Diritto all'ozio


UN'AVVENTURA QUALSIASI

 

Non saprei dirvi se la fama di irresistibile dongiovanni, che il barone don Giovanni Zuse riuscì a guadagnarsi, fosse soltanto frutto delle sue millanterie o se avesse invece qualche fondamento. Certo è che i poeti ci costruirono attorno mille e più favole e, siccome il nome del loro eroe gli parve un po' prosaico, con una trasposizione di lettere, lo chiamarono Zeus.

E così lo chiameremo anche noi, poiché così ormai vuole la tradizione.

Quel porco d'un barone si vantava di aver avuto a che fare con tutte le dame della migliore aristocrazia della città e, quando passeggiava con gli amici per il corso principale, si pavoneggiava additando or l'una or l'altra conquista, che passavano in carrozza a fianco dei loro pretesi-cornuti mariti.

Ora pare - pare, perché sono passati così tanti anni, che chi può dire ciò che è vero e ciò che non è vero? - pare che Zeus, da sposato, ne abbia combinato davvero di cotte e di crude, ma finché fu scapolo e fidanzato a donna Agata Giunone dei duchi di Pisano, le conquiste, di cui si riempiva la bocca, erano più o meno frottole.

A questo primo periodo appartiene la faccenda di Io (abbreviazione di Iolanda). Ora questa storia a me l'han raccontata così e, con buona grazia di Ovidio, così ve la racconto.

Sapete come sono i poeti, per fare le cose più poetiche, dicono: «inque nitentem Inachidos vultus mutaverat ille iuvencam». Insomma, per fare la cosa più pulita, dicono che Io o Iolanda fu trasformata in vacca. Ma quella vacca lo era. Ci siamo capiti, no? A farla breve, Zeus, (questo gran donnaiolo, stando a quello che diceva lui), le conquiste le andava a fare in posti che è meglio non nominare.

Zeus riempì la testa di chiacchiere a Iolanda e questa accondiscese a divenire sua amica esclusiva. Giunta nella sua garçonnièere si mise a sfogliare un album di fotografie. E faceva la spiritosa. Zeus, impaziente ormai, ma anche un po' divertito, sorrideva accondiscendendo.

Il ritratto di una bellissima fanciulla colpì Io. Voleva chiedergli chi fosse, ma il suo intuito femminile le fece comprendere che si trattava della fidanzata. Dall'espressione del volto di Zeus la ragazza capì che egli temeva la domanda; era quindi inutile farla.

Ecco - pensava Io - qualcuno poteva, a differenza di lei, vivere ancora nella casa paterna, veder trascorrere i giorni in quella dolce quiete e attendere e amare attendendo. Le lunghe giornate piene di calma e di sorriso. I lunghi pomeriggi silenziosi, in cui le note di musiche lontane invitano al sonno. Lunghe sere trascorse scrivendo alla persona amata o sfogliando un romanzo. Dunque tutto ciò, che lei credeva di aver dimenticato con un sorriso di superiorità e di disprezzo, poteva ancora esercitare tanto fascino su lei? Ma perché guardare a quelle cose? Non le appartenevano più. Eppure... tornare, rivivere, rinnovarsi... Non era forse venuta in quel luogo con queste speranze? Non erano queste le parole da lui pronunziate la sera prima?

(All'animaccia sua, che incosciente, però, quel barone!)

Perché - si chiedeva ancora Iolanda - quel piccolo avvenimento aveva avuto il misterioso potere di spegnere quei sogni, di strapparla da quella illusione, che le aveva illuminato tutto un giorno.

Io rimise il ritratto (formato «Gabinetto») al suo posto. Un senso di tristezza si sprigionò dai suoi occhi. Volle celarlo sotto la sua maschera di indifferenza, ma non ci riuscì. Distrattamente accondiscese a sedersi sul letto.

Essa era mille miglia lontana da Zeus (per giustificare questa lontananza, quegli impostori dei poeti come la raccontarono la cosa? che, punta da un tafano, cioè dai suoi brucianti ricordi, la povera vaccherella era andata a finire in Egitto), i suoi pensieri seguivano vie strane, si perdevano in riflessioni nebulose, in ricordi vaghi come sogni.

La sua casa perduta... la sua vita! E' sera. La pioggia cade dirotta e vela col suo suono quello dei tasti del piano. Lei si alza, si avvicina alla finestra. Il cielo è grigio, uguale... Quel colore, il colore di una vita: grigio, uguale, monotono. Nessun amore ne aveva variato il tono. Dalla monotonia di prima era precipitata nel grigiore nauseabondo della vita di adesso, ma senza un'amara disavventura che ne segnasse il trapasso, senza la triste storia di tante, che il destino le aveva invece negato.

In un nebbioso mattino era scesa in città. Pioggia, foschia. un primo uomo... chi era? non ricordava più. Un altro... un altro. Uno strano torpore legava le membra di Io. Si scosse. Guardò Zeus. Le giaceva accanto: il suo corpo si scostava lentamente da lei. Lo guardò con tenerezza mista a un vago senso di rancore: anche lui, come gli altri!

Eppure, forse anche lui credeva, il giorno prima, alle proprie parole: ricostruire una vita, ridarle valore... un'illusione! Ma un'illusione troppo bella, che valeva la pena di essere vissuta, per un giorno almeno.

Per lei un ritratto aveva posto fine all'illusione, per Zeus si chiudeva forse adesso, mentre sentiva morire il fascino del loro incontro nella meschinità di un'avventura qualsiasi.