Parenti: seduta 15
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       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
                                                        Pag.
Audizione del Presidente del Consiglio dei ministri,
onorevole Silvio Berlusconi, sulle linee programmatiche
dell'azione del Governo nella lotta alla criminalità
organizzata:
  Parenti Tiziana, Presidente &&P  427, 433, 439,
                                                         440
                                     444, 445, 446, 451, 452
  Arlacchi Giuseppe ..............................  446, 447
  Ayala Giuseppe .................................  434, 444
  Bargone Antonio ................................  441, 443
  Berlusconi Silvio, Presidente del Consiglio dei
ministri .....................  427, 429, 433, 434, 435, 437
                      439, 441, 443, 444, 445, 450, 451, 452
  Bertoni Raffaele .....................  435, 437, 439, 451
  Bertucci Maurizio .................................... 440
  Bonsanti Alessandra ........................ 429, 437, 446
  Campus Gianvittorio .................................. 444
  Cusimano Vito ...................  443, 444, 446, 448, 452
  Di Bella Saverio .....................  443, 444, 445, 451
  Imposimato Ferdinando ................................ 437
  Mancino Nicola ............................  446, 447, 449
  Manconi Luigi ..................................  437, 444
  Scozzari Giuseppe ..............................  435, 444
  Violante Luciano ...............................  449, 450
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Pagina 427
   La seduta comincia alle 10,10.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del Presidente del Consiglio dei ministri,
onorevole Silvio Berlusconi, sulle linee programmatiche
dell'azione del Governo nella lotta alla criminalità
organizzata.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio
Berlusconi, sulle linee programmatiche dell'azione del Governo
nella lotta alla criminalità organizzata.
   Il Presidente del Consiglio mi ha comunicato che non potrà
trattenersi oltre le ore 12 e che si riserva di intervenire la
prossima settimana (indicativamente venerdì, o anche prima)
nel caso in cui non potesse esaurire in tempo tutte le
risposte o approfondire alcune delle questioni che gli
verranno poste.
   Do ora la parola al Presidente Berlusconi.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Vorrei fare una premessa a queste comunicazioni
sulla politica che il Governo intende perseguire circa il
contrasto al fenomeno della mafia. Vi è stata una mia
espressione, riferita da alcuni organi di stampa durante la
mia permanenza in Russia, su cui ho già fatto delle
precisazioni, che credo sia opportuno ribadire in questa
sede.
   Tra l'altro, questo viaggio in Russia mi ha rivelato una
realtà, concernente la criminalità organizzata nei paesi
dell'est, molto importante e pericolosa. Ho avuto contatti con
i rappresentanti del governo della Federazione russa, a cui
noi daremo (forse vale la pena di dirlo) il più importante
supporto che riusciremo a delineare nell'ambito delle nostre
possibilità di bilancio, perché è un paese che deve ancora
raggiungere un livello di democrazia paragonabile a quello dei
paesi occidentali e conserva moltissime caratteristiche di uno
Stato che conosce molto da vicino la dittatura. Le ammissioni
che vi sono state riguardano 50 mila tonnellate di armi
chimiche: per loro ammissione, si potrebbe distruggere tre
volte la popolazione mondiale; vi è un armamentario nucleare
che potrebbe distruggere - sempre a loro dire - dieci volte la
popolazione del mondo. E' una democrazia che ancora si sta
imponendo e che ancora certa non è, con degli avanzamenti
pericolosi sulla destra e sulla sinistra che potrebbero
riportare indietro la storia.
   E' quindi molto importante continuare nella situazione
attuale (che è una situazione mondiale, che fa guardare con
relativa sicurezza la pace e la stabilità del mondo, dopo la
caduta del bipolarismo) e non ritornare di nuovo nel
bipolarismo. Io, come primo rappresentante della politica
estera del paese, mi sto accorgendo che, quando si verifica un
incidente in giro per il mondo, la situazione oggi è molto
diversa. Ricordo cosa succedeva prima: quando accadeva un
incidente, una parte si rivolgeva al mondo occidentale, agli
Stati Uniti, un'altra parte a Mosca ed esisteva la possibilità
che da una scintilla nascesse un grande incendio. Questo non
succede più. Ho personalmente assistito a tutte le mediazioni,
a tutti gli interventi; ho anche partecipato, cercando di
rendere utile in qualche modo la presenza internazionale
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dell'Italia, a tentativi di componimento di certi
contrasti e vedo che esiste una grande collaborazione, per
esempio, tra Washington e Mosca. Credo che debba essere
primario interesse del nostro paese svolgere un'attività
positiva nella direzione del mantenimento di queste situazioni
generali di sicurezza per il mondo intero.
   Per quanto riguarda la Russia, quindi, il suo ruolo in
questo ambito generale è importantissimo. Credo che noi
dovremo fare tutto il possibile per dare un contributo
affinché la riforma del sistema economico in atto possa
avanzare. A tale proposito credo che abbiamo fatto un buon
lavoro, con gli appuntamenti già costruiti, affinché le nostre
imprese pubbliche e private possano trovare là occasioni di
lavoro importanti; tra l'altro, c'è tutta la riconversione
dell'industria bellica, che era enorme ed occupava i tecnici e
le maestranze migliori. Ritengo che vi sia una buona
possibilità operativa per le nostre aziende, dando un
contributo alla Federazione russa in questo suo difficile
cammino, ma anche apportando dei vantaggi alla nostra
economia, che potrebbe trovarsi in una posizione preferenziale
nei confronti di un grande mercato di 150 milioni di
consumatori, che poi è anche la porta di un ulteriore mercato
nei paesi dell'ex impero sovietico.
   In quella situazione, sono stato avvicinato da giornalisti
russi. Anche con i ministri si parlava della mafia: in Russia
le organizzazioni criminali sono presenti, come in tutti i
paesi giovani, dove le strutture di contrasto non sono
avvantaggiate (si fa per dire), ma certamente più
specializzate, per la lunga storia di lotta che hanno alle
spalle, come succede nel nostro paese. Mi è stata rivolta una
domanda sulla mafia, sulla ricongiunzione tra la mafia
italiana e quella dei paesi dell'est. Io mi sono adombrato
quando ad un certo punto alla nostra immagine è stata
affiancata anche quella della mafia.
   Da italiano normale, mi sembra che questa situazione non
ci debba far piacere; non fa piacere a nessuno che 57 milioni
di italiani possano avere addosso, al primo posto, l'immagine
della mafia. Avevo letto le risultanze di un sondaggio
internazionale nel quale, alla domanda su quali fossero gli
elementi significativi dell'immagine "Italia", la risposta era
stata: mafia, pizza e poi una squadra di calcio. Io dissi:
"Bisognerebbe evitare questa immagine, che riguarda
un'attività pericolosa, dannosa e che dobbiamo combattere con
tutte le forze, ma un'attività che non possiamo dire
caratterizzante dell'intera operosità degli italiani". Avevo
appena detto che gli imprenditori italiani sono la ricchezza
del nostro paese e sono 4 milioni; per contrasto ho aggiunto
che i boss mafiosi importanti risultano essere, dalle
segnalazioni e dalle conoscenze che ho, meno di un centinaio.
Non si possono quindi paragonare gli italiani (57 milioni) e
gli imprenditori (coloro che intraprendono e rischiano in
Italia) con la presenza di boss mafiosi che sono in numero
pericoloso ma contenuto. Credo che questa sia una cosa che
tutti possono sottoscrivere.
   Mi dicevano: "Ma allora come mai continuate a produrre
film sulla mafia?". Certo, non è una cosa buona; mi assumo
anch'io le mie responsabilità perché ho cofinanziato anch'io
film che avevano per oggetto elementi di vita mafiosa. Forse
non ci rendiamo conto che una fiction, che è più
pericolosa del film perché va su tutte le televisioni di tutto
il mondo, soprattutto se realizzata bene, può portare ad un
congiungimento di questo fenomeno (pericoloso, ma per fortuna
limitato) con l'immagine generale dell'Italia. Credo che
dobbiamo tutti renderci conto di questo e fare quello che sta
nelle possibilità di ciascuno di noi per evitare che ciò si
aggravi e che accada ancora e ripetutamente.
   Chiedo scusa per questa precisazione, ma sono rimasto
addolorato vedendo come, purtroppo, esista un costume di
strumentalizzazione, di stravolgimento anche delle
dichiarazioni più semplici che uno si trova a fare per
rispondere con cortesia alle domande dei giornalisti,
rispettandone il lavoro. Purtroppo mi accade sempre più
spesso, ma non farò liste di proscrizione da nessuna
parte...!
   Veniamo ora alle comunicazioni circa gli intendimenti del
Consiglio dei ministri
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e della Presidenza del Consiglio in relazione al fenomeno
della mafia. Ho voluto raggruppare in otto punti gli argomenti
su cui desidero intrattenervi: dopo alcune premesse generali,
vi parlerei delle caratteristiche di una efficace attività di
contrasto, di quello che deve essere il potenziamento ed il
coordinamento delle strutture di prevenzione e di
investigazione. Passerei poi dalla prevenzione sul territorio
alle forme di sostegno sociale e di fiducia che devono nascere
nello Stato, per trattare inoltre gli strumenti
investigativo-processuali, in particolare lo strumento
processuale, nonché gli strumenti processuali per quanto
riguarda il fenomeno di aggressione ai patrimoni. Infine
passerei all'argomento dal quale siamo partiti, cioè l'ambito
sovranazionale del crimine organizzato, sul quale, come voi
sapete, si svolgerà una conferenza voluta dall'ONU, ma che
nasce da una proposta di Giovanni Falcone, che si terrà a
Napoli nel mese di novembre e che io ho deciso di presiedere
per la sua intera durata.
  ALESSANDRA BONSANTI. E' invitata la Commissione?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Sicuramente. Innanzitutto, credo che si possa
estendere l'invito a chi vorrà partecipare, perchè abbiamo
allestito una sala molto capiente. Si prevede una
partecipazione molto elevata: saranno presumibilmente 140
paesi. In tutti i colloqui internazionali che sto tenendo,
chiedo che ci mandino dei rappresentanti di alto livello,
quindi ministri dell'interno e di grazia e giustizia; in certi
casi, e forse per un giorno, sarà possibile avere anche dei
Presidenti del Consiglio e dei Capi di Stato. Per esempio, ho
già la promessa da parte di Boris Eltsin di un suo personale
intervento; ciò a significare di come ritengano importante una
collaborazione internazionale nella lotta contro le
organizzazioni criminali transnazionali.
   Svolgerò ora alcune premesse generali. Tra i suoi
obiettivi primari e fondamentali, il Governo ha sempre
segnalato quello dell'efficace contrasto della criminalità
organizzata, mafiosa e non. L'ho affermato con determinazione
all'atto dell'insediamento e l'ho ribadito con altrettanta
determinazione anche a Palermo appena dieci giorni fa, in
occasione della presentazione della conferenza ai 40 paesi che
si sono incaricati di delineare i temi da esaminarsi in quella
conferenza.
   Sono infatti pienamente consapevole dell'assoluta gravità
del fenomeno e del suo multiforme atteggiarsi, così come sono
convinto del fatto che solo una incessante e coordinata azione
di tutte le forze istituzionali e sociali potrà consentire di
debellarlo, dando ai cittadini di questo paese la certezza di
non dover più subire le forme di intimidazione e di
assoggettamento che caratterizzano la condotta di tali
associazioni criminali. I recenti successi investigativi ed il
sempre più significativo progredire delle indagini processuali
in tema di mafia non devono importare cali di tensione ideale
ed emotiva, né far ritenere, con imprudente o sconsiderata
leggerezza, che si è ormai in presenza di un avversario "alle
corde".
   Da più parti vengono invece allarmate segnalazioni circa
il possibile ripetersi di attentati; pressoché all'unisono,
investigatori, magistrati e studiosi sottolineano che i gruppi
mafiosi potrebbero modellare le loro future strategie
criminali avendo riferimento proprio all'atteggiarsi delle
future risposte istituzionali, nella speranza di una
cosiddetta normalizzazione delle reazioni, di una sorta di
"politica dell'oblio" e del disinteresse.
   Anche dinanzi a questa Commissione, i responsabili della
sicurezza hanno ribadito le loro preoccupazioni, segnalato i
pericoli, invitato a moderare l'entusiasmo che pur potrebbe
discendere dalla positività dei risultati fin qui raggiunti.
Condivido le loro analisi ed assicuro l'impegno costante e
fattivo dell'intero Governo nella elaborazione e realizzazione
di una globale attività di contrasto, organizzata secondo
moderni criteri di flessibilità e agilità e secondo moduli che
consentano il rapido flusso delle informazioni e delle
conoscenze, così da permettere risposte tempestive all'attacco
mafioso e da convogliare
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tempestivamente o addirittura anticipatamente le risorse
umane e tecniche disponibili proprio in quei settori ai quali
l'attenzione criminale ha deciso di rivolgersi nell'uno o
nell'altro momento storico.
   Veniamo ora alle caratteristiche di una efficace attività
di contrasto. Quella appena esposta è una scelta anticrimine
che ha per premessa la radicata convinzione di avere di fronte
non solo e non tanto gruppi banditeschi o delinquenziali, ma
organizzazioni politico-criminali che da sempre pretendono di
esercitare sul territorio una sovranità alternativa rispetto a
quella statuale e di piegare i cittadini ai propri voleri,
opprimendone la libertà di determinazione. Ecco il motivo per
il quale ho voluto da subito sottolineare che l'impegno del
Governo ha carattere globale e che non può esaurirsi né nel
potenziamento delle strutture di investigazione né nel
supporto all'operato della magistratura inquirente. L'impegno
del Governo deve invece svilupparsi anche prima e fuori della
repressione del reato, dispiegandosi ai livelli nei quali si
collocano, più o meno direttamente, i corrispondenti fattori
criminogeni.
   Da qui l'attenzione al risanamento del tessuto sociale e
ad una politica di sviluppo economico delle aree depresse:
attenzione indispensabile sia per evitare che le
organizzazioni criminali si propongano come valida alternativa
alla povertà sociale sia per agevolare la diffusione di un
convinto costume di rispetto della legalità.
   Da qui anche più specifici interventi di rottura di certe
ambigue solidarietà finalizzate a disarticolare la complessa
trama di referenti creata dalla mafia in tutti gli spettri
della società e delle istituzioni e ad assicurare l'autonomia
decisionale e la trasparenza degli organi di Governo delle
comunità locali.
   In questo senso occorre muoversi se si vuole davvero
rompere il circuito mafioso e creare un'alternativa effettiva
e duratura all'oppressione criminale. Segnali positivi è dato
cogliere anche a tale proposito; il significativo aumento
delle denunce per fatti di usura ed estorsione non può
dipendere infatti che dalla decisione delle vittime dei reati
di vincere le paure e di rinnovare la loro fiducia nella
risposta dello Stato (in proposito, diffonderemo l'ultimo
libro del Papa che ha davvero come fatto centrale il "non
abbiate paura" che si impone in ogni momento e che in questo
caso sembra un imperativo categorico assolutamente
tempestivo).
   Quella del Governo sarà perciò una risposta globale e
coordinata, frutto di una visione di insieme del fenomeno,
attenta ad anticiparne le strategie criminose e ad evitare che
dal frazionamento delle competenze burocratiche le
associazioni mafiose possano trarre vantaggi tanto importanti
quanto ingiustificabili.
   Con tutti i ministri, studierò ed appronterò i sistemi più
adeguati per raggiungere la finalità che mi sono prefisso,
valutando in specie i modi per utilizzare al meglio le
strutture di direzione e coordinamento già esistenti ed i già
previsti momenti del loro raccordo, sconsigliando,
all'inverso, la creazione di nuovi organismi antimafia, la cui
competenza, allo stato attuale della normativa, non potrebbe
che avere contorni vaghi e la cui attività sarebbe giustamente
accolta da comprensibili diffidenze.
   Ritengo perciò che ci si debba muovere sull'esistente,
potenziando le attuali strutture di contrasto e correttamente
individuando le loro rispettive aree di operatività.
   Per quanto riguarda il potenziamento e coordinamento delle
strutture di prevenzione e di investigazione, particolare
importanza e delicatezza assumono i temi relativi ai rapporti
tra i vari organismi di polizia ed al loro coordinamento.
L'elevata professionalità degli organismi di polizia ha fin
qui consentito sia il raggiungimento di brillanti risultati
investigativi sia il concreto superamento delle difficoltà
operative ed interpretative inevitabilmente connesse alla
prima fase di applicazione delle normative antimafia emanate
nel 1991 e nel 1992. La creazione di nuovi organismi di
polizia specialistici e centralizzati, che conoscete bene, ha
ovviamente importato la necessità di modularne reciprocamente
gli interventi, di evitare la demotivazione
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degli appartenenti alle strutture già operanti, di
contemperare le esigenze di prevenzione con quelle di
repressione affidate alla direzione degli uffici del pubblico
ministero, anch'essi, nel frattempo, ristrutturati nelle
competenze, negli organici, nello stesso modo di operare.
Coniugando abilità e senso istituzionale sono state
"inventate" così nuove modalità di indagine, di cooperazione e
di coordinamento. Da queste bisogna ora partire per affinare
la funzionalità dei vari organi, per evitare contrapposizioni,
per incrementarne l'efficacia investigativa.
   Con lucidità il ministro dell'interno vi ha già indicato
la strada che intende perseguire. Il capo della polizia ed il
direttore centrale della polizia criminale vi hanno a loro
volta illustrato con chiarezza le nuove linee per il
coordinamento delle strutture di contrasto. Si tratta di
prospettazioni nelle quali mi riconosco pienamente (ne ho
lungamente discusso con il ministro dell'interno), perché esse
hanno l'innegabile pregio di riempire di contenuto le
inattuate previsioni normative che, ferma restando la
responsabilità politica del ministro dell'interno,
attribuiscono al consiglio generale per la lotta alla
criminalità organizzata il potere di definire le linee
dell'attività di prevenzione ed attribuiscono al dipartimento
della pubblica sicurezza il compito di raccordare tutte le
risorse investigative. Senza stravolgere competenze e
tradizioni dei vari organi di polizia, la linea di intervento
privilegiata dal ministro dell'interno consente di affiancare
le esperienze di informazione e conoscenza acquisite dagli
organi decentrati operanti sul territorio (prefetti, questori,
gli informatori) alle attività degli organi centralizzati e
specialistici e di effettuare a monte, per il tramite del
vicedirettore generale della pubblica sicurezza, un raccordo
effettivo e strategicamente attento agli indirizzi di
prevenzione e investigazione indicati dal consiglio generale.
In tal modo, non si recupera solo una fondamentale uniformità
nelle condotte di indagine delle varie forze di polizia (pur
nella permanenza di una ovvia ripartizione di compiti), ma si
ottengono anche due scopi complementari: quello di impegnare
gli organi specialistici solo in investigazioni mirate e
quello di restituire agli organi territoriali la loro
insostituibile funzione di garanti del controllo del
territorio e di fonti primarie delle informazioni d'ambiente.
Funzioni di garanzia sul territorio che non vanno lette solo
in relazione alla prevenzione e repressione dei delitti di
mafia, ma anche in relazione alla necessità di accrescere il
controllo sull'espandersi di quella microcriminalità diffusa
che angustia e inquieta qualsiasi cittadino e che, nel
contempo, rappresenta il serbatoio inesauribile per
l'assunzione della bassa manovalanza mafiosa. Da tutte le
indicazioni che abbiamo, dai sondaggi, devo dire che risulta
come questo della microcriminalità che assedia molte delle
nostre città ed anche i centri più piccoli sia uno dei temi su
cui in questo momento è molto attenta l'opinione pubblica.
   Veniamo alle forme di sostegno sociale e di fiducia nello
Stato.
   Il contatto con il territorio consente di prevenire il
nuovo atteggiarsi delle attività criminose laddove, invece, la
successiva centralizzazione del dato informativo acquisito sul
territorio consente sia di darne una lettura coordinata
rispetto a quella degli altri dati pervenuti sia di elaborare,
se del caso, una strategia di investigazione complessa,
specialistica, necessariamente affidata agli organismi di
polizia specificamente deputati alla lotta contro la
criminalità mafiosa.
   Può aggiungersi che, sotto l'aspetto della prevenzione, la
soluzione appena delineata ha l'ulteriore vantaggio di
consentire una interpretazione immediata di fenomeni diffusi
come l'estorsione e l'usura, cioè di fenomeni che in sé non
sono tipicamente propri della criminalità organizzata ma che,
sempre più spesso, vengono da questa utilizzati per fiaccare
la resistenza degli imprenditori, per rilevarne le aziende e
per riciclare i capitali illecitamente acquisiti.
   Proprio con riferimento a fenomeni del genere, occorre che
lo Stato acquisisca una nuova dimensione, in grado di
avvicinare il cittadino all'amministrazione e di
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assicurargli forme di sostegno sociale idonee a tutelarlo
dalle prevaricazioni, dall'assoggettamento, dalle
intimidazioni mafiose.
   Al riguardo, l'esperienza iniziata nel 1992 con la
istituzione del cosiddetto fondo antiracket merita di essere
proseguita e rafforzata, se del caso, mediante iniziative
nuove e libere dagli orpelli burocratici che fin qui ne hanno
impedito l'effettivo decollo. In questa direzione, ritengo ci
si debba muovere anche al fine di impedire il diffondersi
delle pratiche dei prestiti usurari e delle sospette
intermediazioni finanziarie, favorendo all'inverso
l'istituzione di fondi di sostegno e la creazione di giuste
condizioni perché le vittime dei reati possano denunciarne gli
autori sapendo di poter contare sulla protezione effettiva
dello Stato. Questi sono i principi cui abbiamo ispirato i
contenuti del disegno di legge sull'usura che è all'esame del
Parlamento.
   Occorre, insomma, creare le condizioni per un recupero del
rapporto fiduciario tra cittadino ed istituzioni e per
l'acquisizione di una nuova coscienza della legalità. Lo Stato
deve essere in grado di proteggere chi gli consente
l'individuazione dei più gravi reati e deve altresì studiare
modalità idonee per non esporre chi fornisce tali notizie alle
minacce o alle violenze della criminalità. In proposito e ad
esempio, mi paiono meritevoli di revisione le norme del
decreto-legge n. 143 del 1991 in tema di segnalazione delle
operazioni bancarie di sospetto riciclaggio; ciò non solo per
la loro farraginosità e per l'assenza di criteri individuativi
certi, ma anche per la contestuale assenza di previsioni in
grado di garantire l'anonimato dell'autore della segnalazione,
che costituisce una remora molto forte. Un anonimato, sia
detto per inciso, che non determinerebbe, oltre tutto, effetti
sull'esito del futuro ed eventuale procedimento penale, posto
che si tratterebbe di vicende facilmente acclarabili
attraverso una successiva indagine bancaria od ancora
attraverso le acquisizioni documentali inerenti all'operazione
segnalata. Si tratta, cioè, di reati le cui prove emergono
dalle carte, dai documenti e quindi credo che si debba
garantire l'anonimato di chi produce queste segnalazioni.
   Nel settore assai complesso della normativa di controllo
sulle società finanziarie, alcuni importanti risultati, come
accennavo, sono già stati conseguiti. Essi sono: il
riequilibrio dell'equità competitiva tra gli operatori, grandi
e piccoli, anche tramite l'applicazione generalizzata di
regole prudenziali; una chiara legittimazione dei soggetti che
operano nel comparto finanziario, abbinata alla repressione
delle situazioni abusive; la trasparenza nei rapporti con la
clientela mediante l'imposizione a tutte le categorie di
intermediari di regole a vantaggio del contraente considerato
debole; la compressione degli spazi a disposizione di fenomeni
criminosi quali il riciclaggio e l'usura, veicoli tipici di
reimpiego dei proventi delle attività criminali (convergono in
questa direzione l'applicazione di regole specifiche e, in via
indiretta, l'esistenza di una funzione di vigilanza).
   Su questa linea occorre proseguire, per consolidare le
posizioni finora raggiunte e per adattare il sistema alle
nuove esigenze che si vanno manifestando.
   Vanno colte anzitutto le occasioni normative che
consentano di completare il riassetto del sistema finanziario,
in funzione anche di prevenzione nei confronti di impropri
condizionamenti da parte del crimine organizzato.
   La razionalizzazione già realizzata per il comparto delle
banche e delle finanziarie di credito deve ora essere estesa
agli intermediari operanti nel settore dei valori mobiliari,
quali le SIM e l'articolata "famiglia" degli organismi di
investimento collettivo in titoli (fondi comuni, fondi chiusi,
fondi immobiliari). Anche in questo caso l'operazione potrà
consistere nella raccolta e riorganizzazione delle
disposizioni in un testo unico. A questo proposito, chiederemo
al Parlamento la delega per realizzare un testo unico organico
delle misure di prevenzione e sul riciclaggio di denaro
sporco. Su questo, abbiamo un po' anticipato i tempi, perché
sentivamo che nella lotta alle organizzazioni
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criminali era importante procedere a questa riorganizzazione:
la Presidenza del Consiglio ha già preparato un suo testo.
Quindi, chiederemo al Parlamento una delega per un testo che è
stato praticamente già studiato e che dobbiamo soltanto
perfezionare.
  PRESIDENTE. Ce lo può lasciare?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. No, preferirei non lasciarlo, perché deve  essere
ancora sottoposto ad una revisione; ma è già fatto molto
bene.
   Sul piano operativo, vanno ulteriormente perfezionati i
meccanismi di coordinamento tra le diverse autorità,
amministrative e di polizia, impegnate a garantire la
correttezza gestionale degli intermediari finanziari a fronte
dell'assedio portato dalla criminalità organizzata. Le
iniziative di coordinamento interforze finora realizzate hanno
sempre dato esito positivo, come è emerso anche dalle
precedenti audizioni presso questa Commissione.
   Nei confronti delle piccole società finanziarie operanti
nelle regioni a più alto rischio potrà essere particolarmente
utile un'azione capillare di monitoraggio sul territorio ad
opera della Guardia di finanza, in collaborazione con le altre
forze di polizia e con il supporto tecnico delle autorità di
vigilanza, cioè con gli uffici di vigilanza dell'Istituto
centrale.
   Infine, su un piano più generale, potrà essere avviata
un'azione di sensibilizzazione del pubblico sulle possibilità
di accesso ai servizi finanziari e sulle regole predisposte a
tutela del corretto svolgimento dei rapporti. In questo modo,
si eviterà che la domanda di servizi approdi a soggetti non
autorizzati, con conseguenze penose sul piano sociale. Una
informazione trasparente, chiara e accessibile potrà
trasformare il pubblico in cliente avvertito ed esigente,
primo custode del proprio interesse economico, contribuendo
alla crescita di un mercato maturo e responsabile. Qui c'è
moltissimo da fare; c'è moltissimo da fare con il sistema
bancario, che preferisce non inoltrarsi nei prestiti
cosiddetti minori, e questo fa anche parte di una pratica
annosa che secondo me la Banca d'Italia dovrebbe contribuire a
modificare. Oltre tutto, c'è una grande richiesta di maggiore
apertura al credito proprio da parte delle categorie che sono
il sostegno primo e fondamentale della nostra struttura
economica, cioè da parte degli artigiani e delle piccolissime
imprese, che hanno molte difficoltà anche, per esempio, per il
fatto che l'avviamento dell'impresa o del negozio non viene
considerato dalle banche un patrimonio che possa essere
garanzia del credito concesso. Qui c'è da svolgere una grande
azione di convincimento nei confronti del nostro sistema
creditizio, che  per questo verso è arretrato rispetto alle
altre nazioni e che invece deve essere sollecitato in questa
direzione, anche perché vi sarebbe un frazionamento tale da
abbassare moltissimo la percentuale di rischio relativa a
questo tipo di microprestiti.
   Veniamo agli strumenti investigativo-processuali.
   Non è sempre possibile garantire anonimato e riservatezza.
Nella gran parte dei casi, l'individuazione degli autori dei
più gravi reati di criminalità organizzata dipende dalle
dichiarazioni accusatorie di testimoni e di correi che,
recidendo il vincolo associativo, hanno optato per la
collaborazione processuale. A costoro il legislatore accorda
un trattamento sanzionatorio, processuale e penitenziario di
estremo favore che idealmente si contrappone ai trattamenti di
rigore riservati viceversa ai correi irriducibili. Come
sappiamo, si tratta di un sistema premiale particolarmente
sofisticato e complesso che si articola lungo più direttrici
tutte fra loro strettamente connesse ed alla cui scelta si è
pervenuti dopo lunghi dibattiti e dopo le positive esperienze
in materia terroristica degli anni ottanta. I collaboratori di
giustizia sono oggi oltre 800 ed alla consistenza delle loro
dichiarazioni accusatorie si deve (Commenti del deputato
Ayala)... Mi spiace che sia proprio un milanista il più
"Pierino" di tutto il consesso!
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  GIUSEPPE AYALA. Presidente, a lei capita spesso di
sbagliare...! Pierino poi...!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Era altamente affettuoso. Lei sa che tra il
presidente e i tifosi non ci può essere che questo tipo di
rapporto...!
  GIUSEPPE AYALA. La nostra comune militanza milanista.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Certo, non abbiamo tantissime altre cose in
comune, ma quella è certa.
   Alla consistenza delle dichiarazioni accusatorie di
pentiti e collaboratori di giustizia, che sono oltre 800, si
deve in gran parte l'avvenuto e già ricordato scompaginamento
delle associazioni criminali di appartenenza. I risultati
investigativi rendono superfluo qualsiasi rilievo sulla
opportunità di continuare o meno ad avvalersi del loro apporto
probatorio.
   Il Governo, quindi, non ha intenzione di modificare la
disciplina in materia di collaborazioni processuali o di
adottare linee di intervento che possano essere lette come
arretramenti o ripensamenti rispetto alle scelte di politica
criminale adottate al riguardo nel 1991 e nel 1992. La
giurisprudenza ha ampiamente e da tempo chiarito la necessità
di un attento vaglio critico in ordine alla genuinità e alla
attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, così come ha ricordato la necessità di un approccio
ad essi altamente qualificato e professionale. Di ciò sono ben
consapevoli magistrati inquirenti e forze di polizia e ad essi
va dato atto di compiere ogni sforzo per impedire
l'inquinamento delle fonti di prova e rendere immune da
sospetti di gestioni interessate il contenuto delle chiamate
in correità.
   L'auspicio di una "gestione" del collaboratore stabilmente
affidata ad organi diversi da quelli investigativi e
l'auspicio di un attento vaglio critico circa l'ammissione del
collaboratore a misure o programmi di protezione non vanno
perciò letti come volontà di un ridimensionamento della
valenza processuale dell'apporto offerto dal collaboratore
medesimo, ma soltanto, ed al più, quali momenti per
l'armonizzazione del complesso tessuto normativo, così da
colmarne gli aspetti talvolta lacunosi e disorganici. Credo
che questo parere sia in accordo con quello di autorevoli
magistrati che militano nelle procure più impegnate in questa
direzione.
   In questo senso, si muove lo schema di regolamento che si
appresta a tornare all'esame del Comitato nazionale per
l'ordine e la sicurezza pubblica, dopo i pareri dell'apposita
commissione sulla protezione e del gruppo di lavoro
interministeriale (tra ministro dell'interno e ministro di
grazia e giustizia) incaricato dello studio dell'intera
materia.
   In questa sede, mi preme però sottolineare la necessità di
un esame unitario del regime differenziato stabilito dalla
normativa vigente per gli autori dei delitti di mafia, siano
essi collaboratori o irriducibili. La parcellizzazione dei
vari momenti in cui si articola tale regime rappresenta,
infatti, l'artificio consapevolmente utilizzabile e utilizzato
per scardinare l'intero impianto legislativo e per far perdere
di vista il problema nel suo complesso.
   Va ribadito perciò, con determinazione, che solo
l'atteggiamento di collaborazione processuale prova l'avvenuta
dissociazione dell'autore dei delitti di mafia
dall'organizzazione di appartenenza e che perciò soltanto
l'intervenuta collaborazione può giustificare l'adozione di un
trattamento sanzionatorio e penitenziario non differenziato e
non rigoroso. Solo in presenza della collaborazione
processuale (che deve quindi esprimersi in tutte le fasi del
processo, a differenza di quanto avvenuto di recente in note
vicende), cioè, può dirsi cessata o quantomeno diminuita
presunzione di pericolosità sociale che accompagna il mafioso
e i suoi delitti. Sicché, solo in caso di collaborazione può
farsi luogo alla concessione di misure alternative alla
detenzione od a misure cautelari meno afflittive della
custodia in carcere.
   Questo è il messaggio normativo più volte esaminato anche
dalla Corte costituzionale e ritenuto compatibile con i
principi
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di legittimità. Questo è anche il messaggio che, senza
incertezze, il Governo intende riaffermare. Le disposizioni
che regolano la materia hanno rappresentato un efficace scudo
investigativo e processuale che va mantenuto nella sua
interezza e senza tentennamenti.
   Di conseguenza, mi appare inutile indulgere ancora sul
tema della volontà del Governo di prorogare o meno la
previsione dell'articolo 41-bis della legge n. 354 del
1975. La sospensione delle ordinarie regole di trattamento
penitenziario nei confronti dei detenuti per fatti di mafia si
spiega con la loro capacità di influenzare anche dall'interno
degli istituti la condotta criminosa dei complici in libertà:
una capacità di incidere sulla strategia criminosa
dell'organizzazione che, dalle sentenze della Corte di
cassazione oltre che dalle acquisizioni investigative e
probatorie, emerge con assoluta chiarezza, rendendo di per sé
inevitabile l'applicazione ai soggetti in questione di un
trattamento penitenziario che, pur senza comportare l'adozione
di misure contrarie al senso di umanità, sia idoneo ad
impedire il compimento di ulteriori delitti. Quello del
rispetto del senso di umanità è l'unico limite posto anche
dalla stessa Corte costituzionale ai contenuti del decreto che
sospende le regole ordinarie di trattamento all'interno
dell'istituto penitenziario: un limite che, peraltro, stando
anche alle conclusioni della Corte, non risulta travalicato da
nessuna delle restrizioni concretamente inserite nei decreti
applicativi del Ministero di grazia e giustizia.
   L'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 ha
insomma ragione di essere per il fatto stesso che esiste
all'esterno un'organizzazione mafiosa e che all'interno degli
istituti penitenziari dimorano detenuti che di essa fanno
parte e che ad essa sono tuttora in grado di inviare
indicazioni criminali. Di abolizione della previsione potrà
allora e perciò parlarsi solo quando l'uno o l'altro
presupposto per la sua applicazione sarà venuto meno, per
l'avvenuta definitiva sconfitta dell'organizzazione o per la
cessata pericolosità sociale del detenuto.
  RAFFAELE BERTONI. Allora proroghiamo l'efficacia
dell'articolo 41-bis?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Certo, è già previsto e lo faremo nei prossimi
giorni. Vi è già un accordo per disporre una proroga per un
periodo consistente.
  RAFFAELE BERTONI. Emanerete un decreto-legge?
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Sì.
  RAFFAELE BERTONI. La ringrazio, anche perché sono stato
il primo...
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Prego.
  GIUSEPPE SCOZZARI. Speriamo che la Maiolo non si
dimetta!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Le condizioni umane rappresentano indubbiamente
un aspetto da tenere presente. Sta di fatto che da tutte le
verifiche che abbiamo effettuato non risulta che vi siano
particolari, consistenti e corpose misure. Ogni altra
considerazione sul punto mi appare inutile, potendosi al più
valutare soltanto se, anche al fine di evitare difformità
interpretative da parte dei tribunali di sorveglianza, vadano
legislativamente stabiliti sia i tipi di misure restrittive
adottabili sia il divieto di una reiterazione delle
impugnazioni davanti ai giudici diversi da quello del luogo di
assegnazione del detenuto.
   Va piuttosto studiato un adeguato sistema per evitare che
la previsione possa essere svuotata di effettivi contenuti a
causa di situazioni concretamente verificabili e in grado di
rendere solo apparente lo stato di isolamento carcerario.
Pochi istituti penitenziari sono in grado di assicurare
l'effettivo isolamento del detenuto. Fra questi si annoverano
quelli dell'Asinara e di Pianosa la cui utilizzazione per
finalità di detenzione va pertanto mantenuta, anche se
sentiamo di dovere presto
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dare inizio ad interventi di edilizia carceraria, troppo a
lungo trascurata. L'effettivo isolamento non può essere invece
assicurato presso quegli altri istituti ove, specie per
ragioni di giustizia, anche i detenuti sottoposti al regime
differenziato devono essere trasferiti (spesso per lunghi
periodi). In questi casi, la previsione dell'articolo
41-bis della legge n. 354 del 1975 finisce per perdere
di significatività. Occorre evitare che ciò si verifichi. Se
del caso, anche in via alternativa, occorre prevedere, da un
lato, che in taluni casi la partecipazione dell'imputato
detenuto al dibattimento possa avvenire stando a distanza e
mediante collegamenti e sistemi audiovisivi capaci di
assicurare il pieno rispetto del diritto di difesa;
dall'altro, che le udienze di indagine e la stessa udienza
preliminare possano svolgersi davanti al giudice naturale, ma
nell'istituto di assegnazione del detenuto. Soluzione,
quest'ultima, in parte già prevista dal sistema vigente e la
cui costante applicazione eviterebbe che un gran numero di
appartenenti alle forze dell'ordine venga giornalmente
distolto dai suoi prioritari compiti di istituto per essere
destinato ai pericolosi e defatiganti compiti di traduzione
dei detenuti. A tale proposito richiamo le allarmanti
dichiarazioni del comandante dell'Arma dei carabinieri rese
nel corso dell'audizione del 4 ottobre scorso.
   Quanto allo strumento processuale, il riferimento appena
operato alle problematiche in tema di celebrazione dei
processi impone di affrontare, sia pure rapidamente, le
questioni relative alle eventuali modifiche da apportare alla
normativa che regola i giudizi penali per fatti di mafia.
   Paiono oggi superate talune iniziali difficoltà di
funzionamento delle nuove strutture inquirenti antimafia anche
se, da più parti, si sollecita una revisione delle
attribuzioni del procuratore nazionale antimafia, modellandole
meglio con riferimento sia ai poteri di investigazione
preliminare sia ai poteri in materia di applicazione
temporanea dei magistrati. E' però certo che la
sperimentazione sul campo ha consentito di appianare le
originarie situazioni di comprensibile diffidenza e che si
tratta ora soltanto di affinare le nuove modalità del lavoro
di équipe e di meglio utilizzare le forze in campo
mediante un potenziamento degli uffici più esposti e un
maggiore coinvolgimento operativo dei magistrati delle procure
non distrettuali (cioè delle procure cosiddette minori).
   A questo tema si ricollega quello relativo alla auspicata
istituzione dei tribunali distrettuali. Il ministro
dell'interno e quello di grazia e giustizia hanno al riguardo
richiesto il parere del Consiglio superiore della magistratura
dal quale, a suo tempo, vennero sollevate consistenti critiche
circa l'opportunità di creare i nuovi organismi specializzati
che pure erano stati vivamente richiesti da talune procure
distrettuali e dalla precedente Commissione antimafia, sia per
ragioni di continuità di competenza tra uffici giudiziari sia
per esigenze di funzionalità e sicurezza degli uffici di
procura.
   Le esigenze anche pratiche appena evidenziate appaiono
meritevoli di grande attenzione, pur se non vanno
sottovalutate né l'obiezione secondo la quale i problemi più
immediati potrebbero essere risolti mediante l'ampio ricorso
all'istituto delle applicazioni né le difficoltà concrete che
l'istituzione dei tribunali distrettuali comporterebbe in tema
di revisione degli organici di tutti gli uffici giudicanti
(distrettuali e ordinari) al fine di consentire la
celebrazione dei dibattimenti in questione.
   I problemi connessi alla valutazione delle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia, alla partecipazione ai
dibattimenti a distanza, alla custodia cautelare degli
imputati di mafia e al funzionamento degli uffici di procura
antimafia vanno ovviamente letti nel generale contesto della
normativa processuale penale le cui attuali caratteristiche
meritano, come è noto, una attenta e complessiva revisione.
   Va subito detto, però, che anche per quanto attiene al
versante strettamente processuale, i fatti di criminalità
organizzata presentano tali e rilevanti peculiarità da non
poter essere agevolmente assimilati ai fatti criminosi
ordinari. Essi esigono perciò il ricorso a discipline
particolari delle quali il sistema attuale dà già conto,
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pur se in modo spesso disorganico. Anche sul versante del
processo, perciò, c'è dunque bisogno di un compiuto riordino
della materia e di una valutazione attenta circa l'opportunità
di ampliare i margini di operatività del cosiddetto doppio
regime processuale, specie in considerazione della facilità
con la quale, nei procedimenti per delitti di mafia, può
essere compromessa la genuinità delle fonti di prova.
   Veniamo ora all'aggressione dei patrimoni da parte della
mafia ed agli strumenti processuali.
   Un semplice ed organico riordino della materia non è
invece sufficiente con riferimento agli aspetti della
normativa antimafia che riguardano la cooperazione
internazionale e l'aggressione dei patrimoni mafiosi. A
quest'ultimo proposito, da più parti si lamentano
l'insufficienza degli strumenti di contrasto e, ancor di più,
le difficoltà connesse alla loro attuazione pratica. Alle
difficoltà di quantificazioni del "fatturato mafioso", si
aggiungono infatti quelle legate... tra l'altro sento di cifre
che, sia pure senza una conoscenza diretta del fenomeno, mi
appaiono esagerate. Le migliaia di miliardi non sono
facilmente realizzabili. Pensiamo che nelle più grandi aziende
del paese - mi riferisco ai gruppi che conosco - per
realizzare 11 mila miliardi di fatturato occorrono 40 mila
persone. I mafiosi sono 20 mila: avranno, certo, attività
particolarmente lucrose...
  RAFFAELE BERTONI. Sono 50 mila!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. I dati del Ministero dell'interno indicano, con
riferimento alla consistenza delle famiglie della mafia
siciliana, della 'ndrangheta e della camorra...
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Non fermiamoci a numeri!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Sì, anche perché il discorso non cambia di molto.
Mediamente, per realizzare un fatturato di 10 mila miliardi
bisogna "viaggiare" da 30 mila persone in su.
  ALESSANDRA BONSANTI. Dipende anche dal campo in cui si
opera!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Lo so, ma guardi che è difficile operare al di
fuori delle leggi. Non si tratta di attività che possono
essere svolte alla luce del sole.
  LUIGI MANCONI. La merce-droga!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. La merce-droga ha un valore elevato, ma quando
sento parlare di 10, 20, 30 mila miliardi o addirittura di 100
mila miliardi, non posso non pensare che quest'ultima è la
cifra che spendiamo per il sistema sanitario globale.
Atteniamoci quindi a cifre attinenti alla realtà. Comunque,
non litighiamo su questo perché, a prescindere dalle
quantificazioni, certi fenomeni vanno combattuti in maniera
forte e decisa.
   Ho già ricordato che le previsioni del decreto-legge n.
143 del 1991 in tema di "segnalazione delle operazioni
sospette" non hanno fin qui dato risultati soddisfacenti; così
come mi pare superfluo ricordare come molto spesso le forme di
controllo elaborate si siano rivelate puramente formali e di
fatto ininfluenti rispetto alla finalità perseguita.
   Mi pare allora fondamentale porre allo studio,
congiuntamente a tutte le amministrazioni interessate e
avvalendoci del contributo di esperti di indiscussa fama,
l'elaborazione di nuove e compiute linee di intervento che si
muovano sia sul piano puramente investigativo sia su quello
del processo (anche di prevenzione) e della sensibilizzazione
sociale.
   Anche qui, come ho già sottolineato, non si tratta solo di
affinare le professionalità investigative ovvero di
individuare nuovi strumenti normativi che semplifichino le
procedure: si tratta, anche e principalmente, di creare una
nuova sensibilità nelle associazioni degli industriali e dei
commercianti e nei sindacati, di agevolare l'identificazione
delle professioni di servizio - commercialisti, avvocati,
eccetera (perché i loro esponenti siano posti sull'avviso
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di poter essere utilizzati anche a loro insaputa) -, di
impedire che le organizzazioni mafiose possano riutilizzare i
beni ad esse sequestrati solo per l'incapacità dello Stato di
operare qualsiasi oculata gestione. Si tratta anche di creare
sul punto sempre più ampie forme di cooperazione e assistenza
internazionale, essendo noto che le difficoltà di aggressione
dei patrimoni mafiosi dipendono anche dal fatto che non tutti
i paesi dispongono di un sistema regolamentato nel settore
economico ed in quello delle professioni che offrono servizi
finanziari.
   Specie sotto quest'ultimo aspetto si sono però fatti di
recente molti passi in avanti; anche sotto il profilo
normativo, benefici effetti potranno presumibilmente
conseguire dall'oculata applicazione delle nuove previsioni
che consentono il sequestro (durante il processo) e la
confisca (in caso di condanna) di interi patrimoni "soggetti"
quando questi risultino sproporzionati rispetto al reddito
dichiarato o all'attività svolta dall'imputato o dal
condannato per fatti di mafia e di essi non si sappia
giustificare la provenienza. Credo sia questo il criterio più
logico e di buonsenso che possa essere seguito. Si tratta, in
sostanza, di accertare in che modo sia stato prodotto un certo
patrimonio considerando anche l'attività svolta dal soggetto
che si prende in considerazione. Questi dati possono emergere
anche dall'utilizzazione degli informatori locali, dalle
stazioni dei carabinieri, eccetera, con riferimento alle
situazioni in cui una famiglia od un individuo vivono al di
sopra delle possibilità che normalmente sono connesse
all'attività denunciata dagli interessati.
   Quanto all'ambito sovranazionale del crimine organizzato,
il lavoro svolto negli ultimi anni da magistrati e
investigatori ha consentito di comprendere come la "rotta
della internazionalizzazione" rappresenti oggi una delle
strade privilegiate dai gruppi criminali per incrementare sia
le loro spinte di carattere "terroristico" e "armato" sia le
loro spinte al reimpiego più sicuro e proficuo dei proventi
illeciti e delle ricchezze accumulate. Da qui, dunque, la
scelta delle organizzazioni criminali di considerare
prioritario il loro impegno in determinati settori
dell'illecito (il contrabbando, il traffico di droga, il
commercio clandestino di armi - a cui negli ultimi tempi si
sono aggiunte svariate altre attività riguardanti componenti
di armi sofisticate, come le famigerate mine antiuomo e via di
seguito, ed anche materiale atomico o parti di centrali
atomiche -, il riciclaggio, le case da gioco, il mercato
dell'immigrazione) che, per loro natura, implicano risvolti di
carattere internazionale e favoriscono le proiezioni del
crimine organizzato fuori del paese di origine. La progressiva
globalizzazione dei mercati e il graduale superamento della
frontiera favoriscono positivamente la crescente unificazione
e interdipendenza delle economie. Dall'altro, però, creano i
presupposti per un sempre più diffuso "scambio" tra le mafie
tradizionali e quelle straniere (la colombiana, la turca, la
cinese e ultimamente quella dell'est europeo) e, di
conseguenza, il pericolo che dalla internazionalizzazione
discenda un innalzamento del rischio "mafia" con uno smisurato
aumento del potere armato ed economico delle organizzazioni
criminali.
   Una efficace strategia antimafia non può ignorare, né
sotto l'aspetto dell'aggressione ai patrimoni mafiosi né sotto
quello più ampio e generale della sensibilizzazione al
problema, le considerazioni sin qui enunciate. Va perciò
apprezzata l'iniziativa del ministro dell'interno di
moltiplicare gli sforzi per l'incisivo sviluppo di forme di
collaborazione e coordinamentomultilaterale e bilaterale; così
come va apprezzato l'intento del ministro di grazia e
giustizia di procedere alla complessiva revisione del libro XI
del codice di procedura penale al fine di rendere più agevoli
i rapporti tra le autorità giudiziarie (specie in tema di
estradizioni, di rogatorie e di assistenza giudiziaria) e di
superare così le difficoltà operative ora riscontrate e spesso
conseguenti all'oggettiva diversità dei sistemi processuali di
volta in volta posti a confronto.
   Sulle scelte da adottare in tema di cooperazione
internazionale nella lotta al crimine
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organizzato incideranno in modo decisivo gli esiti della
conferenza mondiale di Napoli del 23 e del 24 novembre 1994,
nel corso della quale una parte importante dei lavori dovrà
essere dedicata a quel minimo di legislazione che dovrebbe
essere un denominatore comune in tutti i paesi: stiamo infatti
riscontrando - l'ho constatato anche nel mio recente viaggio -
che non vi sono norme nel diritto processuale perché non vi
sono esperienze pregresse e la collaborazione tra i vari
paesi, anche per quanto riguarda le estradizioni e così via, a
volte viene resa difficoltosa dal fatto che negli altri
ordinamenti (soprattutto nelle giovani democrazie, nei paesi
in via di sviluppo) non si riscontrano norme analoghe alle
nostre, che consentano una facile identificazione dei reati e
quindi la possibilità di ottenere o meno l'estradizione. Credo
che questo sia un lavoro fondamentale e se la conferenza di
Napoli porterà all'adozione di un minimo di misure da
inserire, a seguito di un voto unanime, in tutte le
legislazioni dei paesi che interverranno, questo sarà già un
grandissimo risultato. Poiché, come sapete, tendiamo ad essere
concreti, avanzeremo proposte precise come, per esempio,
quella dell'istituzione di una scuola internazionale per la
prevenzione, ossia di una scuola di polizia specializzata
nella lotta antimafia, di una scuola per gli operatori
giudiziari, oltre a tutta una serie di situazioni per cui il
Governo italiano si è già impegnato, mio tramite, anche ad un
apporto di fondi economici consistenti affinché queste
iniziative possano decollare.
   Dovranno all'esito essere intraprese azioni comuni e
dovranno essere formulati indirizzi di vero contrasto della
delinquenza mafiosa in uno spirito di forte volontà
transnazionale che esalti le esperienze di ciascun paese
interessato - purtroppo, le nostre - e che, come io spero,
farà tesoro in specie delle esperienze, appunto, italiane. Su
tali esperienze e sugli insegnamenti di tutti i servitori
dello Stato italiano caduti per mano di mafia, si è andata
infatti formando la normativa oggi vigente, una normativa che
è meritevole di miglioramenti e ammodernamenti, ma che
rappresenta un punto di partenza per l'elaborazione di una
legislazione internazionale rispettosa dei diritti dei
cittadini onesti, ma adeguata all'effettiva gravità del
fenomeno da combattere. E' mia intenzione, comunque, fin d'ora
procedere ad un attento e complessivo coordinamento delle
norme già operanti in Italia, che serva non solo ad agevolare
il lavoro degli interpreti, ma principalmente a cogliere la
necessità degli opportuni aggiornamenti suggeriti dalla
pratica investigativa e processuale. Si creeranno così le
condizioni per proporre, pressoché in tempo reale, le
modifiche necessarire per un contrasto efficace e tempestivo,
pienamente adeguato allo stesso evolversi dell'esperienza
criminale in tutti i suoi differenziati momenti: da quelli
coinvolgenti il mondo della prevenzione, delle indagini e del
processo a quelli che direttamente o indirettamente
interferiscono o possono interferire con il corretto sviluppo
dell'economia e delle attività di lavoro.
   A questo proposito, sto dando vita, presso la Presidenza
del Consiglio, ad un osservatorio permanente per le attività
di contrasto e per il flusso dell'informazione, al fine di
dare tempestivamente i necessari impulsi operativi alle
amministrazioni interessate (non si tratta soltanto del
Ministero dell'interno), affinché il contrasto nei confronti
di questo terribile fenomeno possa essere il più efficace
possibile e la Presidenza del Consiglio possa svolgere al
meglio il suo compito di indirizzo e di coordinamento
(Applausi dei deputati e dei senatori dei gruppi della
maggioranza).
  RAFFAELE BERTONI. Mi verrebbe voglia di applaudire; però
La piovra è fiction!
  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente del Consiglio per la
sua analitica, ampia ed esauriente relazione, che è stata
soprattutto molto chiara, il cui testo sarà distribuito ai
colleghi.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Consegno al presidente anche una pubblicazione
curata
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dalla Presidenza del Consiglio dei ministri: si tratta di un
testo unico coordinato delle leggi in materia di misure di
prevenzione. Ne consegno al presidente la prima copia e
successivamente ne farò pervenire altre per tutti i membri
della Commissione.
  PRESIDENTE. Poiché a mezzogiorno il Presidente del
Consiglio dovrà recarsi a Palazzo Chigi, mi auguro che gli
saranno rivolte domande sintetiche, in modo che egli possa
rispondere nel corso di una prossima seduta senza dover
intervenire successivamente.
  MAURIZIO BERTUCCI. Desidero innanzi tutto dare atto
della forte e concreta volontà, da parte del Governo nel suo
insieme e da parte sua, signor Presidente, in prima persona,
di combattere la mafia senza incertezze, senza titubanze e
senza latitanze. La notizia che lei ci ha appena dato in
ordine al decreto-legge per la proroga dell'articolo
41-bis ne è una conferma.
   Vorrei ricordare alcune parole pronunciate da Giovanni
Falcone, il quale ha affermato che certe dichiarazioni
apparentemente innocue, certi comportamenti che nel resto
d'Italia fanno parte del gioco politico normale, in Sicilia
acquistano una valenza specifica. Desidero ricordare che il
suo recente viaggio nella città di Palermo è la riprova
lampante di come la mafia debba essere affrontata a viso
aperto e soprattutto individuando i suoi territori di azione;
con il termine "territori" intendo fare riferimento non al
momento puramente geografico, ma all'intero e vasto raggio di
attività criminose poste in essere dalle organizzazioni
mafiose, prime fra tutte le attività economiche e finanziarie.
Credo, signor Presidente, che proprio questo sia il tallone
d'Achille dell'organizzazione mafiosa (o delle organizzazioni
mafiose); se si riuscirà a porre un robusto argine ai
molteplici affari della mafia pedinandone i flussi finanziari,
individuando i settori d'interesse, bloccando tempestivamente
i beni e il patrimonio costruiti negli anni con le attività
criminose, potremo dire che si saranno raggiunti gli obiettivi
ai quali, già anni addietro, aveva fatto riferimento Giovanni
Falcone.
   In tempi recenti, uno dei fenomeni che sembra abbia
acquistato sempre maggiore consistenza è quello dell'usura (e
vengo alla domanda che intendo porle): da pochi giorni la
Camera ha approvato il disegno di legge del Governo proprio in
materia di usura; è sotto gli occhi di tutti come un tale
fenomeno sia divenuto, per così dire, argomento di attualità.
Vero è che il problema si presenta ormai in tutta la sua
dimensione con connotati di particolare allarme sociale,
soprattutto in considerazione dei legami che connettono questo
tipo di reato alle attività poste in essere dalla criminalità
organizzata. La nuova legge prevede un considerevole aumento
di pena per i soggetti dediti all'usura; le chiedo, signor
Presidente, proprio in considerazione della tipologia dei
reati in questione, se non sarebbe stato forse più opportuno
immaginare non tanto una pena detentiva più severa, quanto una
norma che fosse ispirata a un'idea di certezza della pena
unitamente alla certezza della confisca dei beni del
soggetto.
   Inoltre - concludo - sempre in riferimento al disegno di
legge governativo, la Camera ha ritenuto di dover rinviare la
disciplina relativa al fondo di sostegno alle vittime
dell'usura. Sebbene l'utilizzazione di altri fondi, disposti
per far fronte a simili situazioni (per esempio, il fondo
antiracket), non abbia dato i risultati auspicati, non
ritiene, tuttavia, che, considerata l'urgenza della
situazione, il fondo antiusura debba essere immediatamente
istituito presso le prefetture o - ancora meglio - presso le
regioni?
   Da ultimo, sempre in tema di usura, l'opinione pubblica
sembra essere sempre più convinta che molta parte della
responsabilità sia da attribuirsi alla politica di restrizione
del credito adottata dalle istituzioni bancarie. Qual è
l'opinione del Governo al riguardo?
   Quanto all'ultima domanda che intendo porre, capita spesso
agli italiani che si recano all'estero (credo sia accaduto a
tutti noi) di sentir pronunciare, magari anche da un tassista,
la fatidica quanto ironica
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domanda e risposta: "Italiano? Ah, mafia!". Si tratta di
un luogo comune che sovente viene enfatizzato anche da una
certa stampa estera: credo che ricordiamo ancora tutti, o
quasi tutti, la copertina di Der Spiegel che, nel 1977,
ci raffigurava con una pistola adagiata su un piatto di
spaghetti. Le chiedo, signor Presidente, in che modo il
Governo si stia adoperando affinché questa immagine distorta
del nostro paese possa essere definitivamente cancellata.
  ANTONIO BARGONE. Prendo atto che questa mattina sono
state date alcune risposte rassicuranti, soprattutto per
quanto riguarda l'articolo 41-bis e i collaboratori di
giustizia. Tuttavia, non posso non rilevare che nell'azione
del Governo manca la forte volontà di lotta alla mafia di cui
ha parlato l'onorevole Bertucci.
   Mi riallaccerò ad alcuni fatti e cercherò di evitare il
più possibile il riferimento ad interviste, per evitare la
possibilità del ricorso alla tecnica ormai consueta della
smentita. Intanto, per quanto riguarda la campagna elettorale,
ricordo le sue dichiarazioni in ordine ai collaboratori di
giustizia e ad una modifica della legislazione nel senso di
ridimensionarne il ruolo e quindi l'efficacia;
successivamente, il riferimento più preciso e più recente è
alle dichiarazioni rese in questa sede dal ministro
dell'interno Maroni, dal ministro di grazia e giustizia Biondi
e dal procuratore nazionale antimafia. Il ministro Maroni ha
più volte fatto riferimento a lei, rimandando alcune domande
che gli erano state rivolte e affermando che ad esse avrebbe
dovuto rispondere il Presidente del Consiglio, perché si
tratta di una volontà unanime del Governo che deve essere
mostrata. Il riferimento era soprattutto alla questione
finanziaria, ossia alle infiltrazioni criminali nella finanza,
tenuto conto che il ministro Maroni sosteneva, come risulta
dal resoconto stenografico della sua audizione, che esiste un
rapporto tra istituzioni, sistema bancario e mondo economico e
imprenditoriale su cui il Governo deve adottare dei
provvedimenti che non possono essere emanati soltanto dal
ministro dell'interno.
   Per quanto riguarda l'articolo 41-bis, siamo stati
costretti ad assistere a due dichiarazioni diverse e
contraddittorie, anzi contrapposte, dei ministri Maroni e
Biondi: il primo confermava la sua determinazione nel
reiterare l'efficacia dell'articolo 41-bis, mentre il
ministro Biondi ha eluso la domanda relativa a tale questione
ed ha anzi rinviato più in là i suoi impegni.
   Inoltre, per quanto riguarda i penitenziari dell'Asinara e
di Pianosa, su cui lei questa mattina ha dato assicurazioni,
il ministro Matteoli ne proponeva invece la chiusura,
ricevendo l'entusiastica e  immediata adesione del ministro
Biondi, che qui ha giustificato la sua posizione dicendo di
essere stato in passato ministro dell'ambiente e che quindi,
in qualche modo, era stato richiamato a questa sua sensibilità
particolare di tipo ambientalistico.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Mi sembra comunque che sia tutto superato dalla
dichiarazione di oggi.
  ANTONIO BARGONE. Non è tutto superato ed ora vengo alla
domanda che intendo porle, signor Presidente del Consiglio. La
questione - lo ripeto - non è affatto superata: ogni volta
sembra che lo sia, ma poi il giorno dopo ci troviamo di nuovo
di fronte a affermazioni che sono in contrasto. Del resto,
proprio ieri il ministro Maroni ha reso delle dichiarazioni in
cui afferma che sostanzialmente la lotta alla mafia la
sostiene soltanto il ministro dell'interno e che non c'è
collaborazione da parte della maggioranza; lo stesso ministro
ha fatto un riferimento specifico ad un'assenza dei
parlamentari della maggioranza in Sicilia. Queste sono le
dichiarazioni del ministro Maroni, tanto che vi sono state
alcune smentite o prese di posizione da parte di deputati di
forza Italia e di alleanza nazionale.
   La questione non può essere considerata superata, e citerò
due esempi, uno dei quali è quello dell'usura, cui ha fatto
riferimento anche l'onorevole Bertucci. Lei ha detto delle
cose che sono state smentite
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dall'azione del Governo e della maggioranza in aula: quindi,
non sto facendo riferimento ad interviste. Quel provvedimento
è stato approvato svuotando di contenuto e di efficacia lo
stesso disegno di legge del Governo, che ha fatto marcia
indietro; ci si è limitati soltanto ad un aumento di pene,
venendo meno alle aspettative di tutti coloro che sono vittime
del fenomeno ed anche ad un dibattito che era arrivato ad una
fase avanzata.
   Sempre per quanto riguarda il coordinamento, anche in
questa sede il ministro Maroni ha fatto riferimento al
Presidente del Consiglio, affermando che vi è bisogno di
provvedimenti del Governo che siano collegiali, mentre lei, a
sua volta, ha fatto riferimento al lavoro del ministro
dell'interno. E' chiaro, quindi, che ci troviamo di fronte ad
una mancanza di strategia, da questo punto di vista: non posso
che prenderne atto, perché, dopo aver ascoltato il ministro
dell'interno ed il Presidente del Consiglio, mi sembra che,
per quanto riguarda questo versante, non vi sia chiarezza di
intenti. Il ministro Maroni ha detto più di quanto  abbia
detto lei, perché ci ha riferito di aver dato l'incarico di
mettere in piedi un progetto mentre lei non ha detto nemmeno
questo.
   Ancora, per quanto riguarda la giustizia, il ministro
Biondi ha affermato di trovarsi costretto a subire le
ristrettezze della legge finanziaria, perché sono necessarie
decisioni collegiali nella materia. La legge finanziaria
conferma la giustizia ad uno degli ultimi posti nelle priorità
del Governo; cito un caso per tutti, sul quale penso che
qualcuno tornerà: teniamo presente che in Calabria le
strutture giudiziarie sono praticamente inesistenti, e che
coloro che vi lavorano possono essere considerati degli eroi,
degli uomini di frontiera, che sono messi in tali condizioni
dallo Stato. E penso che la legge finanziaria non aiuti in
questo senso. Ieri vi è stata un'interrogazione del capogruppo
di forza Italia al Senato (non si tratta, quindi, di
un'intervista e, questa volta, non la può smentire) che fa da
sponda ad un'intervista rilasciata da Riina a la
Repubblica: lo stesso La Loggia ritiene che a questa
intervista non bisognerebbe dare spazio, mentre egli la
utilizza per attaccare coloro che si sono impegnati sul fronte
della lotta alla mafia e rovesciare il ragionamento di
Riina.
   Signor Presidente, la mia domanda, quindi, è collegata a
tali considerazioni. Tutte queste sono contraddizioni, anche
rispetto alla relazione che ha letto stamattina; vi è bisogno
di atti conseguenti, che siano univoci. Il procuratore
nazionale antimafia ha dichiarato alla nostra Commissione - ed
anche questa non è un'intervista - che vi è un chiaro calo di
tensione nella lotta alla mafia. Vi sono stati, inoltre,
riferimenti, che non sono stati chiari ma che andrebbero
chiariti, soprattutto dal Presidente del Consiglio, a nuove
alleanze politiche di Cosa nostra e della mafia. A tale
riguardo, non viene detto nulla! Ecco perché anche le sue
precisazioni di stamattina rispetto all'intervista rilasciata
in Russia, fatte prima della relazione, dimostrano che
evidentemente la relazione è, forse, un elaborato ponderato ma
che poi, nel momento in cui vi è bisogno di esprimere davvero
una volontà, si minimizza. Anche stamattina, lei ha dichiarato
qui che la mafia è fatta di cento boss, che si parla male
dell'Italia per la La piovra.
   Nel mondo, Presidente, si parla male della mafia perché ci
sono le stragi, che sono fatti tragici di grande rilievo;
bisogna dunque evitare che accadano, soprattutto pensando che
non ci sono soltanto cento boss e che esiste una mafia - come
lei stesso ha affermato nella relazione, contraddicendosi
quindi subito dopo - che non è soltanto lupare e coppole
storte. Si tratta invece di criminalità economica, di
infiltrazioni, di relazioni fra settori economici,
istituzionali, imprenditoriali; si tratta, quindi, di una
realtà molto complessa, sofisticata, con collegamenti
internazionali, che naturalmente deve essere combattuta con
una strategia che sia complessa.
   La mia domanda, signor Presidente del Consiglio, è quindi
se si possa porre termine, mostrando davvero in questo senso
una volontà politica di lotta alla mafia, a questa
oscillazione, che è gravissima, perché - come ha detto Falcone
ed è stato
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ricordato qualche giorno fa sul Corriere della Sera-
certe dichiarazioni apparentemente innocue, certi
comportamenti che nel resto d'Italia fanno parte del gioco
politico normale, in Sicilia acquistano una valenza specifica;
niente è ritenuto innocente, in Sicilia. Questo significa che
anche le dichiarazioni irresponsabili che qualche suo ministro
ha rilasciato, o qualche dichiarazione che lo stesso
Presidente del Consiglio ha fatto, possono suonare come
segnali importanti per la mafia, che naturalmente cerca spazi
ed alleanze, soprattutto sulla base dei segnali che le vengono
mandati.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Se il presidente della Commissione consente,
vorrei non dare una risposta ma limitarmi ad una breve
osservazione.
   Vorrei intanto ricordarle che la pericolosità del fenomeno
- mi sembra non vi siano dubbi - è avvertita da parte nostra e
che nel programma di Governo la lotta alla mafia è
fondamentale; poi le risponderò più puntualmente. Le ricordo
inoltre il fatto che una certa immagine influenza
negativamente quella complessiva dell'Italia; per esempio, per
un'opinione degli operatori turistici del nostro paese, se
questa immagine non fosse quella che è e noi potessimo, pur
sapendo che è un fenomeno pericolosissimo, da combattere,
eccetera...
  ANTONIO BARGONE. Scusi, Presidente...
  VITO CUSIMANO. Fa' rispondere!
  PRESIDENTE. Onorevole Bargone, lei non è stato
interrotto e la prego di non interrompere. Lei ha svolto il
suo intervento e rivolto le sue domande al Presidente del
Consiglio, che si sta ora limitando ad una breve
osservazione.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Mi dispiace di essere stato causa involontaria
della discussione. Volevo semplicemente osservare che non so
se sia vero, ma gli operatori turistici affermano che, se vi
fosse un cambiamento nell'immagine della mafia, il flusso
turistico degli stranieri in Italia potrebbe addirittura
raddoppiare. Pensi, pertanto, che male ci fa questo fenomeno
ma anche che male ci fa la sua esaltazione sugli schermi
televisivi di tutto il mondo. Credo che dobbiamo contemperare
due aspetti: lotta assoluta e totale, ma cercando di non fare
pubblicità ad un fenomeno così grande, che con la sua immagine
copre addirittura tutto il bene che noi certamente possiamo
rappresentare.
  SAVERIO DI BELLA. Vorrei entrare subito nel merito di
alcune questioni, anche per non abusare del vostro tempo.
Comincio con un'osservazione preliminare: mi sembra che vi
siano progetti virtuosi che le circostanze impediranno di
realizzare. Le circostanze non sono dovute al caso, sono
dovute a scelte che questo Governo ha già, in qualche maniera,
preventivato. Questo perché non si può ignorare che il
Mezzogiorno, dove il fenomeno criminale è maggiormente
localizzato, rappresenta una realtà che chiede lavoro e
giustizia. Chi ha guidato i destini di questo paese, finora,
ha negato l'uno e l'altra, e questo Governo continua a negare
l'uno e l'altra.
   Nell'Italia meridionale, i tribunali non sono messi nelle
condizioni di svolgere i processi. Ho scritto al Ministero di
grazia e giustizia e al Presidente del CSM, prendendo come
cartina di tornasole il tribunale di Reggio Calabria, dal
quale fra poco saranno scarcerate centinaia di persone
incriminate per decine di delitti di sangue: non ho avuto il
piacere di avere una risposta. Con riferimento alla Calabria e
all'Italia meridionale, ho detto direttamente al ministro di
grazia e giustizia  Biondi che il suo modo di gestire il
dicastero è una delle cause della poca credibilità di questo
Governo nella volontà di lottare effettivamente contro la
mafia. Ho denunciato un altro fatto preciso, che potrebbe
succedere a ciascuno di noi. Un sottosegretario di questo
Governo è stato fotografato a sua insaputa (gliene do atto,
perché naturalmente, ripeto, è un fatto che potrebbe
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succedere a ciascuno di noi) con dei mafiosi; la foto è stata
poi "venduta" dalla 'ndrangheta come testimonianza del fatto
che i legami perversi che esistevano con i vecchi dirigenti
esistono ancora. La risposta del sottosegretario in questione,
l'onorevole Gasparri, è stata che ripristinerà il saluto
romano, così nessuno potrà fotografarlo mentre stringe la mano
ad un mafioso; ha aggiunto anche un'altra affermazione, che
tralascio per amore di...
  GIUSEPPE AYALA. Come battuta non è male!
  PRESIDENTE. D'altra parte, dare la mano è
pericolosissimo!
  SAVERIO DI BELLA. Sapremo rispondere ad eventuali
rigurgiti di questo genere: non vi fate illusioni.
  GIANVITTORIO CAMPUS. Anche il pugno chiuso potrebbe
andare bene!
  SAVERIO DI BELLA. Non mi piacciono né l'uno né l'altro,
se sono indizio di totalitarismo.
   Desidero, comunque, sottolineare alcuni problemi che mi
sembrano essenziali, e che già conoscete. Il collegamento che
voglio fare è, chiaramente, alla legge finanziaria: se la
stessa verrà approvata senza modifiche sostanziali, da parte
del Parlamento, per quanto riguarda gli investimenti
nell'Italia meridionale, bisognerà prendere atto che
l'incentivo alla crescita ed anche al radicamento sociale
delle organizzazioni criminali verrà dato dal Governo, se il
Parlamento - lo ripeto - non riesce a modificare la scelta
operata fino a questo momento.
   Il numero dei giovani disoccupati nell'Italia meridionale
è salito ad un cifra spaventosa: sono circa 1 milione e 600
mila. E' fatale che, al di là dell'eroismo dei molti, che pure
vi è, o della scelta di vivere in povertà piuttosto che
uccidere una mosca, sempre compiuta da milioni di meridionali,
vi sia un'aliquota che, di fronte ad una situazione di questo
genere, decide di correre con la mafia, che dà potere, denaro
ed anche coperture politiche (almeno ne dava e, ripeto, si
vende un'immagine che fa sperare che ne possa dare ancora).
   D'altra parte, signor Presidente del Consiglio, le dirò
con molta franchezza, perché sono abituato a parlare chiaro,
che lei rischia di essere (al di là della sua volontà, mi
auguro) un ministro della malavita. Vi sono alcuni dati che
possono far sperare alla criminalità italiana che questo possa
avvenire...
  VITO CUSIMANO. Questa è veramente una Commissione
inagibile! Presidente, vi è un limite a tutto! Create un clima
inaccettabile!
  GIUSEPPE SCOZZARI. Non fare il fascista, fai parlare!
  SAVERIO DI BELLA. Io ho l'abitudine di motivare le mie
affermazioni...
  VITO CUSIMANO. Non avete senso dell'opportunità! Ma come
ti permetti!
  PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di intervenire in modo
corretto ed educato: i concetti si possono esprimere
ugualmente, senza interruzioni da parte di nessuno.
  SAVERIO DI BELLA. Signor presidente, penso di aver
utilizzato un linguaggio che nella storia del nostro
paese...
  LUIGI MANCONI. E' una citazione storica autorevole.
  SAVERIO DI BELLA. Voglio esplicitare il perché di questo
rischio: faccio riferimento ad alcune radici oscure del suo
potere finanziario ed anche dei suoi legami. Se vuole i
riferimenti testuali, mi rifaccio alla ricostruzione delle sue
vicende che hanno realizzato Giovanni Ruggeri e Mario
Guarino...
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Ha già finito di "rifarsi", perché è tutto falso!
Ho già avuto modo di svolgere attività di contrasto in questo
senso, con varie querele...
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  PRESIDENTE. Colleghi,  peraltro noi dobbiamo occuparci non
di questioni personali ma degli indirizzi di Governo.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Mi sia consentito, però, di rispondere sul punto.
Io ho l'orgoglio di avere lavorato da sempre e di avere creato
un grande gruppo: ne sono assolutamente orgoglioso, e le dico
anche che, se qualunque altra azienda italiana fosse stata
sottoposta allo stesso trattamento cui sono state e vengono
oggi sottoposte le mie imprese, gli aspetti negativi sarebbero
comunque emersi. Le mie imprese, invece, benché sottoposte ai
raggi x, stanno dimostrando di essere le prime per quanto
riguarda i rapporti con il fisco (negli ultimi anni, 1.100
miliardi di tasse pagate): io sono il primo contribuente
italiano.
   Se sono qui, è perché sono sereno: indaghino pure, non
emergerà nulla di negativo. L'ho dichiarato e lo dichiaro
ancora qui formalmente: io non ho compiuto - e lo conosco bene
quello che ho fatto, perché sono stato io ad averlo fatto -
atti che siano né penalmente né moralmente condannabili.
Quindi, lei legga pure Guarino eccetera, ma le do un
consiglio: utilizzi meglio il suo tempo...
  SAVERIO DI BELLA. Io ascolto tutte le campane, anche le
cose che dice lei.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Non avrei deciso di fare quello che sto facendo,
né di sottopormi alla luce dei riflettori, di sopra, di sotto,
davanti, dietro, se avessi qualcosa che non mi rende
sereno.
  SAVERIO DI BELLA. Il tempo, lo utilizzo sentendo tutte
le campane: il mio mestiere è quello dello storico, per cui
ascolto e leggo tutto quello che viene prodotto.
   Vorrei comunque tornare ad un rischio che, invece, rientra
nella cultura con la quale lei affronta il tema della mafia.
La spia è data proprio da quello che lei ha detto, correggendo
in modo sensato le dichiarazioni distorte rese a Mosca.
   Veniamo da una esperienza di criminalizzazione delle città
nelle quali si parlava dell'esistenza della mafia, come a
Palermo, dove un'intera generazione di scrittori ha
criminalizzato o tentato di criminalizzare coloro i quali
affermavano che esisteva la mafia. La stessa storia si è
verificata a Messina e, in generale, in tutta la Sicilia.
Guarda caso, mentre si negava l'esistenza della mafia e si
accusava chi faceva presente questo fenomeno, la mafia
unificava criminalmente la Sicilia. La storia si sta ripetendo
per la Calabria ed anche a livello nazionale.
   Non vorrei che questo tipo di approccio, metodologicamente
poco agguerrito e poco capace di fronteggiare tale rischio,
finisse ancora una volta, senza volerlo, con l'agevolare la
conquista e l'unificazione criminale dell'Italia da parte
della mafia.
   Per quanto riguarda la questione del lavoro, che è
fondamentale, ritengo debba essere superata una cultura che
non vede negli uomini e nelle braccia una risorsa: i
disoccupati dell'Italia meridionale, che sono una risorsa per
il paese, rischiano invece di diventare un problema. Vorrei
che, nel momento in cui si localizzano fenomeni a livello
industriale, si tenesse conto di quanto dicono gli studiosi e
gli organismi istituzionali.
   A questo proposito, desidero citare una relazione della
Corte dei conti del 1967, che purtroppo non ha insegnato
nulla: "Di frequente l'aspetto localizzazione viene valutato
in tal senso sulla base di criteri di economie esterne e di
disponibilità di servizi che portano a vedere solo i benefìci
dell'agglomerazione nelle regioni più dotate di tessuto
industriale. Il calcolo imprenditoriale prescinde però dai
costi sociali che pure sono sopportati dalla collettività e
che fatalmente finiscono per rimbalzare sulle attività
produttive, a causa dell'onere della congestione che viene a
determinarsi e delle sue negative conseguenze
socioeconomiche".
   Spero che questo basti a spingere lei ed il Governo a
riconsiderare l'impostazione complessiva della legge
finanziaria. Se la manovra del Governo resta così com'è, i
buoni propositi di lottare contro la mafia
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saranno vanificati, proprio perché la logica effettiva della
gestione dei poteri economici e della concentrazione della
ricchezza in questo paese seguirebbe altre strade ed altre
direttive.
  PRESIDENTE. L'onorevole Bonsanti ha chiesto di parlare
sull'ordine dei lavori.
  ALESSANDRA BONSANTI. Signor presidente, vorrei far
notare a tutti i colleghi che il Presidente del Consiglio ha
tempo fino a mezzogiorno e che sono 18 le iscrizioni a
parlare. Mi rivolgo perciò alla sensibilità di ognuno affinché
vengano poste domande brevi, come fa la stampa estera. So bene
che i parlamentari non sono giornalisti e che ognuno ha il
diritto di intervenire per quanto tempo vuole. Non posso
appellarmi al regolamento ma solo alla loro sensibilità.
  PRESIDENTE. Questo è anche il mio auspicio.
   L'onorevole Cusimano ha chiesto di intervenire sull'ordine
dei lavori, ne ha facoltà.
  VITO CUSIMANO. Ho ascoltato la relazione del Presidente
del Consiglio e solo dopo mi sono iscritto a parlare. In quale
punto della lista delle richieste è il mio nome? Se si chiede
di intervenire prima ancora di ascoltare la relazione, non
riusciremo mai a porre tutti le domande.
  PRESIDENTE. Non credo che l'ordine degli interventi
riguardi l'ordine dei lavori. Proseguiamo con gli
interventi.
  GIUSEPPE ARLACCHI. Signor Presidente del Consiglio, ho
apprezzato la sua relazione soprattutto nella parte in cui
ella ha dimostrato di avere il senso dell'ordine di grandezza
delle cifre che sono in ballo quando si parla di mafia e di
criminalità organizzata. Condivido perciò il richiamo al senso
delle proporzioni relativamente ai profitti della criminalità
organizzata.
   Desidero quindi porle una domanda, proprio perché ha
dimostrato di conoscere in modo non superficiale i temi. Lei
sa bene che la battaglia non si combatte solo nelle zone in
cui la mafia uccide, cioè al sud e nelle aree in cui vi è
disgregazione sociale e corruzione, in parte indotta dalla
mafia. La mafia si combatte soprattutto nel nord del paese e
nelle zone più sviluppate, dove esiste un segmento
dell'impresa produttiva, dell'economia e della finanza,
nazionale ed internazionale, che rappresenta l'altro aspetto
del problema della mafia, un aspetto più silenzioso e meno
visibile. Ecco perché la Commissione ha posto tra i suoi
compiti quello di indagare sul riciclaggio del denaro
sporco.
   Nella sua relazione, signor Presidente, lei ha parlato
delle misure che si stanno adottando per il sistema bancario e
per quello finanziario. Poiché buona parte dei capitali della
mafia ormai prende direttamente la via delle zone più
sviluppate del paese, che cosa ritiene si debba fare a
proposito del capitale mafioso riciclato nelle imprese
produttive dell'Italia del nord, nella proprietà più o meno
trasparente delle imprese, e che costituisce un fattore di
inquinamento dell'economia legale, spesso sopravvalutato? Cosa
propone inoltre in campo internazionale, visto che esistono
alcuni paesi europei che ormai, in modo piuttosto evidente,
stanno adeguando le loro legislazioni in modo da dare asilo e
protezione ai capitali di origine illecita? Mi riferisco a
paesi quali l'Austria, il Liechtenstein, il Lussemburgo e la
vecchia e tradizionale Confederazione elvetica.
   Lei sa bene, signor Presidente, che questo è uno dei temi
che preoccupano non solo l'Italia ma tutta la comunità
internazionale. Le sintetizzo, dunque, la mia domanda: cosa
pensa a proposito del capitale riciclato non tanto nelle
imprese bancarie quanto in quelle produttive dell'Italia del
nord e, in secondo luogo, nei paradisi fiscali europei?
  NICOLA MANCINO. Credo di agevolare, almeno nella
risposta, il compito del Presidente del Consiglio, che
probabilmente risponderà a tutti in una prossima occasione,
richiamandomi alle considerazioni svolte dall'onorevole
Arlacchi.
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   Siamo più in presenza di una mafia che non è più rurale né
urbana. Abbiamo oggi di fronte una mafia finanziaria che
proietta i propri interessi su tutto il territorio nazionale
ed anche a livello internazionale, in questo periodo
soprattutto in Europa centrorientale. Non intendo svolgere
considerazioni in forma critica, ma rilevo che esistono due
modi per affrontare il fenomeno. Uno è quello di conoscerlo,
sapere di doverlo combattere, ma non dirlo.
   Si tratta di un atteggiamento comune a molti paesi
europei, che è stato superato negli Stati Uniti i quali, vinto
tale complesso, si sono aperti completamente alle denunce,
alle offensive ed hanno assunto una strategia anticrimine che
ha dato notevoli risultati. Sul piano europeo, ovunque si
sottolinei l'esigenza di omogeneizzare la legislazione, ci si
trova di fronte quasi ad un rifiuto ad ascoltare. Se lo faccia
dire da chi ha percorso buona parte dell'Europa: ciò accade in
Francia, dove ho litigato con il ministro Pasqua, ma anche in
Inghilterra, in Olanda, un po' meno in Austria, anche se la
spiegazione degli austriaci è che esistono impedimenti di
natura costituzionale, che però sottendono un atteggiamento
remissivo, perché la Costituzione si può sempre cambiare.
  GIUSEPPE ARLACCHI. Hanno elevato il segreto bancario a
rango di norma costituzionale.
  NICOLA MANCINO. Anche sulla scorta di una legislazione
nazionale italiana, perché l'hanno sempre chiesto e volevano
commisurare... Qualunque sia il livello dell'incontro con
altri paesi, occorre portare con sé una conoscenza
approfondita del fenomeno, che non è solo italiano.
L'onorevole Arlacchi ha fatto cenno alla Svizzera,
all'Austria, al Liechtenstein; parlerei anche di San Marino,
dell'Ungheria, della Russia, della Polonia. Intendo dire che,
ovunque si vada, occorre sottolineare che l'intreccio
finanziario costituisce una delle ragioni
dell'intensificazione della criminalità a livello europeo.
   Ricordiamoci che in Italia nel 1992 si è registrato un
decremento del tasso di delittuosità del 10,4 per cento, nel
1993 del 9,7 per cento e che il trend è in diminuzione
anche per il 1994. Certo, avevamo raggiunto livelli molto alti
e quindi la somma di queste percentuali, che pure è molto
rilevante, sconta il fatto che la situazione era allarmante.
Sono un pessimista e quindi ragiono in modo diverso da lei,
signor Presidente, che è un ottimista (e la invidio per
questo). Capisco che all'estero non si possa parlare male, ma
se in quelle occasioni cominciassimo a parlare anche delle
condizioni degli altri paesi, li metteremmo in serie
difficoltà e dovremmo farlo. Quando il ministro Pasqua ha
detto che in Francia non esisteva la mafia - ed io so bene,
sin da quando ero ragazzino, che esiste la mafia marsigliese -
gli ho spiegato che almeno quella marsigliese era storicamente
accertata. Poiché il ministro Pasqua parla correttamente
l'italiano, mi ha risposto: "Cerchiamo di non affliggerci
reciprocamente".
   Per omogeneizzare le legislazioni occorrono relazioni
internazionali e non basta il ministro dell'interno, che pure
ha sottolineato con notevole spessore - che io ho apprezzato -
l'esigenza di tali relazioni. L'omogeneizzazione deve essere
compito non solo della conferenza di Napoli, ma di tutti gli
incontri a livello internazionale. La domanda che le pongo,
signor Presidente, è se da parte del Governo vi sia questa
disponibilità.
   Vorrei ora sgombrare il terreno dal problema
disoccupazione-occupazione. Non credo che il fenomeno della
mafia sia dovuto solo alla disoccupazione nel Mezzogiorno,
perché la mafia finanziaria è presente nel centro nord, dove
il tasso di occupazione è elevato, e si è introdotta nei
gangli dell'economia, possedendo titoli azionari,
obbligazioni, titoli di Stato, società finanziarie, società
fiduciarie.
   Prendo atto con soddisfazione che, da questo punto di
vista, lei è stato molto puntuale descrivendo la
strumentazione necessaria per combattere la criminalità
organizzata.
   Il coordinamento - ed è questa la seconda domanda che le
pone uno che ha
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registrato una sconfitta su questo piano -  è soltanto
apparente, dipendendo dalle buone maniere del direttore del
dipartimento della pubblica sicurezza, che è anche capo della
polizia. O il direttore del dipartimento è super partes
rispetto allo status di capo della polizia e riesce a
realizzare il coordinamento, oppure questa diventa una buona
maniera per risolvere il problema. Come intende affrontarlo il
Governo? Un disegno di legge si è infranto tra le proteste
delle organizzazioni sindacali di polizia e l'indifferenza
generale delle forze politiche (mi riferisco anche alla mia
parte politica, che all'epoca aveva la maggioranza relativa),
perché gli orpelli ed i gradi sono molto più importanti, in
questa nostra società, della necessità di corrispondere ad
un'esigenza di coordinamento, che non esiste. Spesso si fa
buon viso a cattivo gioco, si tengono riunioni tra i questori,
prima dello sciopero generale, ed i prefetti, non essendo
informati, non possono effettuare un coordinamento con la
Guardia di finanza e l'Arma dei carabinieri, che pure fanno
parte delle forze dell'ordine. Ho voluto porre questo problema
alla sua attenzione perché ritengo si tratti del problema del
prossimo futuro.
   Sarebbe auspicabile, di intesa tra la Presidenza del
Consiglio e i ministri della pubblica istruzione, dell'interno
e di grazia e giustizia, una mobilitazione delle scuole. Non
dimentichiamo che i ragazzi in età scolare possono
rappresentare il primo punto di contrasto con la malavita
organizzata, avendo un'età in cui è possibile operare il
rifiuto di un certo tipo di presenza e di controllo del
territorio.
   Nel momento in cui si discuterà in Senato il "pacchetto
giustizia" solleverò il problema relativo allo svolgimento dei
processi, la cui mancata celebrazione non rende possibile
conseguire risultati apprezzabili in questo campo. Per
celebrare processi occorrono giudici e quindi è necessario
guardare con attenzione ai "plurincarichi" per destinare i
giudici ai loro compiti istituzionali. E' necessaria una
strumentazione sufficiente; al riguardo, vorrei ricordare che
la stenotipia, uno strumento raro, esistente per ragioni di
privilegio soltanto al Senato, oggi si diffonde e deve far
parte dello strumentario dei nostri processi civili, penali ed
amministrativi. C'è bisogno anche di collaboratori, quali
cancellieri e assistenti giudiziari, e di tutto ciò che serve
per accelerare i processi. Se non si celebrano i processi, lei
ha perfettamente ragione a parlare in quei termini, anche nei
confronti dei collaboratori di giustizia.
   L'apprezzamento della valenza del passaggio dall'area del
crimine all'area della collaborazione nei confronti della
giustizia è un apprezzamento riservato soltanto al magistrato.
Se tutto deve essere conforme all'impianto delle decisioni
della Corte costituzionale, allora dobbiamo porre il giudice
in condizioni di apprezzare ciò che è verosimile, ciò che può
essere vero, rispetto a ciò che è inattendibile.
   Toccherò ora un argomento che probabilmente le procurerà
una reazione. Se vogliamo affrontare la questione giustizia
non possiamo esimerci dal dovere di guardare alle risorse
finanziarie, peraltro assolutamente insufficienti.
Probabilmente un ministro del tesoro parlerebbe di emendamenti
compensativi, con i quali credo non sia possibile affrontare
la questione giustizia, così come ha sottolineato anche il
collega Bargone. E' possibile immaginare un piano decennale
con un'addizionale non dolorosa dello 0,01 per cento per avere
a disposizione risorse che mettano i tribunali, i TAR, i GIP,
in condizione di funzionare e quindi emettere sentenze più
rapide. Tra coloro che aspettano di essere processati
indubbiamente ve ne sono alcuni che meritano di essere
condannati, ma ce ne sono tanti altri che meritano di essere
assolti. Non dimentichiamo che il grado di civiltà di un paese
si misura anche dalla capacità della giustizia di
corrispondere in tempi brevi ad esigenze di legalità.
  VITO CUSIMANO. Non solo penale ma anche civile.
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  NICOLA MANCINO. Certamente!
  LUCIANO VIOLANTE. Ciò che ha detto il Presidente del
Consiglio è chiaramente soddisfacente perché gli impegni e le
proposte - a mio avviso - sono quelle giuste, però c'è un
problema politico ed è quello che ha posto anche il collega
Bargone. Assai spesso - e lei lo registra - proposte del
Governo, pure correggibili, alla Camera ed al Senato vengono
modificate in senso peggiorativo. C'è un problema di coerenza
tra indirizzi e proposte del Presidente del Consiglio ed
indirizzi e proposte della maggioranza parlamentare.
Certamente lei saprà come affrontare il problema, ma questo
terreno è particolarmente importante. Comprenderà che se il
Governo avanza una proposta utile e positiva e la maggioranza
parlamentare la stravolge, la blocca, la paralizza, il
messaggio che ricevono le organizzazioni mafiose è quello di
poter contare su una funzione paralizzante di una maggioranza
nei confronti dell'indirizzo positivo del Governo e ciò
indipendentemente dalle volontà. Non si tratta, infatti, di un
problema di volontà, ma di un significato oggettivo dei fatti.
Se lei riuscisse a trovare il modo per richiamare la sua
maggioranza ad una coerenza con gli indirizzi del Governo,
aiuterebbe molto lo svolgimento, lo sviluppo e l'efficacia del
piano da lei indicato. Se si procede con una serie di stop
and go, dichiarazioni importanti e positive e poi magari
controdichiarazioni, interpretate in maniera non corretta (ma
ciò che appare finisce con l'essere), il risultato è negativo.
Il procuratore nazionale antimafia ci ha parlato di "calo di
tensione" nella lotta contro la mafia. Gli indirizzi che lei
ha qui indicato, se fossero accompagnati da una coerente
azione della maggioranza e da una rapida e coerente azione
dell'esecutivo, probabilmente rovescerebbero questa
sensazione.
   Lei ha indicato tre problemi: l'interrogatorio per
circuito televisivo degli imputati più pericolosi, la proroga
dell'articolo 41-bis e l'Asinara. Si tratta di questioni
molto urgenti. Se il Governo ritenesse di emanare un
decreto-legge in tema di interrogatorio per circuito
televisivo ciò consentirebbe immediatamente anche
un'applicazione più puntuale dell'articolo 41-bis. Le
avranno certamente detto che imputati come Riina ed altri sono
in giro per le carceri italiane dovendo rispondere di una
serie di reati in diversi tribunali. Ciò fa sì che l'articolo
41-bis nei loro confronti non possa essere applicato.
Come lei ha correttamente detto, soltanto in poche carceri si
può applicare quel tipo di regime. Quindi, l'emanazione di un
decreto-legge su tale materia ci aiuterebbe a risolvere il
problema. La stessa cosa vale per l'articolo 41-bis.
Come tutti ricordano il Parlamento ha preso l'impegno di
"liberare" l'Asinara entro l'agosto 1995; tuttavia, questo
impegno non potrà essere mantenuto. La soluzione potrebbe
essere allora quella di destinare  l'isola per metà al
penitenziario e per l'altra metà a parco nazionale. Se una
soluzione del genere fosse possibile si potrebbero conciliare
le diverse aspettative ed esigenze.
   Le questioni relative all'interrogatorio per circuito
televisivo, all'articolo 41-bis e all'Asinara, possono
essere affrontate, se lei ritiene, con un decreto-legge. Ad
esempio, l'attuazione immediata dell'interrogatorio per
circuito televisivo ci consentirebbe di evitare rischi ed
esposizioni.
   In tema di articolo 41-bis vorrei richiamare la sua
attenzione su un punto. Molti provvedimenti sono annullati per
insensibilità o cattiva interpretazione da parte dei tribunali
di sorveglianza e molti altri perché la motivazione del
Ministero di grazia e giustizia non è corretta. Se lei,
nell'ambito delle sue funzioni di coordinamento dei singoli
ministeri, ritenesse di invitare il Ministero di grazia e
giustizia ad una più rigorosa motivazione, credo che potremmo
giungere ad un consolidamento dell'articolo 41-bis
rispetto alla situazione attuale.
   In tema di tribunali distrettuali lei ha accennato ad un
problema serio quale il rischio di doverne aumentare gli
organici. Lo stesso collega Mancino si è soffermato sul
problema. Sarebbe opportuno avviare uno studio
sull'utilizzazione razionale delle risorse esistenti. E'
convincimento non solo mio ma anche di molte persone
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che si interessano di questi argomenti che una utilizzazione
più razionale delle risorse umane esistenti nel mondo
giudiziario potrebbe risolvere molti dei problemi che dobbiamo
affrontare. Oggi tra funzionari amministrativi e magistrati vi
è un rapporto, assolutamente ottimale, di 1 a 4; in realtà, la
pessima distribuzione del personale amministrativo negli
uffici giudiziari non consente di utilizzare al meglio detto
rapporto. Il numero di magistrati di per sé non è
insufficiente, è pessima la loro distribuzione. Mentre in
Sicilia, ad esempio, a fronte di 5 mila aderenti organici alla
mafia ci sono 53 magistrati delle procure distrettuali, in
Calabria a fronte di 5 mila e 800 aderenti organici, ci sono
soltanto 9 magistrati delle procure distrettuali. E' questo
scarto che determina la debolezza di cui parlavano alcuni
colleghi intervenuti precedentemente.
   Lavorando sull'utilizzazione razionale delle risorse
esistenti forse si potrebbe trovare un equilibrio tra le
esigenze di bilancio e le esigenze di una risposta adeguata al
problema.
   Per quanto riguarda i tribunali distrettuali, attualmente
quelli di piccole dimensioni come quelli di Termini Imerese,
di Sciacca, di Marsala non riescono a fronteggiare la
microcriminalità; è sufficiente, infatti, che un piccolo
tribunale come quello di Marsala sia chiamato a celebrare un
processo della durata di otto mesi affinché tutto si blocchi,
impedendo di fronteggiare la criminalità del posto, la quale
ha uno spazio di crescita, di irrobustimento e di
consolidamento anche perché, in quella fase, sono presenti una
serie di forti organismi che fanno da sostegno ai processati.
Quindi, i tribunali distrettuali obbediscono anche ad una
logica di equa distribuzione delle risorse. Si concentri
dunque la risposta alla grande criminalità in alcune zone per
consentire ai tribunali, cosiddetti, periferici, di attuare il
secondo livello della risposta nei confronti della criminalità
medio-bassa che non è meno pericolosa della grande
criminalità. La gente, infatti, non sente sulla sua pelle il
grande trafficante di stupefacenti, sente il borseggiatore, e
quindi ha necessità di una risposta sul versante tanto del
grande criminale, quanto del borseggiatore. Se lei potesse far
riflettere i suoi uffici su tale questione, credo che si
potrebbe trovare una soluzione adeguata.
   In ordine al problema del numero dei mafiosi affiliati, è
vero che si tratta di 24-25 mila persone inserite nelle
organizzazioni a tempo pieno, ma vi è poi tutta una rete di
irregolari e favoreggiatori che eleva enormemente il numero
degli aderenti. A tutto ciò si aggiunga che mentre le imprese
legali in genere operano in un regime di rispetto delle regole
di mercato, questo tipo di imprese agisce in un regime di non
rispetto delle regole di mercato.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. E non pagano i contributi!
  LUCIANO VIOLANTE. Non pagano i contributi, non accedono
al credito bancario ed hanno una serie di vantaggi enormi. La
molteplicità delle attività consente loro di operare in un
regime di monopolio per moltissime attività imprenditoriali in
vaste aree del territorio nazionale. Riteniamo sia di non
secondaria importanza richiamare gli imprenditori ed il
mercato ad una maggiore vigilanza. E' impossibile che un
imprenditore non sappia se il suo vicino lavora correttamente
o meno. Egli lo sa. Abbiamo avuto esempi classici come quello
di Casillo. Tutti sapevano chi era Casillo, eppure è diventato
presidente dell'associazione industriali di Foggia. Vi sono
episodi di questo genere che dimostrano come richiami forti
all'imprenditoria, circa il rispetto delle regole anche etiche
del mercato, non possono che agevolare la trasparenza e quindi
il suo ed il nostro lavoro.
   Un richiamo alla sua maggioranza ad una più puntuale
coerenza potrebbe aiutarci molto.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Se il presidente consente vorrei svolgere un
piccolo intervento circa un'affermazione dell'onorevole
Violante che ha posto l'accento e l'attenzione
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sull'utilizzazione razionale delle risorse. Questo problema,
validissimo per tutto il comparto della giustizia, riguarda
l'intero settore pubblico. Siamo superdotati di uomini, ma
nella difesa, nella sanità, nei trasporti, nelle ferrovie essi
sono, purtroppo, male utilizzati. Se da imprenditore dovessi
essere chiamato in qualità di consulente (cosa che faccio,
anche se spero non per molto tempo)...
  RAFFAELE BERTONI. Si sottovaluta!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Il bilancio dell'azienda Italia che abbiamo
ereditato può essere modificato soltanto con un intervento in
profondità di riorganizzazione di tutto ciò che è pubblico.
L'utilizzazione razionale delle risorse, la mobilità, il
cambiamento degli orari nelle amministrazioni locali e tutta
una serie di altri princìpi devono essere mutuati
dall'imprenditoria privata, dove vengono normalmente
applicati. Si tratta di un fatto fondamentale, che rappresenta
una rivoluzione. In questo momento siamo in grado di
intravedere la necessità di procedere in questa direzione e i
possibili risultati, ma non abbiamo gli strumenti
regolamentari e normativi per poter procedere. Quindi credo
che questo sia un grande capitolo che certamente funziona per
la giustizia ma che si dovrebbe applicare in tutti i settori
dello Stato. Certo, occorre cominciare da alcune cose. Lei
pensi anche soltanto al fenomeno - scusate, ma è un punto sul
quale vale la pena che anche i parlamentari concentrino la
loro attenzione - di coloro che non lavorano, che prendono
l'indennità di licenziamento e quella di cassa d'integrazione.
Noi li abbandoniamo a se stessi; escono normalmente dal
circuito lavorativo, diventano inadatti al lavoro e li abbiamo
persi in un paese dove sono meno di quattro le persone che
lavorano per mantenere le altre sei. Il che è il contrario di
quanto avviene nei paesi che non hanno il nostro deficit
pubblico (Commenti).
  SAVERIO DI BELLA. C'è la legge Cassese!
  PRESIDENTE. Colleghi, vi prego di parlare uno alla
volta, altrimenti non si capisce.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Lei pensi quanto vantaggio si potrebbe trarre
dall'utilizzare personale di livello, che viene lasciato
inattivo, per esempio, nelle amministrazioni che riguardano il
Ministero dell'interno, nelle forze dell'ordine. Lei sa
benissimo, meglio di me, quante sono le persone di questi
corpi che vengono utilizzate in mansioni amministrative. Pensi
al vantaggio che potremmo ricavare dal rimandare sul campo,
adoperare realmente, come veri operatori dell'ordine, le
persone, sostituendo, per tutti gli adempimenti amministrativi
correnti, le persone con altre che invece adesso lasciamo
inattive o addirittura a fare lavoro nero, con gravissime
conseguenze per la nostra economia. Questo è tutto un lavoro
di ristrutturazione!
   Ci troviamo di fronte ad un'azienda-Stato che è andata
così per tantissimi anni e che si trova in una situazione
veramente fallimentare. Certe volte, andando anche a dormire a
delle ore che non avrei immaginato di raggiungere, mi sento
cadere le braccia perché mi vedo incapace ed inadeguato di
fronte alla mole di modifiche e di cambiamenti che si
dovrebbero introdurre e che sono di tutta evidenza.
   Se l'Italia fosse un'azienda di 10 mila persone, ci
sarebbe da rivoluzionarla tutta e si avrebbero moltissime
possibilità di farla ripartire in un attimo, anche perché
dall'altra parte, poi, le cose positive sono straordinarie,
ripeto straordinarie. Abbiamo degli sprechi di tempo e di
potenzialità che sono veramente dovuti ad una macchina
politico-burocratica inefficace e molto spesso in contrasto
con l'attività produttiva, con l'attività di chi deve
investire e deve rischiare.
   Se riuscissimo - questi sono i miei appelli un po' da
libro Cuore e capisco che forse non fanno parte della
lotta politica - a lavorare tutti insieme per questo, potremmo
davvero trasformare questa burocrazia in una di aiuto e non di
contrasto all'opera delle imprese; avremmo risolto
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innanzitutto il problema del lavoro e, successivamente, tutti
gli altri problemi, compreso quello della criminalità. Se noi
infatti potessimo dare lavoro ai giovani del sud, questi
signori che hanno il crimine come professione incontrerebbero
molte più difficoltà a trovare chi collabora con loro.
   Esiste dunque la possibilità di una grande rivoluzione
positiva anche se è difficile poterla attuare perché  gli
strumenti con cui noi possiamo lavorare sono ancora vecchi; lo
confesso e sento che nella stessa burocrazia c'è una
difficoltà enorme: c'è un muro di gomma che risponde a certe
mie iniziative. A proposito dei lavori parlamentari io ho
osato dire che vi erano delle lungaggini, eccetera, eccetera;
ma quando lo dico io, diventa un comportamento irrispettoso
nei confronti del Parlamento. Ditelo voi! Prima, la signora
Bonsanti faceva presente come, probabilmente, con un
intervento di uno, due o tre minuti ciascuno si riuscirebbe a
formulare domande ed avere risposte, con vantaggio per
tutti.
   Questo è soltanto un aspetto molto piccolo, ma
nell'amministrazione l'irrazionalità è la padrona! Avremo
quindi un grande lavoro da svolgere e speriamo di poterlo fare
con il concorso di tutti (Commenti). Dovete avere anche
voi un po' di pazienza, perché nessuno è professionista. Lo
sappiamo, siamo tutti esordienti. Io per primo.
  VITO CUSIMANO. Ci sono i professionisti!
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
ministri. Abbiate quindi un po' di pazienza e di
indulgenza, perché è un lavoro nuovo. Non ci manca la voglia
di fare e io devo dire che non mi manca nemmeno il senso dello
Stato! (Commenti). Vi posso assicurare una cosa a
proposito della compagine di Governo: essa potrà essere, per
certi versi, criticabile, ma ho il convincimento che questa
compagine di Governo non avrà mai le mani sporche e credo che
ciò sia un gran vantaggio rispetto al passato.
  PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio ha per oggi
terminato.
  SILVIO BERLUSCONI, Presidente del Consiglio dei
Ministri. Poiché ho visto che non siamo riusciti a
concludere, mi consegnerò a voi la prossima settimana per un
tempo adeguato: verrò qui e risponderò alle domande. Se avrete
la cortesia di presentare dei quesiti scritti, risponderò
anche a quelli.
  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente del Consiglio.
Concorderemo un giorno della prossima settimana per il seguito
dell'audizione.
    La seduta termina alle 12,10.

 


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