Violante: seduta 87
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        PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Comunicazioni del presidente:
Violante Luciano, Presidente .......................... 3495
Discussione della relazione sulle risultanze del gruppo di
lavoro incaricato di verificare il livello di attuazione della
normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle
frodi comunitarie:
Violante Luciano, Presidente .................... 3495, 3497
Acciaro Giancarlo, Relatore ........................... 3495
Audizione dei rappresentanti della direzione distrettuale
antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della
'ndrangheta:
Violante Luciano, Presidente .................... 3498, 3499
Boemi Salvatore, Procuratore aggiunto presso il
tribunale di Reggio Calabria, delegato alla DDA ....... 3498
Audizione del direttore della Direzione investigativa
antimafia, dottor Gianni De Gennaro, sul fenomeno della
'ndrangheta:
Violante Luciano, Presidente .............. 3499, 3500, 3502
                          3504, 3505, 3507, 3508, 3510, 3511
Cabras Paolo .......................................... 3508
Cappuzzo Umberto ...................................... 3508
            De Gennaro Gianni, Direttore della DIA3499, 3500
                    3502, 3504, 3505, 3507, 3508, 3509, 3510
Imposimato Ferdinando ................................. 3509
                        Pag. 3494
                        Pag. 3495
La seduta comincia alle 10,30.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
              Comunicazioni del presidente.
  PRESIDENTE. Comunico ai colleghi che abbiamo
naturalmente chiesto l'autorizzazione ai Presidenti della
Camera e del Senato per svolgere l'odierna seduta; nel
concederci l'autorizzazione, si raccomanda in primo luogo che
la relazione finale e gli allegati specifici che saranno
presentati siano complessivamente approvati il più presto
possibile, al fine di evitare di andare nel cuore della
campagna elettorale. In secondo luogo, si segnala
l'opportunità della "sobrietà": sostanzialmente si chiede di
evitare, se possibile, dichiarazioni o altro in ordine al
contenuto delle sedute; in questo modo si può recepire
l'autorevole suggerimento della Presidenza della Camera, in
accordo con quella del Senato.
Discussione della relazione sulle risultanze del gruppo di
lavoro incaricato di verificare il livello di attuazione della
normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle
frodi comunitarie.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione
della relazione sulle risultanze del gruppo di lavoro
incaricato di verificare il livello di attuazione della
normativa antimafia, per la parte relativa al fenomeno delle
frodi comunitarie.
   Do la parola al relatore; il collega Acciaro ci riferirà
sulle frodi comunitarie e, nell'ambito di esse, quale sia il
ruolo delle organizzazioni mafiose. Si tratta di una questione
di grande delicatezza.
  GIANCARLO ACCIARO, Relatore. Signor presidente,
colleghi, desidero premettere che la relazione è frutto delle
analisi e delle approfondite ricerche effettuate con la
competente e professionale collaborazione del colonnello
Palmerini, cui rivolgo un sincero ringraziamento.
   Occorre far presente che questa relazione non può comunque
rappresentare il risultato finale di questa ricerca; lo
scioglimento anticipato delle Camere ha interrotto lo
svolgimento dei nostri programmi, cioè di alcuni importanti
riscontri che avremmo dovuto avere a livello nazionale ed
internazionale, per quanto riguarda gli enti e le istituzioni
che erogano e che autorizzano certe erogazioni e per ciò che
concerne le associazioni di categoria e gli organi di
controllo; questo confronto non si è potuto avviare. Abbiamo
avuto solo in questa sede una prima audizione con il direttore
generale dell'AIMA, che ha costituito la base di partenza di
determinati accorgimenti e di nuove situazioni che abbiamo
riscontrato, mentre è carente il confronto con la Comunità. In
altri termini, occorre accertare se ciò che noi stiamo
verificando in Italia da tutte le documentazioni in nostro
possesso trovi riscontro anche nella Comunità. Infatti, ciò
che appare più chiaro è che in Italia, in questi ultimi anni,
è aumentato notevolmente il numero delle frodi, almeno da
quanto ci risulta. Ciò pone anche un altro interrogativo:
siamo bravi noi a scoprirle oppure
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le frodi sono veramente aumentate? Nella relazione sono
contenute alcune tabelle che dimostrano il preoccupante
aumento del fenomeno dal 1990 al 1992.
   Occorre poi sottolineare anche un'altra situazione: la
frode, comunemente, viene valutata con una logica
campanilistica, cioè si ritiene che si tratti di denari di
altri erogati dall'Europa, che possono offrire occupazione e
tutte quelle operatività che creano lavoro e momenti di
solidarietà; però queste entrate comunitarie molto spesso si
trasformano in un danno per noi stessi, perché vanno ripianate
dal nostro Stato nel momento in cui avvengono gli
accertamenti. Inoltre, poiché il gettito proveniente dallo
Stato membro - nel nostro caso dall'Italia - viene frodato
all'inizio, certamente non vengono versate quelle quote che
poi possono ritornare; basti pensare all'evasione dell'IVA,
imposta che rappresenta una di quelle componenti delle parti
attive di bilancio della Comunità che ci consentono poi di
ottenere questi benefici.
   Dalla relazione appare chiaro anche l'applicazione non
corretta di tutte le leggi a disposizione delle Comunità; è
questo l'altro fatto grave. A tutti i livelli, fino alle
regioni, le provvidenze comunitarie non vengono utilizzate
nella maniera più opportuna, per la carenza di strutture e di
conoscenze e soprattutto per la mentalità - consentitemi di
dirlo - in base alla quale non viene attivato quel meccanismo
di ritorno degli investimenti che lo Stato membro, attraverso
la Comunità, potrebbe riottenere. Credo che questa sia
un'altra parte incisiva del discorso.
   Dalla ricerca effettuata emergono alcuni fatti molto
importanti, per esempio relativamente ai controlli:
l'erogazione dalla Comunità passa in Italia attraverso alcune
istituzioni, come l'AIMA, che si occupano in termini cartacei
delle autorizzazioni e della sorveglianza, sorveglianza che di
fatto non è reale nei confronti delle situazioni che si
vengono a creare nel nostro paese. Ciò vuol dire che
effettivamente manca una struttura che possa intervenire nel
momento stesso in cui queste erogazioni vengono effettuate,
per cui normalmente, quando dietro segnalazione si ha
l'intervento delle istituzioni preposte ai controlli, si è già
nella fase in cui la frode è compiuta, diventando pertanto
difficile risalire alla sua origine; ci si limita infatti ad
un controllo per lo più di natura fiscale e documentale,
difficile da ricostruire. Mi riferisco, per esempio, a tutte
quelle situazioni per cui nascono produzioni che vengono
utilizzate ma che alla fine non si possono verificare, in
quanto non è possibile stabilire se una certa ditta abbia o
meno fornito olio, pomodori o altri prodotti. Ciò crea disagi
che portano alle implicazioni cui ho accennato prima: viene
cioè a mancare la produzione lorda effettuata in Italia e le
contribuzioni che lo Stato potrebbe dare alla Comunità al fine
di avere questo tipo di ritorno.
   Tutte queste analisi portano ad un fatto nuovo: partendo
dalla precedente relazione Chiaromonte, che già dimostrava la
rilevanza della questione, oggi stiamo scoprendo che le frodi
comunitarie hanno una valenza importante anche sotto il
profilo malavitoso; dietro a tutti questi grandi movimenti, a
queste frodi di natura molto professionale, si nascondono
manovre di riciclaggio e di guadagni illeciti, quindi grandi
gruppi che fanno certamente riferimento ad aree finanziarie
molto discusse.
   Ci permettiamo anche di riportare nella proposta parti di
indagini relativamente alle quali abbiamo avuto materiale
disponibile, facendo anche qualche nome di persone di cui,
attraverso i pentiti e soprattutto dalle cronache, abbiamo
avuto modo di constatare l'inserimento in questa catena,
chiaramente senza addentrarci in giudizi.
   Mi preme precisare un meccanismo in base al quale
purtroppo spesso il controllato è il controllore; per quanto
riguarda il conferimento di merci e di produzioni, l'AIMA non
ha strutture proprie in cui poter depositare tali produzioni;
pertanto, è legittimo, attraverso autorizzazioni comunitarie,
che queste possano essere custodite
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 dallo stesso conferente, che può anche variare fiscalmente e
in termini di apparenza societaria, pur essendo materialmente
la stessa struttura. Quindi, il conferitore è in effetti il
custode delle merci; ognuno di questi passaggi ha una propria
rendita e non sempre può essere accertato che il materiale sia
stato effettivamente conferito, perché le ispezioni avvengono
annualmente soltanto a conguaglio. Non è possibile avere un
controllo nel momento in cui avviene il conferimento, in
quanto manca la struttura operativa.
   Suggeriamo che debba essere a tal fine specializzato un
corpo - riteniamo opportuno che sia la stessa Guardia di
finanza - che possa avere competenza ad effettuare
sopralluoghi ed indagini durante l'accettazione stessa dei
conferimenti; una volta autorizzato il conferimento, può
esservi la possibilità di svolgere questi controlli. Ciò
consentirebbe veramente di verificare il conferimento di
determinate merci e che su di esse non venga attivata un certo
tipo di speculazione, addirittura con le vendite - come in
alcuni casi sono state denunciate - e poi con il reintegro in
momenti in cui il mercato è meno a livello. Vogliamo porre
all'attenzione dei commissari e del presidente, ai fini delle
comunicazioni finali, che il problema delle frodi comunitarie
non può essere isolato - come avveniva in altri tempi e come
accennavo all'inizio di questa mia introduzione -, non può
essere separato da un sistema molto più complesso di cui
questa Commissione si sta occupando, perché ci porta
all'interno di un meccanismo che è diventato ormai un fatto
reale, che si è trasformato in un'industria - stiamo parlando
di migliaia di miliardi - che va ad inserirsi nelle regole.
   Qui vi è una considerazione da fare: la solidarietà che
viene espressa dalla Comunità, cercando di equilibrare
determinate situazioni, ha regole molto aperte, perché si basa
su equilibri di carattere occupazionale e sociale; non si è
pensato però che attraverso queste maglie si sarebbero potute
inserire vere e proprie strutture industriali, commerciali e
finanziarie che avrebbero potuto entrare nella fase finale di
altri processi. Abbiamo attività che nascono soltanto per
speculare sull'utilizzo di queste risorse: un esempio più
volte acclarato è rappresentato dal fatto che molte società in
Italia nascono nel breve periodo dell'operazione comunitaria;
alcune società - per azioni, a responsabilità limitata, di
fatto - vengono costituite per frodare la Comunità e di
conseguenza lo Stato e la collettività italiana, dopo di che
chiudono e spariscono. Ciò avviene in tutti i settori che
agiscono nella - chiamiamola così - solidarietà economica.
   Rimando per il resto alla bozza della relazione che vi ho
illustrato, che è una relazione aperta, nel senso che, se dopo
un'attenta lettura emergono alcune situazioni che possono
essere sviluppate, ciò potrà avvenire in seguito. Infatti,
potrà presentarsi la necessità e la possibilità, nel caso, di
apportare eventuali modifiche, anche perché la situazione
attuale potrebbe consentirci di acquisire qualche altro
elemento; valuterà il presidente se tenerne o meno conto nelle
proprie considerazioni finali. Credo che si possa lasciare un
messaggio alla prossima Commissione antimafia, se ve ne sarà
una nuova: cioè che, sulla base di questo lavoro, si possa poi
continuare attuando quel confronto che ora è mancato. Ritengo
molto importante questo confronto soprattutto con la Comunità,
perché è necessario capire se, in quella sede, esista un
controllo della documentazione e soprattutto lo sviluppo di
alcuni accertamenti che, da quanto emerge da questa bozza,
sembrano in progressione: questo fenomeno si sta sviluppando
sempre di più e occorre un confronto maggiore con le
situazioni, per verificare se esso abbia carattere generale
oppure se sia limitato soltanto alla nostra collettività.
  PRESIDENTE. Concordo con il giudizio altamente positivo
sulla proposta di relazione. Colgo pertanto l'occasione per
ringraziare anch'io il colonnello Palmerini per l'eccellente
lavoro svolto.
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   Se i colleghi concordano, proporrei di inviare il testo a
tutti i commissari; la relazione di oggi, come le altre
presentate in questo periodo, compresa quella dell'onorevole
Bargone, sulla base dell'indicazione data dal Presidente della
Camera d'intesa con il Presidente del Senato, costituiranno
allegati alla relazione finale. Altrimenti, dovremmo indire
seduta per ogni relazione: credo che non ne avremmo il tempo
né sarebbe opportuno in questo contesto politico.
   Se non vi sono obiezioni, rimane stabilito di inviare il
testo a tutti i colleghi e di fissare una data nella quale
discutere contemporaneamente di tutti gli argomenti.
(Così rimane stabilito).
Audizione dei rappresentanti della direzione distrettuale
antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della
'ndrangheta.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei
rappresentanti della direzione distrettuale antimafia di
Reggio Calabria e Catanzaro sul fenomeno della 'ndrangheta.
   Ringrazio i procuratori Lombardi e Boemi ed il dottor Le
Donne, che rappresenta qui la Direzione nazionale antimafia.
Come è noto, l'oggetto dell'audizione di oggi è il quadro
sulla struttura e le connessioni della 'ndrangheta. Desidero
informare i nostri ospiti che la Commissione antimafia non ha
potuto, a causa della conclusione anticipata della
legislatura, dedicare alla 'ndrangheta l'attenzione che
avrebbe voluto. Considerandola, però, fenomeno di particolare
rilievo, ha deliberato di dedicare nella relazione finale una
particolare attenzione al tema, nei limiti che esso incontrerà
in una fase politica in cui la Commissione, come tutti gli
organismi parlamentari, esercita poteri e funzioni attenuate.
   Ci aspettiamo di ottenere dalle vostre relazioni il
massimo delle informazioni su questi aspetti: struttura,
connessioni dell'organizzazione, fase dell'azione di
contrasto, suggerimenti e proposte in ordine alla lotta a tale
organizzazione.
   La 'ndrangheta è venuta in luce non solo per il suo
radicamento in Calabria ma anche in connessione con i
provvedimenti assunti di recente dalla procura di Milano in
due occasioni diverse; prova, questa, di un forte radicamento
della 'ndrangheta al di là dei confini regionali, sino
all'estero e soprattutto in Australia, Canada e Germania.
   Come tutti saprete, questa notte sono stati uccisi in
Calabria due carabinieri. Le modalità dell'omicidio fanno
pensare ad una forma di esecuzione; non sembra infatti che
esso sia la conseguenza di una reazione a sorpresa. Abbiamo
fatto chiedere al comando generale dell'Arma dei carabinieri
qualche notizia in più in ordine a tale episodio e la data dei
funerali. Comunicheremo ai colleghi tale data in modo tale che
chi vorrà potrà recarsi ai funerali.
   Vorremmo inoltre chiedere ai nostri ospiti quali siano
stati i provvedimenti più significativi assunti, al fine di
informare compiutamente il Parlamento. Se oggi l'elenco di
tali provvedimenti non fosse disponibile, esso potrebbe essere
trasmesso successivamente. Se vi sono problemi di
fotocopiatura (so che ci sono e che questo rappresenta un
problema molto grave, in quanto in Calabria gli organici sono
molto carenti) possiamo inviare alcuni sottufficiali della
Guardia di finanza che lavorano con noi perché svolgano questo
lavoro, in modo da alleggerire gli uffici da un ulteriore
onere.
   Avverto che la seduta è pubblica, ma se i colleghi per un
verso ed i nostri ospiti per un altro desiderano che sia
segreta, non hanno che da chiederlo.
  SALVATORE BOEMI, Procuratore aggiunto presso il
tribunale di Reggio Calabria, delegato alla DDA. Credo sia
opportuna la seduta segreta.
  PRESIDENTE. Pertanto, se non vi sono obiezioni, dispongo
la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
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(La Commissione procede in seduta segreta).
  PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta pubblica. Dispongo la
riattivazione del circuito audiovisivo interno.
   Vi ringraziamo molto, signori procuratori. Se doveste
redigere o ricordare documenti di particolare rilievo in
questa materia, vi saremmo molto grati se ce ne inviaste
copia.
La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle
15,10.
Audizione del direttore della Direzione investigativa
antimafia, dottor Gianni De Gennaro, sul fenomeno della
'ndrangheta.
  PRESIDENTE. Dottor De Gennaro, vuole procedere in seduta
segreta o pubblica?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Non devo
riferirmi ad argomenti segreti. Qualora fosse necessario
procedere in seduta segreta, mi riservo di chiederlo.
  PRESIDENTE. La Commissione antimafia non ha avuto tempo
- in ragione dello scioglimento anticipato delle Camere - di
affrontare specificatamente il tema della 'ndrangheta, però
nella relazione finale vorrebbe inserire alcuni
approfondimenti, una parte, relativi a tale struttura. Abbiamo
letto con attenzione la parte finale del rapporto semestrale
presentato dalla DIA - per altro molto interessante - in cui
l'organismo da lei diretto si sofferma su questa
organizzazione. Le saremmo grati se volesse approfondire o
indicare qualche elemento ad ulteriore chiarimento su questa
struttura criminale: ci interessano in particolare i caratteri
della 'ndrangheta, la sua struttura interna e il suo peso
nella realtà mafiosa italiana. Nel rapporto vengono accennate
le connessioni con l'estremismo di destra e le logge
massoniche deviate: credo sia questo il quadro che ci
interessa.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. La
ringrazio, signor presidente. Prevedendo le domande ho
preparato uno scritto che, in qualche modo, comprende le
richieste da lei formulate. In particolare mi sono soffermato
sulla strategia investigativa e sulla metodologia adottate nel
perseguire questa organizzazione criminale. Se me lo consente,
potrei leggere il documento predisposto: qualora non
risultasse sufficiente potrei integrarlo.
  PRESIDENTE. Vi saranno anche domande da parte dei
colleghi, credo.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Se lei e i
membri della Commissione antimafia me lo consentono, vorrei
preliminarmente rivolgere un pensiero, perché mi sembra da
parte mia doveroso, agli appuntati Fava e Garofalo che questa
notte sono stati vittime di una gravissima aggressione.
Soprattutto rivolgo un pensiero alle loro famiglie e, se mi è
consentito, anche ai colleghi dell'Arma, perché un terzo degli
appartenenti alla DIA è composto da valorosi ufficiali,
sottufficiali e carabinieri dell'Arma. Ritengo doveroso nei
confronti di questi collaboratori, sia come direttore sia per
rispetto agli altri colleghi dell'Arma, rivolgere un pensiero
di solidarietà in questo momento.
   Sull'episodio specifico, che credo possa richiamare
l'attenzione della Commissione, non mi sento di esprimere
valutazioni perché è trascorso troppo poco tempo
dall'esecuzione dell'omicidio. Sarebbe una mancanza di
riguardo verso la Commissione dare dei giudizi, però non posso
esimermi dall'osservare - dovendo ricondurre l'episodio
criminoso sicuramente ad un'opera violenta della malavita
organizzata locale - che è un ulteriore, anche se drammatico,
segno dell'importanza che assume in questo momento la malavita
calabrese sotto il profilo della sua violenza e della sua
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particolare capacità reattiva. Certamente di reazione si può
parlare, perché qualunque siano state le circostanze
specifiche a determinare l'episodio, si tratta di una reazione
violentissima contro le istituzioni, e in particolare contro
l'Arma dei carabinieri.
   Per offrire con chiarezza gli elementi conoscitivi sul
fenomeno calabrese che siamo riusciti a trarre nell'attività
di contrasto, e prima di rispondere ad altre domande, vorrei
delineare un quadro sintetico delle direttrici e delle
strategie operative adottate in Calabria.
   Se mi consente, partirei dal maggio 1992 quando il
ministro dell'interno, con proprio decreto, costituì un nostro
ufficio in Calabria. Nonostante il contingente fosse
inizialmente molto limitato, l'attenzione, fin da quando sono
stati fissati gli obiettivi del nostro ufficio, è stata
prioritariamente rivolta alla Calabria non soltanto come
concentrazione locale e nella regione di organizzazioni
criminali, ma anche riguardo alle sue proiezioni fuori del
territorio d'origine. La scelta di costituire un centro
operativo a Reggio Calabria è avvenuta nel quadro delle linee
tracciate dal consiglio generale, che proprio nella
'ndrangheta del basso reggino - vorrei sottolineare che
l'attenzione si è rivolta a questa zona, almeno nel primo
periodo preso in esame -...
  PRESIDENTE. Quando dice "basso reggino", a quali aree si
riferisce?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Intendo le
aree intorno a Reggio, risalendo fino alla Locride, dal
momento che alcuni interventi sono stati svolti direttamente
in quest'ultima area.
  PRESIDENTE. Quindi, non Gioia Tauro.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. No, non
Gioia Tauro.
  PRESIDENTE. Sul versante ionico?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Il
versante ionico e l'inizio di quello tirrenico. Alle scelte
iniziali ha dato un impulso particolare anche l'attuale
ministro, il quale, quando abbiamo tracciato le linee
strategiche generali per l'ultimo anno, ha espressamente
richiesto un'attenzione nei confronti della malavita
calabrese.
   Sotto il profilo logistico, la sede del centro operativo
di Reggio Calabria è forse la struttura più moderna da noi
realizzata rispetto alle organizzazioni territoriali della
DIA; dispone di dotazioni tecniche sufficienti e di un sistema
di sicurezza, che in questo momento si rivela particolarmente
necessario, considerati alcuni segnali di minaccia lanciati
contro alcuni nostri operatori di polizia in Calabria.
   Le risultanze del primo ciclo di indagini ci hanno indotto
ad estendere il raggio di azione verso il nord della Calabria:
in questo senso stiamo per realizzare una struttura d'appoggio
anche a Catanzaro, sia pur di dimensioni minori, affinché
diventi un momento di controllo sul territorio oltreché di
sostegno all'azione degli investigatori che operano in
Calabria. In questi giorni apriremo la sezione dell'ufficio di
Reggio Calabria.
   I problemi hanno riguardato qualche volta l'organico, ma
finora sono state portate a termine dodici operazioni - come
si evince dalla relazione - di cui una in Piemonte e due in
Lombardia. In tutto, possiamo considerare disarticolate venti
cosche. Sono stati emessi dalle autorità giudiziarie di
Torino, Milano e Reggio Calabria, 667 ordinanze di custodia
cautelare contro altrettanti appartenenti a cosche reggine.
   I confortanti risultati raggiunti sul piano investigativo,
in un arco di tempo relativamente breve, scaturiscono oltre
che dall'impegno e dalla preparazione professionale degli
investigatori, anche dall'introduzione di alcuni nuovi e più
avanzati metodi di lavoro. La sperimentazione di nuove
metodologie operative, imperniate sulla continua interazione
tra
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teoria e prassi, cioè tra il momento dell'acquisizione
conoscitiva del fenomeno e quello dell'azione investigativa
diretta, ha permesso di sviluppare un'azione di contrasto
sistematica.
   Gli agenti della DIA hanno avviato prima uno studio del
contesto criminale di riferimento, individuando la
composizione organica, le connotazioni strutturali oltre che
le modalità operative e i collegamenti nazionale e
internazionali di questi gruppi criminali su cui si è agito, e
successivamente è iniziata l'attività investigativa vera e
propria.
   La sintesi della fase conoscitiva ha rappresentato il
punto di partenza per l'avvio dell'attività investigativa sul
campo. L'azione investigativa si è inizialmente concentrata
soprattutto sui soggetti e sul contesto del reato associativo;
in un secondo momento si è cercato di puntare sulle
responsabilità individuali per ricostruire determinati
comportamenti delittuosi: individuata la cosca, il gruppo,
dopo un'attività iniziale di controllo e di indagine sul
gruppo, sono stati ricostruiti i singoli delitti, soprattutto
i numerosissimi omicidi.
   In questa prospettiva abbiamo focalizzato l'attenzione sui
sodalizi individuati dapprima sulla base di un'attenta analisi
dei fenomeni criminali presenti sul territorio, poi anche con
riferimento alle proiezioni nell'Italia settentrionale, dove
in alcune zone in particolare - in precedenza ho fatto
riferimento alla Lombardia ed al Piemonte - era stata
evidenziata una strutturazione più consolidata dei gruppi
criminali.
   L'azione di contrasto si è sviluppata contro obiettivi
strategicamente selezionati, che però sono stati aggrediti nel
loro insieme. La tecnica che ci ha consentito di avere una
visione completa dei fatti è consistita nel portare avanti le
attività di indagine contemporaneamente sul territorio
d'origine e in queste proiezioni più lontane, consentendo ai
magistrati impegnati nello specifico settore di avere una
contestualità di informazioni da punti e da fronti diversi.
   In quest'ottica è stato avviato un complesso, organico
programma di sviluppo organizzativo della direzione centrale,
proprio a livello di Direzione, in modo da percepire in tempi
reali le emergenze investigative via via acquisite e
trasmetterle agli altri uffici che stavano operando.
   Con tale progressione di indagini abbiamo avvertito sempre
di più la necessità di contrapporre a questa organzzazione
della delinquenza - che come sappiamo opera in modo unitario e
verticistico e che non delimita le proprie attività illecite
in specifici ambiti territoriali - un dispositivo di
prevenzione e di contrasto che fosse organicamente
strutturato, così come la stessa organizzazione criminale, che
non si limitasse ad inseguire le situazioni che di volta in
volta emergevano ma potesse in qualche modo anticipare la
linea di tendenza del fenomeno ed elaborare le strategie
offensive.
   Non soltanto a livello interno, ma a anche a livello di
raccordo internazionale, abbiamo cercato in questa logica di
ricerca e di investigazione di favorire lo scambio e la
circolazione delle informazioni al fine di razionalizzare al
massimo le risorse che venivano impiegate.
   In tutto questo, mi preme sottolinearlo, si è sviluppata
una continua collaborazione, molto leale e molto diretta, con
le procure distrettuali, tenendo sempre informato anche il
procuratore nazionale circa le linee delle indagini
perseguite.
   Nel corso di una precedente audizione mi è stata offerta
dalla Commissione antimafia la possibilità di delineare le
linee programmatiche, che ho quindi potuto indicare nel
dicembre del 1992; sulle medesime abbiamo continuato a
muoverci. Dopo un anno dall'avvio, il lavoro in Calabria,
anche grazie all'efficace azione d'impulso del ministro, ha
dato un positivo riscontro, come dimostrano i dati numerici
relativi alle persone tratte in arresto. Tuttavia, proprio per
rispondere con precisione alla domanda posta dal presidente
circa le zone di intervento, desidero precisare che in questa
prima
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fase abbiamo operato sulle cosche che erano presenti nella
città di Reggio Calabria, in particolare quelle dei De
Stefano, dei Tegano, dei Latella, dei Labate, dei Libri, degli
Imerti e dei Serraino, che operano, che avevano come zona di
influenza, le immediate adiacenze della città. Abbiamo anche
operato, al di fuori della città, sulla cosca Nasone-Gaietti
di Scilla, sulla cosca Iamonte di Melito Porto Salvo, una
delle più pericolose, sulla cosca Barreca-Di Pellaro, sempre
nelle adiacenze di Reggio e poi, con riferimento alla Locride,
soprattutto sul gruppo dei Comiso, con l'operazione "Siderno
group".
   Quanto al versante ionico e ad alcune zone
dell'Aspromonte, l'ultima operazione condotta a termine nel
mese di novembre sotto la guida della procura distrettuale ha
portato all'arresto di 158 persone, in particolare nella zona
San Luca-Platì-Careri, con riferimento ai gruppi che lì
operavano; nella zona di Africo nei confronti della cosca dei
Morabito; nella zona di San Luca nei confronti dei Nirta e,
salendo verso la Ionica, contro i Gallo di Ardore, i Cordì di
Locri e gli Aquino di Gioiosa Marina.
   Al di fuori del territorio calabrese, sono state
individuate e disarticolate la famiglia dei Cento, che operava
nella Val d'Ossola (l'operazione è stata condotta d'intesa con
la procura distrettuale di Torino) e quelle dei Papalia e dei
Sergi, che operavano nel milanese ed erano in continuo e
stretto collegamento con la cosca di origine di Platì.
   Se mi è consentito, vorrei ora soffermarmi su un paio di
queste operazioni, quella denominata "Siderno group", che ha
colpito in particolare la cosca dei Comiso, e quella
denominata "Nord-Sud", che riguardava le proiezioni sul
territorio milanese, perché in quella città possiamo
individuare i caratteri nuovi evidenziati dall'indagine.
   Nella prima, che riguardava i gruppi, molto potenti, di
Siderno, i Comiso e i Costa, è stato possibile mettere in luce
una serie di reati contro il patrimonio, un traffico
internazionale di stupefacenti e soprattutto un reticolo di
collegamenti con alcuni comparti locali della pubblica
amministrazione nel settore degli appalti. Il dato che mi
sembra rilevante riferire in questa sede è l'accertata
esistenza in questa organizzazione di un gruppo di emigrati
calabresi provenienti da Siderno e dai paesi limitrofi, che
aveva articolazioni in Canada, negli Stati Uniti ed in
Australia ed aveva movimentato per anni ingenti carichi di
droga. Queste cosche, questi gruppi, pur insediati in paesi
lontani dalle regioni d'origine, hanno continuato a
privilegiare il rapporto con il ceppo familiare, non solo con
il gruppo d'origine riferito alla località.
  PRESIDENTE. Il rapporto con la famiglia intesa come
ceppo di sangue è un dato ancora oggi presente nella
'ndrangheta più che nelle altre organizzazioni?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Allo
stato, certamente sì. Emerge anche dal riferimento ai gruppi
che ho citato, non a caso, con il nome della famiglia e non,
come per la mafia siciliana, con il nome della zona d'origine.
Quando parliamo di malavita organizzata calabrese facciamo
riferimento, ad esempio, alla famiglia Nirta, mentre per la
mafia parliamo della famiglia di Ciaculli o di quella di
Altofonte.
   E' stata anche rilevata la tendenza del gruppo di cui
parlavo ad acquisire aziende operanti nel campo della
ristorazione e in quello della produzione di materiale per
l'edilizia. Riteniamo che si tratti di attività idonee a
giustificare transazioni finanziarie a scopo di riciclaggio,
nonché operazioni di import-export, tenendo conto
dell'operatività di alcuni degli affiliati, molto distanti dal
territorio nazionale.
   Ritengo doveroso rappresentare alla Commissione che queste
operazioni e questo tipo di indagini hanno costituito un
esempio concreto e fattivo dell'interazione di più polizie di
diversi paesi. Per esempio, quando ci fu l'esecuzione dei
provvedimenti di cattura, sono venuti appositamente quegli
investigatori che
                        Pag. 3503
seguivano il filone d'indagine nei loro paesi; dagli Stati
Uniti sono venuti i rappresentanti dell'FBI, della DEA e anche
dell'Immigration service, che ha particolare attenzione, sotto
il profilo dei movimenti di persone, anche a quelli di gruppi
criminali; anche la polizia canadese è stata particolarmente
interessata, così come quella australiana.
   Mi preme sottolineare che tali indagini non si sono
fermate in quella fase e sono proseguite. Abbiamo infatti
costituito a Toronto un gruppo di lavoro permanente, formato
da rappresentanti di tutte le polizie interessate, che si
riunisce periodicamente per scambiare le informazioni relative
alle indagini che via via si sviluppano.
   Desidero anche soffermarmi sull'altra operazione, quella
che ha evidenziato le proiezioni al di fuori del territorio
calabrese, per verificare come si muovano e si siano mossi i
gruppi criminali. Grazie all'operazione "Nord-Sud" è emerso
concretamente come esistesse un nuovo cartello di gruppi
criminali calabresi al di fuori della Calabria; al tempo
stesso - credo sia opportuno sottolineare questo dato - è
stata dimostrata la stretta interrelazione tra gruppi
criminali di estrazione diversa e soprattutto un'interazione
che è diventata integrazione con gruppi aderenti a Cosa nostra
siciliana. Sono stati eseguiti tra Milano e la Calabria 231
provvedimenti di custodia cautelare, hanno operato più centri
contemporaneamente e sono stati ricostruiti insediamenti in
Lombardia dei gruppi dei Papalia e dei Sergi, che operavano
con le loro famiglie di origine di Platì, in contiguità con
quelle dei De Stefano e degli Imerti. Sono state anche
rilevate proiezioni degli stessi gruppi in Piemonte, in
Toscana e nel Lazio.
   Al di là di queste attività di polizia giudiziaria e della
loro valenza sul piano tattico con riferimento ai risultati
conseguiti, vorrei riferire alla Commissione di un'ulteriore
iniziativa assunta per giungere al massimo della conoscenza
del fenomeno, nonché, soprattutto, per tesaurizzare il
complesso di informazioni acquisite operando sul territorio,
sulla strada. Per comporre in un'unica visione strategica
tutti gli elementi di novità raccolti, abbiamo promosso un
momento di riflessione comune tra gli investigatori che
avevano operato, quelli che gli americani chiamano case
agent, e i magistrati che avevano guidato le indagini.
Pertanto, nel mese di dicembre abbiamo organizzato a Reggio
Calabria, in modo che ci fosse una caratterizzazione rispetto
al luogo in cui avveniva questo scambio di esperienze, una
conferenza regionale sul fenomeno dell'ndrangheta. E' stata
un'esperienza molto utile e sono stato felice
dell'apprezzamento venuto dal procuratore nazionale; in quel
momento di confronto, nell'immediatezza o comunque a pochi
mesi dai risultati di queste operazioni, è stata data ai
singoli investigatori ed anche ai magistrati, alcuni dei quali
tra l'altro non si conoscevano personalmente, l'opportunità di
scambiarsi informazioni sui metodi di lavoro seguiti.
   Riteniamo che oggi sia utile proseguire un'azione che
tenda ad incidere con decisione sulle disponibilità
finanziarie e sulle attività economiche delle cosche,
soprattutto trattandosi di cosche di questo tipo. In altre
parole, crediamo che il lavoro investigativo non debba
fermarsi agli aspetti più evidenti del reato associativo o di
quei delitti di sangue già evidenziati; secondo questa
strategia, l'obiettivo ultimo sarà quello di giungere alla
confisca dei beni acquisiti illecitamente, con la finalità di
sottrarre i cespiti patrimoniali dell'organizzazione che sono
poi indispensabili per la sopravvivenza dell'organizzazione
stessa. Sappiamo, infatti, che questa è naturalmente pronta a
sostituire con forze criminali fresche le persone colpite da
provvedimenti dell'autorità giudiziaria. L'intendimento è
perciò quello di togliere "l'acqua" nella quale potrebbe
rigenerarsi il gruppo colpito.
   Proprio per potenziare quest'azione investigativa diretta
sui cespiti patrimoniali, raccogliendo le reiterate
raccomandazioni della Commissione antimafia, ho proposto di
costituire a livello centrale alcune articolazioni nuove del
nostro ufficio
                        Pag. 3504
 che si dedichino, nella fase delle indagini preventive,
all'analisi e al monitoraggio di alcuni fenomeni di
riciclaggio e poi a coordinare specifiche indagini per le
quali viene impiegato solitamente il personale tecnico più
qualificato di cui dispone la DIA, cioè la componente della
Guardia di finanza, nell'attività di contrasto dello specifico
delitto.
   Ritengo importante riferire come anche questa osmosi di
esperienze, dal punto di vista dell'integrazione tra alcune
tecniche di indagine, che sono patrimonio della Guardia di
finanza, e la conoscenza delle metodologie criminali, che sono
patrimonio dei colleghi delle altre forze di polizia, sia una
risultante molto utile ai fini di un'indagine completa sui
fenomeni di riciclaggio.
   Con riferimento alle innovazioni ed ai caratteri del
fenomeno, rispondendo ad una domanda posta dal presidente,
vorrei illustrare le principali acquisizioni informative che
provengono dai lavori di intelligence e dalle indagini
svolte, nonché dai contatti intercorsi a livello
internazionale. In questo senso, ritengo di poter affermare
che si va delineando un'immagine nuova e più temibile della
'ndrangheta calabrese, che fa giustificare l'inserimento di
questa organizzazione criminale tra le consorterie più
pericolose. Le inchieste svolte hanno permesso di acquisire
piena consapevolezza della potenzialità criminale di queste
famiglie.
   Le circa 80 cosche che operano nella provincia reggina
sembrano detenere risorse di natura economica, in termini di
partecipazione a traffici illeciti e di disponibilità
finanziarie, risorse di natura militare in termini di armi e
di persone disposte all'uso della violenza (purtroppo il
triste esempio di questa notte ne è una concreta evidenza) e
poi anche risorse di natura "politica", nel senso di
collegamenti con dei reticoli illeciti di potere con altre
organizzazioni criminali.
   Le risultanze investigative hanno consentito di delineare,
nella loro evoluzione, gli assetti delinquenziali e il sistema
di alleanze delle consorterie mafiose in questione,
configurando una sorta di bipolarismo che è presente in
maniera latente in tutta la provincia di Reggio Calabria ed è
particolarmente avvertito nei sodalizi del versante ionico.
   Si tratta, in sostanza, di una progressiva evoluzione
della storica suddivisione che negli anni settanta ha dato
luogo a quella sorta di guerra tra tripodiani e destefaniani,
e che poi negli anni ottanta ha sviluppato quell'ulteriore
conflitto mafioso tra i gruppi, da un lato, di De Stefano,
Tegano e Libri e, dall'altro, di Imerti, Condello e Serraino.
  PRESIDENTE. La collocazione territoriale era tale per
cui combattono città e provincia oppure questo non c'entra?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Anche
all'interno della città, erano gruppi di potere criminale
diverso o rappresentanti di gruppi.
  PRESIDENTE. Qual è la ragione?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Da quello
che è stato possibile accertare, come alcune indagini hanno
evidenziato, il gruppo dei De Stefano, diciamo così per
indicare anche i Tegano e i Libri, ha avuto corrispondenza e
contiguità maggiori con le cosche siciliane, di quelle
soprattutto operanti nella Sicilia orientale. Ma su questo
punto tornerò più avanti anche perché viene evidenziato in
alcuni specifici delitti, per esempio nell'omicidio
Scopelliti, oltre che nell'indagine svolta a Milano, dove
queste integrazioni tra i gruppi calabresi e quelli siciliani
è stata particolarmente evidente nell'attività delittuosa.
   Un dato nuovo, con riferimento alla struttura interna, che
in fondo rappresenta una evoluzione dell'organizzazione
delinquenziale calabrese, è quello della costituzione (secondo
le risultanze delle indagini svolte) intorno agli inizi degli
anni novanta, perciò recentissima, di una commissione
provinciale tra le cosche operanti sullo stesso territorio,
che, un po' sulla falsariga di quello che avviene con le
strutture analoghe che operavano e che
                        Pag. 3505
operano nella Cosa nostra siciliana, interviene nelle
attività criminose delle varie cosche ed anche per prevenire o
dirimere controversie tra le diverse fazioni. Questa dovrebbe
essere la risultante di quella pax mafiosa avvenuta dopo
la fine dei conflitti tra le famiglie De Stefano, Tegano e
Libri e i Condello, Imerti e Serraino.
   Sotto il profilo strutturale è questa la novità che
abbiamo riscontrato o almeno che stiamo via via riscontrando
nell'azione investigativa. Secondo le risultanze delle
indagini tuttora in atto, questa struttura sarebbe nata
proprio dall'esigenza di far cessare quella conflittualità tra
i gruppi, che ho prima citato; sembrerebbe che la Cosa nostra
siciliana non fosse esente da questa soluzione, ma anzi
avrebbe esercitato forti pressioni per consentire questa
pacificazione tra le cosche nel reggino.
   Tutto sommato la novità di tale ristrutturazione, diciamo
quasi federativa, tra le cosche con questa organizzazione di
controllo al vertice è forse la più evidente che abbiamo visto
nella struttura interna. Oltre alla necessità di dirimere
conflittualità sul territorio, questa maggiore
verticalizzazione e questa maggiore chiusura ad eventuali
attacchi istituzionali dall'esterno possono anche essere
giustificate per l'intenzione di evitare defezioni all'interno
dell'organizzazione e anche collaborazioni con la giustizia.
   Un altro dato nuovo - o almeno lo è per noi - conseguente
alla costituzione di questa sorta di cupola, di commissione
interprovinciale, è l'ulteriore rafforzamento dei legami fra
la malavita calabrese e quella siciliana. Si tratta di legami
diventati sicuramente molto più stretti anche se della loro
esistenza ne avevamo già una cognizione in passato, cognizione
non processuale, come sta avvenendo adesso, ma piuttosto di
tipo informativo. Addirittura riteniamo che si stia
consolidando quella ipotesi investigativa, già nel tempo
adombrata, che in Calabria esistano delle vere e proprie
famiglie della Cosa nostra siciliana, ripetendo un po'
l'esperienza avvenuta in Campania con i gruppi camorristici.
   L'esistenza di vincoli stretti, comunque, tra famiglie
mafiose e clan calabresi si può fare tranquillamente risalire
alla metà degli anni sessanta. Questi dati informativi, però,
dato proprio il connotato di segretezza e di oralità che
caratterizza questi gruppi criminali, non sono altrimenti
rilevabili se non attraverso testimonianze che vengono
dall'interno. Posso dire qui che tali testimonianze sono state
acquisite mediante dichiarazioni convergenti rese da
collaboratori della giustizia di origine sia siciliana sia
calabrese. Mi rendo conto che non si tratta di un riscontro
oggettivo, tuttavia è un elemento che indica o che può
indicare una genuinità dell'acquisizione, che merita
ovviamente un ulteriore riscontro, per altro difficile in
quanto si tratta soltanto di una organizzazione interna di
gruppi criminali che operano nel segreto.
  PRESIDENTE. Il fatto che Gioè quando si suicida lascia
una lettera in cui indica come prima delle persone da
scagionare uno della 'ndrangheta, Papalia, è un segno di
questi rapporti?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Quando si
parla di soggetti criminali è difficile poter ricostruire
tutta la loro storia criminale e sapere in quale preciso
momento della loro vita hanno acquisito determinati rapporti
di conoscenza. Che il capo della famiglia di Altofonte, per
altro responsabile o corresponsabile della strage di Capaci,
all'atto del suicidio faccia menzione di un personaggio della
malavita calabrese, come Domenico Papalia, è segno evidente
che c'era una conoscenza profonda tra i due. Conoscenza che,
ripeto, può anche provenire da una frequentazione in carcere o
da altro, ma è comunque segno evidente di un diretto rapporto.
   In particolare, proprio con riferimento a questi rapporti
con la malavita siciliana, per la cosca degli Iamonte di
Melito Porto Salvo e quella dei Tegano di Archi abbiamo
riscontrato legami stretti
                        Pag. 3506
con gruppi mafiosi della Sicilia orientale che facevano capo
a Nitto Santapaola, soprattutto in un'attività congiunta di
traffico di armi e stupefacenti e anche in un'attività
estorsiva nei confronti di imprese anche di livello nazionale.
   Come ho detto poc'anzi, queste interconnessioni tra i
diversi gruppi criminali sono state certamente riaffermate e
trovano una prova evidente nell'inchiesta che ha portato alla
individuazione e all'arresto dei mandanti e degli esecutori
dell'omicidio Scopelliti. Mi preme ricordare che le indagini
hanno rivelato che l'omicidio è stato commesso da killer
calabresi su ordine o su richiesta della commissione
provinciale palermitana di Cosa nostra, che intendeva
provocare un rinvio dell'imminente - allora - processo
pendente dinanzi alla Corte di cassazione.
   Quella vicenda delittuosa, in particolare, ha evidenziato
come nella gestione e nell'esecuzione del fatto di sangue,
anche a livello di malavita calabrese, sia stata perseguita
poi anche una ripartizione dei compiti tra le varie cosche
reggine, però diverse, e che a vario titolo hanno firmato,
direi, l'omicidio del giudice Scopelliti. Tra i mandanti,
forse, che erano interpreti della volontà siciliana c'erano i
De Stefano e i Tegano, mentre invece gli Imerti hanno
consentito l'esecuzione del delitto sul proprio territorio,
avvenuto poi, secondo quanto risulta dalle indagini, ad opera
dei Garofalo.
   La circostanza è chiaramente un segno di una strategia
complessa, che risponde ad una regia direi unitaria, nel senso
di interazione e di integrazione fra gruppi criminali, in sede
locale e con riferimento ai gruppi siciliani.
   Per quanto riguarda le proiezioni della criminalità
calabrese nelle altre regioni italiane, le indagini svolte
hanno riguardato, in particolare, i poli industriali della
Lombardia e del Piemonte ed hanno permesso di acquisire alcuni
elementi di informazione sul modello criminale della
'ndrangheta, del tipo di quelli che ho citato sinora. Il dato
che si riferisce a queste proiezioni esterne ci induce a
ritenere che anche al di fuori della regione di origine questi
clan calabresi hanno intrecciato una fitta rete di affari
illeciti con altri gruppi criminali, quelli siciliani in
particolare, e si sono scambiati favori e servizi di vario
genere per poter coesistere e convivere su un territorio che
ovviamente non controllavano come il territorio d'origine.
   Per quanto riguarda le attività in particolare della mafia
calabrese, certamente è comprovata la sua presenza nel settore
dei sequestri di persona e del traffico di stupefacenti. Però,
come abbiamo visto, il delitto dei sequestri di persona ha
subito, come abbiamo visto, una flessione in concomitanza, ci
pare di poter dire, anche con lo sviluppo del traffico di
stupefacenti. Secondo alcune acquisizioni informative,
suscettibili però di ulteriori indagini, se sarà possibile, e
di ulteriori elementi di prova, è emerso o si è capito che
qualche famiglia calabrese ha fatto ricorso al sequestro di
persona talora per ripianare alcune perdite finanziarie che
aveva registrato nel traffico di stupefacenti e altre volte,
addirittura, per distogliere l'attenzione delle forze
dell'ordine e dell'opinione pubblica da altre vicende
criminali.
   Sulla base di tutto questo credo di poter dire che occorre
prendere atto che, al pari di Cosa nostra, anche la
'ndrangheta calabrese è uscita da quell'isolamento
territoriale, assumendo ormai le connotazioni di una
organizzazione e di una mafia moderna con una straordinaria
solidità operativa. Il dato che ci induce a dire questo è
proprio il comportamento che questi gruppi criminali adottano
anche fuori dalla propria regione di origine.
   Vorrei osservare, in conclusione, che si sente affermare,
in genere, che soltanto di recente è stato valutato appieno il
pericolo della criminalità calabrese. Al riguardo vorrei dire
che ciò non risponde esattamente al vero se si vuole
intendere, con questo, una scarsa considerazione della forza
dell'organizzazione o un non sufficiente contrasto. Può essere
vero se pensiamo invece che non conosciamo bene la sua storia
o comunque non adeguatamente per quelle che sono le
                        Pag. 3507
esigenze di strategie precise di intervento; può essere vero
se si fa riferimento ad una ancora non approfondita conoscenza
delle interazioni di questa organizzazione e dei suoi
collegamenti con altri gruppi criminali, anche non omogenei,
che perseguono obiettivi politici o parapolitici. Con ciò
arrivo, signor presidente, all'ultimo punto del suo quesito.
   Secondo alcuni spunti informativi, c'è una sollecitazione
anche ad indirizzare l'attività investigativa in altre
direzioni, proprio per evitare che permangano zone d'ombra
relativamente alla conoscenza dell'esistenza di queste
contiguità tra appartenenti alla 'ndrangheta e soggetti
criminali, come ad esempio quelli gravitanti negli ambienti di
estrema destra.
   Secondo alcuni collaboratori di giustizia e secondo le
acquisizioni che i magistrati hanno fatto sul punto ...
  PRESIDENTE. Lei parla di ambienti eversivi di estrema
destra?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Sì,
ambienti eversivi.
   Ecco, proprio con riferimento ad ambienti eversivi ci
sarebbero stati dei contatti tra la cosca dei De Stefano e, a
suo tempo (è un dato quasi storico ormai), Franco Freda, in
occasione della sua fuga e della sua latitanza dopo il
processo di Catanzaro.
   Su questo punto esistono alcuni elementi concordanti, che
sono stati acquisiti - ripeto - in sede giudiziaria dai
magistrati, però personalmente non li ritengo certamente
sufficienti per dare una completa valutazione della vicenda e
soprattutto di quelli che possono essere questi rapporti con
la malavita calabrese.
   Ancora più sfumati, se mi è consentito dirlo, sono i
rapporti con appartenenti a logge massoniche. Esistono al
riguardo alcuni accenni che sono stati fatti da taluni
collaboratori di giustizia, però il riferimento è fatto
esclusivamente, per ora, a possibili interventi all'esterno
dei gruppi criminali, finalizzati all'"aggiustamento" (come
adesso si dice) di alcuni processi.
   L'ultimo dato che credo possa essere importante riferire è
l'interesse investigativo che abbiamo posto al traffico di
armi, traffico cui le consorterie mafiose calabresi sembra
siano particolarmente interessate.
   Devo dire che a livello di attività informativa si è
appreso anche del coinvolgimento di alcuni esponenti delle
cosche di San Luca e di Platì nell'importazione clandestina di
missili. Su questo dato non c'è un riscontro. Si rileva invece
soltanto un riscontro della disponibilità di armi
particolarmente pericolose e lo evidenzia il sequestro di
mitragliatori ed anche di due bazooka completi di razzi
a carica cava.
   Penso di poter affermare che la disponibilità di questi
strumenti d'offesa rientra nella logica di un impiego
riconducibile all'esecuzione di omicidi ed attentati. Di
conseguenza, riterrei che il coinvolgimento della 'ndrangheta
nel traffico di armi da guerra debba essere ricondotto più che
altro ad una lucrosa attività di intermediazione
affaristico-finanziaria. Rimane però da parte nostra
l'obiettivo di riuscire a chiarire quali siano i committenti,
i canali di approvvigionamento ed i destinatari di queste
armi.
   Da queste osservazioni appare evidente come ci troviamo in
presenza soltanto di spunti investigativi ancora frammentari e
imprecisi, che devono però essere necessariamente chiariti e
meritano il massimo dell'attenzione nella pianificazione delle
future attività investigative della nostra Direzione.
   Nel piano di indagine, un piano più organico indirizzato
anche ad individuare i responsabili delle stragi perpetrate
nel nostro paese, da Capaci fino a Milano, è soprattutto
inteso ad individuare quelle componenti criminali che hanno
eventualmente operato a fianco delle associazioni mafiose.
Credo che queste attività investigative rappresentino per il
futuro una priorità di intervento al pari di quelle che mirano
a colpire le attività economiche dei gruppi criminali.
                        Pag. 3508
  PRESIDENTE. Dottor De Gennaro, per completezza, due
questioni brevissime. In primo luogo, la questione armi, che
lei ha adesso richiamato. Nel corso dei sopralluoghi
effettuati dalla Commissione in molte aree del territorio
nazionale è emerso quasi dovunque che la 'ndrangheta avrebbe
in qualche modo una funzione specifica nella fornitura di armi
ad altre organizzazioni mafiose.
   La seconda questione è quella della droga: c'è un ruolo
specifico della 'ndrangheta nel traffico di droga in Italia o
su versanti internazionali o si tratta di un'organizzazione
che fa più o meno quello che fanno gli altri?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Per quanto
riguarda le armi, mi sono soffermato sul punto proprio perché
soprattutto il sequestro di armi particolarmente potenti dà
l'idea, è un indicatore notevole per rispondere alla sua
domanda, circa un coinvolgimento di questi gruppi criminali
nel traffico di armi.
   E' un po' frutto di una personale esperienza investigativa
il fatto che quando un'organizzazione criminale si muove, non
si muove per comprare un bazooka. Ed ecco perché parlavo
della necessità di individuare sia committenti sia canali di
approvvigionamento, stante soprattutto il fatto che, avvenendo
queste transazioni a livello internazionale, quando
l'organizzazione si muove, deve necessariamente farlo e
stabilire contatti per quantitativi maggiori. Da questo penso
possa derivare una risposta un po' deduttiva alla sua domanda
e si possa spiegare la nostra necessità di individuare anche i
destinatari.
  PAOLO CABRAS. La provenienza delle armi è varia o
vengono in genere da certe aree geografiche?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Alcune
indagini in corso fanno un po' riferimento a quelle aree dove
sono ancora esistenti dei conflitti, come nella vicina
Iugoslavia, dove è più facile una forma di approvvigionamento.
Ma non abbiamo elementi certi per dire che possa essere
soltanto quella la provenienza o che vi possa essere anche lo
sfruttamento di canali diversi già esistenti a livello
internazionale.
   Più di un testimone, però, indica nelle sue dichiarazioni
ai magistrati la disponibilità da parte della malavita
calabrese di armi. C'è stato soltanto un caso - ripeto -
quello che dicevo prima, del collaboratore Barreca che avrebbe
riferito (ecco perché parlavo di una informazione che può
rappresentare soltanto uno spunto di indagine oppure un
campanello di allarme) della disponibilità da parte delle
cosche di San Luca e di Platì anche di armi ancor più potenti.
   Per quanto riguarda la droga, signor presidente, c'è
sicuramente un coinvolgimento notevole della malavita
calabrese in tale traffico. Ho fatto riferimento prima
all'indagine sui Comiso e sui Costa con riferimento
all'operazione "Siderno group", dove più evidenti sono state
le prove di un coinvolgimento diretto in grosse transazioni di
stupefacenti da parte di questi gruppi.
  PAOLO CABRAS. E lo scambio armi contro droga risulta?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Su questo,
senatore, non abbiamo elementi specifici.
  PRESIDENTE. Vi sono colleghi che intendono porre
domande?
  UMBERTO CAPPUZZO. Ho molto apprezzato la relazione, che
mi è parsa completa.
   Tornerei sul problema delle armi, da lei sollevato, signor
presidente. Credo di poter vedere nell'ambito delle varie
organizzazioni criminali una certa ripartizione di compiti. Io
penserei - ma questa è un'idea e vorrei il conforto e il suo
parere, dottor De Gennaro, su questa mia ipotesi - che la
'ndrangheta calabrese abbia proprio un compito di
approvvigionamento di armi anche a favore delle altre
organizzazioni criminali.
                        Pag. 3509
   La seconda domanda riguarda le armi pesanti. E' stato
fatto recentemente riferimento alla possibilità che queste
nostre organizzazioni criminali di stampo mafioso dispongano
anche di armi pesanti. Adesso lei ha precisato, facendo
riferimento a missili controcarro e munizionamento a carica
cava, ma qualche notizia di stampa riportava addirittura
l'ipotesi di una disponibilità di armi di peso ancor maggiore.
Vorrei sapere se questa sia soltanto un'ipotesi oppure se vi
siano elementi per confermare questa disponibilità.
   La terza domanda riguarda le proiezioni della 'ndrangheta:
lei ha parlato di proiezioni internazionali ed anche di
proiezioni nazionali. Le chiedo se queste proiezioni siano
realizzate con il materiale trasferimento di "personale"
all'estero o se, in base all'appartenenza dei calabresi
presenti localmente in Australia o in Canada, ad esempio, si
vengano a stabilire rapporti particolari che portano allo
sfruttamento della comune appartenenza per fini criminali.
   Occorre tener presente oltretutto - questa è una quarta
domanda -, che già negli anni ottanta era stato fatto un
lavoro molto approfondito circa questi legami e che il comando
di gruppo di Reggio Calabria disponeva di un archivio
perfetto, che io posi ad esempio agli altri gruppi dell'Arma,
archivio dal quale risultavano non soltanto il complesso, la
mappa delle dislocazioni della 'ndrangheta, localmente e
all'esterno, ma anche il controllo del traffico telefonico,
che era stato effettuato, dal quale era scaturita una massa di
notizie strabilianti: nullatenenti che pagavano 7 od 8 milioni
al mese di telefonate, facendo capire che vi era una qualche
attività che rendeva.
   Ebbene, questo patrimonio importantissimo dell'Arma è
stato passato, una volta costituita la DIA, a loro
disposizione? C'è questa collaborazione?
  FERDINANDO IMPOSIMATO. Ringrazio il dottor De Gennaro
per la sua relazione molto precisa. Con riferimento
all'informazione relativa alla presenza in Calabria di
famiglie di Cosa nostra, che mi pare risalga, per quanto
riguarda l'infiltrazione, alla metà degli anni sessanta,
vorrei chiedere qualcosa di più preciso e cioè se tale
infiltrazione riguardi famiglie controllate dai Corleonesi
oppure si tratti di elementi siciliani mandati al soggiorno
obbligato.
   Per quanto riguarda i collegamenti tra la 'ndrangheta e i
politici e la massoneria, abbiamo notizie, attraverso
dichiarazioni di pentiti, circa fatti estremamente allarmanti
e addirittura circa la presenza di Gelli in Calabria. Credo di
ricordare che vi è stato anche di recente un magistrato che ha
parlato di questi collegamenti tra Gelli ed esponenti della
'ndrangheta. Chiedo se il dottor De Gennaro voglia riferire
qualcosa di più preciso per ciò che concerne i rapporti tra
'ndrangheta e massoneria e in particolare la P2, tenendo
presente che ricordo che già da un'indagine da me effettuata
nel 1975 erano emersi rapporti tra esponenti della 'ndrangheta
e tal Cortese, che apparteneva alla massoneria.
   Infine vorrei chiedere qualcosa sui rapporti tra
'ndrangheta ed eversione nera e soprattutto sulla possibilità
che la 'ndrangheta possa in qualche modo aver partecipato ai
recenti attentati commessi nel 1992-1993 a Milano, a Roma e in
altre città d'Italia.
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Circa le
domande del senatore Cappuzzo, sui destinatari delle armi mi
sono permesso di dire che su tale punto vi sarà una strategia
di indagine che diventerà prioritaria, proprio per capire, con
riferimento a quello che accennavo prima, se sia un'opera o
un'attività soltanto di brokeraggio da parte di queste cosche
calabresi e perciò di intermediazione finanziaria, certamente
lucrosa, oppure se ci sia un'acquisizione in proprio delle
armi in oggetto.
   Insisto sull'ipotesi, non avendo un dato di risposta
obiettivo e concreto di indagine già definita, che la presenza
nell'acquisizione di materiale anche così costoso e certo meno
facilmente reperibile
                        Pag. 3510
possa fare ipotizzare l'acquisto di quantitativi maggiori e
perciò una destinazione ad altri.
   Per quanto riguarda le armi di maggior peso, a cui faceva
riferimento il senatore Cappuzzo, ho citato quali sono le
fonti di conoscenza. Non abbiamo eseguito dei sequestri e
quindi un materiale oggettivo riscontro alla disponibilità
come abbiamo con riferimento ai lanciarazzi, ai diciotto razzi
a carica cava sequestrati dai colleghi dell'Arma dei
carabinieri nel mese di ottobre dell'anno scorso. Anche a
questo proposito abbiamo più indicazioni da parte di
collaboratori di giustizia che ovviamente non sono
sufficientemente precise, altrimenti avrebbero portato ad una
conoscenza diretta con l'acquisizione del materiale.
   Mi preme soffermarmi su un punto in ordine alle proiezioni
all'estero. L'indagine prima citata sui gruppi criminali
operanti a Siderno, soprattutto i Comiso e i Costa, come
giustamente ricordava il senatore Cappuzzo, data da molti
anni. Non soltanto i colleghi dell'Arma operanti in zona ma
anche i colleghi della polizia hanno avuto attenzione nei
confronti di questi gruppi criminali. Nell'attività
conclusiva, che lo scorso anno ha portato a quella prima
definizione di tranche del processo con gli arresti
effettuati in Calabria per numerosi omicidi di questi
personaggi, hanno rappresentato un patrimonio fondamentale,
usato nella conclusione del riferimento all'autorità
giudiziaria, le profonde ed incisive attività già svolte in
modo sicuramente pregnante, magari non organicamente definito,
come è stato possibile dopo anche grazie ad alcune
testimonianze od altro, dai colleghi dell'Arma, soprattutto
nella Locride.
   Per altro devo dire che la DIA ha la fortuna di avere
negli uffici operanti in Calabria dei valorosi ufficiali e
sottufficiali dell'Arma dei carabinieri che garantiscono non
soltanto una conoscenza sul piano storico ma anche
un'interazione diretta con i gruppi investigativi o i comandi
territoriali ivi dislocati. Quando si opera su un reato
associativo evidentemente il patrimonio di conoscenze è
fondamentale in riferimento non soltanto al piano storico ma
anche a quello delle interconnessioni intersoggettive
riattualizzate, come dicevo prima, da questo ulteriore
impulso. Come ricordava il senatore Cappuzzo, l'attività
approfondita svolta dai colleghi in passato, anche in
Australia, ha rappresentato un patrimonio che è stato
tesaurizzato e non disperso, assemblato con tutte le ulteriori
emergenze investigative.
   Per quanto riguarda la domanda formulata dall'onorevole
Imposimato sulle famiglie di Cosa nostra in Calabria, devo
dire che non si tratta di persone inviate al soggiorno
obbligato, ma di una integrazione fra la malavita calabrese e
quella siciliana. Prima ho parlato addirittura di affiliazione
di esponenti della 'ndrangheta calabrese nelle famiglie di
Cosa nostra siciliana, così come...
  PRESIDENTE. Questo è documentato o è un'ipotesi?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. Ricordo
che inviammo al giudice Falcone un rapporto basato su una
sorta di notizie fiduciarie addirittura nel 1988.
  PRESIDENTE. In quel rapporto si parlava di don Stilo?
  GIANNI DE GENNARO, Direttore della DIA. No, si
trattava di un rapporto informativo su una ipotesi di presenza
di affiliati a Cosa nostra in Calabria, tra la malavita
calabrese. Tutte le emergenze investigative attuali di questa
integrazione nell'azione delinquenziale e le testimonianze
acquisite hanno confermato quella ipotesi investigativa.
   Come dicevo, il momento di collegamento maggiore è con le
cosche della Sicilia orientale e in particolare con la
famiglia catanese. Purtroppo non ho elementi nuovi e certi da
poter riferire per confermare i rapporti tra alcuni esponenti
della massoneria e i gruppi criminali calabresi. Gli unici
rapporti a cui ho
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potuto fare riferimento sono quelli delle testimonianze
acquisite in ordine all'aiuto richiesto ad esponenti di logge
massoniche nell'"ammorbidimento" delle posizioni processuali
di alcuni inquisiti. Sul punto non siamo in possesso di
elementi precisi.
   In riferimento alle collusioni e ai collegamenti con la
destra eversiva sono stati raccolti alcuni ulteriori elementi,
su cui si sta sviluppando un'azione investigativa diretta con
riferimento a quelli che possono essere i precedenti storici,
come quelli che riferivo in ordine ai rapporti tra i De
Stefano e Freda.
   Per quanto riguarda l'eventuale partecipazione dei gruppi
criminali calabresi alle stragi che, come lei sa, signor
presidente, fin dall'anno scorso il nostro ufficio ha ritenuto
di dover ricondurre ad un disegno criminoso unitario, fino ad
oggi non è emersa con responsabilità individuali accertate;
tuttavia, si tratta di un momento di indagine che vede la
nostra particolare attenzione proprio perché, con riferimento
alle indagini ancora in corso sugli episodi avvenuti al di
fuori della Sicilia, potrebbero emergere responsabilità in via
non soltanto ipotetica, ma anche con riferimento ai rapporti
di contiguità e di integrazione tra la 'ndragheta e la mafia.
  PRESIDENTE. A nome della Commissione, ringrazio molto il
dottor De Gennaro per gli utili elementi che ha fornito al
nostro lavoro.
   La prossima seduta si svolgerà a data da stabilire, per la
discussione della relazione conclusiva.
La seduta termina alle 16,20.

 


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