Parenti: seduta 08
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       PRESIDENZA DEL PRESIDENTE TIZIANA PARENTI
                          INDICE
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Audizione del generale Luigi Federici, comandante generale
dell'Arma dei carabinieri:
  Parenti Tiziana, Presidente ....................  255, 263
                                               264, 265, 276
  Arlacchi Giuseppe .................................... 267
  Campus Gianvittorio .................................. 266
  Cusimano Vito ........................................ 264
  Del Prete Antonio ............................... 271, 272
  Di Bella Saverio ........................... 274, 275, 276
  Federici Luigi, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri ............................. 255, 265, 267, 270
                                     270, 271, 272, 273, 275
  Meduri Renato ........................................ 269
  Scopelliti Francesca ............................ 264, 272
  Tripodi Girolamo ...................... 263, 264, 269, 275
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   La seduta comincia alle 9,30.
    (La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
Audizione del generale Luigi Federici, comandante generale
dell'Arma dei carabinieri.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del
generale di corpo d'armata Luigi Federici, comandante generale
dell'Arma dei carabinieri, che avrà ad oggetto lo stato
attuale della lotta alla criminalità organizzata ed il
coordinamento delle strutture a ciò preposte. Do senz'altro la
parola al generale Federici.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Desidero anzitutto porgere a lei, signor
presidente, ed ai signori parlamentari membri della
Commissione il mio saluto deferente e sentito, che è anche il
saluto dell'Arma dei carabinieri, lieto di poter esporre in
questa sede una valutazione realistica delle potenzialità e
dei problemi dell'Arma nella lotta alla mafia. Eviterò di
citare, per esigenze di sinteticità, una serie di riferimenti
numerici, che comunque sono riportati in allegato alla
relazione che lascerò agli atti della Commissione.
   Farò subito un rapidissimo cenno alla situazione
dell'ordine e della sicurezza pubblica. Non mi soffermo su una
valutazione generale della questione perché l'argomento è
sicuramente già stato ampiamente trattato da chi è stato
ascoltato prima di me in questa sede. Mi limito soltanto a
sottolineare ed a ribadire che negli anni 1992 e 1993 e, in
modo più accelerato, nel primo semestre del 1994 il quadro
della sicurezza pubblica è stato caratterizzato da una
generale contrazione della delittuosità in tutte le sue
espressioni, compresi i delitti più gravi tipici della
criminalità organizzata. In particolare, nel primo semestre
del 1994 la delittuosità è decresciuta mediamente del 3,6 per
cento. Analogo andamento hanno fatto registrare i delitti più
gravi, ad eccezione - ed è l'unica - delle estorsioni, che
hanno subito un incremento dell'8 per cento. Per queste ultime
va peraltro rilevato che l'incremento del fenomeno può essere
inquadrato anche in un progressivo affrancamento delle vittime
dalla forza intimidatrice delle organizzazioni criminali e
nella ritrovata fiducia sulla prontezza ed efficacia degli
interventi repressivi e di sostegno. In materia - come poi
ribadirò al termine del mio intervento - considero tuttavia
importante, direi determinante, una rapida approvazione del
disegno di legge sull'usura, che potrà contribuire in maniera
assai incisiva a controllare ed a contrarre questo pericoloso
fenomeno.
   Dedicherò ora un cenno alla situazione della criminalità
organizzata. Come è certamente noto a tutti voi, anche sulla
base delle relazioni svolte dalle autorità che sono state
ascoltate prima di me da questa Commissione, i sodalizi di
tipo mafioso vivono un momento di grande fluidità. Essi,
infatti, dopo i duri colpi subiti, debbono rivedere le proprie
scelte strategiche e tattiche nonché le strutture
organizzative interne, condizionati, come sono, dalla
impossibilità per i personaggi di vertice delle consorterie
criminali di stabilire un raccordo con l'esterno. Ciò in
considerazione del fatto che tali elementi sono detenuti e
sottoposti al peculiare regime carcerario previsto
dall'articolo 41-bis della normativa sull'ordinamento
carcerario ed anche
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per effetto della legislazione sui collaboratori di
giustizia.
   Le forze di polizia - e l'Arma dei carabinieri in
particolare, che per la capillare diffusione sul territorio
rappresenta un sensore particolarmente efficace - stanno, da
un lato, perseguendo con grande determinazione lo sfruttamento
dei successi raggiunti, attraverso una sempre più incisiva
azione investigativa finalizzata ad impedire alle consorterie
criminali profondamente ferite di riorganizzarsi e,
dall'altro, tendendo a localizzare i grandi latitanti (ricordo
che si tratta di 29 elementi) ossia i soggetti più pericolosi
che, dopo l'arresto dei clan storici, ne hanno preso il posto
collocandosi nelle posizioni apicali dei vari sodalizi, nel
cui ambito stanno consolidando la loro leadership.
L'Arma dei carabinieri è consapevole che il continuo, risoluto
impegno che si va ponendo nella lotta alla criminalità non è
mai abbastanza sufficiente: dovrà quindi essere sempre più
incisivo e determinato e non dovremo mai considerarci
soddisfatti degli obiettivi raggiunti, nella certezza che la
criminalità costituisce oggi l'obiettivo principe tra i
problemi della nazione. Né è da escludere che nel corso del
processo di revisione interno nell'ambito della struttura
mafiosa possa manifestarsi una ripresa della politica
stragista, anche in concomitanza con i grandi processi alla
mafia in corso di svolgimento.
   Nel tentativo di rappresentarvi le potenzialità ed i
limiti dell'Arma dei carabinieri, cercherò ora di disegnare un
panorama sulla situazione di quest'ultima. L'Arma dei
carabinieri dispone oggi di 115 mila uomini, di cui 2.500
ufficiali, 27.500 sottufficiali, 85 mila appuntati e
carabinieri. Come è noto, lo strumento destinato al contrasto
del crimine organizzato nell'ambito dell'Arma opera attraverso
due filoni distinti: l'Arma territoriale ed i reparti
speciali. Il filone dell'Arma territoriale è articolato in
cinque comandi di divisione: la divisione Vittorio Veneto, con
sede a Padova, è responsabile con riferimento alle regioni
Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia
Romagna; la divisione Pastrengo, con sede a Milano, è
competente sul Piemonte, sulla Valle d'Aosta, sulla Lombardia
e sulla Liguria; la divisione di Roma, denominata Podgora, è
responsabile delle regioni Lazio, Toscana, Umbria, Marche e
Sardegna; la divisione Ogaden, con sede a Napoli, è
responsabile per la Campania, l'Abruzzo, il Molise e, oggi,
per la Basilicata e la Puglia; infine, la divisione Culquaber,
quella che ci sta più a cuore, è competente sulle regioni
Calabria e Sicilia. Inoltre, la componente territoriale
comprende 18 comandi di regione, affiancati alle regioni
amministrative, 95 comandi provinciali, anch'essi affiancati
alle province amministrative, 516 comandi di compagnia e 4.664
stazioni dei carabinieri, affiancate alle amministrazioni
comunali. La componente territoriale dell'Arma dei carabinieri
assorbe, grosso modo, l'80 per cento del personale in
servizio, cioè circa 86 mila uomini.
   Il secondo filone di contrasto è rappresentato dai reparti
cosiddetti speciali, cioè caratterizzati da un elevato indice
di specializzazione, quali i comandi carabinieri tutela
patrimonio artistico, antisofisticazione e sanità, tutela
norme comunitarie ed agroalimentari nonché i nuclei operativo
ecologico ed antifalsificazione monetaria. Nel contesto dei
reparti speciali merita un cenno particolare il raggruppamento
operativo speciale, meglio noto come ROS, che opera a livello
nazionale e che costituisce il collante o, meglio, il raccordo
operativo delle attività investigative di maggiore rilievo
avviate a livello locale. Il raggruppamento, che rappresenta
il "fiore all'occhiello" dell'Arma dei carabinieri, comprende
900 unità - si tratta di 900 investigatori molto qualificati -
ed è articolato in 26 sezioni anticrimine distribuite su tutto
il territorio nazionale, in aderenza all'ubicazione delle
procure distrettuali antimafia; costituisce servizio centrale
ed interprovinciale di polizia giudiziaria; opera in Italia ed
all'estero; collabora con la direzione investigativa antimafia
e con i corrispondenti servizi centrali della Polizia di Stato
e della Guardia di finanza; è stato recentemente potenziato
attraverso la costituzione della sezione "criminalità
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economica ed informatica" che potrà incidere in uno
dei settori più emergenti delle attività criminali.
L'intensificazione della vigilanza e del controllo sul
territorio è comunque l'obiettivo primario dell'istituzione e
ad esso vengono dedicati tutti gli sforzi possibili dell'Arma
dei carabinieri. Del resto, quanto sia importante il controllo
fisico del territorio - mi sia consentita una battuta - lo sa
bene la 'ndrangheta che, per controllare fisicamente il
territorio, ha inventato l'idea originale delle 2 mila "vacche
sacre" che pascolano tranquillamente nei pressi di Platì,
proprio per sottolineare che il dominio fisico del territorio
è un'espressione del potere. Proprio a tale scopo, sono state
assunte tutte le iniziative praticabili per recuperare
personale dalle attività burocratiche e logistiche, a favore
delle esigenze di controllo del territorio. In particolare,
abbiamo recuperato circa 250 militari da attività
assistenziali e di benessere che inizialmente, nell'Arma dei
carabinieri, venivano affidate a militari ed oggi sono state
devolute a strutture civili. Come loro sanno, nel quadro della
nuova struttura di comando dell'Arma dei carabinieri sono
stati soppressi i comandi di brigata e di legione, nell'ambito
del nuovo modello ordinativo adottato a partire dal 1991,
provvedimento che ha consentito il recupero di altri 200
militari circa da incarichi prettamente burocratici. E'
proseguita, proprio in questo contesto, la politica del
raffittimento del reticolo dei comandi sul territorio
attraverso l'istituzione, negli anni 1993 e 1994, di sei
comandi di compagnia e di ventidue stazioni dei carabinieri,
soprattutto nelle regioni a maggiore rischio - mi riferisco
all'Italia meridionale -, mentre altri ottanta comandi
territoriali, ai vari livelli, sono in progetto di
costituzione nell'anno in corso o nel prossimo anno.
   E' stata istituita (e questo è un fatto molto importante,
sotto il profilo della presenza dello Stato) la Scuola allievi
carabinieri a Reggio Calabria, che verrà inaugurata e diverrà
operativa il prossimo mese di novembre, con la presenza di 600
allievi carabinieri.
   Sono stati costituiti, come loro sanno, gli squadroni
Cacciatori di Calabria e di Sardegna, per rendere più incisivo
il controllo delle zone impervie attraverso l'impiego di unità
eliportate.
   E' stato impiegato periodicamente, sempre con maggiore
intensità - anche quest'estate, è rientrato da pochi giorni -,
il reggimento carabinieri a cavallo nelle zone più
difficilmente percorribili, come in Aspromonte. Sono state
infine ampliate le dotazioni di personale e di mezzi delle
stazioni e degli organi investigativi delle compagnie e dei
comandi provinciali.
   Particolare attenzione, inoltre, è stata posta
(soprattutto nelle regioni a maggiore rischio, mi riferisco
specialmente alla Sicilia ed alla Calabria) al problema delle
lunghe permanenze, che era stato sottoposto alla mia
attenzione anche da alcuni onorevoli parlamentari membri di
questa Commissione. E' un problema, come loro ben comprendono,
di non facile soluzione, perché collegato con gli interessi
familiari del personale. Tuttavia, solo nei primi sette mesi
del 1994 e nelle sole regioni Sicilia e Calabria, sono stati
movimentati, rispettivamente, 381 sottufficiali in Sicilia e
182 in Calabria; 934 appuntati e carabinieri in Sicilia e 754
in Calabria. Nonostante questo impegno, siamo tuttavia
consapevoli del fatto che le forze disponibili non consentono
di far fronte a tutte le istanze di sicurezza della gente, che
chiede nuovi presidi dell'Arma a garanzia della convivenza
civile e democratica della comunità.
   Proprio domenica scorsa ho avuto modo di presenziare ad
una cerimonia a San Luca, in Calabria, per dedicare una piazza
ed una stele ad un brigadiere dei carabinieri caduto qualche
anno fa per mano della mafia. In quell'occasione sono stato
avvicinato da tutti gli amministratori locali, i quali
chiedevano il rinforzo delle stazioni dei carabinieri
esistenti o la costituzione di stazioni nuove: questo ci fa
molto piacere, anche se abbiamo molte difficoltà ad esaudire
le richieste. Posso dire che solo nei primi sei o sette mesi
del 1994 sono pervenute al Comando generale circa 200
richieste di istituzione di nuovi presidi e di potenziamento
di quelli esistenti.
   A questo punto mi sembra doveroso sottoporre alla loro
attenzione alcuni problemi
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che, a mio parere, devono essere affrontati per rendere
ancora più incisiva l'azione di contrasto in atto. L'attività
di contrasto dell'Arma è oggi fortemente condizionata da
impegni complementari rispetto ai compiti istituzionali, che
diuturnamente assorbono una grande quantità di personale,
sottratto all'attività investigativa ed al controllo del
territorio. Tra questi, è assolutamente necessario citare i
servizi di scorta e quelli di traduzione.
   Per quanto riguarda i primi, nonostante una continua ed
attenta opera di revisione da parte dei comitati provinciali e
del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica,
l'Arma è chiamata ad effettuare un notevole numero di scorte
(che, ricordo, prevedono l'impiego minimo di dodici militari
per i servizi di scorta e di tre militari per quelli di
tutela) ed è impegnata altresì con vigilanze fisse a varie
personalità politiche, della magistratura o, comunque, a
rischio. E' chiaro che tali servizi incidono profondamente sul
controllo del territorio perché sottraggono in media,
quotidianamente, 1.900 unità, solo dei carabinieri. In
proposito, mi sembra doveroso sottolineare in questa sede,
anche per lealtà nei confronti della Commissione, che le
scorte non sempre sono dovute ad una reale situazione di
pericolo, ma spesso sono piuttosto collegate ad un'ipotetica
minaccia connessa alla carica o all'attività svolta dalla
personalità da proteggere. Allo scopo di coniugare con
equilibrio le esigenze di sicurezza del personale cosiddetto
"a rischio" con quelle operative, debbo dire che il ministro
dell'interno, in sede di Comitato nazionale per l'ordine e la
sicurezza pubblica, sta procedendo ad una revisione critica di
tutti i servizi di protezione, per ridurre, in particolar
modo, le attività di scorta - e, secondo me, questo è il
problema dei problemi -, da trasformare in larga misura in
tutela (ciò significa recuperare almeno dieci uomini), al fine
di ottenere il massimo recupero di personale. In quest'opera
di recupero abbiamo bisogno anche del supporto del
Parlamento.
   Un secondo onere, pesantissimo, che ricade sull'Arma dei
carabinieri è costituito, come ho accennato, dalle traduzioni.
Esse, come è noto, trovano la loro più recente disciplina
nell'articolo 4 della legge n. 395 del 1990, che ne ha
attribuito la responsabilità, come loro sanno, alla polizia
penitenziaria, unitamente ai compiti di piantonamento dei
detenuti nei luoghi di cura: in realtà, al momento, l'onere
delle traduzioni da e per le aule giudiziarie, nonché tra gli
istituti di reclusione e pena, è rimasto all'Arma ed è
prevista la sua cessione alla polizia penitenziaria a partire
dal 1^ gennaio 1996. Questo servizio, che ha subito negli
ultimi anni una vera e propria impennata, è passato da un
impegno di circa 1.900 carabinieri al giorno nel 1991 a quello
attuale di circa 2.600 carabinieri al giorno. Indubbiamente,
tale impegno ha ridotto in misura considerevole l'operatività
dei reparti; inoltre, essendo spesso disposto, per le più
varie ragioni, con un preavviso assai limitato, scompagina e
mette in grave crisi servizi già programmati. Mi è capitato,
per esempio, di arrivare all'improvviso al comando provinciale
di Reggio Calabria e di veder raccogliere, alle otto del
mattino, circa 300 persone, provenienti dalle stazioni più
lontane e disparate, le quali dovevano soddisfare
improvvisamente esigenze di traduzioni (ciò avviene
all'improvviso anche per motivi di sicurezza). Il comando
generale ha più volte rappresentato, nelle opportune sedi e in
particolare presso il Ministero di grazia e giustizia, la
circostanza che la data di cessione di questa attività - 1^
gennaio 1996 - è assolutamente indifferibile. A questo
proposito voglio riferire alla Commissione che sono in corso
accordi, proprio con il citato dicastero, per qualificare per
tempo il personale della polizia penitenziaria che verrà
preposto a questo delicato settore. Sarebbe infine opportuno -
e mi permetto di richiamare l'attenzione dei membri di questa
Commissione su tale problema - che si rivedessero le
disposizioni in materia di traduzione dei detenuti agli
arresti domiciliari, così da permettere a costoro di recarsi
senza scorta presso le aule e gli uffici giudiziari.
Dall'altro lato, occorrerebbe prevedere che i magistrati, per
la verità assai sensibili ai problemi di
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potenziamento dell'attività investigativa, privilegiassero
l'esame dei testi e degli indagati detenuti presso le apposite
sale all'interno degli istituti di prevenzione e pena. Tale
ultimo accorgimento coniugherebbe in modo equilibrato il
minore rischio di evasioni con un ridotto numero di
traduzioni, così da ottenere, quale effetto speculare, un
incremento dei militari destinati all'attività investigativa e
al controllo del territorio.
   A fronte di questa situazione e in genere delle dilatate
esigenze operative, dobbiamo dire che la forza dell'Arma è
inadeguata agli impegni che abbiamo di fronte, anche perché
gli incrementi che l'Arma ha avuto negli ultimi anni sono
stati in larga misura vanificati da contrazioni di fatto
determinate dalla riduzione dell'orario di servizio
settimanale (come loro sanno, un carabiniere è impegnato sei
ore e venti minuti al giorno), dall'abolizione del turno unico
di ventiquattr'ore per il servizio alle caserme e infine da
limitazioni alle prestazioni straordinarie.
   A questo proposito mi sia consentita una digressione.
Spesso sento - ed è giusto che sia così, e mi fa anche piacere
- che cittadini lamentano che alcune stazioni dei carabinieri
sono chiuse dopo le 20. Mi fa piacere dire che le stazioni dei
carabinieri sono articolate oggi in tre fasce: stazioni della
prima fascia, meno impegnate; stazioni della seconda fascia,
più impegnate; stazioni della terza fascia, impegnatissime.
Quelle della prima fascia normalmente funzionano dalle 8 alle
14 e dalle 16,30 alle 20, quelle della seconda fascia lavorano
quattordici ore al giorno, quelle della terza fascia sono
aperte ventiquattro ore su ventiquattro.
   Per dare loro un'idea di come sono distribuite queste
stazioni dei carabinieri, osservo che il 50 per cento delle
stazioni dei carabinieri fanno parte della prima fascia, il 25
per cento della seconda e il 25 per cento della terza. Allora
qualcuno legittimamente si chiede: come mai il 75 per cento
delle stazioni dei carabinieri non lavora ventiquattr'ore al
giorno? E' presto detto. Le stazioni dei carabinieri della
prima fascia dispongono mediamente di un sottufficiale e
cinque carabinieri. Invece, solo per tenere sempre aperta una
stazione dei carabinieri, avremmo bisogno di quattro
carabinieri al giorno (sei per quattro fa ventiquattro). Ci
troveremmo allora di fronte ad un dilemma: o ci limitiamo a
tenere aperta la stazione e non svolgiamo i servizi esterni di
controllo del territorio, che sono il motivo della nostra
esistenza, oppure chiudiamo la stazione per un determinato
numero di ore privilegiando i servizi di controllo del
territorio.
   A questo va aggiunto un altro fenomeno che si è verificato
negli ultimi tempi, che rappresenta un sovraccarico di lavoro
per le stazioni dei carabinieri e che voglio sottolineare in
questa sede: l'impegno delle notificazioni giudiziarie. In
passato le notificazioni venivano fatte dai messi giudiziari o
per posta; adesso, in relazione alle ultime disposizioni del
codice, sono deputate ad assolvere a questo compito le
stazioni dei carabinieri, naturalmente sottraendo tempo
prezioso al controllo del territorio.
   Noi non subiamo passivamente questa situazione, ma siamo
intervenuti in diversi modi, sotto il profilo tecnico e sotto
quello operativo. Sotto il profilo tecnico attraverso due
provvedimenti. Il primo è quello della deviazione automatica
di chiamata. Se un cittadino chiama la stazione dei
carabinieri in un momento in cui la stazione è chiusa, la
chiamata viene deviata automaticamente sulla centrale
operativa della compagnia, che funziona ventiquattr'ore al
giorno. Il secondo provvedimento è quello che prevede
l'istituzione, presso ciascun comando provinciale, di un
sistema di radiolocalizzazione, talché il comandante
provinciale ha di fronte a sé una mappa del territorio di
competenza su cui compaiono diverse lampadine, alcune delle
quali sono fisse, che rappresentano le stazioni e le
compagnie, ed alcune delle quali sono mobili, che sono le più
importanti e rappresentano le radiomobili. Qualora ad una
centrale operativa di un comando provinciale arrivi una
richiesta di intervento, il comandante provinciale guarda la
lampadina più vicina alla zona in cui è necessario intervenire
ed è in condizione di
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fare intervenire la radiomobile il più tempestivamente
possibile.
   Questi sono i due provvedimenti tecnici ai quali si
aggiunge un provvedimento operativo, che consiste nel fatto
che noi nutriamo la speranza di recuperare uomini dalle scorte
e dalle traduzioni per destinarli esclusivamente alle stazioni
dei carabinieri, che sono state, sono e saranno la spina
dorsale dell'Arma.
   I programmi organici dell'Arma dei carabinieri, già
impostati, mirano essenzialmente a costituire, come ho già
detto, nuovi presidi (ho parlato di 80 presidi): 8 comandi
provinciali negli altrettanti centri in cui sono previste le
nuove province amministrative, 23 comandi di compagnia e 49
stazioni. Mirano, ripeto, ad assicurare l'apertura
ventiquattr'ore al giorno di tutte le stazioni dei carabinieri
o comunque almeno del 50 per cento; tendono ad incrementare le
capacità operative dell'Arma dei carabinieri nei comparti di
specializzazione individuati dal decreto del ministro
dell'interno del 12 febbraio 1992 (sanità, ambiente, beni
culturali, lavoro, risorse agricole, alimentari e forestali,
Banca d'Italia, Ministero degli affari esteri); infine, mirano
a fronteggiare le continue richieste di potenziamento che
arrivano dalle autorità e dalla popolazione.
   Questi obiettivi irrinunciabili rischiano però di rimanere
inevasi per carenza di personale. L'obiettivo prioritario del
comando generale è quindi quello di procedere in primis
a recuperi di personale, oltre che dalle scorte e dalle
traduzioni, in un settore particolare che non dovrebbe dare un
gran gettito ma comunque dovrebbe consentire un recupero di
circa 800 persone: mi riferisco al settore della polizia di
frontiera, che costituisce comparto di specializzazione della
Polizia di Stato. Un certo recupero potrebbe essere effettuato
anche nel settore della polizia militare, che è il settore
della polizia che sostiene le forze armate, in relazione al
previsto riordino delle forze armate nel quadro del nuovo
modello di difesa. Per dare un'idea, specifico che nel settore
della polizia militare l'Arma dei carabinieri impegna 2.700
uomini.
   Il secondo obiettivo è quello di ottenere un incremento
organico adeguato che consenta - come ho già detto -
l'apertura continuata al pubblico delle stazioni dei
carabinieri, a cominciare da quelle dislocate in località più
sensibili. L'esigenza di incremento organico, già quantificato
in circa 10 mila unità, è attualmente al vaglio del Ministero
dell'interno, che si è fatto promotore di questa iniziativa,
in un quadro unitario con le altre forze di polizia.
   Ed ora un cenno all'azione di contrasto svolta dall'Arma
dei carabinieri. Pur con le difficoltà appena riferite, l'Arma
dei carabinieri ha svolto e svolge un'attenta azione di
contrasto, come testimoniano, senza alcun trionfalismo, i
risultati che hanno connotato la sua attività. Nei primi otto
mesi dell'anno in corso, durante servizi preventivi e
repressivi sono stati sostenuti 39 conflitti a fuoco con
malviventi, nei quali sono caduti - e mi sembra doveroso
ricordarlo in questa sede - gli appuntati Garofalo e Fava,
trucidati in Calabria il 18 gennaio, e l'appuntato Lampis,
caduto durante un servizio di polizia giudiziaria in Sardegna
il 21 aprile scorso. Sono stati feriti altri 13
carabinieri.
   Va inoltre rilevato che a fronte del calo generale della
delittuosità, cui ho accennato all'inizio della mia relazione,
si è registrato un ulteriore incremento nel numero delle
persone arrestate (33 mila nel primo semestre del 1994 a
fronte dei 29 mila dello stesso periodo del 1993) e del numero
delle persone denunciate a piede libero (207 mila nel 1994 a
fronte di 198 mila nel 1993). In sintesi - e questo è
importante - nel solo primo semestre dell'anno in corso sono
stati inferti significativi colpi a venticinque clan
camorristici campani e ad un sodalizio pugliese, a ventitré
cosche calabresi e a diciassette famiglie siciliane, cui
devono aggiungersi le centinaia di informative di reato che
sono ancora al vaglio dell'amministrazione giudiziaria.
   Qui mi sia consentito un inciso, un po' lungo, ma che
voglio fare. Vale la pena di ricordare che l'attività di
contrasto non è stata limitata alle regioni a rischio (che,
come loro sanno, sono la Sicilia, la Calabria,
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la Sardegna, la Puglia e la Campania) ma è stata estesa
anche alle ramificazioni delle associazioni mafiose in altre
regioni e all'estero. Su queste desidero soffermare un momento
la mia attenzione, anche perché l'evoluzione della criminalità
in queste zone è forse meno nota. Infatti, fuori dalle regioni
d'origine delle principali strutture mafiose (l'ho riportato
in allegato), si può parlare di una vera e propria mafia
trasversale come un fenomeno originale, in quanto si assiste
spesso ad una collaborazione fra diverse organizzazioni o
addirittura tra sodalizi che nell'area di provenienza da anni
sono in conflitto fra loro. Nell'Italia settentrionale questi
sodalizi, che in altre aree confliggono, hanno trovato una
convivenza pacifica, coordinata, armonizzata e operativa fra
loro. L'interesse di mafia, 'ndrangheta, camorra e Sacra
corona unita in tali territori è prevalentemente legato alla
necessità di riciclare i proventi illeciti, con investimenti
altamente redditizi, in zone turistiche e industriali,
mediante l'acquisizione tra l'altro di importanti società che
mi consentirete di chiamare "in fase di decozione".
   In particolare, in Veneto la sentenza conclusiva di primo
grado pronunciata proprio nel luglio di quest'anno dalla corte
d'assise di Venezia costituisce il primo riconoscimento
giuridico ufficiale della connotazione mafiosa della
cosiddetta mala del Brenta, nata dalla pregressa presenza in
zona di sorvegliati speciali siciliani. In Lombardia, operano
in prevalenza soggetti collegati con famiglie sia mafiose sia
della 'ndrangheta, le quali, ben divise e tra loro amalgamate,
hanno costruito nel tempo veri e propri imperi economici,
supportati da società finanziarie con capitali sociali
estremamente elevati. In Piemonte, soprattutto in provincia di
Torino, operano gruppi appartenenti sia alla 'ndrangheta sia a
Cosa nostra. In Liguria, si avvertono sempre con maggiore
frequenza sintomi di infiltrazioni di tipo mafioso, che
assumono caratteri di particolare rilevanza a Genova, nella
provincia di Savona, nei comuni di Sanremo e Ventimiglia,
nonché in generale nella provincia di Imperia, dove le
infiltrazioni sono in questo momento in fase di
accentuazione.
   In Emilia Romagna, le varie forme di criminalità operanti
hanno manifestato due strutture non sempre distinte. Una
prima, definita tradizionale, opera in tutta la regione con
collegamenti nazionali ed internazionali, e si occupa di
grande traffico di stupefacenti, di armi, di esplosivi, di
estorsioni, di prostituzione, di gioco d'azzardo, di usura e
di attività imprenditoriali di notevole spessore. Questa
criminalità tradizionale, nata con l'invio nella regione di
soggiornanti obbligati, rifugge dai reati che possono
polarizzare l'attenzione delle forze dell'ordine e preferisce
riciclare proventi illeciti attraverso attività
imprenditoriali. Una seconda struttura criminale che opera in
Emilia, più recente, può essere definita urbana: oltre a
compiere azioni delittuose, non trascura aspetti razzisti e di
violenza per affermare la sua supremazia; agisce nel capoluogo
e lungo tutta la riviera romagnola.
   La Toscana è una regione che costituisce sempre più un
terreno fertile per le organizzazioni criminose che intendano
ampliare la loro sfera d'influenza e riciclare capitali
illeciti. Secondo le rivelazioni di alcuni collaboratori di
giustizia, personaggi mafiosi avrebbero partecipato
recentemente nella zona di Livorno a riunioni operative per
concordare la spartizione del territorio della fascia
costiera, per evitare dannose contrapposizioni fra diversi
gruppi delinquenziali.
   Per quanto riguarda l'estero, sono sempre più insistenti e
preoccupanti le notizie, riportate anche dagli organi di
informazione, relative all'espansione nei paesi dell'est
europeo delle organizzazioni criminali nazionali. L'apertura
dei mercati dei paesi dell'est europeo, caratterizzati da una
forte crisi, sia economica sia dei valori morali, nonché - e
questo è importante - da una quasi inesistente legislazione
antimafia, avrebbe aperto nuovi orizzonti alle organizzazioni
criminali, offrendo loro ghiotte opportunità di traffici.
L'accesso a tali mercati sarebbe stato reso possibile
soprattutto dal settore manifatturiero, che, direi, è stato
una sorta di pedana di lancio
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per tutte le attività criminali. E' pertanto attuale la
necessità di adottare una strategia complessiva (è quello che
stiamo facendo) di lotta al crimine organizzato, nella
consapevolezza che esso, per sua natura, è dotato di una rete
di rapporti internazionali che gli permettono di inserirsi in
un sempre più elevato numero di settori, condizionando
l'economia legale anche all'estero. Insomma, la lotta alla
mafia si deve combattere, e si può vincere o si può perdere, a
livello non certo nazionale ma internazionale.
   Tornando all'azione di contrasto dell'Arma e chiudendo
l'inciso sulla mafia nel centro-nord, voglio sottolineare che
il nostro impegno è stato notevole anche in materia di misure
di prevenzione personali e patrimoniali, nonché
nell'applicazione dell'articolo 12-quinquies della legge
n. 356 del 1992. Tale impegno si è estrinsecato con il
sequestro di ingenti capitali mobiliari ed immobiliari, per un
valore di 430 miliardi, operato durante i primi sette mesi
dell'anno in corso nei confronti di personaggi ritenuti
inseriti, a vario titolo, in sodalizi di tipo mafioso, con la
richiesta di applicazione di numerose misure di prevenzione
personale.
   Anche nella più generale opera di contrasto alla
criminalità organizzata, non esclusivamente di tipo mafioso,
sono stati raggiunti buoni risultati. Emblematici in questo
contesto sono gli obiettivi raggiunti negli ultimi mesi dal
comando tutela patrimonio artistico, con i recuperi del
dipinto Madonna con bambino di Raffaello e della triade
capitolina; dal nucleo operativo ecologico con l'operazione
"Mare pulito", che ha consentito di accertare oltre 2 mila
violazioni, alcune di tipo mafioso; dal NAS con le indagini
sul traffico di organi umani e di medicinali (ed anche in
questo ambito il limite fra mafia e criminalità comune è
difficilmente distinguibile); dal comando carabinieri tutela
norme comunitarie agroalimentari, con le indagini sull'AIMA,
di cui abbiamo letto gli ultimi sviluppi oggi sul giornale.
   Desidero però precisare che, sul piano organizzativo,
punto di forza dello strumento di contrasto nella lotta alla
criminalità comune ed organizzata si è evidenziata la
consolidata sinergia fra reparti speciali ed Arma
territoriale, la cui spina dorsale rimane sempre la stazione
dei carabinieri, unità di base e importantissimo terminale per
l'individuazione delle metastasi criminali. Sono lieto di
sottolineare che i molteplici successi conseguiti nella lotta
alla criminalità comune e organizzata vanno ricondotti
all'attività di supporto delle stazioni, e più in generale a
tutta l'Arma territoriale.
   So di avere abusato della vostra pazienza ma prima di
concludere voglio soltanto sottoporvi alcune idee propositive.
Per ottimizzare l'attività delle forze dell'ordine e rendere
più incisivi gli strumenti di cui disponiamo, ritengo
opportuno in primo luogo mantenere nelle attuali forme
l'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975,
rivelatosi sicuramente efficace per interrompere il raccordo
operativo tra i mafiosi reclusi e i sodalizi di appartenenza.
Tale necessità è maggiormente sentita in un momento delicato
come l'attuale, che vede entrare nella fase dibattimentale i
maggiori processi contro i massimi livelli delle più
pericolose consorterie mafiose, che devono rispondere di reati
eclatanti come la strage di Capaci. E' un punto fondamentale,
espressione della fermezza dello Stato. In secondo luogo,
occorre promuovere un'interpretazione autentica dell'articolo
18-bis della legge n. 354 del 1975, cosicché la
possibilità di ottenere colloqui investigativi, al momento
limitata al solo personale della DIA, nonché ai servizi
centrali e interprovinciali delle tre forze di polizia, possa
essere estesa a tutti gli ufficiali di polizia giudiziaria. E'
necessario, poi, raccogliere organicamente in un testo unico
tutte le disposizioni promulgate in materia di misure di
prevenzione e di lotta alla criminalità mafiosa, che nel tempo
si sono stratificate, così da renderne più agevole
l'applicazione. Si dovrebbe altresì approvare rapidamente,
come ho già detto, il disegno di legge sull'usura, contenente
disposizioni importanti per contrastare questo pericoloso
fenomeno. Inoltre, sarebbe opportuno applicare anche in
materia di armi e di riciclaggio
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dei beni (nel cui ambito, come sapete bene, sono
codificate le operazioni sotto copertura, gli acquisti
simulati e il differimento del sequestro) gli istituti da
tempo già operanti per la lotta al traffico di stupefacenti,
che riguardano in particolare il ritardo e l'omissione del
provvedimento di cattura o arresto sino a conclusione
dell'operazione, le consegne controllate da e per l'Italia, le
perquisizioni e catture di navi e aeromobili sospetti,
l'affidamento e la destinazione dei beni sequestrati o
confiscati nel corso dell'attività di contrasto. Infine (è
l'ultimo punto, di più stretto interesse per l'Arma dei
carabinieri) sarebbe opportuno sostenere il progetto di
potenziamento delle forze di polizia, condizione
indispensabile per accentuare ulteriormente l'attività di
contrasto in atto.
  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Federici, che ci ha
offerto importanti elementi di analisi. Do ora la parola ai
colleghi che desiderano porre domande.
  GIROLAMO TRIPODI. Desidero innanzitutto ringraziare il
generale Federici per la sua relazione, che ha affrontato con
puntualità una serie di argomenti, nonché per la franchezza
con la quale egli ha esposto difficoltà e limiti che si
possono verificare sul piano sia organizzativo sia delle
disponibilità complessive delle forze incaricate di combattere
efficacemente le organizzazioni mafiose.
   Voglio inoltre dare atto al generale Federici dell'allarme
lanciato circa un tentativo di ripresa dell'attività criminale
dopo i colpi subiti: è un tentativo che stiamo denunciando.
Essendo calabrese, ho già incontrato i nostri ospiti nel corso
di una cerimonia a San Luca domenica scorsa; in proposito
aggiungerò qualcosa dopo, perché credo che quella importante
manifestazione abbia prodotto qualche impressione su di
loro.
   Le affermazioni del generale Federici corrispondono alla
realtà: esiste, da parte della mafia, un tentativo di ripresa
del controllo del territorio, soprattutto nelle zone in cui
essa lo ha in parte perduto a seguito delle operazioni che
hanno colpito la sua potente organizzazione. Il discorso vale
per 'ndrangheta, mafia e Sacra corona unita. La sottolineatura
che il generale ha fatto a premessa della sua relazione,
quindi, mi sembra molto pertinente ed utile per quanto
concerne l'impegno che dobbiamo assumerci con riferimento alle
iniziative, alle proposte, agli strumenti che vanno posti in
essere non soltanto per contrastare la ripresa cui facevo
riferimento ma anche per portare avanti la battaglia
finalizzata alla sconfitta di queste terribili organizzazioni
criminali. Esse, infatti, non soltanto controllano l'economia,
ma la impoveriscono.
   Ho rivisto con piacere, dopo diversi anni, il colonnello
Borruso qui presente, che ha operato per alcuni anni nel
comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria
(provincia della quale conosciamo la realtà). Credo che nel
momento in cui vi sono tentennamenti, o si avvertono
incoerenze nella battaglia da condurre, per quanto riguarda,
per esempio, la difesa di strumenti che abbiamo conquistato -
come l'articolo 41-bis, la legge sui pentiti, quella
sulle indagini patrimoniali e la confisca degli arricchimenti
illeciti - sia necessario il contributo di tutti per chiarire
la volontà di proseguire la battaglia che era stata iniziata.
Questo è un punto fondamentale.
   Desidero ora porre qualche domanda. Ho già detto che lei
ha ricordato la manifestazione che si è tenuta a San Luca in
onore del brigadiere Tripodi, assassinato dalla mafia. Debbo
dire che sono rimasto costernato per il fatto che una
manifestazione di quel tipo, in cui si intitolava una piazza e
si inaugurava una stele alla memoria di questo sottufficiale
che ha dato la vita per compiere il suo dovere contro la mafia
in un centro molto difficile, ci siamo trovati in una
situazione in cui (a parte lei, che ha svolto, com'era giusto,
un intervento appropriato) ascoltando il sindaco, non si
capiva bene il motivo della manifestazione, cioè se essa fosse
in onore di un caduto per infarto oppure indetta per qualche
altro motivo.
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   Doveva essere un momento simbolico dell'impegno e del
messaggio da lanciare alle popolazioni e a tutti i sindaci per
condurre questa battaglia. Ci siamo invece trovati (questo è
il fatto che mi ha costernato) di fronte ad alcune
affermazioni in cui non si diceva una parola sulla mafia,
sulla criminalità organizzata o sul potere criminale. Non mi
riferisco naturalmente al generale Federici, come ho già
detto.
  PRESIDENTE. Senatore Tripodi, le ricordo che alla Camera
sono imminenti votazioni in Assemblea, per cui la invito a
sintetizzare il suo intervento.
  GIROLAMO TRIPODI. Se sono in corso votazioni in
Assemblea, non si dovrebbe convocare la Commissione in
concomitanza con tali votazioni e sarebbe preferibile
individuare un'altra soluzione.
   Come dicevo, non si possono organizzare manifestazioni di
quel tipo senza mettere in risalto il contributo di chi paga
con la vita per combattere la mafia e inoltre parlando
dell'atto di qualche sconsiderato, come ve ne sono in tutta
Italia. Questo non è vero e dobbiamo precisarlo.
   Mi sono trovato in una situazione analoga anche a Platì,
dove ho partecipato a una manifestazione per esprimere
solidarietà ai carabinieri, che erano stati assediati.
Nonostante si sia trattato di un fatto assai grave, si è quasi
criminalizzato lo Stato, che pure ha delle responsabilità
(perché non ha combattuto la mafia oltre che per i problemi
sociali ed economici); ma la manifestazione aveva un altro
significato, non quello di protestare per la mancanza di una
scuola o di una strada o per gli effetti di un'alluvione. Mi
pare che questo atteggiamento sia emerso anche a San Luca.
   Il sindaco ha parlato, inoltre, di conciliazione
nazionale: ma quale conciliazione nazionale e con chi?
  VITO CUSIMANO. Questo aspetto è grave.
  PRESIDENTE. Senatore Tripodi, la prego di non fare
polemiche e di concludere il suo intervento.
  GIROLAMO TRIPODI. Non è forse grave parlare di
riconciliazione nazionale con la mafia?
   Ho sentito anche un'affermazione secondo cui in passato si
è cercato di "marchiare" San Luca; non so di quale marchio
possa trattarsi.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Questo mi sembra un processo alle
intenzioni.
  GIROLAMO TRIPODI. Non è un processo alle intenzioni,
queste cose sono state dette.
  PRESIDENTE. Concluda il suo intervento, senatore
Tripodi.
  GIROLAMO TRIPODI. Queste cose sono state dette e sono
scritte. In questo momento, comunque, non sto accusando
nessuno ma sto dicendo che occorre essere più espliciti nel
momento in cui dobbiamo combattere la mafia: non si può,
infatti, dire che si tratta di sconsiderati, come ha affermato
il sindaco, dal momento che sono state organizzazioni mafiose
ad uccidere il brigadiere Tripodi, così come sono stati
mafiosi ad uccidere i due carabinieri quella notte
sull'autostrada ed a commettere un attentato contro altri due
carabinieri sulla circonvallazione di Reggio Calabria.
  PRESIDENTE. La prego ancora una volta di concludere il
suo intervento, in modo che il generale Federici possa
risponderle.
  GIROLAMO TRIPODI. Il generale Federici ha parlato del
problema della presenza permanente sul territorio; credo che,
con riferimento alla chiusura delle caserme dalle 20 alle 8,
si debba adottare qualche accorgimento, perché nelle zone ad
alto rischio occorre garantire la presenza continua dei
carabinieri. E' necessario prestare maggiore attenzione a tale
aspetto anche se, naturalmente, non intendo fare un elenco dei
luoghi in cui vi è una maggiore o una minore presenza dei
carabinieri; dico semplicemente che il problema va considerato
con attenzione, perché
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spesso la gente si rivolge alle caserme e non trova
nessuno.
   In ordine alla questione delle "vacche sacre", lei ha
denunciato che lì si è dimostrato per lungo tempo il cedimento
da parte dello Stato, che ha consentito che la piana di Gioia
Tauro (ma ora il discorso vale per buona parte della Calabria)
fosse invasa dalle vacche, che sono sacre soltanto perché non
sono mai state cacciate dal pascolo abusivo; si tratta di
vacche della mafia.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Vi è stato un tentativo di eliminarle, ma
abbiamo avuto dei guai.
  GIROLAMO TRIPODI. Lo so, e ricordo che alcuni anni fa il
procuratore della Repubblica di Palmi, dottor Tuccio, aveva
emanato un decreto su nostra sollecitazione; io ero sindaco di
un comune della zona, e anche dopo essere stato eletto in
Parlamento ho continuato a battermi per tale questione. I
contadini continuano però a subire questa sopraffazione: essi
coltivano e le vacche distruggono o divorano il prodotto.
Vorrei allora sapere se sia possibile dare finalmente un
segnale per precludere ai mafiosi la possibilità di far
pascolare le loro vacche dove vogliono, vanificando le fatiche
e gli investimenti dei produttori.
   L'altra questione - e concludo - è quella relativa a ciò
che è accaduto sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Ho
saputo che esiste un accordo a livello nazionale che impedisce
ai carabinieri di vigilare sulle autostrade, in cui l'intera
attività di vigilanza, a seguito di questo accordo di
ripartizione, competerebbe alla polizia stradale, che però
dispone soltanto di quattro pattuglie da Lagonegro a Reggio
Calabria. Si tratta di una zona in cui si sono verificati in
passato molti altri episodi, culminati ora nel vergognoso
assassinio di un bambino.
  PRESIDENTE. La invito a concludere, perché altrimenti
non potremo partecipare alle votazioni in aula.
  GIROLAMO TRIPODI. Poiché lei ha parlato di
organizzazione - è un aspetto molto importante - vorrei sapere
quali siano il livello di coordinamento ed i rapporti con le
altre forze e se lei giudichi positivamente l'idea di
ripartizione del territorio tra la polizia di Stato e i
carabinieri, oppure ritenga che si debbano individuare altre
soluzioni.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Innanzitutto voglio ringraziarla, senatore
Tripodi, perché lei era uno dei presenti alla manifestazione
di San Luca; tuttavia, al di là delle delusioni che lei ha
riportato, mi consenta di dire che ho tratto un grande
conforto, non tanto da quello che è stato detto, quanto
piuttosto dalla partecipazione: ho visto una presenza di
parlamentari e di amministratori locali che mi ha confortato,
tanto che ho iniziato il mio discorso dicendo: "Qui oggi non
c'è San Luca, ma tutta l'Italia, intorno a voi", perché in
effetti c'era tutta l'Italia.
   E' molto importante una presa di coscienza di questa
realtà, al di là di quelli che possono essere gli interessi
locali della Calabria, che pure bisogna comprendere.
   Ho dedicato molto del mio tempo a questa regione e mi sono
recato varie volte a Platì e a San Luca proprio perché so che
si tratta di posti di frontiera. Mi rendo anche conto che i
problemi di quelle aree non si risolvono radicalmente con
operazioni repressive di polizia, o almeno non solo con
queste, perché occorre ben altro.
   Allora, proprio l'altro giorno - forse debordando un po'
dai nostri compiti istituzionali - ho raccomandato al
comandante della regione Calabria di prendere contatto con il
provveditore affinché ogni tanto un ufficiale dei carabinieri
o un rappresentante della Polizia di Stato si rechi nelle
scuole a raccontare cosa è, cosa fa e cosa deve fare lo Stato
e chi ne è l'espressione.
   Per quanto riguarda le stazioni dei carabinieri,
ribadisco, come ho già detto in precedenza, che esse sono
ripartite in tre classi: il 50 per cento (2.500-2.600)
rientrano - ahimé - nella prima fascia e sono
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aperte per otto ore al giorno, il 25 per cento (circa mille)
sono inserite nella seconda fascia e l'altro 25 per cento
(altre mille) nella terza fascia; queste ultime sono aperte 24
ore su 24. Per esempio, le stazioni di San Luca, Platì e
Bovalino (le prime che mi vengono in mente) sono tutte e tre
stazioni di terza fascia. Non vi è dubbio che l'obiettivo che
perseguiamo è quello di arrivare ad almeno il 50 per cento
delle stazioni di terza fascia.
   Per quanto riguarda l'autostrada Salerno-Reggio Calabria,
lei sa che tutti auspichiamo uno stretto coordinamento tra le
varie forze dell'ordine; nell'ambito di tale coordinamento
sono suddivise le competenze relative al controllo del
territorio, fra le quali è previsto che sulle strade urbane,
provinciali, comunali e così via operino i carabinieri, e
sull'autostrada sia competente la Polizia di Stato.
   Siccome il recente dolorosissimo episodio ha colpito
fortemente l'opinione pubblica, posso aggiungere che subito
dopo l'incontro a San Luca ho convocato un vertice con gli
ufficiali dell'Arma ed ho incontrato il prefetto e il
questore; abbiamo deciso di intensificare il controllo del
tratto autostradale, purtroppo a posteriori. L'Arma dei
carabinieri ha anche intensificato i controlli sui raccordi
autostradali. Questo è quanto concerne l'attivita
organizzativa.
   Sotto il profilo investigativo, posso dire che, mentre
siamo riuniti in questa sede, è in corso a Cosenza una
riunione congiunta (un'altra si sta svolgendo a Reggio
Calabria) per cercare di mettere a punto e di coordinare
l'attività investigativa relativa a questo delitto, mentre lo
SCO, il servizio centrale della Polizia di Stato, sta
esaminando, come avrete appreso dalla televisione, un filmato
che è stato ripreso automaticamente in un autogrill
sull'autostrada, dal quale si spera possa emergere qualche
elemento importante. Fino a ieri sera non era emerso alcun
elemento sicuro.
   Per quanto concerne le "vacche sacre", si tratta di un
problema che si trascina da anni: ve ne sono circa 2 mila che
circolano liberamente nel territorio per affermare l'autorità
di determinati clan sul territorio stesso.
   A seguito della denuncia di un privato cittadino, che
aveva visto le "vacche sacre" pascolare nel suo campo di
grano, i carabinieri sono intervenuti, hanno catturato circa
60 vacche e le hanno messe in una stalla; non essendo stato
possibile rintracciare il proprietario, i carabinieri si sono
trovati a gestire per circa un mese una sessantina di vacche,
che dovevano essere accudite e munte ogni giorno (questa è la
verità; consentitemi la battuta). Alla fine, in preda alla più
nera disperazione, il prefetto ha deciso di vendere le vacche
attraverso un'asta sul posto, che però è andata deserta.
L'asta è stata allora estesa a livello nazionale e mi sembra -
se non sbaglio - che le vacche siano state acquistate da un
macellaio di Verona, ma non sono certo che siano arrivate in
quella città. Questa è la situazione.
   Anche di questo problema abbiamo parlato con il prefetto e
abbiamo cercato di definire una strategia, ipotizzando, al
limite, l'abbattimento delle "vacche sacre" sul posto, perché
si tratta di un problema. La realtà è, come dicevo in
precedenza, quella del controllo fisico e materiale del
territorio.
   Credo di aver fugato tutti i dubbi del senatore Tripodi o
almeno di aver trattato tutti gli argomenti da lui
sollevati.
  GIANVITTORIO CAMPUS. Signor generale, mi congratulo
anch'io con lei (ma dobbiamo guadagnare tempo); innanzitutto,
essendo sardo, mi consenta di ringraziarla perché lei ha
citato la Sardegna tra le regioni a rischio, e questo
costituisce la garanzia che l'Arma dei carabinieri manterrà,
anche nella mia isola, la giusta attenzione verso la necessità
di stroncare le attività di criminalità organizzata.
   Desidero rivolgerle due brevi domande, signor generale,
una delle quali è relativa al bilancio dell'Arma, che sappiamo
essere inserito nel bilancio globale della difesa, di cui
rappresenta una quota intorno al 21-22 per cento: vorrei
sapere quanto i continui tagli apportati al bilancio della
difesa (a volte per necessità ed altre volte,
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soprattutto negli anni scorsi, più per ragioni demagogiche e
strumentali che sulla base di una realtà economica) incidano
su quello dell'Arma; se è così, le chiedo se non sarebbe il
caso di prevedere, nell'ambito del bilancio della difesa, lo
stralcio di un budget fisso, cioè non decurtabile sulla
base di necessità finanziarie contingenti, per l'Arma, che
svolge la funzione che lei ci ha brillantemente esposto.
   Mi consenta poi, signor generale, una piccola nota: lei ha
parlato del fatto che i NAS sono intervenuti con indagini sul
traffico di organi. Si tratta di una contestazione che ho già
fatto al ministro Guidi: in Italia non esiste traffico di
organi; a quel che mi risulta, l'unica indagine reale è stata
svolta sul traffico di cornee, che non è un traffico di
organi. Queste notizie, come ho avuto modo di riferire al
ministro Guidi, creano uno stato di allarme nella popolazione
e riducono ancora di più la possibilità di donazioni.
Cerchiamo quindi di non drammatizzare tale aspetto, perché in
questo campo siamo già un "fanalino di coda", e notizie del
genere non giovano certamente alla campagna che tentiamo di
impostare per incentivare le donazioni di organi.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Innanzitutto la ringrazio. Mi riferivo
esattamente alle cornee: credevo che con il termine organi si
intendessero anche le cornee, invece ho scoperto che organi
non sono. Da oggi in poi le chiameremo specificamente
cornee.
   Rispondo ora all'argomento più importante che lei ha
toccato. Onorevole Campus, visto che lei è sardo, mi consenta
di affermare che in Sardegna attiveremo al più presto una
quindicina di piccole stazioni di carabinieri distribuite
nelle zone più isolate: alcune stanno per essere completate,
molte lo sono già mentre altre lo saranno fra breve, e saranno
attivate quanto prima.
   Per quanto attiene al bilancio dell'Arma, il capo di stato
maggiore della difesa e i capi di stato maggiore delle forze
armate sono abbastanza saggi, anche perché io faccio la mia
parte, e il bilancio dell'Arma non viene assolutamente toccato
dalle decurtazioni. La ringrazio molto, comunque, della
sensibilità che ha avuto nel formulare questa domanda.
  GIUSEPPE ARLACCHI. La ringrazio per la sua relazione,
generale Federici, e le chiedo il suo parere in ordine alla
divisione dei compiti o degli ambiti territoriali tra polizia
e carabinieri. In sostanza, vorrei conoscere la sua opinione
franca, per quanto possibile, e sintetica sul progetto, spesso
ventilato, per risolvere l'annosa duplicazione tra polizia e
carabinieri come forze generali di sicurezza trasformandole in
forze specializzate per competenza o per territorio.
   La seconda questione che vorrei affrontare concerne
l'eventuale dipendenza dei carabinieri dal Ministero
dell'interno: come lei sa, ogni tanto si discute di questa
possibilità; vorrei conoscere la sua posizione e quella -
presumo - dell'Arma dei carabinieri in ordine a questo
punto.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Comincerei a rispondere in ordine al
coordinamento, argomento che richiede qualche secondo in più,
in quanto attiene all'aspetto più qualificante di ogni
attività operativa. Vorrei innanzitutto smentire che esso
rappresenti un problema: il coordinamento è invece un'attività
direzionale, necessaria a tutti i livelli, anche nell'ambito
dell'Arma dei carabinieri; un coordinamento infatti deve
essere effettuato fra l'attività dei reparti operativi, le
stazioni carabinieri e le compagnie carabinieri, fra i reparti
speciali e quelli territoriali. Certamente l'attività di
coordinamento diventa sempre più difficile man mano che
aumenta il numero dei soggetti da coordinare. Ecco perché - mi
consenta di esprimere una mia opinione personale - occorre
combattere la tendenza, attualmente sempre più diffusa, ad
istituire delle polizie speciali o, con termine moderno, delle
task force per combattere aspetti particolari della
criminalità organizzata, altrimenti rischiamo di trovarci nei
guai. Non dobbiamo dimenticare anche che Arma dei carabinieri
e Polizia
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di Stato sono forze dell'ordine di polizia a competenza
generale, hanno quindi il dovere di intervenire su tutte le
violazioni delle legittimità senza avere la facoltà di
discriminare il contenuto.
   A questo punto, per affrontare più da vicino la questione
del coordinamento, va detto che esso sostanzialmente riguarda
due settori: in primo luogo, quello dell'ordine, della
sicurezza pubblica e del controllo del territorio e, in
secondo luogo, quello dell'attività di polizia giudiziaria.
Così risponderò ai due quesiti in ordine all'opportunità che
l'arma rientri nelle competenze del Ministero dell'interno.
Come sapete, per quanto riguarda l'ordine, la sicurezza
pubblica ed il controllo del territorio gli organi di
coordinamento sono il Comitato nazionale sull'ordine e la
sicurezza pubblica, il Consiglio nazionale sulla criminalità
organizzata, i comitati provinciali sull'ordine e la sicurezza
pubblica. Secondo me - è un parere assolutamente personale -
sono strumenti efficaci per definire una comune strategia di
contrasto. Quelle che possono diversificarsi sono le modalità
di azione dei singoli strumenti operativi che agiscono in
stretta integrazione (mi ha fatto piacere la domanda formulata
dal senatore Tripodi), espressione e dimostrazione
dell'attività di coordinamento, ma ciascuno strumento opera
con la propria peculiare professionalità, in uno spirito di
emulazione che a mio giudizio è foriero di stimoli operativi e
anche motivo di successo.
   L'aspetto che qui mi preme sottolineare, proprio perché è
stato trattato in questa sede, è quello della dipendenza
dell'Arma dei carabinieri, strettamente legato (o meglio,
spesso lo si vuole legare) alla questione del coordinamento.
Come sapete, l'Arma dei carabinieri, quale forza armata di
pubblica sicurezza, dipende già a tutti gli effetti,
operativamente, dal ministro dell'interno, il quale ha la
possibilità di disporne l'impiego, per quanto attiene
all'ordine pubblico e al controllo del territorio, come meglio
crede e senza chiedere il preventivo parere ad alcuno. Non mi
sembra quindi suffragata da concreti elementi di valutazione
la tesi secondo cui l'Arma, per inderogabili esigenze di
coordinamento, dovrebbe passare alle dipendenze del Ministero
dell'interno. Se anche ciò avvenisse, resterebbero immutati i
rapporti funzionali esistenti; continuerebbe a dipendere dal
Ministero dell'interno per i problemi di ordine pubblico, di
sicurezza pubblica e di controllo del territorio, come già
avviene attualmente. Muterebbe soltanto l'autorità
responsabile della preparazione dello strumento: Ministero
dell'interno anziché Ministero della difesa.
   Credo che ognuno di noi sia geloso delle proprie radici;
anche l'Arma lo è. Temiamo che il transito al Ministero
dell'interno possa, in prospettiva, mettere in discussione
l'esistenza di due distinte forze di polizia a competenza
generale, che è il frutto di una scelta democratica del nostro
paese e che è riscontrabile in un altissimo numero di paesi
democratici del mondo: Francia, Olanda, Spagna, Portogallo,
Lussemburgo e molti altri paesi non europei adottano la stessa
struttura. Con ciò non voglio certo negare l'esistenza di
problematiche di coordinamento, soprattutto a livello
periferico: esistono, infatti, e spesso sono dovute a carenze
di operatori locali, che noi non vogliamo disconoscere. A mio
parere, le carenze di coordinamento possono però essere
adeguatamente risolte, sul piano generale, mediante la
razionale distribuzione delle forze sul territorio - rispondo
così alla domanda - secondo i criteri già previsti dal decreto
del ministro dell'interno del 1992: una gravitazione sulle
aree non urbane, cioè sui comuni rurali, dell'Arma dei
carabinieri, e sui maggiori centri provinciali delle forze di
polizia. Si tratta di un fatto che già avviene e che stiamo
cercando di perseguire, tant'è che tutte le volte che viene
richiesta la costituzione di un commissariato di polizia in
un'area periferica, prima di concedere l'autorizzazione il
Ministero dell'interno - dipartimento di pubblica sicurezza -
chiede il parere all'Arma dei carabinieri; quest'ultima lo
esprime, viene potenziata magari la stazione carabinieri o la
compagnia e il commissariato non viene costituito. Viceversa
accade per i centri urbani.
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   A mio avviso, gli errori esistenti sul coordinamento in
sede periferica possono essere corretti sul piano
internazionale, accentuando la composizione interforze di
tutti gli organismi di intelligence che operano a
livello nazionale ed internazionale, come per esempio
l'Interpol. Ci stiamo muovendo in questo senso. Infine, è
indispensabile diffondere ai minimi livelli, durante tutta la
fase formativa del personale, la cultura del coordinamento;
potremmo diramare infatti mille circolari e direttive, ma se
il personale che le deve applicare non ne è convinto, il
coordinamento non ci sarà mai.
   Per quanto attiene, invece, all'ordinamento di polizia
giudiziaria, il problema non esiste perché, come lei sa bene,
tutta l'attività di polizia giudiziaria viene coordinata dal
magistrato competente per territorio, che è l'unico a
decidere, secondo autonome valutazioni, quale forza di polizia
debba intervenire, in che termini, con quali mezzi. Lei sa
bene che il magistrato deve essere a conoscenza dell'avvio
delle indagini preliminari e deve procedere.
   Aggiungo, per chiarezza, che in questo quadro si collocano
anche i rapporti fra i reparti speciali investigativi, cioè
fra DIA, SCO, ROS e GICO. Anche qui è bene dire che per quanto
attiene alle investigazioni preventive non ci sono dubbi:
tutti i reparti investigativi speciali devono concorrere
all'aggiornamento delle mappe della criminalità organizzata.
Lei sa bene che per aggiornare le mappe criminali presso il
Ministero dell'interno esiste un gruppo di lavoro interforze
che raccoglie i dati provenienti dai terminali di questi
organismi di contrasto; tali dati confluiscono poi presso un
sistema informatico che si chiama "Orso", che lei certamente
conosce (oggi siamo costantemente aggiornati su 40 mila
elementi). Quindi, esiste un coordinamento a monte, mentre fra
DIA, SCO, GICO e ROS, per quanto attiene alle investigazioni
giudiziarie, l'unico elemento responsabile del coordinamento è
il magistrato, il quale, come spesso avviene e come lei sa, ha
la facoltà di far convogliare più indagini su uno stesso
obiettivo oppure di frenare un'indagine in attesa che un'altra
sullo stesso filone possa concludersi per raggiungere un
obiettivo più consistente.
   Senza polemiche e con grande sincerità, sapendo di
interloquire con una persona che conosce profondamente questi
problemi, ritengo che il coordinamento esista già in misura
soddisfacente. Certamente, è perfettibile e guai se non
facessimo il possibile per perfezionarlo. E' perfettibile
affinando sia la dislocazione di forze sul territorio, come
lei accennava, sia le regole e le procedure. E' quello che
stiamo cercando di fare d'intesa con le altre forze di
polizia.
  RENATO MEDURI. Generale Federici, come calabrese e come
reggino in modo particolare, anzitutto desidero ringraziare
lei e l'Arma: negli ultimi 10-15 anni l'Arma ci ha dato ottimi
comandi provinciali - uno migliore dell'altro - e in Calabria
lei è ormai di casa, il che significa un'attenzione
particolare verso la nostra terra. Come reggino poi, e chiudo
questa piccola premessa, non dimentico mai che nel 1970 -
quando i famosi moti di Reggio Calabria resero necessario il
ricorso alla repressione - diversa fu tra le forze dell'ordine
la posizione dei carabinieri, tanto che pure in quelle
giornate terribili essi erano le persone più amate a Reggio
Calabria.
   Le porrò alcune domande, dopo aver condiviso con lei i
segnali estremamente positivi che sono giunti domenica da San
Luca, dove - l'avrà notato perché erano di fronte a lei su una
collinetta - cittadini umilissimi applaudivano, direi
freneticamente, il comandante generale dell'Arma dei
carabinieri; ciò è accaduto alla vista di tutti, e non era
facile in un paese come San Luca e in un clima come quello. In
altre parole, dobbiamo smetterla di piangerci addosso, perché
abbiamo la potenzialità di migliorare la situazione, anche con
il contributo dell'Arma e - perché no? - di un generale dei
carabinieri che rivolgendosi alla gente del luogo pronuncia un
discorso non arido ma pieno di pathos. In
quell'occasione, a San Luca si sono incontrati tanti
amministratori - lei ha visto
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quanti sindaci c'erano - i quali sono arrivati e partiti con
le loro macchine, senza scorte, contrariamente a quanto a
volte ha fatto qualche parlamentare.
   La prima domanda attiene all'apertura delle stazioni dei
carabinieri. Credo che in Calabria si debba aumentare di molto
il numero delle stazioni con apertura 24 ore su 24. Voglio
citare il caso di Bagnara Calabra, una cittadina che ha un
porto, per cui presenta rischi provenienti anche dal mare e
che è divenuta uno dei principali approdi per la droga ed oggi
anche per il commercio degli immigrati (ritengo infatti che si
sta quasi aprendo un commercio in questo campo). Ripeto: in
Calabria bisogna aumentare, probabilmente estendendole a
tutte, il numero delle caserme aperte 24 ore su 24, perché in
certi centri anche dalle piccole cose possono venire le
grandi. Proprio a Bagnara mi è capitato di assistere una sera
all'aggressione nei confronti del proprietario di un bar,
finita con una terribile rissa. Ho telefonato personalmente
per fare arrivare i carabinieri, dopo essere andato alla
caserma, che ho trovato chiusa. Mi ha risposto, al numero
indicato, il comando di Catanzaro, e mi sono sentito dire:
"Dovete telefonare a Palmi". Allora ho risposto: "Guardi, se
vuole telefonare, lo faccia lei, perché a questo punto quel
poverino l'avranno già ammazzato". Questo per sottolineare la
difficoltà dell'intervento e quindi l'esigenza di provvedere
soprattutto in alcune zone - per esempio, in quelle marine,
per i rischi specifici cui sono esposte - all'apertura delle
stazioni 24 ore su 24.
   La seconda domanda riguarda l'AIMA. Lei ci ha
opportunamente ricordato - lo abbiamo letto proprio oggi -
l'arresto di un pezzo grosso dell'AIMA. Le chiedo quindi se
soprattutto in Calabria - ma penso anche in Sicilia - non sia
importantissimo avviare indagini molto circostanziate
sull'operato dei centri AIMA periferici, perché penso partano
proprio da lì - lo abbiamo letto anche nel dossier che
ci ha fornito la baronessa Cordopatri, a proposito delle
integrazioni incassate dai Mammoliti su terreni di proprietà
della stessa Cordopatri - i principali affari. Secondo me
vanno svolte indagini, anche perché a Reggio Calabria, l'anno
scorso e due anni fa, ci sono stati delitti eccellenti di
personaggi e di dirigenti di associazioni collegate all'AIMA
(penso, per esempio, al delitto Criseo).
   La terza questione concerne i controlli autostradali, non
tanto e non solo in riferimento a quel che è successo a Vibo.
Tra l'altro, abbiamo una sorta di sfortuna, quasi di nemesi, a
Reggio Calabria, perché nonostante l'omicidio sia avvenuto tra
i caselli di Vibo e di Mileto, quindi in provincia di
Catanzaro, la televisione ha parlato della provincia di Reggio
Calabria. Ma questo è solo un inciso.
   In passato, in uno dei delitti più ricorrenti e più
indegni come quello del sequestro di persona - che
fortunatamente è divenuto più raro in questo ultimo periodo -
è accaduto quasi sempre che i sequestrati della Brianza siano
arrivati nelle campagne di San Luca o di Platì
sull'Aspromonte. Poiché è impensabile che siano stati
trasportati in aereo, credo che debbano essere aumentati i
controlli, perché in grado senz'altro di creare maggiori
remore. D'altro canto, il tragico episodio del piccolo
Nicholas è avvenuto in una zona dove avvengono quasi
quotidianamente queste aggressioni, addirittura furti di TIR
carichi di materiale, che scompaiono in modo incredibile.
Torno quindi a sottolineare di intensificare questo tipo di
controlli.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Senatore Meduri, innanzitutto mi consenta di
ringraziare anche lei per la sua presenza a San Luca. Io ho
riportato gli stessi sentimenti. Tornerò quanto prima a Platì
e a San Luca, perché i carabinieri hanno bisogno di
solidarietà.
   Comincerò dall'ultimo argomento da lei trattato, quello
dei controlli autostradali. Le assicuro che proprio nella
riunione che abbiamo tenuto domenica abbiamo deciso di
compiere ogni sforzo per il controllo delle autostrade ed
anche delle strade normali. Le posso dire che questa notte c'è
stato un conflitto a fuoco in Calabria
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fra carabinieri e rapinatori di un TIR, i quali avevano
sequestrato il proprietario e stavano partendo con il mezzo.
E' avvenuto questa notte. Il conflitto a fuoco non ha avuto
esiti letali per nessuno, e per quanto ci riguarda abbiamo
assicurato alla giustizia i due rapinatori. Quindi, è
un'esigenza impellente quella di un maggior controllo delle
strade e delle autostrade, anche perché esse sono il luogo dei
vari traffici. L'assassinio dei due carabinieri Garofalo e
Fava ed il ferimento di altri due sono avvenuti lungo una
strada di grande traffico dove pare - dagli elementi che
stanno emergendo - che fosse in atto un grosso traffico di
armi. Non c'è dubbio che il controllo delle strade,
soprattutto nelle ore serali e notturne, debba essere uno dei
maggiori punti di attenzione delle forze dell'ordine.
   Sull'AIMA mi limito a prendere nota senza far cadere nel
vuoto questa sua segnalazione. Abbiamo un reparto molto
inserito in questo settore, che è quello che ha effettuato le
indagini sull'organizzazione centrale dell'AIMA; segnalerò di
approfondire la situazione con riferimento ai centri AIMA
periferici.
   Per quanto riguarda l'apertura delle stazioni 24 ore su
24, lei sfonda una porta aperta: è il primo obiettivo che ci
poniamo. Prenderò nota del caso della stazione di Bagnara
Calabra ed esamineremo se sia possibile un intervento di
potenziamento in tempi brevi.
  ANTONIO DEL PRETE. Signor generale, innanzitutto mi
consenta di renderle testimonianza di apprezzamento per quanto
ha detto e per quanto fa. Tema della mia domanda sarà la
difesa del territorio, in particolare delle coste pugliesi (le
brindisine e le salentine).
   La mia Puglia - sono tarantino - è schiacciata fra la
Calabria e la Campania e in parte è feudo della Sacra corona
unita. Premesso che arrivano sulla costa pugliese, in
particolare su quelle salentina e brindisina, miriadi di
imbarcazioni cariche di albanesi, di nordafricani e di
cingalesi, che raramente vengono bloccate, e che lei, signor
generale, ha saggiamente parlato - e l'ho apprezzato - di
collaborazione trasversale della criminalità organizzata, le
chiedo se questa trasversalità non possa attenere anche ai
rapporti internazionali. Il business del trasporto dei
profughi, al quale faceva riferimento il collega Meduri, non
può essere collegato al traffico delle armi e della droga,
nonché alla prostituzione? Non può essere un campo individuato
di attività criminale e, soprattutto, un bacino di utenza per
la raccolta della manovalanza?
   Vorrei conoscere da lei le risposte dell'Arma dei
carabinieri a questi fenomeni.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Il tema da lei proposto, che riguarda
l'immigrazione più in generale, con particolare riferimento
all'area che le interessa più da vicino, è di particolare
attualità. Innanzitutto le posso dire che noi riteniamo che
sul territorio nazionale oggi ci siano più di 2 milioni di
immigrati, anche se è difficile fare una valutazione precisa
poiché il loro numero è in costante aumento; personalmente non
esiterei ad affermare che siamo intorno ai 3 milioni, almeno
la metà dei quali in condizione di irregolarità. Per quanto
riguarda i reati commessi dagli immigrati, senza voler
discriminare nessuno, è comunque certo che il 15-20 per cento
degli immigrati è pregiudicato per reati commessi sul suolo
nazionale.
   I provvedimenti che abbiamo proposto per contenere il
fenomeno dell'immigrazione, sulla base di studi compiuti
insieme al ministro per gli affari sociali prima e al ministro
per la famiglia adesso, riguardano tre filoni di intervento.
Il primo concerne la possibilità di arginare il fenomeno
all'origine; il secondo mira a rendere più complesso
l'ingresso degli stranieri nel nostro paese; il terzo è volto
a rendere più pratica e concreta la possibilità di
espulsione.
   Prima di tutto ritengo che potrebbe essere utile, nei
paesi che sappiamo essere la principale fonte di provenienza
degli immigrati, una propaganda relativa alle reali
possibilità occupazionali in Italia. E' bene che la gente
sappia che qui non trova il
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paradiso terrestre. Sarebbe poi molto utile un'attività di
intelligence dei servizi di sicurezza, specie nelle aree
a maggior rischio, tale da consentirci di conoscere almeno i
tempi, l'entità ed i pericoli dell'afflusso degli immigrati
per non essere colti di sorpresa come è avvenuto quando sulle
coste di Bari sono arrivati i primi 2 mila profughi
provenienti dall'Albania. A mio parere, quindi, una
particolare attenzione dei servizi di sicurezza in questo
settore è determinante.
   Vi sono poi alcuni provvedimenti di carattere tecnico, che
mi limito a citare rapidamente: l'introduzione dell'obbligo
del visto, l'adozione di nuove formule di richiesta e di nuove
vignette-visto che rendano possibile l'informatizzazione dei
dati e più difficile la distruzione dei tesserini; l'aumento
dei diritti consolari per il rilascio dei visti; la
subordinazione della concessione del visto al possesso di
adeguati mezzi finanziari.
   Per rendere più complesso l'ingresso nel nostro paese
occorre informatizzare i valichi di frontiera e dotarli di
lettori ottici per la lettura della banda alfa-numerica dei
nuovi visti. E' necessario, inoltre, migliorare il controllo
delle coste e dei confini terrestri facilmente accessibili.
   Si tratta comunque di problemi all'ordine del giorno; il
nuovo commissario straordinario per l'immigrazione ha indetto
riunioni di coordinamento con i prefetti, i rappresentanti
della marina militare, dell'Arma dei carabinieri e della
Guardia di finanza per coordinare i vari mezzi disponibili.
   Per quello che riguarda più direttamente i carabinieri, il
livello di attenzione a questi problemi è molto alto e ci
stiamo muovendo in questa direzione. Abbiamo potenziato la
presenza di motovedette in particolare in Sicilia, a
Pantelleria, a Lampedusa e in Puglia. Siamo in attesa di altre
28 motovedette di altura, imbarcazioni che riescono a muoversi
in un raggio abbastanza vasto nelle acque territoriali, per
concorrere più efficacemente, insieme alla Guardia di finanza
e alla marina, al controllo del territorio.
   Sono poi necessari un inasprimento delle norme di
soggiorno ed una semplificazione delle pratiche di espulsione.
Attualmente, infatti, ad uno straniero che venga trovato non
in regola con le norme di soggiorno viene intimato,
lasciandolo in libertà, di abbandonare il paese entro 15
giorni. Entro 15 giorni quello straniero può prendere il volo;
quindi è indispensabile individuare misure più concrete. In
Francia, per esempio, è stato istituito un premio in denaro
con il quale pagano allo straniero il viaggio di rientro,
quindi lo imbarcano direttamente. Inoltre gli immigrati hanno
imparato la via rappresentata dal ricorso al TAR con la
richiesta di sospensiva, che ormai è diventata
un'abitudine.
   Certamente a questo fenomeno, come ho detto prima, sono
collegati fenomeni di criminalità, di varia natura, cospicui,
il più preoccupante dei quali in questo momento è quello della
prostituzione.
  ANTONIO DEL PRETE. E delle armi!
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Il problema della prostituzione non preoccupa
tanto per la presenza di 30 mila prostitute, quanto perché il
15-20 per cento di esse sono portatrici di AIDS. E' quindi un
problema sociale e sanitario da non sottovalutare.
  FRANCESCA SCOPELLITI. Per mancanza di tempo, non certo
di sentimenti, tralascio il preambolo dei ringraziamenti, per
affrontare rapidamente due questioni.
   La prima riguarda l'apertura delle caserme 24 ore su 24.
In proposito, non posso nascondere la mia perplessità rispetto
a quella che mi sembra di poter definire una sindacalizzazione
delle caserme dei carabinieri che invece, nella mia mente,
dovrebbero essere strumenti al servizio della società. Mi
spaventa il fatto che a un certo punto, come gli sportelli
degli uffici postali, vengano chiuse perché è scaduto
l'orario. Comprendo le difficoltà, ma, considerato che in
Italia uno dei problemi più gravi è rappresentato dalla
disoccupazione giovanile, vorrei conoscere qual è il rapporto
tra domanda e offerta di lavoro
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in questo settore. Lei ha affermato che l'orario limitato
delle caserme è imposto dal fatto che non vi è un numero
sufficiente di carabinieri tale da garantire i 4 carabinieri
necessari a coprire l'arco di 24 ore per tutte le caserme. Ciò
è dovuto ad una scarsa domanda di arruolamento nell'Arma o al
fatto che non vi è un'offerta adeguata?
   Ribadendo che vorrei vedere tutte le caserme aperte 24 ore
su 24 al servizio del pubblico, senza voler essere una voce
contro, vorrei però sottolineare i piccoli e grandi abusi che
a volte si consumano nelle caserme, alcuni dei quali in anni
passati hanno avuto anche gli onori della cronaca. Ricordo,
per esempio, il caso di un certo Cerrone a Muro Lucano,
entrato in una caserma per un interrogatorio ed uscito in una
bara; il caso di un certo Marino, in un paese della Sicilia,
portato in una caserma dai carabinieri per essere interrogato
su questioni di mafia ed uscito morto; il caso verificatosi in
una caserma di Monza nella quale alcuni carabinieri hanno
fermato una ragazzina inglese con la scusa di controllarle i
documenti e l'hanno violentata.
   Contro questi carabinieri sono stati adottati dei
provvedimenti ed i responsabili sono stati condannati, però -
e mi duole dirlo - c'è stata una difesa d'ufficio nei loro
confronti da parte del comando dei carabinieri. Nel rapporto
tra società e forze dell'ordine queste difese d'ufficio o
addirittura la logica del fine che giustifica i mezzi mi
preoccupano molto. Non vorrei cioè che l'arma definita la
benemerita venisse a macchiarsi di colpe gravi a fronte di
un'immagine che è sempre stata limpida.
   Ho citato casi particolarmente gravi, ma abusi di minore
rilievo si verificano quotidianamente, anche, per esempio, nei
controlli stradali per quel fenomeno che in psicologia si
attribuisce al fatto di indossare una divisa. Se il comando
generale dell'Arma assumesse chiaramente posizioni di condanna
di fronte agli abusi, a mio avviso, il corpo manterrebbe
migliore la sua immagine anche laddove i carabinieri agiscono
in prima linea.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Per quanto riguarda il rapporto tra domanda e
offerta di lavoro nell'Arma dei carabinieri, rispondo subito
che di domande ne vengono presentate fin troppe: per
l'assunzione di 800 sottufficiali, abbiamo avuto 32 mila
domande. Quello che ci condiziona è la legge che determina il
nostro organico, per il quale, comunque, è allo studio un
incremento. Il ministro dell'interno, molto sensibile a questo
problema, fin dall'inizio della sua attività ha avviato un
studio sull'incremento organico di tutte le forze
dell'ordine.
   Per quello che ci riguarda abbiamo proposto un incremento
di 10 mila unità, in prevalenza sottufficiali perché essi, a
nostro avviso, avendo maggiore capacità investigativa, sono i
più preziosi per le stazioni dei carabinieri. Ci auguriamo che
le leggi finanziarie di questo e dei prossimi anni ci
consentano di colmare questa lacuna. Sarebbe già sufficiente,
comunque, recuperare il personale impiegato nelle traduzioni e
nelle scorte: con 5 mila uomini in più sicuramente potremmo
garantire una apertura di 24 ore su 24 al 50 per cento delle
stazioni dei carabinieri.
   Vorrei però sottolineare che, al di là degli abusi - dei
quali parlerò più avanti -, i carabinieri rappresentano per i
cittadini un punto di riferimento sicuro, tant'è che la gente
è reticente a chiamare il 112 perché risponde subito. E il 112
è il comando provinciale, magari poco lontano, però si
preferisce vedere in faccia il carabiniere con gli alamari:
speriamo di soddisfare questa esigenza con l'incremento di
personale che abbiamo richiesto e con il recupero del
personale che auspichiamo.
   Per quanto riguarda gli abusi, i carabinieri sono 115
mila: nessuno di noi è angelo, nessuno di noi è diavolo, e
perciò non escludo che su 115 mila carabinieri ve ne possa
essere qualcuno che si comporta male. Non è legge, non è
regola, non è certamente un riferimento che ci deve guidare
nella valutazione dell'attività dell'Arma dei carabinieri; non
ricordo questi episodi ma, se lei li cita, sono sicuramente
veri. Andrò a verificare i risultati delle indagini
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e quali sono state le condanne esemplari nei confronti
dei carabinieri. Posso dire che nel mondo in cui viviamo il
garantismo, che è giusto che ci sia, spesso coinvolge
ufficiali, sottufficiali e carabinieri in episodi giudiziari
che poi li vedono completamente assolti da ogni ipotesi di
reato. E' chiaro che nel caso di un sottufficiale dei
carabinieri, che mentre esso rischia la vita quando fa
irruzione nell'alloggio di un mafioso, quest'ultimo non ha
nulla da perdere e può dichiarare tutto quello che vuole al
magistrato, per cui il carabiniere si trova in difficoltà a
dimostrare il contrario.
   Attualmente credo di avere almeno il 5 per cento degli
ufficiali dei carabinieri coinvolti in processi pendenti a
loro carico solo per aver compiuto il loro dovere: per questi,
il comando generale spende una parola di supporto, di
solidarietà e di plauso, ma non certo per coloro che sono
malauguratamente coinvolti - ahimé - in collusioni con la
mafia. E qualcuno c'è: questo ci addolora profondamente e noi
lo censuriamo perché è un dolore profondo quando abbiamo
occasione di verificarlo in episodi, come quelli che lei ha
citato, che credo non siano la regola del comportamento
dell'Arma.
  SAVERIO DI BELLA. Signor generale, vengo anch'io da una
regione - la Calabria - che lei ha visitato recentemente e
sono tra coloro i quali da anni si battono per risvegliare la
coscienza civile di quelle popolazioni (e credo che ci siamo
riusciti). A mio avviso è mancato, da parte dei governi pro
tempore, uno sforzo deciso, costante e continuato nel
tempo, per tutto l'arco dei mesi o degli anni necessari a
vincere questa battaglia, per far capire che lo Stato avoca a
sé il monopolio del contrasto alla violenza ed il controllo
del territorio. Quest'ultimo significa tante cose, non solo le
strade e le autostrade, ma anche paesi e villaggi, perché in
alcuni villaggi c'è il coprifuoco mafioso, il quale ad una
certa ora della sera, vige anche in alcuni quartieri delle
città. Pertanto, far presente ai cittadini che lo Stato
recupera questo controllo anche attraverso la visibilità delle
forze dell'ordine è uno degli obiettivi primari, perché è
proprio questo ad incoraggiare i cittadini a proseguire in
questa loro volontà di riscatto e a scoraggiare la
malavita.
   Mi dispiace che la stampa e la televisione non diano
risalto a queste notizie, ma abbiamo avuto il piacere di
assistere a manifestazioni di migliaia di persone in piccoli
paesi come Acquaro, Stefanaconi e San Luca, che sono scese in
piazza a chiedere la presenza dello Stato attraverso i
carabinieri, che ne sono il simbolo nonostante qualche pecca,
come lei stesso ha ricordato. Credo tuttavia che nel bilancio
complessivo i fatti vadano considerati nella loro dimensione
reale: le pecore nere sono sempre esistite in qualunque corpo
e credo che nessuno di noi si illuda di poter raggiungere la
perfezione, anche se ce lo auguriamo. Tuttavia questi episodi
vanno condannati, e ne vanno puniti i responsabili.
   Va inoltre tenuta presente la fiducia che la popolazione
esprime nei confronti delle forze dell'ordine, alle quali
attribuisce un ruolo fondamentale. Da questo punto di vista lo
sforzo che l'Arma sta compiendo - e di cui do atto - per una
maggiore presenza in Calabria, deve essere potenziato e
continuato: fra i collaboratori o le forze con le quali
normalmente collaborate non ho mai visto citato il Corpo
forestale dello Stato, che pure ha compiti di polizia
giudiziaria e che in regioni come la Calabria riveste un ruolo
non indifferente - a maggior ragione se venisse potenziato -
perché la caratteristica della Calabria è di essere una
regione montuosa e boschiva.
   Per quanto riguarda la preparazione degli ufficiali
dell'Arma, la necessità di affrontare questo tipo di
criminalità, che ha dimensioni di carattere economico oltre
che militare, ha portato ad una modifica delle materie e
dell'iter formativo degli ufficiali, oppure da questo punto di
vista non è stata introdotta alcuna innovazione? In
quest'ultima ipotesi, non ritiene che rischieremmo di essere
superati dal fatto che la criminalità utilizza tutte le
moderne tecnologie, soprattutto nel
Pagina 275
riciclaggio, per portare avanti le proprie strategie di
occupazione dei poteri, non ultimo quello economico?
   Ultima osservazione: per chi non lo sapesse, è stata
presentata una proposta per costituire una Commissione
d'inchiesta parlamentare sull'AIMA, che sta facendo il suo
iter e che spero venga approvata al più presto; sono certo che
l'Arma dei carabinieri contribuirà a farci capire meglio cosa
è successo sia al suo interno sia al suo esterno.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. In tema di controllo del territorio mi sembra
che lei si sia riferito in particolare agli attentati che
hanno recentemente interessato la zona di Stefanaconi ed
alcune zone della provincia di Palermo.
  GIROLAMO TRIPODI. Anche la provincia di Reggio Calabria:
Taurianova, Seminara e così via.
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri. Posso dire che sono state convocate numerose
riunioni del comitato provinciale sull'ordine e la sicurezza
pubblica mirate a far luce su questi episodi e che sono stati
adottati provvedimenti affinché la presenza dell'Arma sia più
visibile, come lei ha auspicato.
   Aggiungo che i comandanti provinciali e regionali sono
stati da me sensibilizzati e che ho ricevuto numerose lettere
da parte degli amministratori locali che mi ringraziavano per
aver stabilito un diretto collegamento con i sindaci; ho poi
numerose lettere in cui i sindaci si dicono stupiti e mi
ringraziano del fatto che il comandante provinciale dell'Arma
abbia stabilito un rapporto funzionale con loro.
   Infine posso dirle, per sua soddisfazione, che il 30
settembre scorso la compagnia carabinieri di Vibo Valentia e
la stazione carabinieri di Sant'Onofrio hanno deferito
all'autorità giudiziaria - 2 in stato di arresto e 12 a piede
libero - 14 pregiudicati della cosca Petrolo-Bartolotta,
responsabili di associazione a delinquere di stampo mafioso,
finalizzata all'accaparramento e gestione della cosa pubblica
a mezzo minacce. Riteniamo che i responsabili abbiano
collegamenti con episodi e manifestazioni mafiose che si sono
verificate in zona.
   Per quanto riguarda la preparazione degli ufficiali
dell'Arma dei carabinieri, lei ha poca fiducia in noi se
pensa...
  SAVERIO DI BELLA. Ne ho molta!
  LUIGI FEDERICI, Comandante generale dell'Arma dei
carabinieri.... che gli ufficiali dei carabinieri di oggi
siano quelli di trent'anni fa! Certo, stiamo approfondendo
tutti i settori, in particolare quello dell'economia, del
riciclaggio dei beni, il settore delle estorsioni e quello del
racket, che sono di grande attualità: guai se ci
facessimo superare dai tempi!
   Ma non basta: un ufficiale dei carabinieri - anche un
sottufficiale, ma soprattutto un ufficiale, che ha funzioni
direttive -, per essere preparato non è sufficiente che impari
i concetti in accademia o alla scuola ufficiali. E'
indispensabile che si faccia l'esperienza sulla propria pelle;
ecco perché normalmente un capitano, dopo quattro anni di
servizio in una regione, viene avvicendato. Ciò avviene non
certo per depotenziare il contrasto del crimine in quella
zona, ma per diversi motivi, tra i quali vi è quello di
qualificare la sua preparazione professionale affinché, mano a
mano che egli salirà nei gradi, possa risolvere tutte le
situazioni che sarà chiamato ad affrontare. Pertanto, il
capitano che inizia a prestare servizio a Como ha bisogno di
un "bagno" nella realtà calabrese o siciliana per completare
la sua preparazione professionale.
   Come vede, la preparazione degli ufficiali, come quella
dei sottufficiali, ci sta molto a cuore. Le dirò di più: per i
sottufficiali speriamo di inaugurare al più presto una nuova
accademia a Firenze, che sia più dignitosa di quella attuale,
che consenta di unificare le tre scuole sottufficiali (oggi
disperse sul territorio con costi straordinari) e che ci
permetta di aggiornare meglio le tecniche di insegnamento.
Speriamo che questa nuova
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struttura possa divenire operativa entro tre anni.
  SAVERIO DI BELLA. Vorrei soltanto aggiungere, a livello
di notizia, che sabato prossimo, su impulso di uno dei paesi
tradizionalmente legati alla presenza della mafia, ma anche
alle lotte contro quest'ultima, il sindaco di Gioia Tauro,
l'ex senatore Argiroffi, promuoverà iniziative affinché i
sindaci dei comuni calabresi costituiscano un'associazione
contro la mafia, proprio per testimoniare ulteriormente la
volontà di riscatto nonché la presenza delle istituzioni
locali in questa battaglia di civiltà.
  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Federici.
   Ricordo ai colleghi deputati che alla Camera stanno per
avere inizio votazioni qualificate.
   La seduta termina alle 11,45.

 


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