Violante: seduta 76
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      PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE
                          INDICE
                                                        pag.
Seguito della discussione della relazione sulla
camorra:
Violante Luciano, Presidente, Relatore ................ 3197
                  3199, 3204, 3205,   3208, 3214, 3215, 3216
Brutti Massimo ............................ 3203, 3205, 3208
Calvi Maurizio .................................. 3197, 3199
D'Amelio Saverio ...................................... 3216
Guerritore Antonio ........................ 3211, 3214, 3215
Matteoli Altero ....................................... 3205
Tripodi Girolamo .......................... 3201, 3204, 3205
Pagina  3196
Pagina  3197
La seduta comincia alle 15,10.
(La Commissione approva il processo verbale della
seduta precedente).
                Seguito della discussione
              della relazione sulla camorra.
  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della
discussione della relazione sulla camorra. Do la parola al
senatore Calvi.
  MAURIZIO CALVI. Credo che la complessa vicenda politica,
istituzionale e sociale della Campania e, in particolare,
della città di Napoli debba essere considerata da un punto di
vista politico. La relazione e le conclusioni alle quali essa
perviene individuano come punto centrale dell'analisi il
grande malessere della politica nella regione Campania,
malessere che ha dato vita ad un coacervo di elementi di
carattere esplosivo che hanno disseminato schegge sul piano
sociale, economico ed istituzionale (in considerazione dei
rapporti tra camorra, politica ed istituzioni), e creato una
forte miscela esplosiva che ha aperto il grande "cratere" di
Napoli.
   Quella in esame è una relazione che io definirei
"storica": per la prima volta, infatti, si apre il ventre
enorme della Campania e se ne fanno uscire malesseri,
implicazioni ed intrighi, affacciando nel contempo, sul piano
politico generale, una prospettiva alla vicenda-Campania. La
relazione ha posto in luce uno sforzo attento di lettura e di
analisi ed ha indicato la necessità di avviare una nuova fase
di cambiamento nella vita della Campania e della città di
Napoli. E' questo, in sostanza, il senso della relazione:
accanto all'individuazione dei grandi mali e dei segni del
malessere, essa tenta - da un punto di vista politico - di
aprire una prospettiva di grande cambiamento nella realtà
considerata, nonostante si possa essere indotti - così come lo
sono io - a ritenere che la realizzazione di tale prospettiva
incontrerà grandi ostacoli e che si registreranno forti
condizionamenti e ritardi, in conformità ad un orientamento,
che si affermerà nei prossimi anni, volto ad evitare la
realizzazione di una politica di cambiamento.
   La relazione, sulla base di una analisi impietosa, tenta
di restituire dignità politica al popolo campano, di
riscattare complessivamente le implicazioni ed i grandi mali
della città di Napoli, cerca, soprattutto, di superare i
ritardi ed i condizionamenti; da un punto di vista generale,
infine, la relazione tenta di ripristinare, in un clima
diverso rispetto al passato, quegli elementi di libertà che in
quella città ed in quell'area erano complessivamente saltati.
Si tratta di una città bloccata nelle sue libertà vitali (dal
punto di vista democratico), con una forte rottura democratica
al suo interno e con tutte le implicazioni che tale rottura ha
determinato. Tale situazione ha finito per creare violenza,
dissesto e tutta una serie di effetti sul piano politico
generale.
   Tuttavia, dobbiamo in qualche modo rilevare, presidente,
un aspetto che considero centrale nel contesto della
relazione, che a mio avviso va valutato attentamente in
funzione dell'opportunità di introdurre una specifica modifica
alla relazione stessa: le contraddizioni, le incertezze ed i
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malesseri della politica napoletana e campana sono stati gli
elementi che hanno influito sulle realtà istituzionali. In
sostanza, tutte le contraddizioni e le incertezze della
politica si sono ripercosse sui livelli istituzionali. E'
opportuno quindi porre la politica al centro dell'analisi
relativa alle incertezze riscontrate, che hanno poi finito per
creare il malessere che ha coinvolto i livelli istituzionali.
Dico questo perché la vera crisi della Campania era - ed è -
di natura politica.
   In particolare, vanno messe in risalto la complicità della
politica e quella complessiva della città, con riguardo ad
alcuni settori importanti dell'economia e, soprattutto, le
implicazioni che hanno portato alla miscela esplosiva del
rapporto tra camorra, politica ed istituzioni, influenzando
enormemente la regione Campania e, in particolare, la città di
Napoli.
   Da qui è nato uno stato di malessere, un cancro che ha
cominciato a percorrere nei suoi elementi vitali la società
civile, condizionandola e rendendola meno libera sotto il
profilo politico.
   La relazione che stiamo esaminando è importante perché -
attraverso un'analisi attenta - mette a nudo un sistema di
intrecci e di implicazioni che certamente apre una prospettiva
di cambiamento nel breve e nel lungo periodo. Certo, come ho
già detto all'inizio, non sarà un percorso facile né breve: la
realizzazione di tale prospettiva dipenderà, anche e
soprattutto, dall'esito del voto del 5 dicembre prossimo,
perché in tale voto è implicita una politica di cambiamento,
al di là di come andranno le cose. Io ho un mio giudizio, che
mantengo. Tuttavia, ripeto, a prescindere da come andranno le
cose, sicuramente l'esito del voto aprirà una nuova pagina
nella storia della città di Napoli ed avremo sicuramente
implicazioni ed effetti positivi.
   Il problema centrale, presidente, è che il riscatto -
perché di questo si tratta - della sola politica non è
sufficiente per risanare i mali di quella realtà. Noi dobbiamo
indubbiamente addebitare alla politica il grande malessere che
abbiamo riscontrato, ma non possiamo attribuire responsabilità
soltanto ad essa, perché questo sarebbe sbagliato ed erroneo e
non ci consentirebbe di affrontare in maniera sistematica la
vicenda-Napoli: rischieremmo di non comprendere tale vicenda
qualora non considerassimo che, certo, l'aspetto politico è
importante ma esso deve comunque essere accompagnato dalla
valutazione di un sistema più complessivo nel quale pezzi
importanti dell'economia e della società sono stati
influenzati oppure hanno influenzato il sistema politico ed
istituzionale. In definitiva, non possiamo affidare il
risanamento della situazione di Napoli e della Campania solo e
soltanto alla politica. Il rinnovamento sarà tanto più
profondo e significativo se sarà accompagnato da un
rinnovamento complessivo della società civile ed economica e,
complessivamente, di tutti i livelli istituzionali i quali
debbono comunque concorrere al risanamento ed al riscatto di
quella realtà. Se dovessimo affidare alla sola politica il
ruolo di realizzare il rinnovamento, il rischio di accumulare
ulteriori ritardi sarebbe concreto e finirebbe per ostacolare
quel forte cambiamento di cui noi avvertiamo una forte
esigenza.
   Nelle sue conclusioni, presidente, la relazione affronta
un nodo centrale e definisce, sulla base di una analisi
impietosa, quello che è un po' il suo teorema. Mi riferisco al
contatto tra camorra, politica ed istituzioni, che viene
descritto attraverso il riferimento ad un interprete il quale
ha svolto un particolare e significativo ruolo nel nostro
paese, a tutti i livelli istituzionali. In particolare, dalla
relazione si evince che il senatore Gava sarebbe la parte
forse più importante e significativa di questo intreccio. Mi
pare esagerato, presidente, caricare di eccessive
responsabilità il senatore Gava (anche se di responsabilità
egli ne ha, ne può avere tante in quella realtà) e ridurre
emblematicamente il giudizio politico sulla sua persona. Mi
pare che tale valutazione sia eccessivamente carica di
significato politico e di responsabilità. A mio avviso,
pertanto, tale giudizio va riequilibrato, ove si consideri che
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il clima corrosivo della città di Napoli e della Campania non
può essere imputato, con un giudizio sommario, ad un esclusivo
referente, ad una esclusiva responsabilità. Le inquietudini
della Campania e della città di Napoli non possono essere
imputate solo a questa persona: è l'intero sistema di quella
realtà che va giudicato, presidente, anche se all'interno di
tale sistema il senatore Gava ha avuto un ruolo influente ed
importante!
   Se noi dovessimo definire tale giudizio da un punto di
vista deduttivo, sulla base di analisi, dichiarazioni e
giudizi riportati nella relazione, capiremmo la storia di
questa realtà ma non l'esito di essa. L'imputazione del
degrado della città di Napoli e della Campania va quindi
riferita ad un intero sistema che per anni non ha governato,
rendendo difficoltoso il meccanismo della lotta politica e
dell'acquisizione delle ricchezze, alimentando uno scontro che
ha disseminato violenza e sangue e quindi, di conseguenza,
decine e decine di morti.
   La relazione in esame è importante anche per un altro
aspetto, per il quale è necessario che la relazione aggiusti
il suo giudizio. Noi non possiamo esprimere un giudizio
complessivo sul malessere della Campania, ma dobbiamo
articolare meglio le valutazioni. Vi sono enclaves del
territorio campano - parlo, per esempio di Avellino e della
stessa Benevento - che, per loro tradizione, cultura, per un
sistema politico migliore e più accorto, rappresentano realtà
diverse. Questa diversità, presidente, va considerata. Sarebbe
opportuno, pertanto, che nella relazione tale elemento fosse
evidenziato e messo in risalto perché, in caso contrario, non
daremmo un giudizio sereno ed equilibrato sulla situazione di
tutta la Campania.
   Nella relazione andrebbe anche considerato - in questo
senso sarebbe auspicabile uno sforzo, presidente - che vi sono
settori della società civile della Campania che sono stati
fortemente contrari a questo sistema. Vi sono pezzi importanti
di quella realtà - ripeto - che sono stati storicamente
contrari e che hanno contrastato questo sistema. Penso che, se
non puntualizzassimo questo giudizio, daremmo torto ad una
società che è sana in alcune sue parti significative, che ha
lottato e continua a farlo per offrire punte di speranza ad
una realtà fortemente condizionata, che non consentiva di
evidenziare le libertà complessive. Credo che questo aspetto
vada recuperato nella relazione sotto il profilo sociale e
politico, perché è importante evidenziare l'esistenza di forze
sane che si sono battute contro un certo sistema.
   Un punto particolare mi preme evidenziare, signor
presidente: quello relativo all'intreccio tra imprese, camorra
e politica. Occorre recuperare in modo molto sereno le
implicazioni di questo rapporto come sono state descritte dal
pentito Galasso.
  PRESIDENTE. E' citato!
  MAURIZIO CALVI. Sì, è citato ma in maniera molto
marginale. Si dice che ha partecipato a questo sistema di
spartizione, ma questo aspetto va evidenziato col massimo
della serenità possibile. La Commissione deve dare atto
dell'esistenza di un aspetto di carattere politico perché la
Commissione stessa ha voluto rileggere in modo significativo
le dichiarazioni del testimone Galasso, tant'è vero che è
stato ascoltato una seconda volta in cui ha chiarito meglio la
composizione di questo intreccio. E' un elemento di carattere
politico, forse marginale ma che va recuperato.
   Un'altra questione che va recuperata è quella relativa
all'implicazione del fenomeno dell'usura nel tessuto sociale.
A mio giudizio, all'usura deve essere dedicato un capitolo
apposito, soprattutto per quello che abbiamo ascoltato.
  PRESIDENTE. E' vero!
  MAURIZIO CALVI. Devono anche essere evidenziati il
disagio e il malessere dei bambini della Campania; anche alla
criminalità minorile sarebbe necessario dedicare un capitolo,
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perché la questione sociale, ben evidenziata nella relazione,
necessita di un ulteriore approfondimento sotto questo
versante.
   Desidero anzi sottolineare la chiave di lettura di questa
relazione di cui condivido un passaggio, quello relativo alla
svolta per la città di Napoli rappresentata dal caso Cirillo.
Le implicazioni di tale vicenda con la vita politica
napoletana sono il punto di partenza storico di un intreccio
perverso che ha determinato il malessere complessivo della
regione Campania. Ritengo che questo passaggio debba essere
sottolineato nella parte conclusiva della relazione, quella
parte politica in cui si parla del problema della dignità
politica, del ruolo giocato dalla politica in quella realtà,
del recupero della politica in quella realtà. Ritengo che la
relazione debba sottolineare anche nella conclusione, dopo
averlo fatto nella premessa, il giudizio politico sul caso
Cirillo quale elemento di svolta e di condizionamento perverso
sulla città.
   Quanto all'amministrazione della giustizia, se il
malessere complessivo della realtà napoletana è anche
politico, occorre formulare un giudizio duro sul "pianeta
giustizia" che ha aggravato i problemi già esistenti. Nelle
conclusioni occorre focalizzare questo elemento che ha
consentito (mi riferisco, oltre che alla città di Napoli,
anche a S. Maria Capua Vetere e Salerno) un ulteriore degrado
di questa realtà territoriale.
   Passo ora ad esaminare il problema finale, quello
riguardante l'azione dello Stato. Vanno ricordate le vicende
politiche nel nostro paese, gli effetti della diversità di
comportamento da parte dello Stato per recuperare il malessere
complessivo del paese, il problema di una dura azione dello
Stato nei confronti di tutti i poteri criminali, da quello
siciliano a quello calabrese a quello campano e pugliese;
credo che questa parte importante del rinnovo di un'azione più
forte e più veloce da parte dello Stato contro la criminalità
organizzata, il recupero della forbice esistente tra l'azione
dello Stato e la criminalità, questa riduzione della curva
debbano essere evidenziati nelle conclusioni della relazione.
Va chiarito che soprattutto nella lotta contro la camorra,
(perché di questa oggi ci occupiamo) lo Stato ha manifestato
segni profondi di diversità non solo sul piano dell'azione
repressiva ma anche su quello della prevenzione. Se molti
latitanti sono stati catturati, lo si deve al miglioramento
del sistema informativo, lo si deve ad una legislazione più
coerente rispetto al passato, lo si deve al miglioramento
delle strutture organizzative, alla qualità degli uomini. Sono
questi elementi, signor presidente, che devono essere
recuperati nella relazione; non è sufficiente fare un'analisi
impietosa della realtà campana, bisogna dire che accanto ad un
risanamento, ad un recupero dell'impegno della gente in quella
realtà vi è anche un'azione dello Stato più forte e più
robusta che ha consentito di recuperare grandi ritardi.
   La relazione deve essere vista con questa chiave di
lettura, senza la quale diventa difficile capire ciò che potrà
accadere nel prossimo futuro. Le conclusioni di questa
relazione sono importanti non solo per la natura del giudizio
ma soprattutto per le implicazioni del giudizio stesso: un
ripensamento complessivo dell'azione dello Stato e,
soprattutto, il messaggio che va lanciato a tutti i livelli
istituzionali. In particolare il sistema delle autonomie
locali deve recuperare posizioni dal punto di vista del
funzionamento, del ruolo, della sua capacità di risolvere i
problemi perché tale sistema concorre, come elemento di
carattere istituzionale, al risanamento della vita economica e
sociale della realtà campana, insieme al ruolo svolto dalle
regioni e dallo Stato. Il sistema delle autonomie locali è
importante perché concorre, attraverso le sue responsabilità,
al miglioramento della vita sociale ed economica della
Campania. La prospettiva di cambiamento della vita politica e
sociale dipende anche dal cambiamento, che potrà essere forte
nel sistema delle autonomie locali in conseguenza e per gli
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effetti di un sistema elettorale che sta dando nuove
generazioni di amministratori i quali saranno più coerenti
rispetto al passato e la cui azione sarà certamente più
trasparente. Voglio dire che il miglioramento della vita
istituzionale della Campania concorre a migliorare l'assetto
complessivo della regione.
   Anche questo passaggio va sottolineato perché una parte
importate della relazione poggia sul sistema delle autonomie
locali che è stato un elemento certamente condizionato ma che
a sua volta ha condizionato la vita sociale ed economica. Il
recupero del sistema delle autonomie locali è importante per
capire se questo rinnovamento può procedere velocemente e,
soprattutto, con grande impegno da parte di tutti coloro che
assumeranno nei prossimi mesi o nei prossimi anni nuove
responsabilità all'interno di quest'area.
  GIROLAMO TRIPODI. Signor presidente, dichiaro subito che
la relazione al nostro esame rappresenta un passo in avanti
assai qualificato non solo nell'azione di individuazione
dell'origine storica della delinquenza organizzata nelle varie
regioni del Mezzogiorno e della sua estensione nelle altre
zone del paese, ma anche per il fatto che finalmente, prima
per la Sicilia e oggi per la Campania, vengono svelati i
retroscena reali del modo in cui la camorra (o la mafia, o
Cosa nostra) è cresciuta e si è sviluppata nel paese divenendo
una forza potente.
   Tuttavia all'azione condotta dalla Commissione fino a
questo momento manca un punto importante, quello riguardante
la Calabria, nel senso che manca un'attenzione precisa della
Commissione alla 'ndrangheta. Colgo l'occasione per chiedere
al presidente Violante e alla Commissione di dare attuazione,
in tempi rapidi, all'impegno assunto in seguito ad una
deliberazione di dedicare una relazione specifica al problema
della 'ndrangheta, così come si è fatto per la Sicilia e oggi
per la Campania e, per certi aspetti, per la Puglia.
   Naturalmente, i dati ed i riferimenti contenuti nella
relazione sono tutti incontestabili: quindi, il giudizio che
emerge nasce da elementi precisi che vedono non soltanto la
presenza dell'organizzazione camorristica sul territorio, ma
anche la sua realtà di forza che, forse, nel passato era stata
sottovalutata e considerata come un'organizzazione marginale
rispetto alle altre formazioni criminali. Ritengo, quindi, che
con questa relazione si debba, per molti aspetti, fare una
sorta di autocritica rispetto alle analisi che erano state
svolte nel passato, quando la camorra veniva indicata come un
fenomeno di delinquenza comune, mentre dagli elementi di cui
disponiamo risulta che è qualcosa di ben diverso. Essa, oltre
tutto, è estesa in tutta la regione, non solo nelle province
che più frequentemente vengono indicate.
   Nella relazione si riconosce l'esistenza di un blocco di
potere politico-camorristico: accetto questa interpretazione,
però ritengo, naturalmente, che si debba andare oltre, perché
questo blocco di potere di fatto è riuscito, nelle zone in cui
si è affermato, a diventare lo stato dominante. Basti
considerare i rapporti che si sono instaurati tra la
delinquenza organizzata ed il potere politico, a livello
comunale, regionale ed anche nazionale. Emerge infatti, con
molta chiarezza, che la camorra non soltanto è riuscita a
radicarsi prepotentemente nel territorio ed a controllarlo, ma
nello stesso tempo ha ricevuto una copertura politica anche
nell'ambito del Governo: ebbene, questo è un fatto che non
viene sufficientemente chiarito nella relazione. Senza dubbio,
quindi, se si parla più chiaramente è possibile definire
meglio gli aspetti reali del fenomeno.
   Il coinvolgimento di ministri di vari governi ha
dimostrato che la camorra aveva creato un rapporto con il
potere politico non soltanto locale: e guai a chi si fosse
permesso di resistere, come ha dimostrato il caso del sindaco
di Pagani, Torre, che è stato eliminato, analogamente ad
alcuni consiglieri comunali, anche comunisti, che avevano
tentato di resistere al potere dominante
politico-camorristico. Non c'è dubbio, quindi, sulla presenza
a livello nazionale di questa organizzazione.
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   Credo che un elemento chiave del rafforzamento del potere
di Cosa nostra, della camorra e della 'ndrangheta sia
rappresentato proprio da questa possibilità di imporre le
proprie regole violente per impadronirsi del territorio. Tale
possibilità è stata determinata dalla copertura che tali
organizzazioni hanno ricevuto, intesa non soltanto come
protezione, ma anche come collegamento e saldatura tra la
periferia ed il vertice dello Stato.
   Leggo che vi sono otto parlamentari, tutti appartenenti a
partiti di Governo - alcuni dei quali sono stati anche
ministri -, indagati per fatti connessi ad organizzazioni di
stampo mafioso in Campania. E' un fatto impressionante ed a
questo si accompagna la constatazione che tutto il sistema
economico ed imprenditoriale è camorrista o subalterno
rispetto alla camorra. Non soltanto, quindi, la vita
democratica e le istituzioni, ma anche l'economia, sono
coinvolte nel sistema di potere determinato da questo blocco
politico-camorristico.
   Nella relazione si afferma che tale questione ha il suo
punto centrale nel patto - scellerato, dico io, signor
presidente, onorevoli colleghi - che fu a suo tempo stipulato
tra il potere politico e l'organizzazione criminale per la
liberazione del consigliere democristiano Cirillo.
Quell'episodio ha portato alla legittimazione della camorra,
credo che vada detto con molta chiarezza. Concordo, quindi,
con l'opinione che quello sia stato il momento in cui la
camorra ha compiuto il salto di qualità che le ha consentito
di penetrare in tutti i gangli vitali della vita pubblica:
nella magistratura, nelle forze di polizia, nella pubblica
amministrazione in genere. Ciò anche con episodi gravi, che
vengono riferiti, per esempio, per quanto riguarda la
magistratura. Viene per esempio indicato un giudice della
Corte costituzionale, che è stato anche ministro, Vassalli.
Questi viene citato non solo come uno dei ministri che hanno
promosso indagini nei confronti di quei pochi giudici
impegnati in prima linea nella lotta alla criminalità
organizzata, o che tentavano di individuare i rapporti tra
malaffare e politica, ma anche come il ministro che si è
rifiutato di effettuare gli interventi che gli venivano
sollecitati, come è giustamente indicato nella relazione.
Ebbene, oggi ricopre una delle cariche più alte della nostra
Repubblica. Non so come noi possiamo affrontare queste
situazioni: denunciarle è importante, ma poi bisogna anche
passare ai fatti, perché altri personaggi, che ricoprivano
cariche di responsabilità ad alto livello, hanno compiuto
scelte diverse, non sono rimasti ai loro posti, tranne alcuni.
Quindi questi soggetti, che hanno avuto il timone del potere a
livello nazionale e che avevano l'obbligo di portare avanti la
lotta alla criminalità organizzata, invece l'hanno coperta:
questo è il fatto più impressionante.
   La camorra, poi, è riuscita a svilupparsi maggiormente ed
ha avuto, credo, il suo momento di rafforzamento in seguito
alla vicenda del terremoto, che viene riportata nella
relazione. Della questione del post terremoto abbiamo
parlato più volte, anche quando è stato presentato il rapporto
conclusivo della Commissione diretta dal Presidente Scàlfaro.
Abbiamo visto anche i dati che sono stati riportati in
relazione all'uso del denaro pubblico, rivolto esclusivamente
ad arricchimenti illeciti: finanziamenti per impianti
produttivi autorizzati e non realizzati, impianti iniziati e
non completati, e così via. Complessivamente, le somme spese
ammontano a migliaia di miliardi: si è arrivati a 60 mila
miliardi soltanto per gli interventi conseguenti al terremoto.
Si è trattato di un fatto non solamente scandaloso, ma anche
offensivo per tutti gli italiani che pagano le tasse e poi
vedono i loro soldi divorati da parte di mafiosi, di
camorristi, di uomini politici senza scrupoli, di partiti, di
imprenditori disonesti.
   E' questo il quadro che risulta dagli interventi
successivi al terremoto ed è riportato abbastanza chiaramente
nella relazione.
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   Naturalmente, poi, vi è stato tutto un intrecciarsi di
attività che hanno portato allo sfascio totale delle
istituzioni e dell'assetto territoriale ed ambientale, perché
tutto è stato impostato con l'assalto selvaggio del
territorio, con la violazione di ogni principio urbanistico,
anche perché la legge approvata per sanare gli effetti del
terremoto prevedeva anche interventi sostitutivi, che hanno
cambiato gli assetti urbanistici ed hanno quindi aperto la
strada alla speculazione, alle lottizzazioni abusive, al
dilagare, insomma, dell'abusivismo in tutte le zone
interessate. Sono quindi sorti quartieri privi di strutture di
urbanizzazione primaria, e così via. Ci si potrebbe soffermare
sulla questione dello smantellamento del tessuto produttivo in
una realtà storicamente degradata, anche in considerazione
dell'alto numero di disoccupati della regione; non soltanto è
stato smantellato il settore siderurgico ma perfino la stessa
fabbrica di automobili ex Alfa Romeo di Pomigliano
d'Arco. Mentre la FIAT chiede soldi per realizzare un altro
impianto nel Mezzogiorno, chiude una fabbrica che non è
obsoleta e che potrebbe, con alcuni accorgimenti, divenire
molto competitiva sul mercato. Non soltanto siamo in presenza
dello smantellamento del tessuto produttivo, ma anche
dell'abuso da parte della FIAT del denaro pubblico: gli
interventi straordinari nel Mezzogiorno vengono utilizzati in
questo modo, soltanto a fini speculativi, e non sulla base di
un razionale intervento per la crescita di attività produttive
e quindi per favorire l'offerta occupazionale. Accade invece
il contrario, perché non soltanto cresce il numero dei
disoccupati, ma nello stesso tempo vengono smantellate le
fabbriche che rappresentavano i pilastri del debole tessuto
industriale del Mezzogiorno.
   L'altra tematica che intendo affrontare riguarda la
magistratura. Il fatto che 19 magistrati siano stati inquisiti
per essersi messi a disposizione delle cosche camorristiche fa
gelare il sangue nelle vene; è un fatto terribile e denota che
negli anni passati le popolazioni avevano ragione a non
nutrire alcuna fiducia nei confronti della magistratura. Molto
spesso si diceva che erano le leggi a non consentire la lotta
alla mafia; invece si era instaurata una prassi che veniva
seguita a Napoli, a Palermo, a Catania ed a Bari. Ed ancora
non emergono altre zone; se avessimo la possibilità di
svolgere un'indagine su tutti i processi che, come a Napoli,
sono stati chiusi per decorrenza dei termini con la
giustificazione che non vi era un adeguato organico di
personale... Questo era lo strumento dominante anche con le
passate leggi: ricordiamo di quante assoluzioni per
insufficienza di prove hanno beneficiato le cosche più potenti
di Gioia Tauro, della Sicilia, della Campania e di altre zone.
Ciò rappresenta la convalida dell'intreccio e del rapporto
affaristico che si era creato, perché l'aggiustamento dei
processi a livello locale e nazionale non avveniva soltanto
grazie ad un rapporto di amicizia ma anche attraverso un
rapporto materiale di scambio di denaro. E' stato detto che
dalla Calabria partivano verso Roma dei messaggeri con i soldi
da consegnare ai magistrati dalla Corte di Cassazione e che
essi utilizzavano, per non essere scoperti in eventuali
controlli della polizia, gli autobus di linea. Abbiamo
presentato la relazione annuale sulla quale abbiamo espresso
il nostro consenso, ma riteniamo che anche su tale aspetto
vada detto qualcosa in più.
   A mio giudizio, inoltre, dovrebbero essere meglio
precisati i rapporti con la 'ndrangheta, la Sacra corona
unita, la camorra perché mi pare che proprio per quest'ultima
vi sia la saldatura più evidente; ciò trova conferma nella
mediazione indicata dall'avvocato Gangemi di Reggio Calabria a
proposito della liberazione di Ciro Cirillo (Interruzione
del senatore Brutti).
   Non so cosa faccia adesso, è da molto tempo che non lo
vedo, comunque è stato un uomo molto potente a Reggio
Calabria, determinante anche nelle scelte di fondo,
soprattutto negli anni settanta.
  MASSIMO BRUTTI. Era di destra Gangemi?
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  GIROLAMO TRIPODI. No, Gangemi era democristiano, anche
se poi ha fatto altre scelte; del resto mi pare che sia stato
anche presidente del consiglio di amministrazione degli
Ospedali riuniti di Reggio Calabria. Ciò dimostra il rapporto
che esisteva, anche ai livelli più alti, fra camorra e
'ndrangheta, che va introdotto anche per dare forza al
ragionamento.
   Altra questione è la vicenda degli appalti dei servizi
delle pulizie della ditta Romano Agizza: la cosa più
allarmante è che la casa del prefetto veniva pulita da tale
ditta, i cui titolari, essendo indiziati, hanno aggirato le
loro responsabilità indicando dei prestanome.
  PRESIDENTE. Pulivano anche le carceri minorili.
  GIROLAMO TRIPODI. Cose del genere ci sembrano
impossibili. Passi per le carceri minorili, ma il prefetto
rilascia persino i certificati antimafia! Come mai è sfuggito
al prefetto che questi soggetti erano indagati in base
all'articolo 416-bis? Signor presidente, chiedo che su
questo venga indagato per scoprire di chi siano le
responsabilità, perché la questione non è di poco conto; quale
fiducia possiamo avere, infatti, nei confronti del
rappresentante del Governo nella provincia? Quale lotta alla
mafia possiamo fare?
   Credo che di fronte a questo tipo di responsabilità delle
istituzioni e della vita politica sia nostro dovere fare
chiarezza; bisogna inoltre chiarire perché allora non si
combatteva la mafia, perché non si interveniva contro la
camorra, la 'ndrangheta e la criminalità organizzata in
generale: perché non si voleva. Quante volte abbiamo detto che
non vi era la volontà politica! Questa è la dimostrazione più
netta e lampante che non vi era la volontà politica e che non
vi poteva essere: perché vi era tutto questo arco di
istituzioni coinvolte, collegate e compromesse in questo
tessuto aberrante ed eversivo (perché le istituzioni
democratiche erano state sovvertite).
   Signor presidente, credo che vi sia un limite nella
relazione: certamente Gava ha le sue responsabilità, ma nel
momento in cui, anche nel caso Cirillo, vengono chiamati in
causa Piccoli ed altri personaggi politici di statura
nazionale, massimi dirigenti di partito - non si offendano i
colleghi della democrazia cristiana - è evidente che la cosa
non riguarda soltanto Gava. Non si può parlare soltanto di
Gava e dei suoi dirigenti locali; bisogna dire: Gava e gli
altri. Se oggi il popolo italiano distrugge i partiti e può
mettere a repentaglio anche le istituzioni democratiche è
perché ci sono state queste cose. Per protesta il popolo può
anche andare allo sbaraglio e ce ne sono tutti i segnali
pericolosi. Ma se viene portato allo sbaraglio l'assetto
democratico del nostro paese, vi sono delle responsabilità ed
io credo che i colleghi dei partiti di Governo debbano
riconoscere, autocriticamente, che vi era una situazione che
coinvolgeva il partito, a prescindere dal fatto che vi fossero
- ed io ritengo che ve ne fossero - politici onesti.
   Io ritengo che tutto questo vada chiarito e vada chiarito
in questi termini, cioè rovesciando la situazione, perché non
è stato solo Gava ad avere la gravissima, pesante
responsabilità di far sviluppare la camorra in Campania. Ce ne
sono stati e ce ne sono anche altri, quelli indicati dalle
stesse inchieste giudiziarie. Il fenomeno, infatti,
interessava consiglieri regionali, sindaci, consiglieri
comunali, consiglieri provinciali, deputati e senatori e non
si può parlare soltanto di Gava. Gava può avere avuto la
responsabilità maggiore, perché era l'esponente massimo dei
dorotei, ma la situazione va riconosciuta per quella che è e
dunque il discorso va ampliato. Questo non per sancire una
condanna nei confronti di un partito, ma per rivelare che quel
tipo di atteggiamento, quella condotta politica, le scelte che
sono state fatte hanno causato tanto danno al popolo italiano.
   Concludo con una considerazione: dopo i discorsi che
abbiamo fatto sui processi che non venivano celebrati, anche
adesso dobbiamo stare attenti. Infatti, gli organici degli
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uffici giudiziari di Napoli sono quelli che sappiamo; del
resto, vi sono stati movimenti, iniziative, proteste, scioperi
e se in questi giorni non sono in atto scioperi da parte di
magistrati, vi sono, però, quelli degli avvocati.
  PRESIDENTE. Vi sono scioperi con motivazioni miste,
diciamo così.
  GIROLAMO TRIPODI. Il fatto è, come si dice anche nella
relazione, che prima erano tutti aperti...
  PRESIDENTE. Era un tribunale aperto.
  GIROLAMO TRIPODI. Sì, un tribunale aperto. Anche i
registri in cui erano contenuti i nomi degli indagati o le
inchieste che si avviavano erano aperti, per cui gli indagati
potevano sapere anticipatamente cosa sarebbe successo. Adesso
pare che a questo riguardo si sia messo ordine, stabilendo che
ciò che è riservato va mantenuto riservato. Cordova ha fatto
questo ed ha fatto bene, perché la situazione era di totale
illegalità (consideriamo che a Napoli non funzionano neanche
le chiese, le costruiscono e poi non le fanno funzionare).
   Dobbiamo dunque preoccuparci. Dobbiamo preoccuparci di
indicare la necessità di un'adeguamento degli organici della
magistratura come anche della polizia giudiziaria, perché so
che in Campania si sta sviluppando un fenomeno di tipo
siciliano, quello dell'afflusso di centinaia di pentiti;
mentre la mancanza di magistrati non consente di smaltire
tutte le richieste di ascolto dei collaboratori di giustizia e
si arriva soltanto ad un 10 per cento. A questo bisogna stare
attenti, così come bisogna stare attenti al fatto che si fanno
le richieste e poi si rischia di non celebrare processi.
   Bisogna essere molto chiari. Abbiamo detto cose esatte ed
anche allarmanti; non vorremmo che rimanessero solo un atto
parlamentare, la documentazione di un lavoro importante svolto
dalla Commissione antimafia ma senza i suoi sbocchi naturali,
che sono gli interventi politici, gli interventi
amministrativi e quelli giudiziari.
   Un'altra questione che desidero affrontare riguarda
proprio le proposte che vengono avanzate. Io credo che si
debba insistere sulla questione sociale e in particolare, come
ho già accennato, sul fatto che si sta smantellando il tessuto
produttivo. E' già stato detto, ma va ribadito che bisogna
correre ai ripari per evitare che la camorra continui a
trovare forze da reclutare tra le masse di giovani
disoccupati, senza lavoro e senza speranza, in una situazione
di degrado e di ulteriore decadenza. Ci auguriamo che per il
futuro possa cambiare, ma al momento la situazione è questa.
   In conclusione, con riferimento agli organici della
magistratura proponiamo un'aggiunta alla fine del punto 11,
relativo all'amministrazione della giustizia, cioè prima che
si passi a parlare della fragilità del sistema bancario. Ci
auguriamo che tale emendamento aggiuntivo possa essere accolto
senza bisogno di essere votato, poiché interessa non soltanto
noi ma tutta la Commissione.
  ALTERO MATTEOLI. Vorrei chiederle, presidente, fino a
che ora ritiene che proseguiranno i nostri lavori.
  PRESIDENTE. L'accordo era di tenere seduta fino alle 17
circa, ma se lo ritenete possiamo anche andare oltre.
  MASSIMO BRUTTI. E' la prima volta che la camorra viene
presa ad oggetto di un'indagine così vasta, così puntuale e
che giunge fino ai nostri giorni. Essa mette in luce una forte
peculiarità delle associazioni criminali insediatesi in
Campania - non si è trattato, negli ultimi vent'anni, di
un'organizzazione unica ma di una serie di strutture assai
articolate - rispetto alle altre organizzazioni che noi
conosciamo e, soprattutto, al modello più antico e solido, che
è quello della mafia siciliana.
   Le caratteristiche originali della camorra risultano, io
credo - e la relazione lo mette in luce -, dall'intreccio e
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dalla sovrapposizione di tre distinte storie. La prima è una
storia criminale, attraverso la quale si forma, si divide,
cambia, si modernizza la camorra in Campania. La seconda è una
storia sociale, che fa di essa un soggetto presente nella vita
quotidiana di tanto popolo minuto, a Napoli e nella Campania.
La terza è una storia politica, che segna il costituirsi di
rapporti tra i gruppi camorristici ed un settore importante ed
egemone del personale politico di governo.
   La storia criminale della camorra vede una prima fase di
espansione ed anche di imitazione del modello di Cosa nostra;
un dominio di Cosa nostra sul contrabbando in Campania; poi
fenomeni di emancipazione ed il formarsi, entro questa
prospettiva di emancipazione dei gruppi criminali di questa
regione, della nuova camorra organizzata, che rappresenta una
creazione originale, un esperimento. Essa unisce un ritualismo
che deriva da tradizioni antiche degli emarginati, dei
ribelli, dei perdenti, di quella parte della società che non
fa la storia e che si dà, per costruire una sua autonomia, un
suo spazio e per difenderlo riti, valori, controvalori
rispetto ai valori dominanti, ed anche ideologie. Dall'altra
parte, la nuova camorra organizzata è segnata dal suo
carattere aperto: una struttura aperta che punta ad avere e
riesce ad ottenere una base di massa, anzitutto dentro le
carceri, poi nella città, nei quartieri più poveri e disperati
di Napoli. La nuova camorra organizzata verrà sconfitta da
un'altra organizzazione, che sorgerà proprio in alternativa al
suo dominio; ma le vicende dello scontro tra l'associazione
cutoliana - la nuova camorra organizzata - e l'associazione
nuova, che nasce attorno alla leadership di Carmine
Alfieri, non sono più soltanto vicende di storia criminale.
Nello scontro tra le due organizzazioni, nella sconfitta della
nuova camorra organizzata di Cutolo è già intervenuto un altro
elemento, un elemento esterno che è rappresentato dal rapporto
con il potere politico, con il personale politico di governo
nella regione, nei paesi; un personale politico che domina le
amministrazioni, che controlla i voti e che ha referenti a
Roma.
   La storia sociale della camorra vede la capacità di questi
gruppi criminali di inglobare e fare propria l'illegalità
diffusa nei quartieri di Napoli dove l'emarginazione è più
forte ed anche in altre città della Campania. Questa capacità
diventa occasione per agganciare ed organizzare chi vive
nell'illegalità, per dargli una specie di coscienza, di
appartenenza ad una struttura, di riconoscimento in uno o in
più capi. All'interno di questa storia sociale, ad un certo
momento, si formano anche le imprese, perché prima c'è
l'illegalità diffusa, ci sono le attività illecite, c'è il
contrabbando e poi c'è il sorgere di imprese. Ma anche qui non
siamo più di fronte soltanto ad una storia sociale della
camorra. Come nello scontro tra nuova camorra organizzata e
nuova famiglia, come nella vicenda ultima che vede la fine del
potere di Cutolo e l'affermarsi dell'altro potere non eravamo
soltanto di fronte ad una vicenda di storia criminale, ma
c'era e giocava il rapporto con il potere politico, così nel
formarsi di vere e proprie imprese entro la camorra, nel
sorgere di una camorra imprenditrice non c'è un processo
spontaneo di sviluppo, c'è il prodotto di un rapporto che si
stabilisce con il ceto politico di Governo, con il sistema
politico, con l'assegnazione degli appalti e delle opere
pubbliche, con il controllo della spesa pubblica. Le imprese
camorristiche si formano e diventano più solide in questo
grande banchetto che è stato, per la Campania e per Napoli, il
nuovo terremoto. Le imprese camorristiche sorgono sul terreno
di un'alleanza tra il partito della spesa pubblica (un partito
trasversale, ma nel quale certamente è stata egemone la
democrazia cristiana, o meglio le correnti dominanti della
democrazia cristiana in quelle zone) ed i gruppi clientelari e
quelli camorristici. Le imprese della camorra nascono dentro
questa prospettiva, in questo contesto.
   Allora, se ciò è vero, mi sembra si possa dire che
l'insieme dello sviluppo della camorra in Campania è
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profondamente segnato, dominato, determinato da questo
rapporto tra gruppi criminali e potere politico, tra gruppi
criminali e personale politico dirigente.
   Se andiamo alla sostanza di questa vicenda, se vogliamo
identificarne i soggetti preminenti e più forti, dobbiamo dire
che il rapporto fondamentale è con la corrente dorotea della
democrazia cristiana; ecco il motivo per il quale spicca la
posizione dell'onorevole Antonio Gava. Fuori dalle
semplificazioni (ancor di più fuori da quelle
propagandistiche) dobbiamo domandarci tutti (e devono farlo
con serietà anche i colleghi della democrazia cristiana) cosa
sia avvenuto, perché questa struttura di potere si sia
formata, come si sia passati da un fatto che è assai diffuso
nel Mezzogiorno, da un fenomeno ampio quale quello del
clientelismo, delle cordate clientelari attorno a dirigenti
politici ed agli eletti; come si sia passati - dicevo - da
questo fenomeno ad un rapporto tra una corrente della
democrazia cristiana, i suoi uomini, i suoi referenti nelle
città, nei paesi, nel controllo dei voti e delle
amministrazioni, ed il potere diffuso dei gruppi camorristici.
Dobbiamo interrogarci su questa vicenda per capire in cosa
consistano anche le responsabilità di un uomo politico, di
Stato, come Antonio Gava.
   Dobbiamo chiederci cosa sia avvenuto dagli anni cinquanta
in avanti nel personale politico cattolico della regione
Campania. Credo che molti degli avvenimenti che si sono
verificati si possano spiegare se ci si riporta alla crisi ed
alla sconfitta nel dopoguerra di una componente tradizionale
della democrazia cristiana che nel Mezzogiorno era molto
forte, cioè della componente popolare, di quella che era in
diretta continuità con il partito popolare. Vi è stata
un'involuzione, un'incapacità di comprendere la società
italiana che cambiava; vi è stato un guardare all'indietro.
L'involuzione ha riguardato innanzitutto il capo, il maestro
di questa parte importante della democrazia cristiana:
l'involuzione è stata per primo di Luigi Sturzo e si è
concretizzata in un modo conservatore di guardare alla società
italiana ed alla dislocazione effettiva delle forze popolari.
Silvio Gava è stato certamente un rappresentante del
popolarismo in Campania, è stato certamente il rappresentante
di una corrente culturale e politica che nel dopoguerra si è
mossa avendo due punti di riferimento: uno più debole perché
veniva dall'esperienza passata, l'antifascismo, l'altro più
forte e tale da condizionare qualsiasi movimento, qualsiasi
azione, qualsiasi scelta: l'anticomunismo. Fu lo stesso Sturzo
a patrocinare a Roma, su mandato di Pio XII, un'operazione di
alleanza con il movimento sociale, operazione che fu sventata
grazie all'opposizione di De Gasperi. Ciò sicuramente non
significava filofascismo da parte di Sturzo, che era stato uno
dei protagonisti dell'antifascismo italiano, ma significava
una scelta, la scelta secondo la quale tutto è lecito e
possibile pur di sbarrare la strada alle classi popolari, a
chi le rappresenta, al movimento operaio, ai partiti della
sinistra.
   E' questo che ha rafforzato enormemente il clientelismo in
Campania; è questo che ha determinato una concorrenzialità
perversa a Napoli tra democrazia cristiana e destra, tra
democrazia cristiana e laurismo. Sono gravi e pesanti le
responsabilità dell'estrema destra nella storia di Napoli e
della Campania perché Lauro e l'estrema destra hanno inventato
il voto di scambio e la legge elettorale del 1953, che
disciplina e reprime il voto di scambio, nasce proprio
dall'inizio dell'esperienza del laurismo a Napoli. La scelta
della democrazia cristiana e di questo gruppo dirigente che
aveva origine nel partito popolare fu allora quella di
"buttarsi" a destra per cecità conservatrice e per
anticomunismo.
   Credo che la deformazione del clientelismo democristiano
in Campania cominci da lì, che l'insensibilità democratica di
questo ceto politico dirigente che lo ha portato a trattare
con i camorristi e ad accoglierli nelle sezioni di partito
della democrazia cristiana cominci da quella vicenda e che vi
sia oggi da compiere una riflessione su quell'involuzione,
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riflessione che dobbiamo compiere tutti perché è
quell'involuzione che ha portato alla potenza dei gruppi
criminali e, in una serie di situazioni locali,
all'identificazione tra gruppi criminali e referenti della
corrente dorotea della democrazia cristiana.
  PRESIDENTE. Senatore Brutti, per comprendere meglio
vorrei sapere in quale periodo lei collochi questa fase.
  MASSIMO BRUTTI. Ritengo che, intorno alla fine degli
anni cinquanta, vi siano già tutti gli elementi per uno
sviluppo di questo genere, che poi diventerà sempre più
intenso negli anni successivi. Quanto al processo di
identificazione con i gruppi camorristi, mi sembra evidente
tra gli anni settanta ed ottanta.
   Quando ripercorreremo la storia politica di quegli anni,
ci accorgeremo che determinate scelte - mi riferisco alle
scelte del gioco politico - che sembravano essere state
assunte a Roma in realtà avevano una portata ed un significato
nello sviluppo delle forze politiche, nella loro storia ed in
quello che accadeva nella società italiana.
   La fine del tentativo parziale, sbagliato, sorretto da una
cultura politica inadeguata di sbloccare la democrazia
bloccata italiana che fu la solidarietà nazionale e la scelta
del preambolo rappresentano una netta conversione in senso
conservatore della democrazia cristiana e segnano l'avvio del
periodo più drammatico nella vita della democrazia italiana,
quello che si sviluppa attraverso gli anni ottanta, in cui la
corruzione è diventata pervasiva, in cui sono cadute tutte le
discriminanti ed in cui dirigenti politici anche di primo
piano hanno accettato di trattare con i poteri illegali e sono
scesi a compromessi con quei poteri.
   La relazione racconta un pezzo di questa storia. Qualche
collega che mi ha preceduto ha già sottolineato l'importanza
che, nella struttura della relazione, assume la vicenda del
sequestro Cirillo e delle trattative ad essa legate. Proprio
perché quella è una storia delimitata in uno spazio
circoscritto di mesi, essa dimostra l'esistenza di contatti,
di collegamenti tra la corrente dell'onorevole Gava, i suoi
uomini, settori degli apparati dello Stato, dei servizi di
informazione e di sicurezza ed il capo di un'organizzazione
criminale come la nuova camorra organizzata.
   Quella vicenda è emblematica e soprattutto presenta la
caratteristica di essere ormai ampiamente accertata. Tutti gli
uomini che hanno raccontato frammenti di quella storia ed
alcuni di quei fatti in questi anni sono stati strettamente
legati alla corrente dorotea della democrazia cristiana ed
all'onorevole Gava. E' uomo legato all'onorevole Antonio Gava,
Pasquale Acampora, fino al 1980 presidente del Banco di
Napoli, il quale racconta che una parte del riscatto versato
alle brigate rosse sarebbe provenuta da un contratto di
pubblicità a favore di un gruppo di società che gestivano
televisioni locali, che queste società avrebbero rinunciato a
gran parte del proprio compenso devolvendolo per il riscatto e
che il contratto di pubblicità sarebbe stato ottenuto grazie
all'interessamento dell'amministratore della STET Michele
Principe, a seguito di pressioni esercitate nei suoi confronti
da Antonio Gava e da Flaminio Piccoli.
   E' uomo di Gava l'ingegner Savarese, imprenditore di Vico
Equense, amico dell'onorevole Antonio Gava, il quale racconta
come Gava conoscesse bene e da vicino la vicenda del riscatto
pagato alle brigate rosse.
   E' uomo di Gava il senatore Patriarca (anzi, egli divenne
addirittura sottosegretario, credo proprio grazie
all'appartenenza alla corrente di Gava), il quale racconta
oggi che Gava sapeva delle trattative fin dall'inizio; e del
resto lo stesso Gava ha ammesso di aver avuto contatti con
Criscuolo, il funzionario del SISDE che per primo entrò nel
carcere di Ascoli Piceno, e di averli avuti in quei giorni. Ma
Patriarca dice di più: conferma quel che è stato detto dal
camorrista Greco, cioè che proprio Patriarca lo andò a cercare
all'uscita del santuario di Pozzano, mentre egli assisteva ad
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una cerimonia religiosa, per chiedergli di andare anche lui
con Casillo, con Iacolare, con Granata nel carcere di Ascoli
Piceno per parlare con Cutolo. Poi, quando Greco andò, sulla
base di una richiesta di permesso avanzata dal SISDE, tornò
indietro ed insieme a Criscuolo si recò da Patriarca a
riferire su come era andato l'incontro. Si trattò di un
incontro che, secondo la ricostruzione del giudice Alemi, durò
sette ore; era l'incontro del 2 maggio, il secondo incontro
con Cutolo. E' difficile pensare, come ha detto in questa sede
il prefetto Parisi, all'epoca reggente del SISDE, che in
quegli incontri ci si limitò a chiedere a Cutolo informazioni
e che Cutolo disse di no. Infatti, per quanto bizantina e
complicata possa essere una conversazione con Raffaele Cutolo,
è difficile immaginare che occorrano sette ore per sentirsi
dire di no fin dall'inizio. Inoltre, i funzionari dei servizi
hanno più volte detto che quella pista era infruttuosa, ma non
si capisce perché mai una pista infruttuosa continui ad essere
seguita attraverso numerosi incontri che durano così tanto
tempo.
   In realtà, la trattativa si svolse fin dall'inizio e fu
seguita da vicino, in presa diretta dagli uomini politici che
ad essa erano più interessati. Gava ammette di aver avuto in
quel periodo contatti non solo con Criscuolo ma anche con
Musumeci, cioè con l'ufficiale piduista del SISMI che,
attraverso il suo collega Belmonte, anch'egli piduista,
gestiva per il SISMI le trattative con Cutolo. Gava ammette di
aver conosciuto Pazienza e di aver avuto un incontro poco
prima della vicenda del sequestro con lui e con Alvaro
Giardili, un imprenditore impegnato nella ricostruzione, in
quanto costoro volevano aiuto per avere lavori. Pazienza il 10
luglio partecipò ad un incontro con Giardili, con Casillo, con
l'assessore democristiano Bruno Esposito di Acerra, con
Lettieri, esponente cutoliano anch'egli di Acerra;
quell'incontro avvenne immediatamente dopo un colloquio con
l'onorevole Piccoli, che gli chiese di intervenire, di dare
una mano per sbloccare il sequestro Cirillo. La sentenza della
corte d'appello di Napoli oggi riconosce che vi sono tutti gli
elementi per ritenere che Piccoli sapesse, che abbia seguito
da vicino la trattativa e che Pazienza in quell'incontro del
10 luglio parlasse anche a nome di Piccoli. Tuttavia, non è
possibile accettare la tesi - che abbiamo sentito emergere
nelle audizioni di Parisi e di Mei svoltesi davanti alla
Commissione - secondo la quale i rapporti con Cutolo sarebbero
del tutto puliti e si tratterebbe soltanto di una richiesta di
informazioni fino a luglio, finché non interviene Pazienza.
L'idea che vi sia un terzo soggetto che ha condotto la
trattativa, che ha stretto gli impegni con Cutolo, che ha
posto in essere comportamenti non commendevoli è comoda, ma
non corrispondente al vero. Quando, in data 10 luglio, avviene
l'incontro di Acerra, quando Pazienza incontra Casillo
l'accordo sul riscatto con le brigate rosse è già stato
chiuso, il grosso della trattativa si è già svolto. Qui,
Mazzola ci ha detto una cosa singolare, e cioè che Musumeci,
nella seconda metà di giugno, gli disse: "La pista sta andando
avanti, i contatti si stanno svolgendo, produrranno
risultati". Musumeci gli disse questo perché la trattativa era
in corso ed era gestita da loro, da tutti loro, e ad un certo
punto Pazienza subentrò per siglare la parte finale
dell'accordo.
   Quando dico "tutti loro", intendo dire che settori del
SISDE continuano a seguire la trattativa fino a tutto il mese
di giugno. Comunque, è documentato e sicuro che alla fine di
maggio, quando già il SISDE, secondo quanto ci è stato detto
qui, avrebbe dovuto ritirarsi del tutto dalle visite al
carcere di Ascoli e dai rapporti con Cutolo, un funzionario
del SISDE, Salzano, si reca, assieme a Giuliano Granata, nel
carcere di Ascoli Piceno per parlare con Cutolo e per indurlo
a prendere le distanze da una lettera, recante la firma falsa
di Pasquale D'Amico, con la quale la Nuova camorra organizzata
si schierava contro le BR e faceva minacce di ogni genere nei
confronti delle stesse. Quella lettera poteva essere
pericolosa, in quanto in grado di pregiudicare la trattativa.
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Può anche darsi che fosse stata scritta per far sì che Cutolo
potesse giocare una funzione di mediazione, di pacificazione,
ma l'intervento di Salzano assieme a Granata indica che il
SISDE - o almeno una parte del SISDE o qualche uomo del SISDE
- continua a seguire la trattativa.
   La personalità di Granata, come la relazione mette in
luce, è interessante, singolare, da seguire nei suoi movimenti
e anche nel suo modo d'essere. Conoscendo Granata si capisce
meglio che cosa indica la relazione quando parla di
responsabilità politiche dell'onorevole Gava. Granata è stato
sindaco di Giuliano, poi segretario di Cirillo, legato a lui e
all'onorevole Gava. Granata è imparentato con Iacolare ed è
cugino di un personaggio della Campania che si sposta a Roma e
diventa uno dei dirigenti massimi della banda della Magliana,
cioè Claudio Sicilia, il quale è cugino carnale di Granata,
che continua ad avere con lui rapporti nel 1982. Sicilia ci ha
parlato di incontri con Casillo e con Granata a Roma, nella
primavera del 1982. E questo è un uomo della corrente
dell'onorevole Gava, un suo referente, uno che gli portava i
voti e che controllava un'amministrazione comunale, un comune.
   Quando ci troviamo di fronte a questo personale politico e
a questo tipo di referenti (pensiamo a Bruno Esposito,
assessore di Acerra, che partecipa all'incontro con Pazienza),
ci dobbiamo domandare che cosa è accaduto nel tessuto
democratico di questa regione, che cosa è accaduto in un
grande partito come quello della democrazia cristiana. E
questa riflessione non deve essere soltanto storiografica e
fine a se stessa, ma per noi tutti deve rappresentare oggi il
punto di partenza di precise e drastiche scelte politiche.
Infatti, se non le compiamo cercando di mettere insieme il più
ampio arco di forze possibili, chi ne va di mezzo non è
soltanto un uomo politico - il che non sarebbe rilevante -,
non è soltanto una corrente - il che non sarebbe rilevante -,
non è soltanto un partito - il che per gli altri partiti
potrebbe essere utile -, ma la vita democratica. Sono concetti
e valori di portata più ampia che vengono messi in discussione
da queste compromissioni così profonde, così estese e così
gravi.
   C'è stato un rapporto patologico, ed emerge da tutte
queste vicende, tra settori del personale politico e di
governo ed i servizi segreti. Del resto, non siamo noi i primi
a coglierlo, non è soltanto adesso che prendiamo atto di
questo fattore di inquinamento della vita pubblica italiana
che è stato il crearsi di cordate che mettevano insieme
settori dei partiti di governo e settori dei servizi
d'informazione e di sicurezza. Ricordo che nell'estate del
1987, quest'abitudine, questa pratica di cercare sottobanco
rapporti con i servizi per potersene avvantaggiare sul piano
politico, fu denunciata, in un'intervista al Corriere della
sera, dall'onorevole Oscar Luigi Scàlfaro.
   Questo è uno dei problemi della storia della Repubblica,
in particolare della storia degli anni settanta ed ottanta, su
cui oggi è arrivato il momento di far luce e pulizia.
   Dall'ordinanza-sentenza del giudice Alemi emerge che nella
primavera del 1982, quando era in discussione il trasferimento
di Cutolo all'Asinara, e quando per ordine del ministro Darida
interviene un rinvio di quel trasferimento - quest'ultimo si
farà per l'intervento personale di Pertini -, il direttore del
carcere di Ascoli Piceno parla con Cutolo del rischio di un
attentato contro di lui: dice che i servizi si appresterebbero
ad organizzare un attentato per farlo fuori. Il risultato fu
una grande agitazione nella NCO, minacce. E in quel momento vi
sarebbe stato un incontro, o perlomeno un contatto, fra Cutolo
e Musumeci. Si riapre, cioè, un canale di comunicazione,
quello che aveva consentito la trattativa, con quella catena
di comando del SISMI, rappresentata, come sappiamo, da
Santovito, da Musumeci, da Belmonte, da Pazienza. Ma è proprio
in questo stesso periodo che Cutolo viene abbandonato e che si
colloca la nota del SISDE cui faceva riferimento ieri il
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presidente presentando la sua relazione, una nota nella quale
si richiama la necessità di massima vigilanza e sicurezza nel
momento in cui Cutolo è riuscito ad ottenere quella che era
una contropartita alla quale aspirava e che aveva chiesto
durante il periodo della trattativa: una sentenza della
Cassazione nella quale si dichiara la sua infermità di mente.
   Non credo sia il caso di soffermarsi di più su questa
vicenda del sequestro Cirillo, che adesso è quasi del tutto
chiara. Davvero si tratta di fatti non controvertibili, come
non controvertibili sono le caratteristiche dell'insediamento
della corrente dorotea e del suo potere politico, del suo
potere di controllo delle amministrazioni e dei voti nella
provincia di Napoli e in Campania.
   Le contropartite a Cutolo si realizzarono solo in minima
parte: Cutolo fu abbandonato; i due omicidi, quello di
Rosanova e quello di Casillo, segnarono la sconfitta, il
declino, la fine della Nuova camorra organizzata. Ma il
rapporto delineatosi tra personale politico e di governo -
quello che esercita funzioni di governo ai livelli minuti,
cioè nei comuni e nei quartieri - e gruppi camorristici si
consolidò, si affermò ancora di più tramite il rapporto,
questa volta, con il clan di Carmine Alfieri. Gli appalti
passarono da certe imprese ad altre, oppure, addirittura, gli
imprenditori si spostarono dall'area d'influenza di Cutolo
all'area d'influenza di Carmine Alfieri, e il rapporto con
quella corrente democristiana rimase, si confermò. Da questo
punto di vista, la vicenda di Poggiomarino è emblematica:
questo rapporto a tre, Carmine Alfieri, Galasso, Gava, per
indurre il democristiano Sangiovanni ad accettare l'egemonia
della corrente di Gava, a mettersi sotto la sua tutela.
   Credo che oggi dobbiamo assumere un dato, cioè che queste
vicende sono ormai nella storia, per cui non sono
controvertibili, e che siamo in un momento nel quale è imposto
dalle cose, quindi prescinde dalla volontà dell'uno o
dell'altro di noi, un passaggio di sistema, un cambiamento. Si
tratta di capire quanta parte della democrazia italiana della
cosiddetta prima Repubblica - è un'espressione che a me non
piace, ma che indica sinteticamente un periodo storico che si
sta concludendo - e quanta parte di quelle forze politiche
riusciranno ad autoriformarsi, a far pulizia al proprio
interno, a porsi come punti di riferimento del consenso per
una nuova fase della storia della democrazia italiana. A tal
fine considero d'importanza cruciale il lavoro della
Commissione antimafia, perché essa sta mettendo a fuoco
responsabilità politiche, sta descrivendo la storia di una
lunga e profonda deformazione della vita democratica, e le
scelte che compiamo qui diventano uno spartiacque, un
discrimine: indicare la responsabilità politica di questi
uomini e le vie lungo le quali si cambia sistema e si produce
cambiamento nella democrazia è il compito essenziale di
ciascuno di noi. Se riusciamo a farlo qui, credo che lavoriamo
nell'interesse del paese, e, paradossalmente, la scelta del
cambiamento e della denuncia della responsabilità, scelta che
è volta a far pulizia, a cambiare pagina, a togliere dalla
scena politica questi uomini, è fatta anche nell'interesse di
ciascuno dei partiti democratici.
   Questo è un caso in cui se un partito è in grado di fare
pulizia e di scacciare i suoi uomini compromessi per
riaccreditare la sua identità politica e la sua storia agli
occhi del paese, attua una scelta di partito che è anche la
migliore nell'interesse nazionale e della democrazia italiana.
   Credo che sarà un buon risultato se manifesteremo un voto
concorde sulle linee di questa relazione, sulle sue
conclusioni, se faremo diventare convinzione comune la
necessità che gli uomini politici, le correnti e i gruppi di
potere responsabili di questo inquinamento e di questa
involuzione della vita democratica escano di scena, cedano il
passo. Questa è la garanzia prima dell'avvio di una fase
nuova.
  ANTONIO GUERRITORE. Signor presidente, non avrei parlato
se non ci fosse stata, in questi giorni, la conclusione del
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processo Torre, il quale ha lasciato non solo nella famiglia
Torre, alla quale appartengo anch'io, ma soprattutto nelle mie
zone un senso di profonda frustrazione per il risultato di
assoluzione, il quale non ha consentito di far luce e
chiarezza su uno dei crimini più drammatici e gravi che
maggiormente hanno colpito l'opinione pubblica.
   Devo dire che, in sostanza, ho condiviso la sua relazione
per ciò che attiene alla genesi della camorra nella zona della
Campania. Aggiungo che la camorra non ha mai avuto una sua
continuità storica, in quanto essa è nata come un fatto
endemico. A Napoli la camorra è come il colera: come
quest'ultimo nasce a Napoli dalle condizioni di scarsa igiene
e di superaffollamento, assumendo risvolti particolari che
rappresentano lo sviluppo di quest'evento morboso, così la
camorra è caratterizzata da questa presenza endemica, quale
fenomeno delinquenziale legato ad una profonda conurbazione
della città e del suo retroterra, nonché alle particolari
condizioni di carenza di lavoro, di impossibilità di sviluppo
e di invivibilità della città (un problema la cui genesi
risale addirittura al periodo del regno delle due Sicilie). La
camorra, dunque, ha una presenza endemica, a meno che in
particolari situazioni, di cui la storia ci ha dato esempio in
occasione di moti rivoltosi o di situazioni sociali
particolarmente drammatiche, essa finisca per avere sviluppi
improvvisi che la trasformano da fenomeno endemico a fenomeno
epidemico diffuso a livello regionale e, negli ultimi tempi,
anche a livello nazionale.
   Va detto, per esempio, che prima il colera poi il
terremoto sono stati i due elementi che, a causa della
straordinarietà degli eventi e della realtà politica e sociale
che ne è conseguita, associata ai cospicui flussi economici
che sono intervenuti prima nella città di Napoli, poi in tutta
la Campania, hanno consentito e determinato un improvviso
input alla crescita, alla diffusione e
all'organizzazione della camorra nella Campania stessa.
   La camorra non ha la tradizione della mafia, la quale è
caratterizzata da una sua storia fatta di momenti successivi
che camminano tutti nello stesso alveo di tradizioni, di
abitudini e di rituali che, senz'altro, nella realtà della
Campania non sono mai esistiti, se non come fenomeni di
banditismo, di delinquenza cittadina o periferica. Devo dire
che anche altri fenomeni hanno favorito lo sviluppo della
camorra. Questo fatto è legato, per esempio, al particolare
momento di permessivismo che esisteva nelle carceri. Negli
anni cinquanta, sessanta e settanta le carceri sono diventate
le università della delinquenza: si entrava come piccolo ladro
di automobili e si usciva come importante capo mazzo.
   Poi, il soggiorno obbligato ha determinato il
trasferimento a distanza di elementi delinquenziali e
naturalmente contatti tra i tre movimenti delinquenziali più
importanti, la mafia, la camorra e la 'ndrangheta, con un
salto di qualità che è derivato anche da momenti associativi e
da alleanze che poi hanno dato alla camorra campana e
soprattutto a quella napoletana un significato di particolare
rilevanza.
   Proprio nelle carceri è nato il fenomeno della nuova
camorra, il fenomeno delinquenziale che ha fatto compiere un
grande salto di qualità alla camorra in Campania: per un
soggetto come Cutolo possiamo dire che il carcere è stato la
sua famiglia, il suo abito naturale e la sua fase di
preparazione e di rilancio.
   Devo dire che in un certo momento storico non si è
attribuita particolare importanza al fenomeno della camorra
nelle nostre zone, nella stessa città di Napoli e soprattutto
nella sua periferia (si pensi che gli elementi più importanti
della camorra non hanno avuto sede a Napoli ma nelle zone
periferiche, a Caserta, nel nolano e successivamente, con
fenomeni diffusivi, anche nell'agro nocerino sarnese). In
quest'ultima zona si è trattato più di un fenomeno di
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importazione che non endemico; basti considerare che fino agli
anni sessanta-settanta non c'erano nell'agro sarnese-nocerino
elementi di particolare virulenza e pericolosità che potessero
far pensare ad un fenomeno di tipo delinquenziale di
comprovata stabilità quale era la camorra.
   Bisogna anche dire che, di fronte alla diffusione della
camorra non ci sono state prese di posizione da parte di chi
ne aveva l'obbligo, lo Stato, le forze dell'ordine e
soprattutto la magistratura. Da parte di quest'ultima, la
camorra, che cominciava ad organizzarsi, è stata trattata con
particolare blandezza, anche nelle sentenze di primo, di
secondo e di terzo grado. Anche il caso di oggi, la sentenza
Torre, ne è ulteriore riprova: la raccolta di elementi per il
processo di primo grado è stata effettuata in maniera sciatta,
particolarmente superficiale, direi anche in maniera
fatalista, come a dire "ormai Torre è morto, pace all'anima
sua". Non si è voluto indagare con acutezza e severità sugli
elementi che la stessa famiglia ed anche certi aspetti
dell'indagine obbligavano a ricercare ed a verificare nella
fase immediatamente successiva al delitto.
   Devo dire - pongo particolare attenzione soprattutto sulla
mia esperienza di uomo dell'agro - che il terremoto è stato
squassante non solo per le strutture murarie e per le
coscienze ma soprattutto per quel che riguardava le abitudini
di lavoro, di impegno sociale e le tradizioni che esistevano
in una terra particolarmente laboriosa e produttiva. Bisogna
aggiungere che il fenomeno successivo della ricostruzione ha
visto nelle cooperative che sono giunte, soprattutto quelle
rosse, un elemento di produzione, di lavoro, di arricchimento
che non ha portato un'onda positiva di sviluppo economico
nelle nostre zone. Mentre la camorra ha puntato
sostanzialmente alla produzione del cemento e dei laterizi in
genere, mentre le cooperative giunte dall'Italia del nord
(bianche o rosse che fossero, ma nella mia città
prevalentemente rosse) facevano i loro affari, non si è
determinato uno sviluppo in termini di iniziative
dell'imprenditoria locale, se non alcuni riflessi di
irrilevante significato economico e di rilancio produttivo.
   Così come va detto che nel periodo successivo al terremoto
si sono determinati eventi di una particolare pericolosità,
che avrebbero dovuto rappresentare degli allarmi ai quali si
sarebbe dovuto prestare attenzione. Nei confronti del potere
politico la camorra ha percorso tre fasi. Nella fase iniziale,
quando non era organizzata, la camorra operava con i propri
meccanismi, con i propri uomini - per lo più giovani, su
questo convengo con lei, presidente - che arrivavano al ruolo
di capi soprattutto per la temerarietà, la crudeltà, la forza,
la "eclatanza" dei fatti dei quali si rendevano protagonisti.
Ma in questa fase iniziale non c'era un rapporto con la
politica. I camorristi operavano nei loro settori abituali,
soprattutto l'estorsione, che è stato il fenomeno più
rilevante attraverso il quale si è prodotto l'arricchimento
delle associazioni di tipo camorristico.
   Successivamente, quando si è giunti alla ricostruzione, ci
si è indirizzati verso un rapporto anche con la classe
politica, di cui ovviamente queste associazioni non potevano
fare a meno. Alla fine, o vi era la collusione o la minaccia o
la vera e propria costrizione a ritirare gli uomini politici
che non si mostravano consenzienti a fornire collaborazione.
Però, va detto che le forze dell'ordine non hanno prestato a
questo riguardo particolare attenzione.
   Dopo una fase nella quale si è avuto questo contatto con
la classe politica, le forze della camorra hanno fatto
addirittura un salto di qualità ed hanno individuato tra i
loro parenti o affiliati alcuni elementi da lanciare nel mondo
politico. Se andiamo a leggere con particolare attenzione gli
elenchi dei consiglieri eletti, troviamo che molti di costoro
erano parenti degli stessi camorristi, quasi ad evitare in
questa maniera il problema della dipendenza dalla classe
politica. La camorra, con un grande salto di qualità, puntava
addirittura a crearsi una classe politica di tipo familiare,
di tipo associativo. Queste vicende erano e sono ancora oggi
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ben note alle forze dell'ordine, senza che comunque ne siano
derivate significative azioni di recupero.
   Non soltanto si è puntato ad inserire questi uomini
appartenenti alle famiglie camorristiche nella classe
amministrativa, ma soprattutto si è puntato ad infiltrarli
nella classe burocratica, per cui oggi comuni, provincie,
uffici, banche vedono la presenza di questi elementi
camorristici. Posso dire con cognizione di causa che
l'estorsione di cui fui fatto oggetto nel 1983 nacque da una
presenza in un istituto bancario - di cui non parlo perché
appartiene alla storia ma di cui parlai all'epoca alle forze
dell'ordine, senza particolari conseguenze - che fornì notizie
di tipo economico sulla mia posizione, grazie alle quali si
produsse l'evento estorsivo. Ma questo non avvenne solo nei
miei riguardi ma anche nei confronti di tutta una classe di
professionisti: nessuno riuscì a sfuggire a questa situazione,
alle estorsioni che venivano compiute.
   Non sfugge alle indagini della polizia che Benigno,
cassiere della NCO, ha un fratello assessore...
  PRESIDENTE. Chi?
  ANTONIO GUERRITORE. Benigno. Costui, dicevo,
praticamente cassiere della NCO e affiliato di Salvatore Di
Maio, detto "Tore 'o guaglione", aveva un fratello assessore
del comune di Nocera inferiore, che è stato tale, se non
sbaglio, dal 1982 fino a quando lo stesso Benigno non fu
falciato da una raffica di mitra mentre faceva ritorno a casa.
   Così come, se si vanno a scorrere tutte le amministrazioni
locali, si trovano parenti, affiliati di clan camorristici che
operavano nel settore. Ci sono numerose presenze di parenti di
camorristi che ancora oggi lavorano presso i comuni dell'area
meridionale, dell'area napoletana.
  PRESIDENTE. Dell'area napoletana, dell'agro
nocerino-sarnese o dell'area campana?
  ANTONIO GUERRITORE. Dell'area campana ma porto in questa
sede le mie dirette esperienze.
   Un altro sistema cui oggi si fa particolarmente ricorso è
quello dello scioglimento dei consigli comunali. Tale
provvedimento è sembrato la panacea di questi mali ma, alla
fine, si sta rivelando un male peggiore di quello dal quale
siamo partiti. Lo scioglimento dei consigli comunali produce
un sicuro scollamento della classe politica, sociale e
culturale della città nei confronti delle istituzioni, perché
certamente il regime commissariale non consente, se non in
casi eccezionali, un momento di informazione, di scambio di
idee e di collaborazione con la città. Si prendono tre
commissari soltanto, molte volte sprovvisti delle specifiche
competenze nei settori nei quali sono chiamati ad operare e
spesso in comuni sciolti non solo per collusione ma già
afflitti da dichiarazioni di dissesto economico. Quindi, se da
una parte si è determinato questo scollamento, dall'altra si
verifica un distacco dei cittadini dalle istituzioni. Per
quanto riguarda l'agro nocerino-sarnese, dove ben quattro tra
i più importanti comuni sono commissariati, posso testimoniare
come l'opinione della gente, salvo qualche caso, sia
addirittura sfavorevole al regime commissariale, che non solo
non risponde alle emergenze per le quali i cittadini speravano
in puntuali risposte ma addirittura ha fatto cadere anche quei
contatti immediati, quel filtro di raccordo tra popolazioni e
amministratori che bene o male era presente nel passato.
   Avevo intenzione di svolgere il mio intervento riportando
soprattutto le esperienze o le impressioni di chi vive in
queste zone. Posso anche testimoniare il senso di profonda
frustrazione di chi, vivendo in quelle zone, non soltanto
subisce l'invivibilità legata a questi fenomeni, la
pericolosità di svolgere il proprio mandato, ma addirittura
cammina portandosi dietro l'ombra nefasta del sospetto, pur
essendo chiaramente vittima di quegli stessi fenomeni. D'altra
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parte, pensavo che questo fosse anche l'orientamento della
Commissione.
   Noto però che, soprattutto attraverso l'intervento del
senatore Brutti, si è puntato a celebrare un processo alla
democrazia cristiana, ad una sua corrente, quella popolare, ad
un uomo di questa corrente. Si dimentica - desidero ricordarlo
come esperienza personale - che dopo il terremoto furono
nominati due commissari: uno regionale, che fu l'onorevole
Fantini, ed un altro nella persona del sindaco di Napoli,
l'onorevole Valenzi. A tutti e due fu attribuita la
responsabilità di gestire l'emergenza durante il terremoto. Se
c'è stato il coinvolgimento dell'onorevole Fantini, anche per
problemi connessi alla sua gestione commissariale, per
operazioni svolte non sempre nel rispetto della legge, anche
sotto la gestione Valenzi si sono verificati fatti del genere.
In una realtà così drammatica che ha coinvolto tutta la
popolazione della Campania - che le posso garantire,
presidente, essere sostanzialmente laboriosa e dalla parte
della legge - non si può puntare a criminalizzare
sostanzialmente un partito, una corrente e un uomo di quella
corrente.
   Devo dire - concludo il mio intervento - che, in sostanza,
in Campania bisogna compiere una serie di atti per estirpare
il grosso bubbone della camorra; questa regione proprio per la
mancanza di continuità nelle sue radici storiche, della
cultura della violenza che è tipica della mafia, può trovare
in un'energica opera dello Stato una sua possibilità di
rinascita. Tale opera non può essere certamente solo di
carattere repressivo, poliziesco e giudiziario, ma deve
puntare soprattutto ad assicurare alcuni elementi sostanziali.
   Occorre in primo luogo assicurare la vivibilità
dell'ambiente; basti pensare che il golfo di Napoli è uno dei
più inquinati del mondo e che nell'agro sarnese-nocerino si
impone il problema del fiume Sarno, il più inquinato d'Italia,
di cui si parla da quarant'anni senza adottare provvedimenti
che diano puntuale risposta. Al contrario, si assiste ad una
serie di provvedimenti che stanno disperdendo grosse risorse
economiche...
  PRESIDENTE. Anche adesso?
  ANTONIO GUERRITORE. Anche adesso. Sono state assunte
iniziative che fino ad oggi non hanno sortito alcun effetto.
Penso al grande impianto di depurazione di Coste di Mercato
San Severino che dopo essere stato costruito, in prossimità
dell'avvio del suo funzionamento, è stato bloccato per essere
ridimensionato con conseguenti ulteriori spese, perché
movimenti ecologisti, alla luce di nuove valutazioni,
impediscono che possa entrare in funzione. Questo naturalmente
- non entro nel merito della questione tecnica - ha
rappresentato dal punto di vista economico una sconfitta dello
Stato rispetto alle attese della gente e soprattutto una
grossissima dispersione di mezzi economici.
   Dobbiamo offrire una sicurezza dal punto di vista
ambientale e della difesa del cittadino, dobbiamo creare nuove
occasioni di lavoro in una regione che registra la più alta
percentuale di disoccupazione in Italia. Basti considerare che
le liste di collocamento di Napoli, di Nocera, di Salerno o di
Scafati da anni ormai non avviano nessun giovane e nessun
adulto ad un'attività lavorativa.
   Senza far prevalere un orientamento favorevole allo
svolgimento di un processo di tipo politico, occorre ricercare
le cause sociali ed ambientali che si pongono alla base
dell'esistenza e del rilancio della camorra.
   Altrimenti, quando il potere avrà abbandonato una parte ed
avrà finito per rivolgersi ad un'altra, quest'ultima oltre ad
essere investita dal consenso, finirà per diventare oggetto di
attenzione da parte della camorra e delle manifestazioni
delinquenziali, che comunque continueranno ad esistere.
Allora, o dedicheremo nuove piazze agli eroi o avremo nuovi
collusi sotto altre bandiere e sotto altri stendardi.
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  PRESIDENTE. La ringrazio molto, senatore Guerritore; ha
fornito elementi di grande utilità per la formulazione del
testo definitivo.
   Desidero precisare che nella relazione sono indicati
entrambi i nomi dei commissari straordinari di Napoli.
   Era stata avanzata la richiesta - che tuttavia non
possiamo votare non essendo in numero legale - di proseguire
la discussione nella giornata di domani, non essendo previsti
altri impegni, a partire dalle 18, dopo lo svolgimento
dell'attività del gruppo di lavoro presieduto dal senatore
Butini.
  SAVERO D'AMELIO. Non possiamo rinviare alla settimana
entrante?
  PRESIDENTE. No, abbiamo fissato la giornata di venerdì;
ritengo di essere in grado per tale data di intervenire in
sede di replica, riservandomi poi di apportare, sulla base
degli interventi dei colleghi, tutte le correzioni necessarie
e di determinare insieme un termine entro cui presentare la
proposta corretta di relazione.
   Abbiamo comunque l'intera mattinata di venerdì, anche se
sarebbe meglio utilizzare il tempo a disposizione domani.
Poiché tuttavia in questo momento non siamo in grado di
determinare questa possibilità, mi riservo di avvertire
eventualmente tutti i colleghi; in mancanza di ogni avviso,
resta inteso che la prossima seduta avrà luogo venerdì mattina
alle 9,30.
La seduta termina alle 17,25.

 


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