Parenti: seduta 18
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       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
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  Audizione del direttore generale del dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, dottor Adalberto
Capriotti:
  Parenti Tiziana, Presidente ...............  497, 504, 505
                                          514, 515, 516, 517
  Bertoni Raffaele .....................  500, 503, 504, 505
                                506, 507, 509, 514, 516, 517
  Caccavale Michele .................................... 502
  Capriotti Adalberto, Direttore generale del dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria ..........  497, 498, 500
                                     501, 502, 503, 504, 505
                 507, 508, 509, 510, 512, 513, 514, 515, 517
  Del Prete Antonio ..............................  498, 513
  Ramponi Luigi ........................................ 501
  Scopelliti Francesca ......................  504, 505, 508
                                          509, 510, 512, 514
  Tripodi Girolamo .....................  504, 506, 507, 508
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   La seduta comincia alle 12,10.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del direttore generale del dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria, dottor Adalberto
Capriotti.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
direttore generale del dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria, dottor Adalberto Capriotti, al quale do subito
la parola perché riferisca alla Commissione sui problemi
connessi all'applicazione dell'articolo 41-bis
dell'ordinamento penitenziario.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ringrazio
il presidente e tutti i commissari per l'accoglienza
riservatami. L'invito della Commissione rappresenta per me
un'esperienza nuova ed inaspettata: considero un privilegio
essere stato chiamato a riferire su alcuni aspetti della mia
nuova attività.
   Il regime speciale previsto dall'articolo 41-bis è
stato introdotto nel nostro ordinamento nel periodo
immediatamente successivo alla strage di Capaci, perpetrata
nel luglio 1992. All'atto dell'entrata in vigore, la
disposizione fu immediatamente applicata a 367 detenuti di
spicco e di grande pericolosità. Ciò avvenne su richiesta del
Ministero dell'interno, cui seguì l'emanazione di
provvedimenti multipli. Nel corso del 1992 il numero dei
detenuti sottoposti al regime carcerario speciale si
incrementò fino a giungere, nel mese di dicembre, a 522. Anche
in questo caso i relativi provvedimenti furono emanati con
decreto del ministro. Nel settembre del 1992 lo stesso
ministro - non sappiamo per quale ragione ed in base a quali
accordi - delegò il direttore ed il vicedirettore generale
dell'epoca ad emanare provvedimenti di questa natura. Ne
conseguì l'emanazione di ulteriori 567 decreti, tanto che nel
periodo compreso tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 il
totale dei detenuti sottoposti al regime previsto
dall'articolo 41-bis era pari a 1.089.
   I detenuti sottoposti a particolare trattamento sulla base
di un decreto del direttore generale - che, come dicevo prima,
erano 567 - sono stati sottratti al trattamento stesso: il
dipartimento, dopo aver ascoltato le autorità investigative e
giudiziarie competenti, non ha proceduto a rinnovare le misure
originariamente adottate nei confronti di queste persone. Sono
stati invece rinnovati nel tempo altri provvedimenti, che si
sono affiancati ad iniziative ex novo, tanto da arrivare
ad una situazione che, progressivamente smorzatasi per effetto
di una più oculata distribuzione, vede oggi soltanto 436
detenuti sottoposti al particolare regime. Con il passar del
tempo i decreti sono stati emessi nominativamente e, dopo le
pronunce della Corte costituzionale e di alcune magistrature
di sorveglianza, hanno cominciato ad essere motivati, tanto
che attualmente un decreto nominativo riguardante un solo
detenuto ha pressapoco la stessa consistenza di una sentenza:
si tratta di "papiri" di otto, dieci o dodici pagine nelle
quali sono menzionate tutte le malefatte, i precedenti, le
sentenze ed i provvedimenti di custodia cautelare.
   I decreti emessi dai ministri di grazia e giustizia
succedutisi dall'epoca dell'entrata in vigore della nuova
normativa (Martelli, Conso e Biondi) sono stati,
complessivamente, 767. Attualmente, negli istituti di pena vi
sono 436 detenuti sottoposti al trattamento carcerario
previsto dall'articolo 41-bis.
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   Lo scorso anno, nel momento in cui assunsi il nuovo
incarico, ebbi uno scambio di idee con il ministro di grazia e
giustizia dell'epoca, al quale erano già stati rivolti
numerosi reclami sul nuovo regime carcerario. In
quell'occasione convenimmo anzitutto sull'opportunità di non
attribuire alcuna delega al direttore generale, così come io
avevo chiesto. Da quel momento, i decreti dovevano essere
emanati esclusivamente dal ministro, non dal direttore
generale (io, per esempio, non ne ho emanato alcuno) o dai
sottosegretari. In secondo luogo, sottolineai l'opportunità di
ridurre il periodo del rinnovo della validità di ciascuna
misura a sei mesi, ove si consideri che l'articolo
41-bis prevede un trattamento che, se applicato con
rigore e con coerenza rispetto alla norma, appare
particolarmente duro da sopportare. Pertanto, sotto il profilo
umano e dell'educazione civica, la previsione di una proroga
di sei mesi avrebbe rappresentato una sanzione già abbastanza
pesante. I ministri che si sono succeduti hanno accettato il
mio consiglio, tanto che oggi i rinnovi possono essere
disposti soltanto per sei mesi, restando fissato ad un anno il
limite temporale per le nuove applicazioni.
   Come ho già detto, i detenuti attualmente sottoposti al
regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis sono
436; tra questi, ve ne sono alcuni per i quali i decreti sono
stati emanati ex novo. Per altri, invece, tali
provvedimenti sono stati caducati: ciò o perché vi è stato un
mutamento della rubrica - mi esprimo in termini tecnici - nel
senso cioè che si trattava di persone non più imputati dei
reati di cui agli articoli 416-bis e 630 del codice
penale, nonché di quello previsto dall'articolo 74 della legge
sugli stupefacenti, oppure perché gli interessati erano
diventati nel frattempo collaboratori di giustizia, o perché
venivano scarcerati o, infine, per altre ragioni obiettive.
   Attualmente l'applicazione dell'articolo 41-bis
riguarda 436 uomini; storicamente vi è stata qualche donna
sottoposta alla misura ma oggi non ve ne sono più. Le misure
che hanno riguardato detenuti donne (complessivamente 8 o 9)
sono state emanate non dal ministro ma dal direttore generale
dell'epoca.
   Quanto alla classificazione dei detenuti sottoposti a
questo regime abbastanza rigoroso (in questo momento, da un
lato si sente dire che l'istituto si sarebbe ormai svuotato
perché non applicato rigorosamente e, dall'altro, che
l'amministrazione e la legge sarebbero troppo severe:
probabilmente l'equilibrio sta nel mezzo perché si tratta di
un regime serio che ci auguriamo non venga applicato ad alcuno
di noi), vi sono 131 aderenti a Cosa nostra; 144 facenti parte
di altre cosche mafiose, tra cui la stidda (in questo caso si
tratta di persone inserite in famiglie unite tra di loro da
matrimoni o da alleanze che spesso finiscono in continue e
reciproche uccisioni); 41 della 'ndrangheta; 98 della camorra.
Dobbiamo considerare che la camorra si esprime attraverso la
Nuova camorra organizzata, che fa capo al detenuto Cutolo, la
Nuova famiglia (comprendente tutti i camorristi schierati
contro Cutolo), l'Associazione camorristica riformata che,
almeno per me, rappresenta una novità.
  ANTONIO DEL PRETE. E' una nuova costellazione!
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, una
costellazione che sorge...
   Abbiamo contatti con la procura di Palermo che funge anche
da "storico" di questo tipo di criminalità, con riguardo alle
modalità di ingresso nell'organizzazione, all'effettuazione
dei primi passi, in particolare in Sicilia ma anche nel
napoletano, alle scalate ed alle promozioni. In questa realtà
non vi è pensionamento: se non interviene la morte, naturale o
non naturale, si rimane sempre inseriti nell'organizzazione
dalla quale non si può uscire.
   Naturalmente, tra i personaggi nei cui confronti è stato
applicato l'articolo 41-bis ve ne sono alcuni anche
anziani. Penso, per esempio ad un certo Riina (che mi pare si
chiami Salvatore), zio del più famoso
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Riina, il quale ha 86 anni. Nonostante il Riina proclami
la sua estraneità a qualsiasi addebito, sta di fatto che lo
stesso è imputato di molti reati, fra cui un certo numero di
omicidi, che inducono a ritenere che sia ancora uno dei capi.
Mi si dice che, quando i detenuti entrano all'Asinara, gli si
rivolgono baciandogli la mano, come consuetudine in questi
ambienti (lo abbiamo visto in molti film). Dalla scheda di
Riina risulta che le prime condanne sono state riportate nel
1929, per fatti che, a suo dire, sono stati casuali, per
vicende d'onore e così via.
   In questo momento vi sono ben 7.688 persone indagate od
imputate a vario titolo per i reati di cui all'articolo
416-bis del codice penale e che quindi ipoteticamente
avrebbero potuto essere sottoposte al regime dell'articolo
41-bis dell'ordinamento penitenziario. Di queste 7.688
persone, oggi solo 436 (pari al 5,67 per cento) sono
sottoposte alla misura. A me pare quindi che
l'amministrazione, soprattutto il nostro ministro, non abbiano
esagerato nell'applicazione della norma, tanto che dagli oltre
1.200 provvedimenti in vigore nel periodo compreso tra la fine
del 1992 e l'inizio del 1993 si è giunti agli attuali 436.
   Le segnalazioni relative all'applicazione del
provvedimento sono oggi molto più chiare di un tempo. Dico
questo perché i primi 320 provvedimenti emanati subito dopo la
strage di Capaci furono tutti presentati e richiesti dal
Ministero dell'interno: si trattava quindi di provvedimenti
cumulativi e succinti, come forse le circostanze di quel
tragico momento richiedevano. Successivamente, invece,
l'emanazione di questi provvedimenti è stata notevolmente
soppesata. Innanzitutto, essi possono riguardare tanto
l'imputato quanto il condannato in via definitiva. In secondo
luogo, va considerato che in genere l'applicazione della
misura viene richiesta dall'autorità giudiziaria, dall'Arma
dei carabinieri, dall'ufficio speciale dei carabinieri
istituito presso il dipartimento, dalla polizia, dalla
Criminalpol, dalla Guardia di finanza. Escludo nel modo più
assoluto che siano venute richieste in questo senso dagli
organi di sicurezza come il SISMI o il SISDE o da altre fonti
improprie.
   Quanto alle segnalazioni dell'autorità giudiziaria, esse
sono, diciamo così, particolarmente gradite. L'autorità
giudiziaria si basa in modo particolare su provvedimenti di
custodia cautelare (che rappresentano di per sé una traccia
ben fondata di pesanti indizi) oppure, come è accaduto per la
strage di Capaci e per quella di via D'Amelio, su sentenze
definitive (come quelle che hanno concluso il maxiprocesso)
dalle quali si evincono prove che, dal punto di vista della
genesi del diritto, sono inconfutabili, trattandosi di
sentenze definitive.
   Su queste segnalazioni compiamo sempre e necessariamente
un'istruttoria, nel senso che, se la segnalazione proviene da
una certa parte, chiediamo a tutti gli altri organi
interessati, soprattutto alla Direzione nazionale antimafia ed
alla Direzione investigativa antimafia, che sono anche ben
attrezzate, nonché all'Arma dei carabinieri. In sostanza, con
questo metodo le segnalazioni vengono sottoposte a controlli
incrociati e, in base a questi, tiriamo le somme e decidiamo
se rinnovare o applicare ex novo l'articolo
41-bis.
   Ho detto prima che oggi il decreto è molto motivato e che
quasi assomiglia ad una sentenza. Ciò innanzitutto perché la
Corte costituzionale, con due decisioni, ha ritenuto il
provvedimento del ministro reclamabile ma, nello stabilire
questo, non ha precisato entro quali limiti ed in che modo ciò
possa avvenire, né le staccionate che si debbono seguire da
una parte e dall'altra. Quindi, la nostra preoccupazione è
quella di motivare ampiamente sui presupposti d'ordine
obiettivo (mi riferisco al punto territoriale, nel senso che
quelli di Palermo, Catanzaro, Palmi, Castrovillari sono
territori da sempre pervasi dalle organizzazioni criminali).
Dal punto di vista soggettivo, si fa tesoro dell'istruttoria
che si è raccolta sul soggetto, sui suoi interessi, su ciò che
ha accumulato, sui suoi familiari, sul tipo di imputazione che
grava su di lui e così via.
   Dopo i primi provvedimenti della magistratura di
sorveglianza, con la quale vi
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sono buoni rapporti ma vi è anche una tensione su questo
punto, ci siamo sempre più affinati perché tale magistratura
ha accolto i reclami e in parecchi casi ci ha dato torto,
assumendo provvedimenti che, a nostro avviso, non avrebbe
dovuto assumere. Abbiamo avuto 88 provvedimenti di inefficacia
totale e 96 di inefficacia parziale. Per quanto riguarda i
primi, che equivalgono ad un annullamento, trattandosi di un
atto dell'autorità giudiziaria, ad essi bisogna sottostare,
anche se in taluni casi il ministro ha rinnovato la propria
richiesta portando nuove prove e nuovi elementi, cosa che fa
ripartire dall'inizio la procedura.
   Richiamo la vostra attenzione per quello che dirò alla
fine sul fatto che l'autorità giudiziaria (o meglio, gli
stessi magistrati di sorveglianza, sempre gli stessi, poi dirò
il perché) trova da ridire non sulla forma ed il tipo di
detenzione (perché su questo non credo possano dire niente,
essendo prevista da una legge approvata dal Parlamento), ma
sulle prescrizioni che, come sapete, riguardano le telefonate,
i pacchi, le visite che vengono per lo più autorizzate nella
misura di una al mese, e poi la vita in comune, l'ora d'aria
ed altre cose del genere. I magistrati di sorveglianza nei
loro provvedimenti di inefficacia parziale hanno annullato
queste prescrizioni e, al posto di un colloquio, ne hanno
previsti quattro;  lo stesso per i pacchi e per le visite,
sicché oltre alla moglie il detenuto potrà vedere anche la
nonna e la zia.
   Richiamiamo l'attenzione sul fatto che in questo caso
l'autorità giudiziaria invade in parte il campo
dell'amministrazione. Poiché è ancora vigente la legge del
1865 sulla suddivisione delle competenze e della
giurisdizione, se noi non dobbiamo assolutamente invadere le
prerogative della magistratura, anche quest'ultima,
nell'assumere simili provvedimenti, non dovrebbe invadere le
nostre.
  RAFFAELE BERTONI. Ma la Cassazione si è pronunciata in
questo senso.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Su questi
decreti abbiamo interessato i procuratori generali, perché
ricorrano in Cassazione. Questa non si è mai pronunziata ad
eccezione di una pronuncia con la quale ha rimandato il tutto
dichiarando di voler acquisire ulteriori elementi e
documentazione, e ci siamo fermati lì. Si tratta, però, di
reclami e ricorsi riguardanti sempre i primi succinti e quasi
immotivati decreti del ministro, mentre sui decreti più
recenti non abbiamo ancora assolutamente nulla.
   Il ragionamento della magistratura di sorveglianza è che,
se si autorizza il detenuto a ricevere un pacco, tanto vale
autorizzarlo a riceverne quattro e lo stesso per i colloqui,
perché per passare una notizia è sufficiente una sola volta,
per cui sarebbe disumano applicare simili misure. La risposta
dell'amministrazione è stata che in questo caso il legislatore
ha voluto limitare i contatti proprio per il tipo di
pericolosità del soggetto, in rapporto anche al territorio da
cui proviene, allo scopo di interrompere i contatti e di
evitare che dal carcere partano ordini e, viceversa che dal
territorio di provenienza giungano avvertimenti
all'interessato. Torno a dire che da questo tipo di
organizzazione in linea di massima non si esce mai se non
morti.
   Quindi, a nostro avviso, il ragionamento è capzioso:
guarda caso, si tratta sempre degli stessi magistrati di
sorveglianza. Ciò in parte per ragioni di carattere naturale:
il magistrato di Firenze ha giurisdizione su Pianosa, quello
di Sassari sull'Asinara. Richiamo, comunque, la vostra
attenzione su questo modo di agire: in sostanza, l'esecuzione
della pena è sempre affidata al magistrato che ha dato
l'ultima pronunzia e che ha su di sé la necessità  di fare i
cumuli di legge (ed io che sono stato procuratore generale so
bene quanto sia faticoso); inoltre si è radicata l'esecuzione
presso una determinata procura o procura generale ed essa per
la vita sarà l'occhio vigile sul detenuto, anche in senso
buono, in quanto è l'occhio attraverso il quale dovrà guardare
il detenuto che abbia delle aspirazioni, e viceversa.
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   In questo caso, invece, guardate bene, l'ordinamento
penitenziario deroga (ed è l'unica gravissima deroga)
stabilendo la competenza del magistrato del territorio in cui
in quel momento si trova il detenuto. Stiamo parlando di
qualcosa di serio qual è l'articolo 41-bis, ma anche per
altre misure alternative - quali, ad esempio, i
permessi-premio - guarda caso il detenuto che è mobile (e, se
non lo è, lo si fa muovere perché commette qualcosa a seguito
della quale viene spostato), viene indirizzato sempre presso
magistrature che la pensano in un certo modo. Vi sono, invece,
magistrature come quelle di Trento o dell'Aquila che sono
irremovibili, anche a costo di gravi pericoli per i
magistrati; ma ve ne sono altre che hanno una giurisprudenza
del tutto contraria: a Firenze, Livorno, Sassari, Napoli, Bari
e soprattutto ad Ancona la pensano diversamente. Il detenuto
può compiere attività disciplinarmente censurabili per cui non
può più rimanere in quel carcere e viene avviato ad altro
istituto penitenziario; spesso è egli stesso a chiedere di
essere mandato in un determinato carcere, dove magari è già
stato o dove amici gli hanno detto che si sta bene.
   Tenete conto che siamo in presenza di oltre 7 mila
detenuti pericolosissimi; di questi, solo 436 si sono visti
applicare il 41-bis, però, a cominciare da Riina e da
Cutolo, sono tutti mobili, perché sottoposti a sette, otto,
dieci processi in corso e, se così non fosse, oltraggerebbero
una guardia per essere spostati immediatamente.
   Pertanto, poiché si è chiesta la mia opinione
sull'articolo 41-bis, osservo che se esso è applicato in
casi eccezionali, con oculatezza e soprattutto con
l'equilibrio che deve avere non solo il magistrato, ma anche
l'amministrazione, ritengo che possa essere considerato uno
strumento correttivo, specie in momenti delicatissimi come gli
attuali in cui sono stati celebrati, sono in corso e si
celebreranno processi di straordinaria gravità. Tale articolo
deve essere applicato con oculatezza, nel senso che dobbiamo
porci come persone illuminate. In questo senso, l'articolo in
questione può essere senz'altro prorogato (cosa che peraltro
il Senato ha già fatto).
   Si può altresì osservare che, in quest'ambito, il
Parlamento dovrebbe rivedere la posizione di due isole che si
è parlato di restituire alla cittadinanza: non è il momento,
perché non sapremmo dove collocare questi detenuti. Il
problema è delicatissimo proprio per lo scopo che la norma si
propone, quello cioè di tagliare i fili tra un certo tipo di
detenuti e coloro che sono tuttora liberi e che possono
commettere gravissimi atti illeciti. Si potrebbe dire che le
isole dell'Asinara e di Pianosa sono un po' come le basi di La
Spezia e di Taranto per la marina militare. Se togliessimo
tali basi alla marina militare, senatore Ramponi, si comprende
cosa rimarrebbe della nostra marina ed altrettanto vale per
noi; in questo momento l'Asinara e Pianosa sono estremamente
importanti.
  LUIGI RAMPONI. Noi riattivammo Pianosa.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, è
stata riattivata ed ha un'importante diramazione,
l'Agrippa.
   Sarà nostra cura - almeno è questo il mio pensiero geloso
della nostra indipendenza - fare in modo che, con l'andar del
tempo, determinati supporti che ci vengono forniti da altre
amministrazioni vengano meno, lasciando queste isole soltanto
alla nostra giurisdizione. Il Ministero di grazia e giustizia
ha, d'altronde, una nobile tradizione in tal senso; lo stesso
corpo di polizia penitenziaria, rafforzato in un determinato
modo, potrebbe reggere e reggerà la situazione.
   Quindi, al mio parere favorevole sull'articolo e sul
mantenimento delle due isole aggiungo che sarebbe opportuno
che il Parlamento formulasse meglio l'articolo in oggetto,
stabilendo l'ambito delle competenze - è questa la questione
essenziale -, soprattutto quelle dell'amministrazione, nonché
le prescrizioni, dalle quali tuttavia non si possa decampare
per cui, con la discrezionalità propria dell'amministrazione,
una volta date, non si possa consentire che
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il magistrato di sorveglianza cambi i termini della
prescrizione a suo piacimento. Ciò anche perché le varie
direzioni si trovano molto a malpartito quando nello stesso
istituto sono ristretti vari detenuti, alcuni dei quali godono
di grossi benefici, mentre altri, cui è stato applicato lo
stesso regime carcerario, sono sottoposti a privazioni
maggiori, ad esempio un solo colloquio con la moglie.
   Vi ringrazio e sono a disposizione per ogni
chiarimento.
  MICHELE CACCAVALE. Vorrei intanto soddisfare una
curiosità e chiedere al presidente Capriotti chi fosse il
ministro che ha delegato al direttore generale la possibilità
di emanare decreti e perché, tra i decreti emanati dal
direttore generale, 567 non siano stati rinnovati: sono mutate
le condizioni o sono stati riconosciuti inopportuni?
   Il dottor Capriotti ha parlato di applicazione
dell'articolo 41-bis definendolo strumento correttivo.
Ma lo spirito non era quello di evitare un'azione
preventiva?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, per
prevenire e per far cessare.
   Rispondendo alle sue richieste, onorevole Caccavale, dico
che, effettivamente, i decreti delegati sono stati 567 e che
il guardasigilli fu Martelli. Le ragioni per le quali sono
stati delegati le ignoro né sono scritte. Non dico che in quel
momento lo Stato abbia perduto la testa, però vi era
apprensione per certi territori, dove si diceva che lo Stato
aveva perduto la propria forza (ho detto, per esempio, che
furono emanati - anche se poi vennero meno - in certe province
della Sicilia, nel Catanzarese e, soprattutto, nel
Napoletano).
   Per i provvedimenti subito emessi su delega, scaduti nel
novembre del 1993, questo dipartimento provvide ad interessare
i consueti organi di polizia per acquisire notizie aggiornate
sui singoli nominativi, sotto il profilo sia processuale sia
investigativo, allo scopo di proporre all'onorevole ministro
l'emissione di provvedimenti di rinnovo nell'ambito della
criminalità organizzata. Sulla base degli elementi pervenuti,
non si è ritenuto che sussistessero le condizioni per il
rinnovo del regime.
   A questo va aggiunto che verso la fine del 1993 avevo già
preso possesso del mio incarico. Come ho già detto, onorevole
Caccavale, è mia ferma intenzione non emettere mai alcun
provvedimento: in primo luogo perché non vi è delega, in
secondo luogo perché desidero che questi provvedimenti, come
previsto dalla legge, siano emesso, proprio per la loro
gravità, soltanto dal guardasigilli, quindi senza possibilità
di delega né al sottosegretario né, tanto meno, ad organi
amministrativi, sia pur di alto livello, come il direttore
generale.
   Effettivamente, lo spirito della legge è quello che a
prima vista abbiamo tutti riconosciuto, cioè di interrompere
il cordone ombelicale - brutto termine -, il filo che potrebbe
esservi e che talvolta esiste, perché è del tutto escluso che
le carceri siano una città d'inferno o una città del sole: il
cosiddetto radio-carcere funziona e tra i detenuti vi sono
amici, coimputati, correi e si svolgono passeggiate in comune.
Dicevo, con spirito di grande lealtà e con onestà, che il
provvedimento mira a questi fini, ma ripeto dinanzi a voi che
si tratta di un regime severo e duro per chi lo subisce. E'
questo ciò che penso.
   Chiamiamola come volete, ma credo si tratti di un'opera
che indirettamente si afflosci addosso alla psiche del
soggetto, tant'è vero che non abbiamo parlato dei cosiddetti
pentiti. Ho detto, esprimendo un mio parere, che questo tipo
d'applicazione deve essere previsto in modo oculato e deve
avere un termine. Ciò sotto il profilo della nostra
organizzazione e della nostra civiltà giuridica. Quindi,
mentre da un lato le dico che a mio parere quest'articolo va
applicato ancora, perché viviamo brutti momenti, aggiungo che
va fatto in modo molto oculato e secondo schemi che il
Parlamento dovrebbe definire in modo più preciso per non
creare equivoci.
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   Sapete anche voi che, alla fine, sia per gli uomini sia
per le donne, il regime del carcere, del manicomio e quello
della clausura porta a mutamenti di carattere, a deviazioni:
se abbandoniamo i testi moderni e riprendiamo in mano quelli
vecchi, vi leggiamo che quindici anni di carcere piegano la
schiena a chiunque.
   Credo di averle risposto molto francamente, onorevole
Caccavale. A mio giudizio, l'articolo in questione va
applicato riportandolo a misure eccezionali, tant'è che ne
sono interessati 436 detenuti. Credo che questo dato
rappresenti quasi un vanto di civiltà. Però, allo stesso
tempo, si deve essere severi e mettere l'amministrazione al
riparo.
   Per i 30 o 32 collaboratori di grosso calibro, che ci
aiutano molto a far chiarezza, credo che quel regime faccia
mutare il loro pensiero e, a volte, anche la loro vita.
Sembra, per esempio, che il famoso Malpassotu, di Catania,
abbia finora confessato l'omicidio di circa 80 persone. In
pratica, costui, con una sorta di proclama, non so se vero e
reale, ha detto che ormai bisogna pentirsi, collaborare e
basta.
  RAFFAELE BERTONI. I 436 detenuti cui lei si è riferito,
rispetto ai 7.688 cui sarebbe applicabile l'articolo
41-bis sono pochi, rappresentando appena il 5 per cento.
E' così perché non arrivano segnalazioni che consentano
un'applicazione più consistente o perché il ministro di grazia
e giustizia non delega l'atto? Giuridicamente, si tratta di un
atto non delegabile da parte del ministro di grazia e
giustizia - ma spesso i responsabili di questo dicastero non
conoscono la legge -, per cui chiedo se questa percentuale sia
così bassa perché molte richieste vengono respinte o perché
molte di esse non vengono adottate. Chiedo al presidente
Capriotti se sia a conoscenza di richieste del ministro
dell'interno, in tema di applicazione dell'articolo
41-bis respinte dal ministro Biondi (non mi interessano
i suoi predecessori). Vorrei infine sapere che fine abbia
fatto il vicedirettore Di Maggio.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Posso
rispondere con molta franchezza al senatore e amico
Bertoni.
   Torno a dire che con me l'articolo 41-bis viene
applicato con una certa severità. Non sono in grado di dire
quante richieste siano state respinte, però credo che non
siano molte. Il fatto è che il sistema che lo stesso Ministero
dell'interno ha voluto è da noi applicato a maglia, per cui
non basta una segnalazione della Criminalpol, né dell'Arma dei
carabinieri né di una procura. Si tratta di istruttorie
incrociate, anche se sarebbe troppo definire univoche.
   Amico Bertoni, mi fai dire ciò che non vorrei dire.
  RAFFAELE BERTONI. Devi dirlo.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. A
proposito dei 567 decreti delegati, i segnalatori possono
essere anche le direzioni, che a volte hanno importanti
notizie. Su quei decreti non ho visto molta trasparenza. Sono
stato avvertito. Infatti, attuando un riscontro per un rinnovo
o per un'applicazione, ci siamo trovati di fronte a casi che
non sono passati, che non dovevano passare e che il ministro
ha condiviso. Si trattava di casi non chiari: possono esservi
sentenze dove, per tagliare corto, tutti indicano una persona
come il presunto mostro o chissà che altro. Non deve essere
così: le sentenze devono essere tutte riscontrabili. Così è
accaduto per questi 567 decreti, a proposito dei quali le
richieste partivano quasi tutte dalle carceri. E' per questo
che siamo stati molto attenti, amico Bertoni. Necessita
infatti il suffragio anche degli altri organi investigativi.
Ci sono molto vicini la Direzione nazionale antimafia, le
direzioni distrettuali, nonché l'Arma dei carabinieri, la
Guardia di finanza, la Polizia di Stato e la Criminalpol.
   Ripeto, dobbiamo essere sicuri di questi provvedimenti, e
devo dire che i 436 applicati pesano sulle persone in modo
sicuro, saldo e pesante, al punto che per
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esse è difficile scrollarseli di dosso. Con molta schiettezza
devo dire che il ministro Biondi non interferisce su questo e
lo stesso posso dire per Conso, almeno per il periodo in cui
mi sono trovato ad operare quando era ministro di grazia e
giustizia. Naturalmente, il ministro valuta ciò che gli
sottoponiamo, ma devo dire che finora ho avuto, da parte sua,
la massima collaborazione.
  RAFFAELE BERTONI. Sono stati firmati?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, sono
stati firmati.
  RAFFAELE BERTONI. Chiedo scusa, ma ho dimenticato di
formulare una domanda importante.
   Il dottor Capriotti faceva riferimento al fatto che il
giudice di sorveglianza del tribunale competente a sorvegliare
sull'attuazione di questi provvedimenti è quello del luogo in
cui si trova il detenuto.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, in
quel momento.
  RAFFAELE BERTONI. Quindi, il dottor Capriotti faceva
riferimento agli spostamenti continui...
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, agli
spostamenti continui.
  RAFFAELE BERTONI. Questo lo so, vengo anch'io dal
carcere...
  GIROLAMO TRIPODI. Certamente non come Riina!
  RAFFAELE BERTONI. Non come detenuto ma come un
osservatore.
   Volevo dire che la norma dell'ordinamento penitenziario
che fissa quella competenza ha una sua giustificazione.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Certo.
  RAFFAELE BERTONI. E' una norma che ha una sua
giustificazione perché consente, all'unico tribunale di
sorveglianza che ha questa possibilità, se il detenuto è nelle
sue carceri, quell'osservazione che poi permette ad esso o al
giudice di sorveglianza di adottare i provvedimenti di loro
competenza. Perché non proponete una cosa facilissima, cioè
che intanto è competente il tribunale di sorveglianza del
luogo in cui si trova in quel momento il detenuto, in quanto
quest'ultimo vi si trovi da un certo periodo di tempo? A mio
avviso, ciò eviterebbe gli inconvenienti indiscutibili di cui
lei ha parlato.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Credo che
questa sia una via di mezzo che potrebbe essere sperimentata.
Ma, ripeto, abbiamo tutti contro. In passato, altri hanno
tentato, però si è rivoltata la magistratura di sorveglianza,
che ha un grande peso, e non si sa perché.
  RAFFAELE BERTONI. Si sa.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
All'interno della magistratura di sorveglianza non vi è
gerarchia né dipendenza, per cui sono legibus soluti.
Quindi, dipendo da Dio, se ci credo, altrimenti ...
  RAFFAELE BERTONI. Sei sottoposto alla legge come tutti i
giudici!
  PRESIDENTE. Comunque, come parlamentari si possono
presentare proposte.
  RAFFAELE BERTONI. L'ho presentata sull'articolo
41-bis e sono contento che sia stata approvata.
  FRANCESCA SCOPELLITI. La proposta è stata avanzata dal
Governo e presentata dal senatore Gualtieri. Non si può
continuare con queste bugie!
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  RAFFAELE BERTONI. La prima proposta è stata la mia: reca
il numero 869.
  FRANCESCA SCOPELLITI. E' stata una proposta del
Governo.
  PRESIDENTE. La competenza può essere modificata soltanto
a seguito di una norma ad hoc, che deve essere approvata
dal Parlamento; non è quindi il ministro a poter stabilire la
competenza.
   Non è pertanto necessario parlare di questo con il
ministro, dal momento che possiamo presentare una proposta che
il Parlamento potrà approvare o meno. Non occorre fare
conversazioni personali.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Nel
rispondere al senatore e amico Bertoni, devo rilevare che in
effetti l'organico del dipartimento prevede un direttore
generale e un vicedirettore generale. Negli ultimi tempi il
cambiamento del guardasigilli e il mutamento di indirizzo
politico hanno messo in grave difficoltà questo vicedirettore
generale, il quale non è più un magistrato né può essere
considerato un funzionario dell'amministrazione penitenziaria,
ma è un dirigente della Presidenza del Consiglio.
  RAFFAELE BERTONI. Non è più al Ministero?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Rispondo
subito. Il suddetto vicedirettore generale è stato incaricato,
insieme ad altra persona, di gestire e di approntare un
congresso che si terrà a Napoli tra il 21 e il 23 novembre, al
quale affluiranno i ministri della giustizia di moltissimi
paesi; si tratta di un congresso a livello mondiale, visto che
finora si prevede la partecipazione di 180 delegazioni
(saranno presenti alcuni ministri dell'interno e forse qualche
primo ministro).
   Ho fatto rilevare che, mentre per il suddetto
vicedirettore generale era intervenuto un provvedimento di
nomina, non ne è stato emanato uno di revoca, di guisa che
egli è sempre formalmente il vicedirettore generale. Posso
affermare che ogni tanto si fa vivo, viene presso il
dipartimento, ma in realtà sono completamente solo: ho sulle
spalle (lo dico perché in sostanza mi è stato chiesto)
un'azienda di 106-107 mila persone, oltre ad altri aggregati
(parenti e familiari, medici e tante altre categorie). Oltre
tutto, tale azienda è in attività per 24 ore su 24, come un
ospedale: basti pensare, per esempio, al fatto che un detenuto
può avere bisogno di qualsiasi cosa anche di notte, può
pensare alla moglie o ai figli, chiedere un confessore, avere
l'intenzione di impiccarsi; è necessario, quindi, essere
sempre attenti.
   Si tratta di una gestione difficile, tanto più che
attualmente, a differenza di quanto avveniva un tempo, nel
carcere entrano tutti. Mentre vi sto parlando, a Verona o in
altri istituti entrano delegazioni, insieme a giornalisti e
troupe televisive, eppure ciò non dovrebbe accadere. Vi
sono tuttavia leggi in base alle quali nelle carceri possono
entrare, anche senza autorizzazione, non solo i parlamentari,
come si è sempre verificato, ma anche tutta un'altra serie di
personaggi, che però si portano dietro giornalisti,
accompagnatori, inviati di vari telegiornali e così via; poi,
mentre si trovano all'interno del carcere, cambiano
destinazione chiedendo di vedere anche altri padiglioni, com'è
accaduto a Napoli, con tutto ciò che ne è derivato.
   Si tratta - lo ripeto - di un'azienda in attività 24 ore
su 24, per cui si avverte la necessità di un ausilio e di una
particolare attenzione da parte di tutti, soprattutto in vista
di un traguardo imposto dalla legge: mi riferisco
all'assunzione delle traduzioni dal 1^ gennaio 1996. In ordine
a tale questione abbiamo avanzato richieste ed elaborato studi
su come dovrà essere strutturata in futuro questa
organizzazione che per più di 120 anni è stata di competenza
dell'Arma dei carabinieri, per cui si struttura attualmente
secondo quest'ultima: vi è la necessità di effettuare
interventi, tra l'altro, sul parco macchine e ricordo, per
esempio, che ho previsto anche un traghetto nuovo per i
detenuti. Vi è quindi tutta una vita che pulsa ma è necessario
che ci si resti vicino.
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   Tornando alla questione di cui stavo parlando, il dottor
Di Maggio si trova ufficialmente presso il dipartimento, ma di
fatto non è esattamente così: per esempio, è passato ieri
pomeriggio, poi egli si reca presso la Presidenza del
Consiglio e così via. Lo dico perché il dottor Di Maggio, al
quale viene imputato un certo carattere, è un uomo che, anche
se va un po' frenato, è capace di lavorare continuativamente
per dieci-dodici ore al giorno; occorre quindi riconoscere i
suoi aspetti positivi oltre a quelli negativi. Ho detto
tutto?
  RAFFAELE BERTONI. Molto più di quanto pensassi.
  GIROLAMO TRIPODI. E' stato dato grande risalto
all'aspetto relativo all'attenzione verso i detenuti sul piano
umano; anche se ritengo che ciò sia giusto in linea generale,
non possiamo dimenticare che ci troviamo qui a discutere su
come vadano applicate le misure di sicurezza previste
dall'articolo 41-bis nei confronti di persone pericolose
e nocive per la società, per la stragrande maggioranza della
popolazione. E' noto, infatti, che se si prevede la loro
permanenza in stato di detenzione in istituti, per così dire,
normali, tali persone continuano a dirigere l'azione di
sopraffazione e di violenza nei confronti della maggioranza
del popolo. Insisto ancora su questo aspetto, anche perché
sono originario della provincia di Reggio Calabria, ossia di
una zona in cui la mafia minaccia il cittadino qualsiasi,
l'imprenditore e persino il barbiere, arrivando ad uccidere in
caso di mancato pagamento della tangente (si è giunti a questo
livello). Ho con me alcune delle migliaia di lettere che
arrivano tutti i giorni, anche a qualche persona che mi è cara
(mi riferisco a mio fratello), oltre che a me: nell'ultima che
è arrivata si fa riferimento alla denuncia di vili attentati
fatta da mio fratello e gli si chiede di pagare 50 milioni in
più per il fatto che ha denunciato; in un'altra gli si chiede
di pagare ancora 100 milioni in più (ma non pagherà, a costo
di essere ucciso) per il fatto di essere il fratello di un
componente della Commissione antimafia. Ho citato un esempio,
senza volerne fare un caso personale, perché migliaia di
lettere arrivano tutti i giorni a cittadini onesti che fanno
il loro dovere, rischiano investendo capitali e, in generale,
cercano di operare liberamente, ma in quelle zone tale libertà
non esiste.
   Sorge allora un problema, già posto da altri, in ordine al
fatto che, di fronte a 7.438 esponenti della mafia,
l'applicazione della misura di cui all'articolo 41-bis
riguarda soltanto 436 detenuti, 275 dei quali soltanto in
Sicilia; si tratta di un fatto molto grave soprattutto con
riferimento alla 'ndrangheta, tra i cui componenti vi sono
migliaia di detenuti e di cui sono stati scoperti fino a
questo momento circa 5.600 affiliati su 2 milioni di abitanti;
si tratta dell'indice più alto anche rispetto ad altre regioni
caratterizzate da una grande presenza mafiosa. Tra l'altro, in
Calabria vi sono 157 cosche, per cui mi sorprende che
l'articolo 41-bis è stato  applicato solo in 41 casi).
Di fronte a fatti del genere, esiste certamente una
responsabilità, anche se in questo momento non sono in grado
di dire se sia di tipo politico, né so quali siano le
coperture.
   Vorrei comunque acquisire elementi di dettaglio in ordine
a tali questioni (non credo che il direttore generale possa
darci una risposta subito, ma può farci pervenire i relativi
dati): infatti, anche se al Senato è già stata approvata in
Commissione la proroga dell'articolo 41-bis, è
necessario procedere ad un approfondimento maggiore in vista
dell'eventuale adozione di misure che consentano di applicare
meglio l'articolo 41-bis; mi riallaccio, da questo punto
di vista, a quanto sosteneva il senatore Bertoni.
   Vorrei inoltre sapere quanti siano attualmente i detenuti
soggetti a misure di sicurezza ospitati negli istituti di pena
dell'Asinara e di Pianosa (si tratta di un fatto importante),
nonché il numero dei detenuti soggetti alle misure di cui
all'articolo 41-bis che girano per l'Italia da un
carcere all'altro. Inoltre, il direttore generale potrebbe
farci sapere in modo dettagliato (forse la soluzione migliore
sarebbe quella di inviarci successivamente una nota al
Pagina 507
riguardo) quali siano i tribunali di sorveglianza cui ci si
rivolge maggiormente per ottenere revoche.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Questo
l'ho detto.
  GIROLAMO TRIPODI. Ritengo però opportuno acquisire dati
dettagliati, dal momento che lei ha citato alcuni casi a
titolo di esempio. Al riguardo, so che possono esservi
certamente aperture mentali, ma anche pressioni e collegamenti
di altro tipo, che provocano, in alcune situazioni,
atteggiamenti e comportamenti diversi rispetto ad altre
realtà.
   In conclusione, ritengo che l'articolo 41-bis debba
essere applicato nei confronti di coloro che sono nocivi per
la società, senza che il suo contenuto sia svuotato di
efficacia.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Quanto lei
ha detto in modo accorato è stato molto efficace, anche
perché, a parte l'onere del suo impegno di parlamentare, tali
questioni la toccano molto da vicino dal punto di vista
dell'ambiente in cui lei è nato e vive. Al riguardo, ricordo
che in magistratura si dice che a Palmi e a Locri, pur
trattandosi di due piccoli centri, la corte d'assise lavora
continuamente tutto l'anno, compresa l'estate.
   Per quanto riguarda le sue osservazioni circa il fatto che
sono soltanto 41 i casi di applicazione dell'articolo
41-bis nei confronti di detenuti appartenenti alla
'ndrangheta, se avrò la possibilità di intervenire in una
successiva occasione (se preferisce posso scriverle),
approfondirò la questione. Come ho detto, il regime carcerario
di cui all'articolo 41-bis non nasce semplicemente dal
fatto che qualcuno di noi, recandosi la mattina in ufficio,
pensa di prendere 100 o 200 detenuti condannati da quella
magistratura e di applicare nei loro confronti l'articolo
41-bis. Sono il frutto di richieste, di approfondimenti,
ma ciò non toglie che la sua domanda sia giusta e legittima.
Ripeto, oggi i casi sono 41. In sostanza il detenuto ha una
specie di residenza assimilabile al nostro domicilio;
tuttavia, se si seguisse il canone dell'esecuzione della pena,
al detenuto si dovrebbe attribuire la residenza che fin dal
primo momento è stata applicata. In altri termini, un
ergastolano, al quale non sia stato applicato l'articolo
41-bis, deve essere inviato a Porto Azzurro perché
quell'istituto ospita i detenuti ai quali è stato comminato
l'ergastolo.
   Coloro che sia nella fase del giudizio sia in quella
definitiva provengono da Catanzaro o Palmi, vengono inviati al
carcere di Palmi, perché è un istituto forte...
  GIROLAMO TRIPODI. E' il cuore.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, è il
cuore. Vi sono poi istituzioni penitenziarie costruite in modo
da ospitare solo detenuti ai quali sia stato applicato
l'articolo 41-bis, secondo il quale si deve passeggiare
da soli, senza vedersi, ed avere contatti con i familiari e
con gli avvocati seguendo determinate modalità.
   Gli istituti di questo tipo sono cinque: le case di
reclusione dell'Asinara, di Pianosa e di Spoleto, la casa
circondariale di Ascoli e quella di Cuneo. Ripeto, questi
cinque istituti ospitano, e potrebbero ospitare, un numero
quasi doppio dell'attuale.
  RAFFAELE BERTONI. Qual è questo numero?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Quattrocentotrentasei. Bisogna stare attenti però, perché
l'eccessiva concentrazione di tali soggetti così diversi e
così pericolosi potrebbe porre di fronte a fatti e
responsabilità gravi l'amministrazione penitenziaria. E' bene
perciò non diminuire il numero delle case di reclusione e
circondariali idonee ad ospitare questi detenuti, semmai si
potrebbe aumentarle a sei o sette.
   Non va dimenticato poi che per circostanze obiettive, i
soggetti hanno magari
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sette od otto processi in corso e una o due condanne
definitive. A volte succede, come è il caso di Riina, che
siano chiamati a testimoniare. Ebbene, Riina, chiamato a
testimoniare, è stato trasferito a Padova, ma sapete che cosa
significa un'operazione del genere? Vuol dire muovere un
aereoplano per l'andata ed il ritorno...
  GIROLAMO TRIPODI. E il giorno dopo Riina era a Reggio
Calabria.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Certo.
Riuscite ad immaginare cosa costa allo Stato un detenuto in
questa situazione?
   Un'altra questione delicata che si profila dal punto di
vista giuridico concerne la possibilità di celebrare il
processo o di svolgere l'audizione di questi soggetti da
lontano, ricorrendo a strumenti speciali. Tutto ciò per
rendere la situazione di queste persone più stabile; più
questi detenuti vengono trasferiti, più pericoli si corrono
per le possibili fughe ed attacchi, sempre immanenti ed
imminenti.
   Sotto questo profilo il Parlamento deve considerare questa
realtà che non è ritenuta ortodossa dagli studiosi del
diritto: infatti, devono essere applicate le medesime regole,
senza che a qualcuno venga applicata una norma differente da
quella applicata ad un altro, nel senso che ad un detenuto è
permesso il colloquio diretto mentre ad un altro il colloquio
avviene a distanza.
   Vi sono poi tre detenuti assegnati ad altri istituti per
motivi sanitari. Così come vi sono trasferimenti temporanei
per motivi di giustizia e di salute, rispetto ai quali vengono
utilizzate apposite sezioni di determinati istituti. E' il
caso di Pisa, centro clinico; della casa circondariale di
Cagliari, di Napoli Secondigliano, di Termini Imerese, della
casa circondariale di Palermo (città in cui inaugureremo,
probabilmente a marzo, un nuovo istituto che si aggiunge
all'Ucciardone che risulta gonfio, per così dire), della
Bicocca a Catania, di San Vittore a Milano, di Livorno - che
rappresenta lo snodo per le isole -, di Rebibbia a Roma (mi
riferisco al nuovo complesso dotato di buone attrezzature), di
Trani, di Reggio Calabria che - concordo con il senatore
Tripodi - è un istituto pessimo, in cui si vive molto male;
tuttavia, mi hanno riferito che molti detenuti, essendo
reggini e stando vicini alla famiglia, riescono a vivere una
vita non dico normale ma tollerabile anche sotto il profilo
della disciplina.
   A questi vanno aggiunti gli istituti di Caltanissetta, di
Palmi, di Nuoro, di Voghera (un istituto che ospita anche le
detenute) di Augusta, di Padova, di Porto Azzurro e di
Paliano.
   Tenete presente che vi sono anche i pentiti di vario
genere da controllare, i quali non si devono incontrare; vi
sono poi i semipentiti, gli irriducibili e quelli appartenenti
all'antico terrorismo che sono circa 300, i quali sono
definiti "freddi". In termini investigativi e carcerari i
soggetti "freddi" sono quelli che non interessano più; quello
che hanno fatto è solo un "sogno", sono i soggetti fermi che
attendono, forse, qualcosa di valido dallo Stato. In sostanza,
sono soggetti che non interessano più né gli organi
investigativi né la magistratura; insomma sono fuori
circuito.
   Questi detenuti vengono trasferiti continuamente.
Considerate che in questo momento lo zio di Riina si trova a
Padova perché deve essere interrogato. A questa persona è
stata applicata la misura del 41-bis; lui sostiene -
sorridendo - di non aver fatto nulla e di avere 86 anni, ma in
realtà vi sono elementi a suo carico, tant'è che quando sbarcò
all'Asinara, gli baciarono la mano.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Dottor Capriotti, a differenza dei
colleghi che mi hanno preceduto non sono una convinta
sostenitrice dell'articolo 41-bis e le sue parole mi
hanno confortato non poco per l'onestà intellettuale con la
quale ha trattato della normativa. Tuttavia non avverso questa
norma, se la sua applicazione, eseguita con l'oculatezza a cui
lei ha fatto riferimento, serve per isolare i capi della
criminalità organizzata, che rappresenta una iattura nel
nostro paese.
Pagina 509
   Sono un componente la Commissione giustizia del Senato, in
cui due giorni fa è stata votata la proroga dell'articolo
41-bis, facendo nostre le perplessità del Governo, il
quale dovendo rinnovarla ogni sei mesi si dichiarava soggetto
a pressioni, minacce, a molestie per sé e per le famiglie dei
componenti.
   Ben venga, dunque, l'emergenza allungata di quattro anni,
con l'augurio che per quella data non sia necessaria
un'ulteriore proroga!
   Nel momento in cui ho espresso il mio voto favorevole alla
proposta, ho anche chiesto - e spero di ottenerlo - il
monitoraggio sull'applicazione dell'articolo 41-bis.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In che
senso, senatore Scopelliti?
  FRANCESCA SCOPELLITI. Debbo dire che in parte lei ha già
risposto a questa mia necessità, in parte ho ricevuto dei
chiarimenti dal contenuto della sua relazione. Tuttavia mi
interesserebbe avere il monitoraggio elaborato dal Ministero
di grazia e giustizia sull'applicazione e sulle prescrizioni
differenziate da carcere a carcere, in quanto, in base alle
notizie che possiedo, vi sarebbero differenze comportamentali
nei confronti dei detenuti, dipendenti dalla discrezione di
questo o di quel direttore di carcere, di questo o di quel
tribunale di sorveglianza. E la disparità di comportamento non
è una garanzia per la certezza del diritto o la conferma che
la legge è uguale per tutti.
   Questa, pur essendo una bella frase che troneggia in tutte
le aule dei tribunali italiani, dovrebbe trovare una reale
applicazione nella vita.
   Purtroppo oggi siamo di fronte ad una situazione - lo dico
con dolore, vantandomi di essere in prima persona una
garantista - in cui essere garantista, o comunque il termine
garantismo, significa essere dalla parte della mafia. Ciò
emerge non solo dalle conversazioni salottiere, ma ahimé -
cosa ancor più grave - anche in una costruzione democratica e
politica.
   Ho apprezzato l'utilizzo del termine "oculatezza" in
ordine all'applicazione dell'articolo 41-bis. Lei ha
affermato addirittura - il che mi piace ancor di più - che
occorre essere delle persone illuminate. Ma ahimé, dottor
Capriotti, Voltaire è molto lontano dal nostro stato di
diritto e dalle nostre istituzioni politiche!
   Ci si preoccupa non poco del numero dei detenuti soggetti
alle misure previste dall'articolo 41-bis, quasi che
questo articolo sia la panacea di tutti i mali. Allora,
sottoponiamo tutti al regime di rigore previsto dal
41-bis e avremo salvato l'Italia, calpestando in tal
modo qualsiasi briciola del diritto dell'uomo.
   Troppo spesso si dimentica che le leggi emergenziali e,
quindi, il loro rigore e la loro rigidità, rischiano - è
successo molte volte in Italia, troppe in un paese definito la
culla del diritto - di colpire l'innocente. E' vero che molti
magistrati sono morti per mano della malavita organizzata, ma
ben più grave in uno Stato di diritto è far morire un
innocente per mano della cattiva giustizia!
   L'applicazione a 567 detenuti, nonostante le perplessità
sulla chiarezza e sulla trasparenza, dovrebbe rappresentare la
norma per chi è delegato ad assolvere questi incarichi.
Comunque l'esempio da lei citato conferma la mancanza di
certezza del diritto; mancanza ancor più grave quando si parla
di normative più restrittive. Il carcere non fa bene a
nessuno; ha ragione lei quando afferma che 15 anni di carcere
piegano la schiena a tutti! Dunque, oculatezza
nell'applicazione e nelle prescrizioni.
   Collegata a questo, vi è la questione degli istituti
dell'Asinara e di Pianosa, le cosiddette carceri speciali,
dove i detenuti sottoposti alle misure dell'articolo
41-bis sono soggetti a molti spostamenti, a situazioni
territoriali poco felici, poco comode, con servizi e
infrastrutture poco agibili, che mettono in pericolo sia le
forze dell'ordine addette alla traduzione dei soggetti per i
pericoli di fuga, in quanto non esistono gli estremi per una
custodia più efficace, sia i giudici che davvero sono in prima
linea, come Falcone e Borsellino.
Pagina 510
   Giorni fa abbiamo ascoltato il dottor Margara; non vorrei
aver capito male, ma lei ha sostenuto che vi è una sorta di
interesse personale nell'assunzione di certi atteggiamenti in
quanto il suo tribunale...
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Senatore,
mi consenta, parli di una sorta di ideologia.
  FRANCESCA SCOPELLITI. La mia considerazione non voleva
essere cattiva, assolutamente. Il dottor Margara ha accentuato
questa preoccupazione, che mi sento di condividere, proponendo
una soluzione alternativa molto valida, cioè di distribuire i
detenuti soggetti alle misure ex articolo 41-bis nelle
varie carceri localizzate sul territorio nazionale,
costituendo delle sezioni apposite. Perché la proposta sarebbe
una soluzione intelligente? Perché riporterebbe l'applicazione
della normativa alla competenza del ministro guardasigilli
(non ci sarebbe più una zona territoriale di competenza ma a
quel punto l'intero territorio nazionale, per cui la
competenza, come lei giustamente osservava, spetterebbe al
guardasigilli) e riporterebbe le prescrizioni ad una
omogeneità di valutazione - cioè non sarebbero più affidate al
singolo individuo, al singolo giudice delegato a decidere - e
quindi ad una maggiore correttezza dello Stato di diritto.
   La settimana prossima al Senato discuteremo i disegni di
legge su Pianosa e l'Asinara e so che, probabilmente, sarò una
voce nel deserto, quindi sono già pronta alla sconfitta.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Perché
alla sconfitta?
  FRANCESCA SCOPELLITI. Perché si insiste affinché quelli
di Pianosa e dell'Asinara rimangano carceri speciali, vestendo
abiti che sono di pregiudizio e non di giudizio, per cui deve
essere così. Sono neofita della politica, dottor Capriotti, è
la mia prima esperienza ma cerco di usare sempre il buon senso
e non la faziosità dell'appartenenza a questo o a quel gruppo
politico. Allora, una proposta che mi aiuta a risolvere il
problema da qualunque parte provenga per me è sempre bene
accetta.
   Vorrei affrontare un ultimo argomento, che esula dal
discorso del 41-bis, ma che desidero trattare
approfittando della sua presenza. L'attenzione che stiamo
ponendo sui problemi emergenziali rischia - anzi, non è un
rischio, è una realtà - di distrarre dai detenuti comuni, cioè
da quei 53 mila uomini e donne che occupano le carceri
italiane. Mi occupo di giustizia, anche fuori dalle
istituzioni, da molto tempo. Faccio puntualmente le mie visite
nelle carceri, anche se limitate a quelle della Lombardia, e
visitando queste carceri ci si accorge come addirittura rischi
di mancare il pane quotidiano e intendo il rispetto minimo dei
diritti anche di un detenuto. Per esempio, comune a molte
carceri è la mancanza numerica di assistenti sociali, che
rappresentano il trait d'union tra il detenuto e il
tribunale di sorveglianza. Allora, nel momento in cui
l'assistente sociale - parlo del pane quotidiano inteso come
briciole dei problemi - non riesce a fare la sua relazione (la
definisco così impropriamente, non ricordando il termine
ufficiale) e poi a trasmetterla al tribunale di sorveglianza,
che decide se concedere o meno  piccoli vantaggi che la legge
prevede, non c'è la possibilità di applicare ai detenuti
comuni quegli stessi benefici. Senza poi dire della mancanza
di organico nei tribunali di sorveglianza: la situazione di
Milano è drammatica, solo 5 o 6 giudici di sorveglianza
operano con il presidente Mace. Allora, vorrei sapere cosa
intenda fare l'amministrazione penitenziaria - augurandomi che
risolva quanto prima il problema della vicedirezione, che mi
rendo conto essere fondamentale per il prosieguo del suo
lavoro - anche per i "poveri" detenuti normali, comuni, senza
badare ai grandi boss.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ringrazio
il senatore Scopelliti per queste domande ma anche per il modo
molto garbato con cui le ha
Pagina 511
poste, che mi aiuta a rispondere e che è stato per me assai
lusinghiero.
   Il monitoraggio sul 41-bis si farà; vedremo se
tornerò qui ad illustrarlo oppure se ve lo invierò.
   In effetti, con le mie parole nella relazione sulla
diversità dei comportamenti tra questo e quell'istituto, ho
cercato di farvi capire le varie situazioni. Oggettivamente,
ci sono istituti nuovi, come Opera a Milano, dove fra l'altro
abbiamo creato cento posti nell'ospedale, che però non si può
aprire perché, pur essendoci i medici, le sale operatorie e
tutto l'occorrente, mancano gli infermieri, che non si riesce
a reperire. Una cosa è essere ristretti in un istituto nuovo,
bello, come Sollicciano a Firenze, dove ci sono campi da gioco
per gli agenti e per i detenuti e asili nido per le mamme;
altra è essere ristretti in istituti vecchi e fatiscenti, come
quello di Reggio Calabria (una cosa paurosa!) o quello di
Volterra, che pur essendo stato ammodernato fa abbastanza
paura.
   Il passaggio di un detenuto dall'una all'altra struttura,
o perché richiesto dalla magistratura, o su richiesta
dell'interessato, dipende da varie circostanze. Certamente,
l'amministrazione guarda a questo problema. Talvolta questi
spostamenti - disposti in buona fede - sono diretti proprio ad
avere mano libera su certe cose. Ha ragione il senatore
Tripodi quando accenna alla necessità di alcuni di non
interrompere questa specie di feeling con altri
soggetti, altri consociati che hanno la fortuna di stare
fuori, proprio per portare avanti certe attività, come
ultimamente si è visto in Sicilia sulla questione degli
appalti pubblici: dal di fuori avevano degli input e
costoro si avvicinavano ad altri personaggi per dare alcune
istruzioni e alcuni moniti.
   A questo proposito, ho detto che l'amministrazione ha 220
istituti con 53 mila detenuti: è un'azienda che vive 24 ore su
24. Abbiamo mille problemi e non vi è dubbio che non ci sia un
trattamento eguale per tutti; lo dico, lo riconosco, non solo
come magistrato ma anche come uomo. E' un po' come chi
proviene da un liceo famoso e rinomato e chi invece da un
istituto meno prestigioso; ho avuto insegnanti che ancora si
ricordano di me, mentre altri studenti non hanno avuto questa
fortuna, anche se può darsi che fossero più bravi di me.
Effettivamente, c'è questa situazione e faremo in modo di
evitarla.
   Per quanto riguarda l'Asinara e Pianosa, ho espresso il
mio pensiero. E' necessario anche il suo voto e il suo
apporto, senatore Scopelliti. Modifichi in questo senso la sua
posizione e dica: "Va bene, quel che mi preme è
l'amministrazione: mantenga queste isole ma ne faccia istituti
normali, cioè istituti per coloro i quali vogliono lavorare
all'aperto". A Pianosa possiamo ospitare benissimo 1.200
persone; prima della guerra c'era un sanatorio che ospitava
1.200-1.300 persone; lo stesso vale per l'Asinara.
L'importante, senatore, è che l'Asinara non vada in mani
altrui, ripeto non vada in mani altrui perché scomparirebbero
nel giro di due anni! Si può fare anche questo, anche se credo
che il ministro risponda ad altri dicendo: "Se mi date
alternative si può vedere il tutto". Non possiamo elevare il
numero, come dice il senatore Tripodi, perché elevando il
numero dobbiamo trovare altri istituti che ospitino queste
persone. Ma se ci limitiamo a questo numero - però, tutto
questo è improbabile, ragioniamo per ipotesi -
l'amministrazione potrebbe mantenere per ragioni di sicurezza,
di ordine pubblico, di monito, di necessità queste due isole.
Peraltro, è bene che i detenuti sottoposti al 41-bis
siano portati in altre sezioni. Potrebbe esprimersi così e
questo per me rappresenterebbe molto, veramente molto.
   Certo, potremmo creare sezioni all'interno dei vari
istituti. In effetti, questi detenuti girano parecchio e ho
letto l'elenco di una ventina di istituti ai quali in genere
questi detenuti sono appoggiati. Ogni volta che si muovono
bisogna sostenere spese immani: Riina ha sempre 30 persone
appresso, ferma restando la scorta dei carabinieri; 30 persone
che lo guardano, lo vigilano notte e giorno. Lei non sa quali
spese ci sono. Talvolta questi agenti devono anticipare le
spese per andare a
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Palermo dall'Asinara e per il ritorno e su questo ora pendono
dei reclami. E' giusto tutto questo? Abbiamo molti "buchi
rossi", molti debiti, non ce la facciamo. Il mantenimento dei
detenuti - che poi adesso si fa con cibi precotti (sui quali a
volte abbiamo lodi e a volte lagnanze) - ci porta a spese
immani, che non potete immaginare. Abbiamo debiti persino con
l'aviazione militare che reclama da noi 3 o 4 miliardi per
questi viaggi, che sono effettuati per necessità, disposti dal
magistrato o richiesti dai carabinieri, pena pericoli di
incolumità per il soggetto che viene spostato o di evasione.
Le segnalazioni di possibili interventi esterni sono continue.
Si celebra un processo e riceviamo la segnalazione che durante
la traduzione potrebbe avvenire un tentativo di evasione o che
durante l'ora d'aria Tizio o Caio potrebbe essere "cecchinato"
(questo successe una volta a Palmi), da qui la necessità di
spostamenti vari.
   Quindi, i nostri problemi sono immani. Non si tratta solo
di sostituire Di Maggio con qualcuno, perché me ne
occorrerebbero dieci. Senatore Bertoni, le vecchie istituzioni
come i carabinieri e la polizia vivono da 100 e più anni, ma
accanto al capo della polizia ci sono tre vicecapi e numerosi
prefetti, ognuno dei quali sa cosa deve fare. Nell'Arma, al
solo vestiario provvedono tanti ufficiali: chi si occupa delle
scarpe, chi delle divise, eccetera. Da noi tutto questo non
c'è. C'è un continuo affinamento; è un'amministrazione che,
proprio in questi momenti di presunzione, si è ingrandita
terribilmente: direzioni di qua, promozioni di là, ma sotto
c'è un vuoto, al quale bisogna provvedere con nuovi
arruolamenti, con la formazione, con le scuole (ne ho chieste
almeno una o due all'esercito - dato che le dismettono -
soprattutto dove si trova il corpo di armata alpino). E' un
problema serio.
   Mi premeva sottolineare questi problemi non solo per
guardare ad essi con una certa oculatezza ma anche perché - ma
non è tema di nostra competenza - bisogna guardare con la
massima attenzione alle confessioni, ai pentimenti, per il
rischio di vendette trasversali, vere o false che siano.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Sulla situazione degli altri
detenuti, sulla mancanza degli assistenti sociali?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Gli
assistenti sociali sono nati come un supporto, come un
trait d'union tra il detenuto, la famiglia, il posto di
lavoro da cui veniva strappato, giustamente o ingiustamente.
La figura dell'assistente sociale e anche quella
dell'educatore sono quanto mai sane e sante, anche oggi.
Senonché sulle spalle dell'assistente sociale si sono
rovesciate tutte le misure alternative. Costoro non solo
devono lavorare per noi ma anche per i magistrati di
sorveglianza, obbligatoriamente. Tra noi e i magistrati c'è
una specie di amore-odio, anche perché gli assistenti sociali
devono continuamente presentare relazioni su varie questioni a
noi e ai magistrati. Perciò, la loro situazione è diventata
drammatica. Si spostano all'interno del loro territorio e
naturalmente oggi esigono la macchina, per cui sono necessari
gli autisti, che - guarda caso - devono essere sempre forniti
dalla mia direzione generale. Perché devo dare i miei agenti?
Gli agenti di custodia devono fare gli agenti di custodia e
basta! Naturalmente, sono considerato un cerbero e molti non
vedono l'ora che me ne vada...! Ultimamente ho partecipato ad
un congresso a Firenze (due giorni fa se ne è tenuto uno anche
a Roma) e, recependo queste richieste, ho presentato al
ministro una proposta di allargamento dell'organico di mille
unità. Per loro sono poche, ma sarebbe già molto se da subito
se ne potessero ottenere 500. Un'altra mia proposta, che il
ministro ha approvato, è quella di sopperire alle attuali
carenze reperendo assistenti sociali - naturalmente iscritti
agli albi - sul posto e da pagarsi o con parcella o con
convenzione trimestrale.
   Mi premeva dirlo, perché sono notizie non negative né,
come altri direbbero, positive: il bambino per crescere ha
bisogno di tempo. Comunque, mi sono mosso in
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questa direzione ed il ministro, in parte ha accolto le mie
richieste; l'altra parte dipende dallo stesso ministro, dal
bilancio, dal Parlamento.
  ANTONIO DEL PRETE. Presidente Capriotti, grazie per
l'umanità e la puntualità che ha avuto nell'esprimere il suo
punto di vista in questo nostro incontro; grazie per non aver
usato termini declamatori, ma per aver fatto programmi e
suggerito idee praticabili che possono migliorare la
situazione di un'amministrazione che, come lei ha detto, è
affetta da elefantiasi.
   Porrò una domanda alla quale non so se lei potrà
rispondere dando un chiarimento. Il tema è quello della nuova
costellazione criminale e il territorio questa volta è
l'Italia del nord: mi riferisco ad un'evasione che mesi fa
fece molto chiasso e che assurse agli onori della cronaca con
grande rumore per certi suoi aspetti che parvero inquietanti.
Tale rumore è andato man mano spegnendosi. Le chiedo notizie
in proposito.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In questo
ultimo anno, come ho detto - e non è tanto merito mio quanto
dell'amministrazione, che regge (a differenza di quello che si
dice fuori) - non si sono verificate sommosse né evasioni,
però è accaduto ciò che lei ha detto: è stato preso d'assalto,
con le modalità che si conoscono...
  ANTONIO DEL PRETE. Mi riferivo proprio a quello quando ho
detto "per certi aspetti inquietanti".
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. E' stato
detto, da fuori, che l'evasione era stata segnalata. In realtà
lo era stata a Vicenza, dove il soggetto si trovava prima;
comunque, le segnalazioni sono continue, quasi giornaliere, di
"pezzi grossi". La realtà però la accettiamo: quella mattina
di giugno è stato preso d'assalto il carcere - così mi hanno
detto quando mi hanno svegliato alle cinque e mezza - e 4
persone travestite, dopo aver fermato la macchina, sono
entrate e hanno preso in ostaggio un agente che si è fatto
aprire i 7 passaggi andando direttamente là dove si trovavano
il soggetto e gli altri accoliti, che sono stati portati via.
Sono state avviate una procedura disciplinare e una
giudiziaria che seguo con molta attenzione, anche perché il
procuratore generale di Padova (che è stato mio procuratore a
Rovereto, quando lavoravo a Trento e Bolzano) è una persona
molto esperta; il sostituto proviene dalla magistratura
militare ed è molto serio.
   Dei detenuti fuggitivi, il vice di Maniero è stato
agguantato poco tempo fa nel frusinate.  Poiché altri due sono
già stati raggiunti, ne resta ancora la metà, compreso il
Maniero. Non seguo le investigazioni di carattere materiale ma
so che vi sono buone speranze che anche Maniero venga preso in
Italia o all'estero, dato che si seguono varie piste. Ciò che
è grave è che lui era già fuggito una volta da Fossombrone.
Alla vicenda seguirà un processo; il direttore Velleca su cui
si sono riversate le ire è stato sospeso; sono stati altresì
sospesi il comandante del reparto, forte di otre 350 uomini, e
9 guardie ed è stato arrestato l'ostaggio, cioè la guardia
Erbì. Il processo disciplinare è in corso e il direttore dovrà
rispondere, indipendentemente dal processo penale (vi è una
deroga nel nostro codice per cui il direttore può essere
comunque sottoposto a procedimento disciplinare). In verità ho
avuto pressioni per farlo riammettere. Sono in contatto con la
magistratura e se avrò il via potrò rivedere la posizione di
Velleca, naturalmente non a Padova ma altrove, perché il
generale deve sempre pagare: se qualcosa è accaduto, il
generale deve pagare per gli altri, perché la vittoria ha
tanti padri ma la sconfitta ne ha uno solo.
   Ho mandato sul posto un nuovo, ottimo, direttore che
proviene da Potenza e un nuovo comandante di reparto. Però ciò
che è successo a Padova potrebbe succedere questa notte da
un'altra parte, attenzione.
   Quello di cui parliamo è stato un esempio clamoroso perché
Maniero è un soggetto
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che si dice legato alla camorra, alla mafia del Brenta.
In effetti i suoi accoliti erano tutti meridionali. Tenga
presente che Maniero è persona di grandi facoltà economiche,
perché in quel di Portorose (ex Iugoslavia) gestiva un casinò.
A suo tempo, ha sempre vissuto in yacht, in mezzo alle donne;
infatti, la prima volta è stato ripreso in uno yacht a Capri.
Quindi, non è escluso, senatore Scopelliti, che le gonne ci
aiutino anche questa volta (di più non dico).
  PRESIDENTE. Ognuno ha i suoi punti deboli.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ci vuole
un pizzico di fortuna. Naturalmente la sua cattura potrebbe
farci scoprire tante cose, anche perché oltre ad Erbì è stata
arrestata una settima persona, il detentore di uno spaccio di
pezzi di ricambio per automobili che, guarda caso, aveva un
arsenale dal quale sono state prelevate le armi che servirono
ai 4 per prelevare Maniero e gli altri dal carcere.
   Grazie all'istruttoria che sto facendo sommariamente e a
quello che so - altro non so e non devo sapere - spero di
venirne a capo. Però il fatto di per sé resta, così come la
necessità di essere severi. Quello che è già accaduto potrebbe
accadere di nuovo, anche se nel corso di quest'anno
l'amministrazione, pur avendo sopportato momenti durissimi, ha
resistito, esternamente ed internamente.
   Voglio dire a lei e a tutti i presenti che registriamo un
numero soverchio di suicidi. Statisticamente, e ragionando -
se è possibile - molto freddamente, siamo quasi nella
norma.
  RAFFAELE BERTONI. Quanti sono?
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non siamo
arrivati a 100 nel 1993.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Il carcere di Monza sta diventando
tristemente famoso per i suicidi, tanto che viene definito "il
carcere dei suicidi".
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Torno a
dire che il carcere è una realtà necessaria ma durissima: è
duro essere rinchiusi con soggetti non della stessa educazione
e subire prepotenze, come nelle caserme. Eppure nel complesso
la vita militare ci deve essere e deve essere improntata a
quella disciplina; lo stesso può dirsi per il carcere.
   L'episodio Maniero è seguito giorno per giorno a Padova e
qui. Non infieriremo su coloro che si sono resi colpevoli, ma
ho emanato una circolare fondamentale sulla gestione del corpo
degli agenti di custodia in tutti gli istituti. Mi ero
accorto, dopo il fatto, che nessuno degli oltre 350 uomini ed
oltre 20 sottufficiali faceva la notte, non un maresciallo,
non un sottufficiale; vi erano solo capoposto, mentre loro
andavano a dormire a casa propria. Questo non è possibile, per
cui ho stabilito che in ogni istituto di notte debba essere
assicurata la presenza permanente di uno o due sottufficiali,
se non altro per motivi di stile e di forma a cui questa
amministrazione deve essere portata, volente o nolente. Si
tratta di un'amministrazione importante dello Stato, che deve
adempiere un onere, affidato, dall'epoca di Mussolini,
all'amministrazione della giustizia.
   Quando il collega e amico Bertoni mi venne a trovare in
tempo di terrorismo, c'erano 26 magistrati, che anche oggi
occorrono perché formano l'equilibrio. Intendo dire che vi
sono assistenti sociali, direttivi, ragionieri, educatori e
chi più ne ha più ne metta: fra questi vi è un conflitto
terribile, come avviene ovunque. Come dicevo, allora vi erano
26 magistrati, mentre oggi sono solo, con 4 o 5 colleghi che
hanno 2 o 3 anni di carriera alle spalle e che sono qui
soltanto perché desideravano venire a Roma, per poi andarsene.
Questa è la situazione.
  RAFFAELE BERTONI. Chi è il capo della tua segreteria?
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  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. La
dottoressa Di Paolo che ha già una certa esperienza avendo
trascorso 14 anni come vicedirettrice di carcere a Regina
Coeli. Anche io non sono sempre stato al ministero, avendo
prestato servizio per 10 anni a Genova: ho fatto 10 anni in
frontiera (da Trento a Bolzano, fino a Verona).
   Dico per ultimo che ho subito un altro attentato, il cui
autore è ancora in carcere; ma non dirò il nome e non lo dirò
mai: da quando sono in carica (ma anche prima) non desidero
sapere dove sta, cosa fa, se è impazzito o meno. Basta, quelle
pagine si sono chiuse per sempre.
  PRESIDENTE. Vorrei rivolgerle una domanda perché mi pare
siano stati messi in discussione i giudici di sorveglianza; e
quindi anche le pressioni politiche per il dottor Margara non
penso si possano ipotizzare da parte della maggioranza. La
storia certamente esemplare ma anche molto connotata del
dottor Margara induce ad escluderlo. Non conosco personalmente
gli altri giudici di sorveglianza, però se un'autonomia deve
esserci nella magistratura, deve riguardare anche i magistrati
di sorveglianza, perché, se si comincia a sospettare anche in
modo molto vago, come è stato fatto, di una magistratura che
ha gravissimi compiti come quelli di sorveglianza, una
magistratura non diciamo di serie B ma addirittura vista con
notevole sprezzo talvolta anche dalla categoria stessa - per
quanto abbia una funzione fondamentale che purtroppo non è
sufficientemente intesa - bisogna cominciare a riflettere.
Sappiamo che la magistratura di sorveglianza soffre di
grandissime carenze di personale - nessuno vuole fare il
magistrato di sorveglianza - ed è sovraccarica di richieste
che non riesce ad evadere. Mi sembra molto ingeneroso pensare
che il magistrato di sorveglianza, che ha una responsabilità
eguale a quella di tutti gli altri magistrati, voglia in
qualche modo boicottare l'applicazione dell'articolo
41-bis per pressioni - si è fatto capire dal senatore
Tripodi - in qualche modo politiche. Trovo tale affermazione
assolutamente ingiusta, a meno che si provi che quanto
ipotizzato sia effettivamente accaduto. Personalmente, dal
momento che lo conosco da molti anni, non ritengo possibile
che il dottor Margara assuma le sue decisioni sotto la spinta
di condizionamenti politici.
   Peraltro, ho raccolto da vari magistrati di sorveglianza
indicazioni circa le motivazioni ed il numero delle richieste
che sono state accolte, in tutto o in parte. Per quanto ci ha
detto il dottor Margara e soprattutto per quanto afferma la
magistratura di sorveglianza di Ancona, molti dei ricorsi che
sono stati accolti, e che mi pare siano in numero abbastanza
limitato, lo sono stati per carenza di motivazione
legittimante il provvedimento; gli altri riguardavano
modifiche di scarsissimo spessore. Così come ha detto il
dottor Margara, come leggo dal documento della magistratura di
sorveglianza di Ancona e come mi pare di capire ritenga anche
la magistratura di Sassari, è a causa della pochezza di
documentazione ed anche di motivazione che, se è vero che
ciascuno deve fare il proprio mestiere, inevitabilmente poi i
decreti vengano revocati.
   E' vero che in quest'articolo c'è ambiguità, perché non si
capisce se si tratti di un provvedimento solo amministrativo o
anche giudiziario. Certamente, se ha entrambi questi
caratteri, l'amministrazione deve rendersi conto che poi avrà
una valutazione anche dalla magistratura, che ha le sue
competenze e responsabilità.
   Peraltro, sempre i magistrati di sorveglianza di Ancona -
che poi ascolteremo personalmente - fanno rilevare che gli
spostamenti non derivano - come tutti sappiamo - dal
magistrato di sorveglianza, ma lamentano di non esserne,
talvolta, neppure avvisati. E' infatti il dipartimento
amministrativo che dispone i trasferimenti: il magistrato di
sorveglianza, così come i sostituti, segnala che a suo avviso
una tal persona starebbe meglio in un istituto piuttosto che
in un altro, ma, sostanzialmente, chi decide è
l'amministrazione. Io non credo che per una malattia leggera o
per il fatto di aver rivolto una parolaccia
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all'agente di custodia qualcuno possa essere allontanato
dall'Asinara; mi sembrerebbe incredibile che ciò avvenisse ma,
d'altra parte, non sarebbe nella responsabilità della
magistratura di sorveglianza, bensì in quella
dell'amministrazione. Ho sentito con preoccupazione che per
cause non attinenti ai processi - perché in questo caso non
può farci niente nessuno - ma per motivi anche di scarsa
rilevanza, addirittura per vedere i familiari - cosa che
sappiamo essere vietata dall'articolo 41-bis-, è
possibile spostarsi facilmente, anche andandosi a cercare -
come si dice tendenziosamente - il magistrato di sorveglianza
che accoglierà il reclamo. Dovrebbe, dunque, esserci maggiore
oggettività in tutto questo e bisognerebbe stabilire quali
siano le competenze e, di conseguenza, quali le
responsabilità; nello spostamento di detenuti i magistrati di
sorveglianza non c'entrano affatto e talvolta non sanno
nemmeno che qualcuno è stato trasferito, perché la
responsabilità di tale decisione è del dipartimento
dell'amministrazione penitenziaria.
   D'altra parte, se viene sostenuta per due isole una spesa
tanto forte, allora adoperiamole. Nel documento che ho davanti
si fa presente che i detenuti sottoposti al regime del
41-bis sono ad Ascoli Piceno, a Fossombrone, ad Ancona
ed a Pesaro; o le isole servono, ed allora li mettiamo tutti
in un posto, o, come qui c'è scritto, con la creazione di una
sezione apposita si determina gravissimo disagio per tutto il
resto della popolazione carceraria (e soprattutto per i
detenuti comuni, che vengono sottoposti a restrizioni alle
quali, diversamente, non sarebbero sottoposti). Allora,
decidiamo: o facciamo carceri speciali in ciascuna regione,
oppure, visto che ci sono le strutture, adoperiamo le isole.
Ma se continuiamo con questa situazione, adoperando
parzialmente un po' tutte le strutture, ciò va effettivamente
a gravare su tutto il sistema penitenziario, con disparità di
trattamento che sono inevitabili se non si applica
effettivamente il nostro intendimento, cioè quello che questo
tipo di detenuti stia all'Asinara, a Pianosa o in altra isola
tranne per il tempo necessario per le traduzioni. Peraltro, ho
spesso verificato che vi è molta disattenzione - senza voler
recriminare nei confronti di nessuno - da parte
dell'amministrazione dei transiti. Bisogna verificare se un
detenuto il cui processo si sia concluso rimanga o resti
ancora: ci si accorge che a distanza di due mesi, senza che ve
ne sia alcun motivo, sta ancora là. Capisco che
nell'amministrazione penitenziaria ci sono tanti problemi, ma
tra quelli che hanno priorità bisogna annoverare anche il
problema della sicurezza, che è anche sicurezza interna,
perché avere un certo soggetto in un istituto carcerario che
non sia sufficientemente dotato di strumenti reca grave
pregiudizio a tutti gli altri detenuti. Queste lentezze sono
poco spiegabili e non dipendono né dai magistrati né dalla
magistratura di sorveglianza; talvolta è il magistrato che si
fa parte attiva per sapere come mai un detenuto non sia ancora
stato portato via, ma questo non è di sua competenza e,
considerata la quantità di compiti cui deve far fronte, può
accadere che gli sfugga di effettuare tale controllo.
Bisognerebbe, dunque, fare più chiarezza, in modo oggettivo e
concreto, senza puntare l'indice contro nessuno né sospettare
malafede o altro da parte di alcuno: bisognerebbe dividere le
competenze, affinché ciascuno si attenga, poi, alle proprie ed
abbia da parte degli altri il rispetto dell'autonomia delle
stesse.
  RAFFAELE BERTONI. Ringrazio il presidente per quanto ha
detto a proposito della magistratura di sorveglianza ed in
particolare su Margara, che merita grande rispetto e che per
una vita è stato detenuto fra i detenuti.
  PRESIDENTE. Tutti i magistrati di sorveglianza fanno una
pessima vita, dovendosi sobbarcare un lavoro veramente
ingrato.
  RAFFAELE BERTONI. Nessuno vuole farlo e chi fa il
magistrato di sorveglianza resta sotto il peso del suo lavoro,
che la gente non conosce. Per questo la ringrazio, presidente,
per tutti i colleghi e per Margara
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in particolare. E' importante che il presidente della
Commissione antimafia renda una simile dichiarazione.
  PRESIDENTE. E' un dovere. Solo conoscendo la situazione
dal di dentro si sa cosa abbiano fatto sia Margara sia gli
altri. Ritengo, infatti, che non si debba mettere in dubbio
nessuno, se non c'è un motivo concreto per farlo.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Abbiamo
nominato i magistrati di sorveglianza che hanno inciso nel
nostro discorso, ma lungi da noi...
  PRESIDENTE. C'è stata questa deviazione riguardo alla
quale, per rispetto, ho ritenuto opportuno fare una
precisazione.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Anzi,
abbiamo parlato di correggere la permanente competenza dei
soliti quattro o cinque, che poi sono delle vittime, come lo è
il povero Margara. Credo di interpretare il pensiero di tutti
nel dire che il nostro intendimento non era questo.
   Le traduzioni che avvengono su nostra iniziativa - quelle
disciplinari, oppure quelle disposte per andare incontro ad
esigenze del detenuto - riguardano il detenuto definitivo.
Della partenza di alcuni detenuti a volte non sappiamo nulla,
perché essa può dipendere dal fatto che sono chiamati da
questo o quel giudice. La corte d'assise di Palmi, ad esempio,
si riunisce improvvisamente ed il presidente fa la citazione,
passandola a noi che la trasmettiamo ai carabinieri. Eventuali
lentezze dipendono dal fatto che i carabinieri hanno, a loro
volta, un lavoro tale...
  RAFFAELE BERTONI. Quando la polizia penitenziaria
sostituirà i carabinieri nelle traduzioni, come la legge
prevede, la situazione potrà essere diversa.
  ADALBERTO CAPRIOTTI, Direttore generale del
dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Come ho
già detto, quella per le traduzioni è una struttura enorme e,
se dovrà essere assunta dalla nostra amministrazione, questa
dovrà essere pronta in tutto e per tutto. Non è uno scherzo!
Vi sono detenuti che rappresentano un pericolo, quelli che si
devono presentare davanti al magistrato, quelli da ricoverare
in centri clinici per essere sottoposti a cure mediche, quelli
trasferiti temporaneamente per avere dei colloqui: è un lavoro
enorme. Senza contraddire il presidente, dico che la nostra
parte di responsabilità l'abbiamo, ma, in realtà, concorrono
tante cose perché - torno a dirlo, onorevole Del Prete - nel
nostro mondo ci sono, purtroppo, troppe competenze e troppe
mani. Forse, che queste mani siano molte è bene per la
chiarezza, ma ciò dà luogo a tanti malintesi e disguidi.
  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Capriotti per
l'audizione che si è testé con- clusa e per i documenti che,
se ritiene opportuno, potrà lasciare alla Commissione.
   Poiché giovedì mattina sono previste votazioni al Senato,
la Commissione è convocata giovedì 3 novembre, alle 16, per
proseguire nell'audizione dei giudici di sorveglianza.
   La seduta termina alle 14,10.

 


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