostri lavori la Commissione dovrà assumere
                         Pag. 592
alcune decisioni. Pertanto abbiamo un problema di numero
legale.
  VINCENZO SCOTTI. Alle 16 dovrei allontanarmi.
  PRESIDENTE. Non possiamo assumere alcuna decisione se la
Commissione non è in numero legale. Pertanto vorrei pregare i
colleghi di non allontanarsi.
  ALTERO MATTEOLI. Sarebbe opportuno evitare interventi
chilometrici.
  PRESIDENTE. Sappiamo come stanno le cose: dobbiamo
restare almeno in diciassette e mi richiamo al senso di
responsabilità di tutti.
  GIROLAMO TRIPODI. Non potremmo decidere adesso?
  PRESIDENTE. No, perché abbiamo già stabilito di decidere
alla fine.
   Proseguiamo nella definizione delle domande.
  SANTI RAPISARDA. Messina ha detto che Catania si pone
sotto certi aspetti in una posizione anomala rispetto a Cosa
nostra: dovremmo chiedergli perché. Inoltre gli dovremmo
domandare quale ruolo gioca la mafia nei trasporti,
soprattutto nel catanese.
  VITO RIGGIO. Vorrei chiedere come è stato assunto alla
miniera di Pasquasia: è stato segnalato da qualcuno? Vorrei
poi domandargli chi sono quelli della politica pulita cui si è
riferito all'inizio, dicendo che aveva parlato con gente che
aveva una visione diversa della politica. Questo argomento si
connette alla domanda su quale ruolo egli ritenga che svolgano
altri tipi di organizzazione della società civile di
Caltanissetta (per esempio, organizzazioni cattoliche e
sindacato), perché sembrerebbe che non vi siano realtà diverse
da quella che ha descritto. Inoltre, cosa voleva esattamente
dire quando ha affermato: sappiamo che alle origini dello
Stato c'è stato un compromesso tra mafia e politica?
Nell'ideologia che fra loro si raccontano, c'è qualcosa di più
preciso al riguardo? Ancora: cosa significa che oggi tutto il
passato deve essere eliminato, come tutti i politici che sono
stati utilizzati? Ci sono già, e quali sono, forme diverse di
rapporto nel rinnovato patto tra la nuova mafia di Riina e la
politica?
   Infine, vorrei capire meglio la sua affermazione secondo
cui tutta l'imprenditoria (la grande imprenditoria nazionale,
quella regionale e quella locale) è, direttamente o
indirettamente, coinvolta. Da quanto afferma, sembra che sia a
conoscenza diretta di una serie di operazioni, alcune
effettuate da lui stesso sul territorio (ha parlato di
provincia amministrativa, e quindi di investimenti provinciali
e comunali). Di grandi investimenti sa qualcosa? Il meccanismo
è lo stesso, oppure non sa niente e arriva a descriverlo -
come ha già detto con i giudici - in termini di teorema
generale?
  PAOLO CABRAS. Nei verbali che abbiamo letto, Messina
dice di aver distribuito, come emissario di Cosa nostra, il
denaro proveniente dalle tangenti delle ditte per gli appalti
sia alla famiglia mafiosa di Caltanissetta sia ad un
intermediario (quel Caluzzo di cui ci ha parlato) che
rappresenterebbe politici palermitani. Ecco, rispetto allo
schema di un interessamento tutto volto alla gestione
territoriale, salvo la percentuale che va ai corleonesi, non
capisco questo ruolo di ambasciatore e di mediatore (se ho
capito bene, leggendo i verbali) di Messina a Palermo,
attraverso Caluzzo, con riferimento a politici palermitani.
Vorrei inoltre sapere se si tratta di rappresentanti politici
nella regione Sicilia.
   Tornerei poi sulla vicenda della trasformazione e del
cambiamento radicale degli interessi e delle alleanze
politiche della mafia: non desidero sapere alcun nome di
politico, ma dopo che egli stesso conferma - come tutti hanno
confermato - la tradizionale vocazione della mafia a
privilegiare i partiti di Governo, questo cambiamento per il
futuro rimane nebuloso,
                         Pag. 593
 non si capisce dove si orienta, come e perché, e quale
valenza politica abbia. Siccome Messina insiste al riguardo e
addirittura giustifica l'uccisione di Salvo Lima proprio con
queste asserzioni, dobbiamo saperne qualcosa di più.
   Inoltre, nell'ambito delle domande sulla vicenda SISDE già
formulate dai colleghi Taradash, Scotti e Galasso (e che
condivido) vorrei che fosse chiarito - anche per il
riferimento ad un rappresentante del SISDE in ogni comune - se
ci siano stati consuetudini e contatti anche con altre forze
dell'ordine, per esempio con i carabinieri. Vorrei che fosse
spiegata meglio la rete dei suoi contatti, se non erro tutti
precedenti al pentimento, perché sappiamo che dopo viene
gestito da altre strutture.
  MARCO TARADASH. Dovremmo chiedergli anche perché non ha
voluto parlare con i magistrati di Palermo, come risulta dai
verbali.
  PRESIDENTE. D'accordo, colleghi, possiamo far rientrare
in aula Leonardo Messina.
(Il signor Leonardo Messina viene accompagnato
nuovamente in aula).
  PRESIDENTE. In questa fase, signor Messina, i singoli
parlamentari, dopo aver ascoltato le sue precedenti risposte,
richiedono alcuni chiarimenti. In primo luogo, può precisare
meglio i rapporti della mafia con la 'ndrangheta: lei, se non
erro, ha spiegato che la 'ndrangheta sta assumendo una
struttura verticale così come Cosa nostra. E' vero questo?
  LEONARDO MESSINA. Ho detto che nel regionale alcuni capi
della 'ndrangheta sono di Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Quindi, c'è un regionale della 'ndrangheta?
  LEONARDO MESSINA. Sì, c'è il regionale della Lombardia,
che conosco bene.
  PRESIDENTE. Domandavo se c'è un regionale della
'ndrangheta in Calabria.
  LEONARDO MESSINA. Sì, c'è un regionale anche in
Calabria.
  PRESIDENTE. Anche in Calabria, per quanto le risulta, il
rapporto della mafia con la società e le istituzioni è lo
stesso?
  LEONARDO MESSINA. Sì, praticamente è una di quelle
regioni in cui si è padroni del territorio.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato che Cosa nostra non fa
sequestri di persona, almeno ufficialmente; gli uomini che
fanno parte della commissione regionale calabrese sono uomini
di Cosa nostra, e tuttavia in Calabria i sequestri si fanno.
  LEONARDO MESSINA. Si fanno a Platì, San Luca, Bovalino,
dove ci sono gli stiddari, gli Strangio e gli altri che non
hanno a che vedere con la 'ndrangheta ufficiale.
  PRESIDENTE. La 'ndrangheta ufficiale non interviene?
  LEONARDO MESSINA. C'è una guerra in corso, da anni.
  PRESIDENTE. Quindi, praticamente, sarebbero organismi
non controllati che fanno queste operazioni?
  LEONARDO MESSINA. Sì, sono i fuoriusciti dalla
'ndrangheta ufficiale.
  PRESIDENTE. Come li chiamate?
  LEONARDO MESSINA. Da noi vengono additati come stiddari,
perché sono stati 'ndranghetisti.
  PRESIDENTE. Per gli omicidi Lima, Salvo, Falcone e
Borsellino, la massoneria ha avuto un ruolo?
  LEONARDO MESSINA. Per rispondere, dovrei dire di più di
quello che in
                         Pag. 594
realtà so. Conosco la decisione della mia regione: siccome
sono pure massoni, hanno sicuramente deciso da soli ma con le
pressioni da altri organismi.
  PRESIDENTE. Omicidi di questo genere vengono commessi da
Cosa nostra consultando in qualche modo la massoneria?
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra non può comunicare niente
alla massoneria. Se un personaggio ha dato disturbo a certi
livelli, Cosa nostra si impegna e prende autonomamente una
decisione.
  PRESIDENTE. Quindi il massimo che si può dire è che uno
dà fastidio. E' la stessa cosa che spiegava anche per la
politica?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Alcuni parlamentari vorrebbero capire meglio
la questione dei servizi di sicurezza. Lei ha spiegato che
questo Troja diceva di essere vicino ai servizi di sicurezza;
ciò nonostante lei lo ha ospitato a casa sua. Non le poneva
qualche sospetto il fatto di ospitare a casa una persona che
diceva cose del genere?
  LEONARDO MESSINA. Eravamo stati insieme in carcere per
circa tre anni. Consideri inoltri che il vecchio Calì non
voleva questa frequentazione e lo ha mandato via da San
Cataldo. Vi erano dei sospetti, poi lui è andato al nord con
qualcuno di noi per fare delle cose. Quando l'ho conosciuto,
ha dato l'impressione di essere un povero diavolo; comunque,
era una persona intelligentissima e colta.
  PRESIDENTE. Il vecchio Calì dunque le vietò di
frequentare questa persona.
  LEONARDO MESSINA. Sì, perché lo frequentavo non solo io
ma anche il figlio di Calì, Salvatore.
  PRESIDENTE. Quindi andò via da San Cataldo.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. I vertici di Cosa nostra hanno davvero
questo grande potere?
  LEONARDO MESSINA. Cosa intende per grande potere?
  PRESIDENTE. Il potere di decidere chi vive e chi muore,
chi fa o chi non fa gli appalti, chi è eletto e chi non lo è:
ha tutta questa grande forza economica?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Già una singola famiglia ha una
forza economica rilevante; se una famiglia è funzionale, un
uomo d'onore ha circa 300 milioni l'anno in tasca.
  ALTERO MATTEOLI. Trecento milioni a testa?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Quando parla della massoneria a quale
organismo si riferisce? Fa riferimento ad una cosa che conosce
oppure le hanno detto "quello è massone"?
  LEONARDO MESSINA. Parlo perché nella mia famiglia già
c'erano Terminio, Borino, Miccichè ed altri che erano massoni;
l'aveva quasi imposto la regione perché si trattava di persone
di un certo livello culturale, che dovevano ricoprire posti
importanti all'interno di Cosa nostra. Un uomo d'onore da solo
non può decidere perché ha fatto un giuramento con Cosa
nostra; la massoneria è il vertice per fare gli affari di
tutti.
  PRESIDENTE. Quindi è la regione che a un certo punto
decide di far iscrivere qualcuno alla massoneria.
  LEONARDO MESSINA. Una certa corrente.
                         Pag. 595
  PRESIDENTE. Che vuol dire "una certa corrente"?
  LEONARDO MESSINA. Negli ultimi tempi cercavano di
attirare le persone più quotate.
  PRESIDENTE. I corleonesi?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Queste iscrizioni quando sono avvenute?
  LEONARDO MESSINA. Quando sono entrato a far parte di
Cosa nostra, a San Cataldo già Terminio era massone.
  PRESIDENTE. E gli altri?
  LEONARDO MESSINA. Miccichè fu affiliato dopo essere
entrato in Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Miccichè fu affiliato dopo di lei?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Io sono stato affiliato nel 1982 e
Miccichè intorno al 1985. Comunque ci conoscevano sin da
bambini.
  PRESIDENTE. Quindi prima fu affiliato a Cosa nostra. Che
qualità Miccichè aveva in più rispetto a lei?
  LEONARDO MESSINA. Innanzitutto era un maestro di scuola
e quindi culturalmente era inserito in un contesto sociale
diverso.
  PRESIDENTE. Miccichè è stato ucciso?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Lei ha accennato più volte alla questione
del separatismo ed ha spiegato il tipo di intese che vi
possono essere dietro, nonché la ragione e lo scopo del
separatismo. Vi sono o meno forze politiche siciliane
d'accordo su questo progetto del separatismo?
  LEONARDO MESSINA. Loro appoggeranno una forza politica a
distanza di qualche anno che partirà dal sud. Ora la manovra
non viene dal sud.
  PRESIDENTE. La manovra viene da altre parti, però Cosa
nostra appoggerà una forza politica siciliana. E' questo che
sta dicendo?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Una forza politica nuova o tradizionale?
  LEONARDO MESSINA. Nuova, con un nome nuovo.
  PRESIDENTE. L'ha detto ai giudici questo nome?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione i suoi
rapporti con persone del SISDE nel 1984?
  LEONARDO MESSINA. Loro avevano cercato di contattarmi
quando ero in carcere imputato di un omicidio, ma io avevo
rifiutato. Li ho incontrati dopo. Mi avevano chiesto di
aiutarli a prendere qualche latitante ed avevano una lista in
mano; ci siamo incontrati circa quattro volte e sono venuti
persino a casa mia.
  PRESIDENTE. Ma sapevano chi era lei?
  LEONARDO MESSINA. Sapevano entrambi chi eravamo.
  PRESIDENTE. Sapevano chi fosse lei e non l'arrestavano?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Ero anche in possesso di un numero
telefonico da chiamare se avessi cambiato idea.
                         Pag. 596
  PRESIDENTE. Nel senso di collaborare?
  LEONARDO MESSINA. Non volevano soltanto fare qualche
arresto, ma prendere persone importanti.
  PRESIDENTE. I capi, insomma.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Il SISDE aveva una presenza comune per
comune?
  LEONARDO MESSINA. Conosco solo il contatto che hanno al
mio paese, ma non sono a conoscenza di quelli in altri paesi.
  PRESIDENTE. Lei sa che in altri paesi vi sono altri
contatti, però non sa chi siano.
  LEONARDO MESSINA. Sì, so che hanno contattato altri
paesi.
  PRESIDENTE. E' un po' esagerato affermare che in ogni
paese c'è un contatto o no?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che a loro servono notizie.
  PAOLO CABRAS. Perché parla di SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Perché ho nome e cognome della
persona.
  PRESIDENTE. Ma sapeva già che era del SISDE ?
  LEONARDO MESSINA. Così mi hanno detto.
  PAOLO CABRAS. Loro si sono qualificati come appartenenti
al SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Me l'ha detto la persona che me li ha
fatti incontrare.
  PRESIDENTE. Con questi personaggi del SISDE lei si è
recato da qualche parte?
  LEONARDO MESSINA. Loro erano interessati ad avere
informazioni perché alla questura di Varese erano sparite
delle mitragliette e pensavano che fossero finite prima in
mano mia e poi dei romani che a loro sembravano appartenere al
terrorismo. Li ho favoriti dando loro il numero di telefono
dei romani.
  PRESIDENTE. Che avevano preso le mitragliette o no?
  LEONARDO MESSINA. No, le mitragliette le avevano prese
altre persone. Me l'hanno detto un anno dopo, confermando
quanto avevo dichiarato, e cioè che non le avevamo noi.
  PRESIDENTE. Lei per quattro volte ha incontrato agenti
del SISDE e nessuno della sua famiglia le ha chiesto cosa
stesse combinando?
  LEONARDO MESSINA. Uno di essi ha telefonato persino a
casa di mia madre ed aspettava che salissi a Roma per chiarire
...
  PRESIDENTE. Gli incontri avvenivano a Roma?
  LEONARDO MESSINA. No, sono avvenuti a San Cataldo; poi
gli ho dato un paio di indirizzi di Catania, ma ero impaurito
perché, dopo avergli dato gli indirizzi, sfondavano le porte
ed entravano dentro.
  PRESIDENTE. Il fatto che per quattro volte lei abbia
incontrato persone del SISDE non poteva indurre in sospetto la
sua famiglia?
  LEONARDO MESSINA. La prima volta che mi hanno contattato
l'ho comunicato a Madonia.
                         Pag. 597
  PRESIDENTE. Che cosa gli ha risposto?
  LEONARDO MESSINA. Mi ha detto che avevano contattato
anche altre persone e mi ha detto i prezzi che queste persone
avevano chiesto per i latitanti. Ho saputo che il prezzo più
alto era per Giuseppe Scarpuzzedda.
  PRESIDENTE. Il problema importante non era evitare che
lei avesse rapporti ma che non dicesse ciò che loro
chiedevano.
  LEONARDO MESSINA. Loro sapevano della mia correttezza.
  PRESIDENTE. Quindi, Cosa nostra si fidava di lei.
  LEONARDO MESSINA. Sì, certamente.
  PRESIDENTE. E questo poteva anche essere un rapporto
utile a Cosa nostra.
  LEONARDO MESSINA. Poteva, perché loro avevano bisogno di
dare notizie false...
  PAOLO CABRAS. Lei ha detto di aver avuto incontri con
agenti del SISDE anche durante le vacanze.
  LEONARDO MESSINA. Cosa vuol dire vacanze?
  PRESIDENTE. All'inizio, lei ha detto che aveva trascorso
delle vacanze insieme a queste persone.
  LEONARDO MESSINA. Non ho detto questo. L'ho incontrato a
casa di persone, al mio paese. Una volta è venuto a casa...
  PRESIDENTE. L'aiuto a ricordare. All'inizio, lei ha
detto che dopo si è determinato a collaborare con lo Stato,
perché avendo trascorso vacanze insieme a personaggi del mondo
legale...
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma prima ha parlato di vacanze con
uomini del SISDE, ed io non... Sono stato in giro con delle
persone politiche, le ho ospitate da me in campagna. Si
trattava di persone politiche che non avevano nulla a che
vedere con Cosa nostra, con me, con il SISDE e con altri. Si
trattava di imprenditori, di persone che hanno
boutiques...
  PRESIDENTE. In questo quadro non rientra il SISDE, in
quanto si tratta di un altro tipo di rapporto?
  LEONARDO MESSINA. Certo, da me loro volevano soltanto
prendere...
  PRESIDENTE. Provenzano ha partecipato al vertice di
Enna?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Le notizie sulla sua possibile fine sono
successive?
  LEONARDO MESSINA. Provenzano deve pagare un conto che ha
in sospeso con Riina e Luciano Liggio, cioè l'uccisione del
nipote di Luciano e Giuseppe Liggio.
  PRESIDENTE. E' un delitto che aveva compiuto lui?
  LEONARDO MESSINA. C'era stato un momento di rottura tra
Liggio, Riina e Bernardo Provenzano e ne era seguita la morte
di Vincenzo Lo Cascio, per esempio, quello incaprettato alla
Favorita, a Palermo...
  MARCO TARADASH. In che anno?
  LEONARDO MESSINA. Un paio di anni fa.
  MARCO TARADASH. E la riunione di Enna quando c'è stata?
  LEONARDO MESSINA. La riunione di Enna è avvenuta adesso,
a marzo.
                         Pag. 598
  PRESIDENTE. Cosa nostra ha mai discusso del problema dei
pentiti?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. In che termini lo ha fatto?
  LEONARDO MESSINA. Alcuni uomini di Cosa nostra hanno
ucciso anche fratelli dei pentiti. E' stato un uomo d'onore ad
uccidere il fratello di Melluso.
  PRESIDENTE. Quindi, una delle discussioni che si
facevano era per vedere come intimidirli?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Si facevano anche altre valutazioni? Per
esempio, si suggeriva di fingere che qualcuno
dell'organizzazione fosse un pentito, di modo che facesse
dichiarazione false?
  LEONARDO MESSINA. Una delle mie preoccupazioni è proprio
che delle persone possano immettersi in un circuito per
venirci addosso.
  PRESIDENTE. Che lei sappia, finora questo è accaduto o
no?
  LEONARDO MESSINA. No, in questo momento... Non lo so.
  ALTERO MATTEOLI. Non lo esclude?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Dire che non lo esclude può significare
molte cose. Il punto è un altro: lei non sa ma non lo esclude.
Potrebbe essere ma finora non è accaduto?
  LEONARDO MESSINA. Il mio problema è quello di un uomo
che conosce le loro manovre. Di fronte a tanti collaboratori
che stanno spuntando da tutte le parti, penso che qualcuno
voglia entrare in qualche circuito, vedere come ci muoviamo e
poi colpirci. Può essere anche così.
  PRESIDENTE. Lei sa che in Lombardia, a Milano c'è stato
un grosso giro di appalti, con fenomeni di corruzione
eccetera. Cosa nostra ha avuto rapporto con quegli ambienti?
  LEONARDO MESSINA. Le persone che io conosco in Lombardia
no. Le persone che conosco in Sicilia...era sempre Angelo
Siino ad occuparsene: se gli imprenditori del nord dovevano
partecipare ad un appalto, era impegno suo e di Caluzzo
parlargli.
  PRESIDENTE. Lì, anche al nord?
  LEONARDO MESSINA. Sì, perché agli appalti partecipano
anche le ditte del nord.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda la presenza di Cosa
nostra, lei ha fatto riferimento a Varese, a Como e ad altre
zone di confine. E' un caso o c'era una ragione particolare
per la presenza di Cosa nostra nelle zone di confine?
  LEONARDO MESSINA. No, è stato un caso. Quando questi
uomini sono partiti erano emigranti, qualcuno era affiliato.
  PRESIDENTE. Cosa nostra ha messo in piedi attività
particolari per sfruttare le leggi sul Mezzogiorno o
provvedimenti analoghi?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto mi risulta, no.
  MARCO TARADASH. L'offerta per l'arresto di Riina quando
è avvenuta?
  LEONARDO MESSINA. Nell'ultimo contatto che ho avuto con
il SISDE.
  PRESIDENTE. Chi decideva l'uccisione dei familiari dei
pentiti?
                         Pag. 599
  LEONARDO MESSINA. La commissione regionale. Si trattava di
un programma.
  PRESIDENTE. Quindi, un insieme di omicidi da compiere?
  LEONARDO MESSINA. Certo. Hanno iniziato con l'uccisione
del fratello di Melluso (lo hanno fatto di mattina, è
storicamente provato), poi hanno ucciso Vitale e, in varie
province, tutti gli altri. Quindi, non potendo un organismo
occuparsi di tutto, se ne occupava la regione, la commissione
interprovinciale.
  PRESIDENTE. Lei sapeva che in una certa fase i vertici
del SISDE appartenevano alla massoneria?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Le regole per l'omicidio che lei ci ha
spiegato (cioè che è la commissione a decidere eccetera),
valgono anche per la Calabria e per la Campania?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Per tutta la Campania?
  LEONARDO MESSINA. Quello campano è un atteggiamento
particolare.
  PRESIDENTE. Per la Calabria?
  LEONARDO MESSINA. In Calabria ci sono le decine, c'è una
struttura, però ci sono moltissime bande. Comunque, le bande
che appartengono a Cosa nostra seguono questa regola.
  PRESIDENTE. Può dirci qualcosa a proposito del ruolo
svolto a Roma da Pippo Calò?
  LEONARDO MESSINA. Non ne so nulla, anche perché vengo da
una provincia interna.
  PRESIDENTE. Riina è il capo di questa strategia tendente
a separare la Sicilia dal resto d'Italia?
  LEONARDO MESSINA. Sì, è uno dei capi.
  PRESIDENTE. E gli altri capi chi sono?
  LEONARDO MESSINA. I capi della provincia che voi
chiamate corleonesi, che sono i rappresentanti provinciali.
  PRESIDENTE. E' solo Cosa nostra o ci sono anche altre
persone, non appartenenti all'organizzazione, a dirigere
quest'operazione?
  LEONARDO MESSINA. Lì dovevano esserci solo le persone
che organizzano Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Questo l'ho capito. Parlo della strategia
più in generale.
  LEONARDO MESSINA. Nel senso che vi sono anche politici
che appartengono a Cosa nostra o che ad essa sono molto
legati.
  ALTERO MATTEOLI. Quando ha visto l'ultima volta Riina?
  LEONARDO MESSINA. Non ho mai visto Riina, almeno credo.
  PRESIDENTE. Lei comprende che questa questione interessa
particolarmente la nostra Commissione perché riguarda la
struttura dello Stato. Quindi, in merito alla strategia
separatista, se ha gli elementi per farlo, può spiegare più
approfonditamente alla Commissione cosa vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. In pratica, devono appoggiare nuovi
partiti che tentano ...
  PRESIDENTE. Che tentano di separare la Sicilia dal resto
d'Italia?
                         Pag. 600
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Lei ha detto prima che questi gruppi non
vogliono più dipendere dallo Stato nazionale.
  LEONARDO MESSINA. In un certo senso. Finora hanno
controllato lo Stato. Adesso vogliono diventare Stato.
  ROMANO FERRAUTO. Solo la Sicilia interessa questo
movimento separatista?
  LEONARDO MESSINA. No. Io parlo di Cosa nostra, che è la
stessa in Calabria come in Sicilia.
  PRESIDENTE. Il tipo di separatismo di cui lei ha sentito
parlare, di cui si decideva ad Enna, riguardava soltanto la
Sicilia o anche altre parti d'Italia?
  LEONARDO MESSINA. Riguardava l'organizzazione di Cosa
nostra. Non si parlava della Sicilia ma dell'organizzazione,
quindi delle regioni dove c'è Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Quindi, la separazione dovrebbe riguardare
non solo la Sicilia.
  LEONARDO MESSINA. Sicilia, Campania, Calabria, Puglia.
  PRESIDENTE. Questo è il tipo di questione che è stato
affrontato ad Enna?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  CARLO D'AMATO. Anche la Lombardia si doveva separare?
  LEONARDO MESSINA. Dipende.
  PRESIDENTE. Quindi, il problema era di disporre di aree
sulle quali esercitare un controllo davvero totale, per
divenire stabile. Non doveva trattarsi di un controllo di
altri ma dell'impossessamento totale.
  LEONARDO MESSINA. Ma loro sono già padroni del
territorio.
  PRESIDENTE. In queste zone?
  LEONARDO MESSINA. Sì
  MARIO BORGHEZIO. Per quanto riguarda la Lombardia, cosa
si potrebbe fare per fermare l'espansione territoriale?
  PRESIDENTE. Credo che questo dovremo chiederlo al capo
della polizia.
   Vi sono imprese che svolgono organicamente un'azione di
riciclaggio?
  LEONARDO MESSINA. Le grosse imprese hanno contatti
direttamente con la provincia, perché le singole famiglie non
hanno questi contatti importanti.
  PRESIDENTE. Lei ricorda la vicenda del giudice Riggio di
Caltanissetta?
  LEONARDO MESSINA. Lo conosco.
  PRESIDENTE. Sa qualcosa di quella vicenda?
  LEONARDO MESSINA. Fare il magistrato in Sicilia
significa anche conoscere le cose siciliane. Il magistrato che
si occupa di politica si imbatte in noi, per forza.
  PRESIDENTE. Quindi?
  LEONARDO MESSINA. Riggio si imbattè in noi.
  PRESIDENTE. E allora?
  LEONARDO MESSINA. Per lui andare avanti, fare politica,
come hanno fatto gli altri politici ... fa il magistrato per
ottenere voti.
  PRESIDENTE. Ma Riggio non si è mai candidato!
  LEONARDO MESSINA. Gianfranco Riggio era candidato nel
PSI.
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  PRESIDENTE. Come ha saputo di Plicato?
  LEONARDO MESSINA. Conosco Plicato personalmente.
  PRESIDENTE. Può spiegare meglio le preoccupazioni per le
cose che diceva La Torre. Lei diceva che è stato ucciso perché
sosteneva il sequestro dei beni.
  LEONARDO MESSINA. Le mie sono notizie filtrate, ero un
organo inferiore all'epoca.
  PRESIDENTE. In sostanza La Torre all'epoca aveva solo
presentato un importante progetto di legge.
  LEONARDO MESSINA. A chi aveva presentato il progetto si
doveva dare il primo colpo. E glielo hanno dato.
  PRESIDENTE. Il progetto stette fermo per un anno e
mezzo, soltanto nell'estate del 1982 fu approvato l'articolo
1.
  LEONARDO MESSINA. Diciamo che è ancora fermo, qualcosa
si è mosso ora. E' stato fermo per anni.
  VITO RIGGIO. Nel senso che non è stato applicato?
  LEONARDO MESSINA. Sì, non è stato applicato.
  PRESIDENTE. Carceri come Asinara e Pianosa sono
indispensabili nella lotta contro Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sono molto importanti, perché per uno
che appartiene a Cosa nostra la cosa più brutta è non fargli
avere notizie del suo paese, non avere tramite; lì non lo
hanno o meglio lo hanno ma ci vuole troppo tempo. Il tempo che
passa è assai. Anche nei colloqui c'è ordine di stare zitti
perché ci sono microspie dappertutto.
  PRESIDENTE. In altre carceri ci sono lo stesso le
microspie o no?
  LEONARDO MESSINA. Sì, sono tutti impauriti di questo
fatto. Parlano per gesti ma prima di capire qualcosa ci vuole
mezz'ora e il colloquio finisce.
  PRESIDENTE. Quando si esce dal carcere si riprendono
subito i rapporti?
  LEONARDO MESSINA. Uno non cessa mai di essere uomo
d'onore, né prima né dopo.
  PRESIDENTE. I rapporti organici con la famiglia
riprendono subito?
  LEONARDO MESSINA. Appena si esce dal carcere, si fa una
riunione, una cena e si presentano i nuovi affiliati all'uomo
che è tornato.
  PRESIDENTE. Questo è il modo per reimmetterlo nel
circuito?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma non ha mai cessato.
  PRESIDENTE. Questo dominio che lei spiega così
opprimente in Sicilia e in Calabria riguarda davvero tutto,
non c'è nulla che sfugge?
  LEONARDO MESSINA. Di che genere?
  PRESIDENTE. Dal punto di vista dell'imprenditoria, della
politica, delle istituzioni.
  LEONARDO MESSINA. E' totale, da chi pulisce i tombini in
su, dal comune alla provincia, alla regione: non si può posare
uno spillo in Sicilia senza il volere del rappresentante
locale.
  PRESIDENTE. Il senatore De Matteo le chiede una
spiegazione: lei ha detto che Cosa nostra votava tutti i
partiti tranne fascisti e comunisti, le due estreme. Poi ha
detto che anche altri
                         Pag. 602
partiti non sono stati votati. Come mai, avendo fatto i nomi
di due partiti, non vuole fare quelli degli altri?
  LEONARDO MESSINA. Era vietato per gli uomini d'onore
avvicinarsi a quei due partiti, nel modo più totale. Uno può
essere di un altro partito, oltre gli ordini di scuderia, ma
per quanto riguarda comunisti e movimento sociale non c'era
possibilità di avvicinamento. Ci sono ordini di scuderia, non
è un volere della famiglia o del paese.
  PRESIDENTE. Perché non vuol fare i nomi di altri partiti
per i quali c'era divieto di voto? O non c'erano altri partiti
per i quali vi era un divieto di voto?
  LEONARDO MESSINA. Non c'erano altri partiti.
  PRESIDENTE. Neanche recentemente?
  LEONARDO MESSINA. Recentemente è nato qualche partito
nuovo. Si credeva che era un bluff. Si voleva dare qualche
dimostrazione bruciando le sedi ma si disse: "Lasciamoli stare
tanto sono quattro pazzi". Invece, solo nel mio paese hanno
preso 3.339 voti, senza colpo ferire. Sono persone che conosco
da 30 anni. Sono persone pulite del paese, che non hanno
niente a che vedere con nessuno.
  PRESIDENTE. Non avete controllato più a questo punto?
  LEONARDO MESSINA. Nessuno può controllare in questa
maniera, perché sembravano quattro sempliciotti e invece hanno
avuto questa risposta a San Cataldo.
  PRESIDENTE. Quindi non è esatto che controllate proprio
tutto.
  LEONARDO MESSINA. Li abbiamo presi sotto gamba.
  ALTERO MATTEOLI. Hanno preso quei voti alle ultime
elezioni politiche?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. I subappalti sono controllati da voi?
  LEONARDO MESSINA. Sì, in modo totale. Noi viviamo per i
subappalti.
  PRESIDENTE. Vi capita di interessarvi delle scelte
urbanistiche dei comuni?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Come si influenzano queste scelte?
  LEONARDO MESSINA. Al comune ci sono uomini nostri, che
abbiamo messo lì, o molto vicini a noi. In un paese ci sono il
sindaco, il maresciallo e il rappresentante di Cosa nostra e
tutti e tre sanno che ci sono.
  PRESIDENTE. La Chiesa in che rapporti è con voi?
  LEONARDO MESSINA. La Chiesa ha capito prima dello Stato
che doveva prendere le distanze da Cosa nostra. Prima in un
certo senso sembrava che Cosa nostra aiutasse la gente e la
Chiesa si prestava a questo ruolo. Da alcuni anni la Chiesa
non vuole avere alcun contatto.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare, quando era in Cosa
nostra, di Licio Gelli?
  LEONARDO MESSINA. Mai ufficialmente.
  PRESIDENTE. Che vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. Non ne abbiamo mai parlato all'interno
e nei miei contatti con i regionali non è venuto fuori
ufficialmente quel nome.
                         Pag. 603
  PRESIDENTE. Perché, è venuto fuori non ufficialmente?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può spiegare?
  LEONARDO MESSINA. Non è venuto fuori perché non c'è
stata l'occasione di parlarne.
  PRESIDENTE. Vuol dire che è venuto fuori in modo non
ufficiale o non è mai venuto fuori?
  LEONARDO MESSINA. Non è mai venuto fuori nel contatto
che avevo io. Mi trovavo a parlare con un regionale in un
contatto, per esempio per un appalto, e non c'era occasione di
parlare di queste cose.
  PRESIDENTE. C'è stata qualche occasione non ufficiale in
cui si è parlato di queste cose?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Può spiegare la questione della 'ndrangheta
a Messina? Lì non c'è Cosa nostra, c'è la 'ndrangheta?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono pochi uomini d'onore, si erano
spostati dei catanesi ma la realtà ufficiale è 'ndrangheta.
Lei capisce che sarebbe impossibile che Cosa nostra si faccia
rubare il territorio dalla 'ndrangheta: è una sola struttura.
  PRESIDENTE. Quali sono le zone più utili per i
latitanti? Nella zona di Messina ci sono zone utilizzate dai
latitanti?
  LEONARDO MESSINA. Devono avere un controllo totale delle
zone perché a loro nulla può succedere. Lo avevano nella
provincia di Caltanissetta prima che i riesani dichiarassero
guerra; l'avevano nella provincia di Enna perché era terra
franca, c'era pochissimo controllo. Devono avere la sicurezza.
C'è stato un momento in cui stavano per perire tutti in un
colpo perché la stidda stava per ucciderli tutti a casa di
Paolo Balbo.
  PRESIDENTE. Quando?
  LEONARDO MESSINA. Alla fine del 1986.
  PRESIDENTE. Può dare qualche spiegazione sulla guerra di
mafia a Gela?
  LEONARDO MESSINA. A Gela opera la famiglia Madonia, che
poi non è Madonia, perché originariamente egli è un uomo
d'onore della famiglia di Vallelunga; però aveva affiliato a
Cosa nostra Salvatore Polara. Prima Niscemi e Gela erano
un'unica famiglia perché c'erano pochi uomini d'onore. Conosco
tutti i passaggi perché quando sono stato affiliato c'era sia
il vecchio Arcerito, un rappresentate di Niscemi che è morto,
sia altre persone sia molti gelesi. Poi quando si sono fatti
la struttura è diventata autonoma in un territorio dove Cosa
nostra non c'era o se c'era era in piccole parti, perciò non
erano abituati alla presenza degli uomini d'onore; man mano
qualcuno se lo sono affiliato, a qualcuno hanno fatto la
guerra. Ma la cosa più forte per i gelesi è quando Riesi si
mette in contrasto con i corleonesi, diventano tutti alleati
della stidda, diventano tutti stiddari; praticamente Riesi,
Mazzarino, un'ala dei niscemesi e un'ala dei gelesi sono
stidde.
  PRESIDENTE. Così si spiega quindi la lotta?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Di Vito Ciancimino ha mai sentito parlare,
ufficialmente come dice lei?
  LEONARDO MESSINA. Si diceva all'interno di Cosa nostra
che nulla si poteva muovere a Palermo politicamente senza il
volere di Lima e di Vito Ciancimino.
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  PRESIDENTE. Insieme o separatamente?
  LEONARDO MESSINA. Insieme.
  PRESIDENTE. Lei ha spiegato che Cosa nostra non vende
droga in Sicilia.
  LEONARDO MESSINA. Ora.
  PRESIDENTE. Come mai la droga c'è lo stesso? Chi la
vende?
  LEONARDO MESSINA. Perché ce l'ha qualcuno.
  PRESIDENTE. Chi è questo qualcuno?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che tutti gli uomini d'onore
dicono così, però dietro hanno dei ragazzi, delle batterie di
picciotti che fanno il lavoro per loro; ufficialmente non
toccano nulla.
  PRESIDENTE. Serve per i soldi?
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche per il controllo; se no
dovrebbero passare ad altri.
  PRESIDENTE. Che vuol dire?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che la droga porta
ricchezza. Se la mafia non ha il controllo di chi spaccia,
quelli si appropriano, comprano le armi. Deve avere un
controllo per forza, Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Conosce Giancarlo Giugno di Niscemi?
  LEONARDO MESSINA. Lo conosco perfettamente.
  PRESIDENTE. Può parlarne alla Commissione?
  LEONARDO MESSINA. Giancarlo Giugno è un uomo d'onore
della famiglia di Niscemi. Era stato scelto dalla provincia
per affibbiarlo dietro ad un paio di politici. Dove andavano i
politici andava Giancarlo Giugno.
  PRESIDENTE. A far cosa?
  LEONARDO MESSINA. Ad accompagnarli; consideri che quando
un politico arrivava in un paese c'erano tre carabinieri e
venti uomini d'onore che guardavano quel politico che
interessava a Cosa nostra.
  PRESIDENTE. E Giancarlo Giugno era uno di questi.
  LEONARDO MESSINA. Giancarlo Giugno era uno che camminava
con questi.
  MARCO TARADASH. I nomi dei politici li ha fatti al
magistrato?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Tra le banche che facevano questo lavoro per
voi c'era anche la banca di Canicattì?
  LEONARDO MESSINA. Sono a conoscenza della banca Don
Bosco.
  PRESIDENTE. Di dov'è la banca Don Bosco?
  LEONARDO MESSINA. Di San Cataldo. Parlo di quello che
conosco, quell'altro è solo per sentito dire.
  PRESIDENTE. La banca Don Bosco è quella di cui sapeva?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ebbe in carcere gli indirizzi e i numeri
telefonici degli appartenenti ai NAR?
  LEONARDO MESSINA. No, li ho avuti fuori, dei ragazzi
vicino ai NAR a Roma e gleli ho dati.
                         Pag. 605
  PRESIDENTE. A chi li ha dati?
  LEONARDO MESSINA. A questo del SISDE, se è del SISDE.
  PRESIDENTE. Quello che disse a lei di essere del SISDE,
diciamo così.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Siino era un uomo che apparteneva ad una
struttura segreta di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Sì, è così.
  PRESIDENTE. E' uno di quelli ...
  LEONARDO MESSINA. ... non presentato.
  ALTERO MATTEOLI. Quanti abitanti fa San Cataldo?
  LEONARDO MESSINA. Emigranti ed altri, circa 33 mila.
  PRESIDENTE. In cambio di che cosa aveva dato questi
indirizzi dei NAR?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che a volte si interessavano
di farmi levare una firma; per esempio, sono stato anni a
firmare due volte al giorno, tre volte al giorno. Si
interessavano anche per questi piccoli favori.
  MARCO TARADASH. Forse erano proprio del SISDE!
  PRESIDENTE. L'onorevole Taradash dice che forse era
proprio del SISDE, se faceva quei favori ...
  LEONARDO MESSINA. Il nome prima o poi verrà fuori e
verificherete.
  PRESIDENTE. Ha fatto il nome ai magistrati?
  LEONARDO MESSINA. Non proprio.
  PRESIDENTE. Pensa di farlo?
  Una voce. Ha fatto il nome del capitano ai
magistrati?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ora sta parlando di un'altra cosa.
   Le hanno chiesto i magistrati il nome di questa persona
che dice di essere del SISDE?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Si è riservato di farlo successivamente?
  LEONARDO MESSINA. Gliel'ho detto riservatamente e non
ufficialmente; non è a verbale.
  PRESIDENTE. Mi scusi, c'è una ragione particolare per
cui il nome del capitano l'ha fatto ufficialmente e il nome di
questo l'ha fatto riservatamente?
  LEONARDO MESSINA. Perché se dico il nome e dove l'ho
incontrato, coinvolgo persone che non hanno niente a che
vedere con la mia attività; sono persone pulite, sono persone
che stanno con voi.
  PRESIDENTE. Stanno con noi nel senso che sono dei
politici?
  LEONARDO MESSINA. Sono gente pulita, parte di uno Stato
che non ...
  PRESIDENTE. L'ambasciatore di Cosa nostra ha il compito
di seguire una sola cosa o segue tutti gli affari?
  LEONARDO MESSINA. Tutto quello che gli dice il
provinciale o il regionale deve eseguire, portare ordine e
contrordine ai vari uomini d'onore che appartengono a diverse
famiglie.
  PRESIDENTE. Praticamente, un emissario personale e
complessivo di tutti gli affari?
                         Pag. 606
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ferraro, che era l'ambasciatore di Madonia
...
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. ... seguiva gli interessi di Madonia?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Però per gli appalti era Siino che comandava
anche su Ferraro? E' così?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che c'è stato un momento in
cui Ferraro era andato via da Caltanissetta, non c'era. E'
stato in America, seguiva altre cose.
  PRESIDENTE. In quella fase, era Siino che vedeva tutto?
  LEONARDO MESSINA. Era Siino, ma sempre tutto in
concomitanza.
  PRESIDENTE. Poiché Siino era vicino a Riina, un ordine
eventuale di Siino valeva di più di un ordine di Ferraro?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che sempre per gli appalti
veniva Siino, ma sempre attraverso Ferraro. Ci incontravamo
tutti, andavamo a cavallo, sono stato a casa, nell'autosalone,
ovunque ... a mangiare. Ci ha invitato sullo yacht, ma
...
  PRESIDENTE. Sullo yacht di chi?
  LEONARDO MESSINA. Siino è proprietario di uno
yacht; così ha detto.
  PRESIDENTE. L'iscrizione di Ferraro a Cosa nostra era
segreta o no?
  LEONARDO MESSINA. No, Ferraro era uno dei primi uomini
d'onore affiliati a Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Ferraro è massone o no?
  LEONARDO MESSINA. A mia conoscenza no.
  PRESIDENTE. Le regole degli appalti che ci ha spiegato
molto bene sono decise insieme tra imprenditori e Cosa nostra
o vengono decise da Siino o Cosa nostra, che dicono agli
imprenditori: "A questo punto ci state"?
  LEONARDO MESSINA. Siino ha fatto delle riunioni con gli
imprenditori vicini a Cosa nostra. Ma in ogni caso già gli
imprenditori avevano una strada per conto loro, Cosa nostra
non avrebbe perso niente in ogni caso.
  PRESIDENTE. Non ho capito.
  LEONARDO MESSINA. Gli imprenditori, oltre a Cosa nostra,
oltre a Siino, già sono organizzati in questo circuito per gli
affari loro.
  PRESIDENTE. Ho capito. Poi è arrivata Cosa nostra ...
  LEONARDO MESSINA. Cosa nostra c'è stata sempre.
  PRESIDENTE. Quindi, Siino che cosa ha fatto? Ha
organizzato meglio il sistema?
  LEONARDO MESSINA. Siino praticamente è uno dei
principali attori di questi appalti. E' andato nelle imprese
vicine, in tutte le province, Catania, Caltanissetta ...
  PRESIDENTE. Ha organizzato meglio?
  LEONARDO MESSINA. Ha organizzato, sì.
  ROMANO FERRAUTO. Insomma, ha esteso il sistema!
                         Pag. 607
  LEONARDO MESSINA. Ha esteso il sistema e hanno avuto il
controllo.
  PRESIDENTE. Se questo meccanismo degli appalti che lei
ha descritto si inceppa, quali sono le conseguenze?
  LEONARDO MESSINA. Come si inceppa? Per quale causa?
  PRESIDENTE. Nel senso che l'imprenditore non ci sta, un
politico non dà il finanziamento che deve dare e così via. Che
cosa accade?
  LEONARDO MESSINA. Se un imprenditore non ci sta,
comincia a subire, non può chiedere. Avevo degli imprenditori
vicini, ho voluto dei ribassi per dei provveditorati agli
studi e per altre cose, non mi hanno dato il ribasso; la
provincia gli ha messo vicino un direttore dei lavori e gli ha
fatto perdere 500 milioni.
  PRESIDENTE. Cioè la provincia ha fatto sì che un
direttore dei lavori ...
  LEONARDO MESSINA. ... lo controllasse a vista. Ha perso
500 e rotti milioni perché aveva fatto il ribasso di 25,75.
  PRESIDENTE. E quindi?
  LEONARDO MESSINA. E quindi aveva perso 500 milioni e non
poteva fare niente di diverso.
  PRESIDENTE. Niente di diverso da quello che aveva
offerto; non poteva variare la cifra?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Perché il direttore dei lavori glielo
impediva. Adesso ho capito. Quindi, non è necessario sempre
fare intimidazioni, basta un'operazione di questo genere?
  LEONARDO MESSINA. Basta un'operazione di questo genere.
  PRESIDENTE. Chi era quel direttore dei lavori di
Palermo, quello che girava ...?
  LEONARDO MESSINA. Le dico che il nome non lo so, però le
posso dire dove è avvenuto il fatto e troverete chi era il
direttore.
  PRESIDENTE. E dove è avvenuto il fatto?
  LEONARDO MESSINA. A Caltanissetta, al provveditorato
agli studi dietro al Tribunale.
  PRESIDENTE. In che anno?
  LEONARDO MESSINA. Consideri che lo hanno consegnato
l'anno scorso.
  PRESIDENTE. Cosa vuol dire che tutti quelli che hanno
avuto contatto con i politici devono morire? E che si deve
perdere la memoria storica?
  LEONARDO MESSINA. Come ho detto prima, Cosa nostra si
sta trasformando, sta entrando in un'altra fase. Ormai si sa
tutto di Cosa nostra. Deve rientrare nella segretezza. Nel
momento in cui lo Stato colpisce i suoi uomini ed i pentiti
"chiamano", si fa un regalo a Salvatore Riina ed ai suoi
amici. Però di questo si rovineranno tutti.
  PRESIDENTE. Non parlerei tanto di regalo.
  LEONARDO MESSINA. E' un regalo perché "chiamiamo" quelli
presentati ritualmente.
  PRESIDENTE. Però in questo modo si comincia a fare il
vuoto.
  LEONARDO MESSINA. Però facciamo il suo gioco. Perché ha
già inserito gli uomini che conoscono soltanto lui, Madonia,
Nitto Santapaola e pochi altri. Sta avvenendo una
rigenerazione.
                         Pag. 608
  PRESIDENTE. Come spiega questa fase di debolezza che ci
sarebbe in Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Non ho capito.
  PRESIDENTE. Lei dice che nel momento in cui lo Stato
arresta gli uomini di Cosa nostra, si fa un favore a Riina.
Tuttavia, più volte ha detto che Cosa nostra si sente stretta
e per questo ha commesso quei grandi attentati. Come spiega
tutto ciò?
  LEONARDO MESSINA. Con tutti questi grossi attentati si è
rimossa l'omertà. E' un fatto culturale. Ormai anche un
muratore ha il figlio laureato. Quel giorno, in quella strada
poteva passare mio figlio, suo figlio, chiunque, non solo
Falcone e gli uomini della scorta. Chiunque poteva passare. E'
stato un atto di debolezza.
  PRESIDENTE. Se ho ben compreso, ci sono due processi in
corso. Il primo è portato avanti da Riina per rendere segreta
l'organizzazione.
  LEONARDO MESSINA. Lo sta facendo.
  PRESIDENTE. Questo processo, una volta che vengono
arrestati gli uomini più conosciuti finisce per essere, sia
pure paradossalmente, agevolato. Contemporaneamente, sta
andando avanti un altro processo e precisamente quello che
vede l'isolamento di Cosa nostra rispetto alla società.
  LEONARDO MESSINA. Sì. Se si insiste su questo lato, per
15-20 anni si richiuderanno dentro per ricostituirsi, perché
le forze sono state individuate. Nel momento in cui si
consegna la mappa di una provincia intera, non rimane più
niente in piedi. Non c'è più nessuno disposto ad assassinare;
principalmente gli uomini d'onore sono tutti degli assassini.
  PRESIDENTE. Com'è possibile che la latitanza di Riina
sia durata tutti questi anni? Che tipo di protezione ha avuto?
  LEONARDO MESSINA. Inizialmente questo problema è stato
preso sotto gamba; non una lotta efficace, ma una lotta di
controllo. Molto spesso nei paesi, quando i carabinieri vedono
un latitante si voltano per non entrare in contrasto. Questo è
accaduto anche quando ero latitante eppure ci trovavamo ad un
livello inferiore. Immaginiamo cosa può accadere con una
realtà ben diversa.
  PRESIDENTE. Lei ad un certo punto della sua deposizione
ha detto che qualcuno si è svestito dei vecchi panni e fa
l'antimafia. Abbiamo capito bene?
  LEONARDO MESSINA. Certo. Quando in un comune si fanno
degli affari ed io sono là, a meno di non esser cieco so cosa
si manovra. Non ci deve essere solo questa collaborazione dei
mafiosi; è giusto che qualcuno dica come avveniva il fatto
all'interno dei comuni.
  PRESIDENTE. In pratica, così come qualcuno dal mondo di
Cosa nostra sta passando da questa parte, anche nel mondo
della politica c'è qualcuno che fa questo lavoro.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. C'è qualcuno che sta facendo questa cosa?
  LEONARDO MESSINA. C'è qualcuno che lo sta facendo,
magari non inserito come uomo d'onore ma come uomo
appartenente ad un certo contesto che per forza deve sapere.
Non si può stare in un comune o in una provincia per dieci
anni e non vedere nulla. Tutto ciò è assurdo.
  PRESIDENTE. Tornando al tema del separatismo, vorrei
chiederle se in Sicilia oggi ci sono alleati politici
favorevoli a questo progetto.
                         Pag. 609
  LEONARDO MESSINA. Li stanno creando.
  PRESIDENTE. Lei ad un certo punto ha detto che stanno
guardando la forza che sosterrà questo progetto. E' una forza
attualmente presente?
  LEONARDO MESSINA. E' un periodo che stanno emergendo
forze nuove. Questa verrà dopo un'altra forza che è in corso
proveniente dal sud.
  PRESIDENTE. Si tratta di un fatto già calcolato?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Questa forza ne è a conoscenza? E'
d'accordo?
  LEONARDO MESSINA. Sì. Lei pensa che si possa appoggiare
il proprio nemico?
  PRESIDENTE. No. Però posso immaginare di appoggiare quella
determinata persona senza dirglielo al momento.
  LEONARDO MESSINA. No. Sono stati contattati altri che in
questi ultimi anni hanno avuto dei grossi consensi politici.
  PRESIDENTE. Qualcuno ha detto di no?
  LEONARDO MESSINA. Hanno detto di no.
  PRESIDENTE. Qualcun altro invece ha detto di sì?
  LEONARDO MESSINA. Io sono a conoscenza di chi ha detto
di no, pur conoscendo la realtà di chi chiedeva.
  PRESIDENTE. La persona richiesta sapeva bene qual era la
realtà?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Di fronte alla richiesta di Cosa nostra di
appoggiare il progetto separatista, c'è chi ha risposto di no?
  LEONARDO MESSINA. Sì, è così.
  PRESIDENTE. Invece qualcun altro ha risposto di sì?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Può dire alla Commissione chi ha risposto di
no?
  LEONARDO MESSINA. Sarebbe come prendere posizione a
favore di un partito, che io non voglio fare.
  PRESIDENTE. Lo ha detto ai magistrati?
  LEONARDO MESSINA. L'ho accennato.
  PRESIDENTE. Lei non ha parlato di partiti, ma di
persona.
  LEONARDO MESSINA. Hanno contattato una persona che prima
era di un partito ed ora è di un altro.
  PRESIDENTE. Prima era di un partito maggioritario?
  LEONARDO MESSINA. Un partito importante.
  PRESIDENTE. In Abruzzo ci sono presenze di Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. Per quanto è a mia conoscenza, no. In
Sicilia i paesi vogliono fare le decine nelle altre regioni.
  PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un certo Rogoli
della Sacra corona unita?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma solo giornalisticamente.
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  PRESIDENTE. Non sa, quindi, se è affiliato a Cosa nostra?
  LEONARDO MESSINA. So soltanto che la Sacra corona unita
fa gli affari ma il vertice è Cosa nostra. Troverete
'ndranghetisti, Sacra corona unita e uomini di Cosa nostra
tutti insieme.
  PRESIDENTE. Cosa nostra manda propri avvocati anche per
la Sacra corona unita?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Così anche per la 'ndrangheta e la camorra?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ci sono anche scambi di gruppi di fuoco?
  LEONARDO MESSINA. Ufficialmente lo possono fare i
vertici. Le famiglie per commettere un omicidio si possono
servire di persone che non devono comparire e per questo ci
serviamo di mille cose. Per chiamare i calabresi dobbiamo
rivolgerci alla regione. A lei potrà sembrare strano che una
regione che ha moltissimi affiliati si rivolga ad un'altra
regione.
  PRESIDENTE. Lei ha detto che la situazione a Catania è
anomala.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Vuole chiarire perché è anomala?
  LEONARDO MESSINA. Ci sono vari gruppi che non fanno capo
a Nitto Santapaola. Ci sono gruppi forti come i Pelleriani,
quelli di Gimignano, i Curzioti.
  PRESIDENTE. C'è una situazione disordinata.
  LEONARDO MESSINA. Non hanno la situazione sotto
controllo. Non sono i padroni totali. Può esserci anche
l'accordo di non aggressione con la "stidda".
  PRESIDENTE. E' a conoscenza di presenze di Cosa nostra
nelle aziende dei trasporti di Catania e provincia?
  LEONARDO MESSINA. I trasporti rappresentano una delle
attività di Cosa nostra. Non ne conosco nella provincia di
Catania ma so che tutti, piccoli e grandi, uomini d'onore
hanno mezzi di trasporto per il movimento terra e qualsiasi
altra cosa.
  PRESIDENTE. Tra l'altro, tutto ciò serve anche a portare
altra roba.
  LEONARDO MESSINA. Serve per portare tutto.
  PRESIDENTE. Come è stato assunto nella miniera di
Pasquasia?
  LEONARDO MESSINA. Non sono stato assunto nella miniera
di Pasquasia. Ero dipendente della Idrofont di San Cataldo e
precisamente assistente di sottosuolo.
  PRESIDENTE. L'Idrofont di chi era?
  LEONARDO MESSINA. La ditta Idrofont è di Enrico Milazzo;
uno degli imprenditori sani del paese.
  PRESIDENTE. L'imprenditore era sano?
  LEONARDO MESSINA. Purtroppo lavoravo in quella ditta.
Lei potrà non crederci ma queste sono persone pulite. Su
questo imprenditore non troverete niente.
  PRESIDENTE. Nella zona di Caltanissetta...
  LEONARDO MESSINA. Chiunque abbia un'impresa in Sicilia
deve tener conto della realtà; pure una persona che può
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parlare qui, andando in Sicilia e lavorando con una ditta,
anche se amico del capo della polizia, si deve adeguare.
Consideri che una persona che era parente di un brigadiere
doveva aprire un bowling ed ha cercato gli agganci prima
di aprirlo: qui possiamo fare i commenti, lì dobbiamo avere
gli accordi.
  PRESIDENTE. Per quanto riguarda Caltanissetta, vi è una
certa risposta a Cosa nostra da parte dei sindacati, delle
organizzazioni della società, dei movimenti cattolici, e così
via?
  LEONARDO MESSINA. Da noi, i sindacati quasi non
esistono: se uno si rivolge al sindacato, qualcuno telefona
all'imprenditore dopo tre minuti. Le imprese, per fare
assunzioni, passano sempre tramite qualcuno e non hanno
problemi per l'iscrizione a sindacati.
  PRESIDENTE. Le organizzazioni cattoliche?
  LEONARDO MESSINA. Le organizzazioni cattoliche, come ho
detto, non hanno niente a che vedere con noi.
  PRESIDENTE. Adesso?
  LEONARDO MESSINA. Sì, per quanto in mia conoscenza da
dieci-quindici anni, anche se fra di noi ci sono molti
cattolici: per esempio, una delle regole di Cosa nostra vieta
di uccidere il venerdì, perché per noi è un giorno di lutto.
Sembrerà strano, ma tutti noi uomini d'onore abbiamo la
Bibbia, facciamo i Santi, anche se sappiamo le conseguenze.
Siamo cattolici: difatti, io sono cattolico e appartengo a
Cosa nostra.
  MARCO TARADASH. Sono massoni e cattolici?
  PRESIDENTE. Credo che l'incompatibilità maggiore sia con
Cosa nostra, più che con la massoneria.
   Prima lei, accennando rapidamente all'omicidio di
Giuliano, ha detto che all'inizio della Repubblica vi è stato
uno scambio, nel senso che si è portato Giuliano, per così
dire, come regalo per una contropartita.
  LEONARDO MESSINA. Sì, ad uccidere Giuliano è stato
Luciano Liggio, che l'ha regalato allo Stato.
  PRESIDENTE. Vi è stato, quindi, l'inizio di un
compromesso: vuole dire questo?
  LEONARDO MESSINA. Sì, c'è un compromesso fra una parte
dello Stato e Cosa nostra.
  PRESIDENTE. Ora c'è il tentativo di un nuovo
compromesso, oppure si è deciso di non avere più compromessi?
  LEONARDO MESSINA. Ci sarà un nuovo compromesso con chi
rappresenterà il nuovo Stato, se ce la faranno.
  PRESIDENTE. Però, se c'è un progetto separatista, si
tratta di una cosa distinta: un compromesso vuole dire che si
resta comunque all'interno dello Stato unitario, oppure no?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ma loro hanno interesse ad
arrivare al potere con i propri uomini, che sono la loro
espressione: non saranno più sudditi di nessuno.
  PRESIDENTE. Quindi, possono essere strade diverse per
raggiungere lo stesso tipo di obiettivo?
  LEONARDO MESSINA. Loro devono raggiungere un fine: che
sia la massoneria, che sia la Chiesa, che sia un'altra cosa,
devono raggiungere l'obiettivo. Cosa nostra deve raggiungere
l'obiettivo, qualsiasi sia la strada.
  PRESIDENTE. Per gli investimenti economici e finanziari,
grandi o piccoli che siano, le modalità di intervento sono le
stesse?
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  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Anche se sono per centinaia di miliardi, le
percentuali sono sempre le stesse?
  LEONARDO MESSINA. Dipende da cosa devono costruire o
fare. Se costruiscono una strada è un tot; per un'altra
costruzione, o per una casa privata, è un tot; se vendono un
terreno è un tot. Anche per un grande appezzamento di terreno
bisogna pagare, perché i sensali sono molto vicini a Cosa
nostra. Si sa, bisogna calcolare quello che si deve a Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Per ogni attività economica, quindi, si
paga?
  LEONARDO MESSINA. Sì, ogni attività economica.
  PRESIDENTE. La quota che viene pagata va in parte a Cosa
nostra e in parte ai politici: è questo il meccanismo?
  LEONARDO MESSINA. Per gli appalti, c'è una distinzione:
per esempio, per una strada ci vuole il tre per cento per Cosa
nostra, a parte i politici, perché per i politici c'è già un
conto a parte.
  PRESIDENTE. Ci pensano già gli imprenditori ai politici?
  LEONARDO MESSINA. A volte, quando i politici sono Cosa
nostra, i politici prendono i soldi da Cosa nostra e Cosa
nostra prende i soldi dai politici.
  PRESIDENTE. Quando si tratta di comprare un grande
fondo, c'è la percentuale anche per i politici?
  LEONARDO MESSINA. No, c'è la percentuale per Cosa
nostra.
  PRESIDENTE. Quindi, i politici hanno la percentuale per
le loro attività, come le licenze, i permessi, i
finanziamenti?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Perché Caluzzo portava i soldi a Palermo?
  LEONARDO MESSINA. Perché quelli più grossi che hanno
gestito gli appalti sono a Palermo. Consideri che quelli della
famiglia di Caltanissetta li ho consegnati io a Caltanissetta;
quelli per i politici li ha portati là.
  PAOLO CABRAS. Caluzzo era l'intermediario con i politici
palermitani?
  LEONARDO MESSINA. No, con tutti i politici. Consideri,
poi, che questi politici li ho conosciuti personalmente perché
siamo stati insieme a pranzo, a cena, a cavallo.
  PRESIDENTE. Quelli di Palermo?
  LEONARDO MESSINA. Quelli della provincia di
Caltanissetta.
  PRESIDENTE. Sono quelli di cui ha fatto i nomi alla
magistratura?
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Il rapporto che aveva con le persone che
dicevano di essere del SISDE lo aveva anche con i carabinieri?
  LEONARDO MESSINA. No, non ho mai fatto confidenze ai
carabinieri.
  PRESIDENTE. Neanche alle altre forze dell'ordine, per
esempio la polizia?
  LEONARDO MESSINA. No.
  PRESIDENTE. Perché non ha risposto ai magistrati di
Palermo?
  LEONARDO MESSINA. Consideri questo: dopo che per
quarant'anni fai una vita, fai una scelta, ti affidi. Noi
siamo ancora in area; ho nipoti che non vanno ancora a scuola.
Cosa vuol dire proiezione? Che ti danno i soldi. Protezione
cosa vuol dire? Che mettono in un quartiere dieci bambini che
parlano siciliano. Questa
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 è la protezione? Ai palermitani ho detto il motivo, solo che
l'hanno scritto a metà: non ritenevo opportuno che i miei
nipoti stessero in un quartiere, parlando tutti siciliano e
con la faccia tutta particolare che abbiamo.
  PRESIDENTE. Praticamente, lei afferma che non c'è stata
una tutela sufficiente in una certa fase?
  LEONARDO MESSINA. Non c'è tuttora.
  PRESIDENTE. Lei, però, ha continuato a parlare con i
giudici di Caltanissetta.
  LEONARDO MESSINA. Sì.
  PRESIDENTE. Ed ha accettato di venire dinanzi alla
nostra Commissione parlamentare.
  LEONARDO MESSINA. Sì, anche ieri ho parlato con altri
magistrati.
  PRESIDENTE. Perché allora fa un determinato ragionamento
soltanto per i giudici palermitani?
  LEONARDO MESSINA. Perché è capitato in due occasioni
nelle quali ero particolarmente giù di morale.
  PRESIDENTE. E qual è la situazione della sicurezza sua e
dei suoi familiari?
  LEONARDO MESSINA. Non parlo di questo.
  PRESIDENTE. Mi scusi: mi riferivo ai suoi familiari.
  LEONARDO MESSINA. Ne hanno sistemati un po', e gli altri
sono tutti in un quartiere.
  PRESIDENTE. Di un'altra città?
  LEONARDO MESSINA. Di un'altra città.
  PRESIDENTE. Nella quale emerge la differenza di accento?
  LEONARDO MESSINA. Consideri dieci bambini che parlano
siciliano: se la protezione è questa, ci proteggiamo da soli!
  PRESIDENTE. Le domande sono terminate. La ringrazio
molto, signor Messina. Vuole dire qualcosa in conclusione?
  LEONARDO MESSINA. Non so se sono autorizzato a fare
dichiarazioni.
  PRESIDENTE. Prego: stiamo svolgendo un'audizione, non un
interrogatorio.
  LEONARDO MESSINA. Non mi è mai successo nella vita di
essere al centro di una situazione di questo tipo e quindi
sono un po' confuso e frastornato, anche se posso sembrare
spigliato nel parlare.
   Voglio dire agli uomini come me che non c'è più la strada
da seguire. E' questa la nuova strada: collaborare, perché è
finito tutto.
  PRESIDENTE. Buona sera, signor Messina.
(Il signor Leonardo Messina viene accompagnato fuori
dall'aula).
  PRESIDENTE. Dobbiamo ora decidere, come abbiamo previsto
all'inizio, se rendere pubblica questa audizione.
   Pongo in votazione la proposta di rendere pubblica
l'audizione testé terminata.
(E' approvata).
La seduta termina alle 16,55.

 


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