Stemma Galileo Galilei
Intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono

Quinta pagina

Forse tal problema (per mio creder favoloso), letto dal Sig. Buonamico in altro autore, dal quale per avventura fu attribuito per proprietà singolare a qualche acqua particolare, viene ora usato con doppio errore in confutare Archimede; poiché egli non dice tal cosa, né da chi la disse fu asserita dell'acqua del comune elemento.

Era la terza difficultà nella dottrina d'Archimede il non si poter render ragione, onde avvenga che un legno e un vaso pur di legno, che per altro galleggia, vada al fondo se si riempierà d'acqua. Ha creduto il signor Buonamico, che un vaso di legno, e di legno che per sua natura stia a galla, vada poi al fondo come prima e' s'empia d'acqua; di che egli nel capitolo seguente, che è il 30 del quinto libro, copiosamente discorre: ma io, parlando sempre senza diminuzione della sua singolar dottrina, ardirò, per difesa d'Archimede, di negargli tale esperienza, essendo certo che un legno il quale, per sua natura, non va al fondo nell'acqua, non v'andrà altresì incavato e ridotto in figura di qual si voglia vaso, e poi empiuto d'acqua. E chi vorrà vederne prontamente l'esperienza in qualche altra materia trattabile e che agevolmente si riduca in ogni figura, potrà pigliar della cera pura e, facendone prima una palla o altra figura solida, aggiugnervi tanto di piombo che a pena la conduca al fondo, sì che un grano di manco non bastasse per farla sommergere; perché, facendola poi in forma d'un vaso, e empiendolo d'acqua, troverrà che senza il medesimo piombo non andrà in fondo, e che col medesimo piombo discenderà con molta tardità, ed, in somma, s'accerterà che l'acqua contenuta non gli apporta alterazione alcuna. Io non dico già che non si possano, di legno che per sua natura galleggi, far barche, le quali poi, piene d'acqua, si sommergano; ma ciò non avverrà per gravezza che gli sia accresciuta dall'acqua, ma sì bene da' chiodi e altri ferramenti, sì che non più s'avrà un corpo men grave dell'acqua, ma un composto di ferro e di legno, più ponderoso d'altrettanta mole d'acqua. Cessi per tanto il Sig. Buonamico di voler render ragioni d'un effetto che non è: anzi, se l'andare al fondo il vaso di legno, quando sia ripien d'acqua, poteva render dubbia la dottrina d'Archimede, secondo la quale egli non vi dovrebbe andare, e all'incontro quadra e si confonda con la dottrina peripatetica, poiché ella accomodatamente assegna ragione che tal vaso debbe, quando sia pieno d'acqua, sommergersi; convertendo il discorso all'opposito, potremo con sicurezza dire, la dottrina d'Archimede esser vera, poiché acconciamente ella s'adatta alle esperienze vere, e dubbia l'altra, le cui deduzioni s'accomodano a false conclusioni. Quanto poi all'altro punto accennato in questa medesima instanza, dove pare che il Buonamico intenda il medesimo non solamente d'un legno figurato in forma di vaso ma anche d'un legno massiccio, che ripieno, cioè, come io credo che egli voglia dire, inzuppato e pregno d'acqua, vada finalmente al fondo; ciò accade d'alcuni legni porosi, li quali, mentre hanno le porosità ripiene d'aria o d'altra materia men grave dell'acqua, sono moli in ispecie manco gravi di essa acqua, sì come è quella boccia di vetro mentre è piena d'aria; ma quando, partendosi tal materia leggiera, succede nelle dette porosità e cavernosità l'acqua, può benissimo essere che allora tal composto resti più grave dell'acqua, nel modo che, partendosi l'aria dalla boccia di vetro e succedendovi l'acqua, ne risulta un composto d'acqua e di vetro, più grave d'altrettanta mole d'acqua; ma l'eccesso della sua gravità è nella materia del vetro, e non nell'acqua, la quale non è più grave di sé stessa: così quel che resta del legno, partendosi l'aria dalle sue concavità, se sarà più grave in ispecie dell'acqua, ripiene che saranno le sue porosità d'acqua, s'avrà un composto d'acqua e di legno, più grave dell'acqua, ma non in virtù dell'acqua ricevuta nelle porosità, ma di quella materia del legno che resta, partita che sia l'aria; e reso tale, andrà, conforme alla dottrina d'Archimede, al fondo, sì come prima, secondo la medesima dottrina, galleggiava.

A quello finalmente che viene opposto nel quarto luogo, cioè che già sieno stati da Aristotile confutati gli antichi, i quali, negando la leggerezza positiva e assoluta e stimando veramente tutti i corpi esser gravi, dicevano, quello che si muove in su essere spinto dall'ambiente, e per tanto che anche la dottrina d'Archimede, come a tale opinione aderente, resti convinta e confutata; rispondo, primieramente, parermi che 'l Sig. Buonamico imponga ad Archimede e deduca dal suo detto più di quello ch'egli ha proposto e che dalle sue proposizioni si può dedurre: avvegnaché Archimede né neghi né ammetta la leggerezza positiva, né pur ne tratti, onde molto meno si debbe inferire ch'egli abbia negato che ella possa esser cagione e principio del moto all'insù del fuoco o d'altri corpi leggieri; ma solamente, avendo dimostrato come i corpi solidi più gravi dell'acqua discendano in essa secondo l'eccesso della gravità loro sopra la gravità di quella, dimostra parimente come i men gravi ascendano nella medesima acqua secondo l'eccesso della gravità di essa sopra la gravità loro; onde il più che si possa raccorre dalle dimostrazion d'Archimede è che, sì come l'eccesso della gravità del mobile sopra la gravità dell'acqua è cagion del suo discendere in essa, così l'eccesso della gravità dell'acqua sopra quella del mobile è bastante a fare che egli non discenda, anzi venga a galla, non ricercando se del muoversi all'in su sia o non sia altra cagion contraria alla gravità. Né discorre meno acconciamente Archimede d'alcuno che dicesse: Se il vento australe ferirà la barca con maggiore impeto che non è la violenza con la quale il corso del fiume la traporta verso mezzogiorno, sarà il movimento di quella verso tramontana; ma se l'impeto dell'acqua prevarrà a quello del vento, il moto suo sarà verso mezzogiorno. Il discorso è ottimo, e immeritamente sarebbe ripreso da chi gli opponesse dicendo: Tu malamente adduci, per cagion del movimento della barca verso mezzogiorno, l'impeto del corso dell'acqua, eccedente la forza del vento australe; malamente, dico, perché c'è la forza del vento borea, contrario all'austro, potente a spinger la barca verso mezogiorno. Tale obbiezione sarebbe superflua: perché quello che adduce, per cagion del moto, il corso dell'acqua, non nega che il vento contrario all'ostro possa far lo stesso effetto, ma solamente afferma che, prevalendo l'impeto dell'acqua alla forza d'austro, la barca si moverà verso mezogiorno; e dice cosa vera. E così appunto, quando Archimede dice che, prevalendo la gravità dell'acqua a quella per la quale il mobile va a basso, tal mobile vien sollevato dal fondo alla superficie, induce cagion verissima di tale accidente, né afferma o nega che sia o non sia una virtù contraria alla gravità, detta da alcuni leggerezza, potente ella ancora a muovere alcuni corpi all'insù.

Sieno dunque indirizzate l'armi del Sig. Buonamico contra Platone e altri antichi, li quali, negando totalmente la levità e ponendo tutti li corpi esser gravi, dicevano il movimento all'insù esser fatto non da principio intrinseco del mobile, ma solamente dallo scacciamento del mezo; e resti Archimede con la sua dottrina illeso, poi che egli non dà cagion d'essere impugnato. Ma quando questa scusa addotta in difesa d'Archimede paresse ad alcuno scarsa per liberarlo dalle obbiezioni e argomenti fatti da Aristotile contro a Platone e agli altri antichi, come che i medesimi militassero ancora contro ad Archimede adducente lo scacciamento dell'acqua come cagione del tornare a galla i solidi men gravi di lei, io non diffiderei di poter sostener per verissima la sentenza di Platone e di quegli altri, li quali negano assolutamente la leggerezza, e affermano ne' corpi elementari non essere altro principio intrinseco di movimento se non verso il centro della terra, né essere altra cagione del movimento all'insù (intendendo di quello che ha sembianza di moto naturale) fuori che lo scacciamento del mezo fluido ed eccedente la gravità del mobile; e alle ragioni in contrario d'Aristotile credo che si possa pienamente soddisfare, e mi sforzerei di farlo, quando fusse totalmente necessario nella presente materia, o non fusse troppo lunga digressione in questo breve trattato. Dirò solamente che, se in alcuno de' nostri corpi elementari fosse principio intrinseco e inclinazion naturale di fuggire il centro della terra e muoversi verso il concavo della Luna, tali corpi senza dubbio più velocemente ascenderebbono per que' mezi che meno contrastano alla velocità del mobile; e questi sono i più tenui e sottili, quale è, per esempio, l'aria in comparazion dell'acqua, provando noi tutto 'l giorno che molto più speditamente moviamo con velocità una mano o una tavola trasversalmente in quella che in questa: tutta via non si troverrà mai corpo alcuno il quale non ascenda molto più velocemente nell'acqua che nell'aria; anzi, de' corpi che noi veggiamo continuamente ascendere con velocità nell'acqua, niuno è che, pervenuto a' confin dell'aria, non perda totalmente il moto; insino all'aria stessa, la quale, sormontando velocemente per l'acqua, giunta che è alla sua regione lascia ogn'impeto e lentamente con l'altra si confonde. E avvegnaché l'esperienza ci mostri che i corpi di mano in mano men gravi più velocemente ascendon nell'acqua, non si potrà dubitare che l'esalazioni ignee più velocemente ascendano per l'acqua che non fa l'aria: la quale aria si vede per esperienza ascender più velocemente per l'acqua, che l'esalazioni ignee per l'aria: adunque di necessità si conclude, che le medesime esalazioni assai più velocemente ascendano per l'acqua che per l'aria, e che, in conseguenza, elle sieno mosse dal discacciamento del mezo ambiente, e non da principio intrinseco, che sia in loro, di fuggire il centro al qual tendono gli altri corpi gravi.

A quello che per ultima conclusione produce il Sig. Buonamico, di voler ridurre il discendere o no all'agevole e alla difficil division del mezo e al dominio de gli elementi, rispondo, quanto alla prima parte, ciò non potere in modo alcuno aver ragion di causa, avvenga che in niuno de' mezzi fluidi, come l'aria, l'acqua e altri umidi, sia resistenza alcuna alla divisione, ma tutti da ogni minima forza son divisi e penetrati, come di sotto dimostrerò; sì che di tale resistenza alla divisione non può essere azione alcuna, poi che ella stessa non è. Quanto all'altra parte, dico che tanto è 'l considerar ne' mobili il predominio degli elementi, quanto l'ecceso o 'l mancamento di gravità in relazione al mezo, perché 'n tale azione gli elementi non operano se non in quanto gravi o leggieri; e però tanto è 'l dire, che il legno dell'abeto non va al fondo perché è a predominio aereo, quant'è 'l dire perché è men grave dell'acqua: anzi, pur la cagione immediata è l'esser men grave dell'acqua, e l'essere a predominio aereo è cagion della minor gravità; però chi adduce per cagione il predominio dell'elemento, apporta la causa della causa, e non la causa prossima e immediata. Or chi non sa che la vera causa è la immediata, e non la mediata? In oltre, quello che allega la gravità, apporta una causa notissima al senso, perché molto agevolmente potremo accertarci se l'ebano, per esemplo, e l'abeto son più o men gravi dell'acqua: ma s'ei sieno terrei o aerei a predominio, chi ce lo manifesterà? certo niun'altra esperienza meglio, che 'l vedere se e' galleggiano o vanno al fondo. Tal che, chi non sa che il tal solido galleggia se non quand'e' sappia ch'egli è a predominio aereo, non sa ch'e' galleggi se non quando lo vede galleggiare: perché, allora sa ch'e' galleggia, quand'e' sa ch'egli è aereo a predominio; ma non sa ch'e' sia aereo a predominio, se non quando e' lo vede galleggiare; adunque, e' non sa ch'e' galleggi, se non dopo l'averlo veduto stare a galla.

Non disprezziam dunque quei civanzi, pur troppo tenui, che il discorso, dopo qualche contemplazione, apporta alla nostra intelligenza; e accettiamo da Archimede il sapere, che allora qualunque corpo solido andrà al fondo nell'acqua, quand'egli sarà in ispecie più grave di quella, e che s'ei sarà men grave, di necessità galleggerà, e che indifferentemente resterebbe in ogni luogo dentro all'acqua, se la gravità sua fusse totalmente simile a quella dell'acqua.

Esplicate e stabilite queste cose, io vengo a considerare ciò che abbia, circa questi movimenti e quiete, che far la diversità di figura data ad esso mobile; e torno ad affermare:

Che la diversità di figura data a questo e a quel solido non può esser cagione in modo alcuno dell'andare egli, o non andare, assolutamente al fondo o a galla; sì che un solido che figurato, per esemplo, di figura sferica va al fondo, o viene a galla, nell'acqua, dico che, figurato di qualunque altra figura, il medesimo nella medesima acqua andrà o tornerà dal fondo, né gli potrà tal suo moto dall'ampiezza o da altra mutazion di figura esser vietato e tolto.

Può ben l'ampiezza della figura ritardar la velocità, tanto della scesa, quanto della salita, e più e più secondo che tal figura si ridurrà a maggior larghezza e sottigliezza: ma ch'ella possa ridursi a tale, ch'ella totalmente vieti il più muoversi quella stessa materia nella medesima acqua, ciò stimo essere impossibile. In questo ho trovato gran contradittori, li quali, producendo alcune esperienze, e in particolare una sottile assicella d'ebano e una palla del medesimo legno, e mostrando come la palla nell'acqua discendeva al fondo, e l'assicella, posata leggiermente su l'acqua, non si sommergeva ma si fermava, hanno stimato, e con l'autorità d'Aristotile confermatisi nella credenza loro, che di tal quiete ne sia veramente cagione la larghezza della figura, inabile, per lo suo poco peso, a fendere e penetrar la resistenza della crassizie dell'acqua; la qual resistenza prontamente vien superata dall'altra figura rotonda.

Questo è il punto principale della presente quistione; nel quale m'ingegnerò di far manifesto d'essermi appreso alla parte vera.

Però, cominciando a tentar d'investigare con l'esame d'esquisita esperienza come veramente la figura non altera punto l'andare o 'l non andare al fondo i medesimi solidi, e avendo già dimostrato come la maggiore o minor gravità del solido, in relazione alla gravità del mezo, è cagione del discendere o ascendere; qualunque volta noi vogliamo far prova di ciò che operi circa questo effetto la diversità della figura, sarà necessario far l'esperienza con materie nelle quali la varietà delle gravezze non abbia luogo, perché, servendoci di materie che tra di lor possano esser di varie gravità in ispecie, sempre resteremo con ragione ambigui, incontrando varietà nell'effetto del discendere o ascendere, se tal diversità derivi veramente dalla sol figura, o pur dalla diversa gravità ancora. A ciò troveremo rimedio col prendere una sola materia, la qual sia trattabile, e atta a ridursi agevolmente in ogni sorta di figura. In oltre sarà ottimo espediente prendere una sorta di materia similissima in gravità all'acqua, perché tal materia, in quanto appartiene alla gravità, è indifferente al discendere e all'ascendere; onde speditissimamente si conoscerà qualunque piccola diversità potesse derivar dalla mutazione delle figure.

Ora, per ciò fare, attissima è la cera, la quale, oltr'al non ricever sensibile alterazione dallo 'mpregnarsi d'acqua, è trattabile, e agevolissimamente il medesimo pezzo si riduce in ogni figura; ed essendo in ispecie pochissimo manco grave dell'acqua, col mescolarvi dentro un poco di limatura di piombo si riduce in gravità similissima a quella.

Preparata una tal materia, e fattone, per esemplo, una palla grande quanto una melarancia, o più, e fattala tanto grave ch'ella stia al fondo, ma così leggiermente che, detrattole un solo grano di piombo, venga a galla, e aggiuntolo torni al fondo; riducasi poi la medesima cera in una sottilissima e larghissima falda, e tornisi a far la medesima esperienza: vedrassi che ella, posta nel fondo, con quel grano di piombo resterà a basso; detratto il grano, s'eleverà sino alla superficie; aggiuntolo di nuovo, discenderà al fondo. E questo medesimo effetto accadrà sempre in tutte le sorte di figure, tanto regolari quanto irregolari, né mai se ne troverrà alcuna, la quale venga a galla se non rimosso il grano del piombo, o cali al fondo se non aggiuntovelo; e, in somma, circa l'andare o non andare al fondo non si scorgerà diversità alcuna, ma sì bene circa 'l veloce e 'l tardo, perché le figure più larghe e distese si moveranno più lentamente, tanto nel calare al fondo quanto nel sormontare, e l'altre figure più strette o raccolte, più velocemente. Ora io non so qual diversità si debba attendere dalle varie figure, se le diversissime fra di sé non operano quanto fa un piccolissimo grano di piombo, levato o posto.

Parmi di sentire alcuno degli avversari muover dubbio sopra la da me prodotta esperienza, e mettermi primieramente in considerazione che la figura, come figura semplicemente e separata dalla materia, non opera cosa alcuna, ma bisogna che ella sia congiunta con la materia, e, di più, non con ogni materia, ma con quelle solamente con le quali ella può eseguire l'operazione desiderata: in quella guisa che vedremo per esperienza esser vero, che l'angolo acuto e sottile è più atto al tagliare che l'ottuso, tuttavia però che l'uno e l'altro saranno congiunti con materia atta a tagliare, come, v. g., col ferro; perciocché un coltello di taglio acuto e sottile taglia benissimo il pane e 'l legno, il che non farà se 'l taglio sarà ottuso e grosso; ma chi volesse in cambio di ferro pigliar cera, e formarne un coltello, veramente non potrebbe, in tal materia, riconoscer quale effetto faccia il taglio acuto, e qual l'ottuso, perché né l'uno né l'altro taglierebbe, non essendo la cera, per la sua mollizie, atta a superar la durezza del legno e del pane. E però, applicando simil discorso al proposito nostro, diranno che la figura diversa mosterrà diversità d'effetti circa l'andare o non andare al fondo, ma non congiunta con qualsivoglia materia, ma solamente con quelle materie che, per loro gravità, sono atte a superare la resistenza della viscosità dell'acqua: onde chi pigliasse per materia il suvero o altro leggerissimo legno, inabile, per la sua leggerezza, a superar la resistenza della crassizie dell'acqua, e di tal materia formasse solidi di diverse figure, indarno tenterebbe di veder quello che operi la figura circa il discendere o non discendere, perché tutte resterebbero a galla; e ciò non per proprietà di questa figura o di quella, ma per la debolezza della materia, manchevole di tanta gravità quanta si ricerca per superare e vincer la densità o crassizie dell'acqua. Bisogna dunque, se noi vogliamo veder quello che operi la diversità della figura, elegger prima una materia per sua natura atta a penetrar la crassizie dell'acqua: e per tale effetto è paruta loro opportuna una materia, la qual, prontamente ridotta in figura sferica, vada al fondo; ed hanno eletto l'ebano, del quale facendo poi una piccola assicella, e sottile come è la grossezza d'una veccia, hanno fatto vedere come questa, posata sopra la superficie dell'acqua, resta senza discendere al fondo; e facendo, all'incontro, del medesimo legno una palla non minore d'una nocciuola, mostrano che questa non resta a galla, ma discende. Dalla quale esperienza pare a loro di poter francamente concludere, che la larghezza della figura nella tavoletta piana sia cagione del non discendere ella al basso, avvegnaché una palla della medesima materia, non differente dalla tavoletta in altro che nella figura, va nella medesima acqua al fondo. Il discorso e l'esperienza hanno veramente tanto del probabile e del verisimile, che maraviglia non sarebbe se molti, persuasi da una certa prima apparenza, gli prestassero il loro assenso: tuttavia io credo di potere scoprire come non mancano di fallacia.

Cominciando, adunque, ad esaminare a parte a parte quanto è stato prodotto, dico che le figure, come semplici figure, non solamente non operano nelle cose naturali, ma né anche si ritrovano dalla sustanza corporea separate, né io le ho mai proposte denudate della materia sensibile; sì come anche liberamente ammetto, che nel voler noi esaminare quali sieno le diversità degli accidenti dependenti dalla varietà delle figure, sia necessario applicarle a materie, che non impediscano l'operazioni varie di esse varie figure; e ammetto e concedo, che malamente farei quando io volessi esperimentare quello che importi l'acutezza del taglio con un coltello di cera applicandolo a tagliare una quercia, perché non è acutezza alcuna che, introdotta nella cera, tagli il legno durissimo. Ma non sarebbe già prodotta a sproposito l'esperienza d'un tal coltello per tagliare il latte rappreso o altra simil materia molto cedente: anzi, in materia simile, è più accomodata la cera, a conoscer le diversità dependenti da angoli più o meno acuti, che l'acciaio, posciaché il latte indifferentemente si taglia con un rasoio e con un coltello di taglio ottuso. Bisogna, dunque, non solo aver riguardo alla durezza, solidità o gravità de' corpi che sotto diverse figure hanno a dividere e penetrare alcune materie; ma bisogna por mente altresì alle resistenze delle materie da esser divise e penetrate. Ma perché io, nel far l'esperienza concernente alla nostra contesa, ho eletta materia la qual penetra la resistenza dell'acqua e in tutte le figure discende al fondo, non possono gli avversari appormi difetto alcuno: anzi, tanto ho io proposto modo più esquisito del loro, quanto che ho rimosse tutte l'altre cagioni dell'andare o non andare al fondo, e ritenuta la sola e pura varietà di figure, mostrando che le medesime figure tutte con la sola alterazione d'un grano di peso discendono, il qual rimosso, tornano a sormontare a galla. Non è vero, dunque (ripigliando l'esemplo da loro indotto), ch'io abbia posto di volere esperimentar l'efficacia dell'acutezza nel tagliare con materie impotenti a tagliare; anzi, con materie proporzionate al nostro bisogno, poiché non sono sottoposte ad altre varietà, che a quella sola che depende dalla figura più o meno acuta.

Ma procediamo un poco più avanti: e notisi come veramente senza veruna necessità viene introdotta la considerazione, che dicono doversi avere, intorno all'elezione della materia, la quale sia proporzionata per far la nostra esperienza; dichiarando con l'esemplo del tagliare che, sì come l'acutezza non basta a tagliare, se non quando è in materia dura e atta a superare la resistenza del legno o d'altro che di tagliare intendiamo, così l'attitudine al discendere o non discender nell'acqua si dee, e si può, solamente riconoscere in quelle materie, che son potenti a superar la renitenza dell'acqua e vincer la sua crassizie. Sopra di che io dico, esser ben necessaria la distinzione ed elezione più di questa che di quella materia in cui s'imprimano le figure per tagliare o penetrare questo e quel corpo, secondo che la solidità o durezza d'essi corpi sarà maggiore o minore: ma poi soggiungo che tal distinzione elezione e cautela sarebbe superflua ed inutile, se il corpo da esser tagliato o penetrato non avesse resistenza alcuna, né contendesse punto al taglio o alla penetrazione; e quando i coltelli dovessero adoperarsi per tagliar la nebbia o il fumo, egualmente ci servirebbono tanto di carta quanto d'acciaio damaschino. E così, per non aver l'acqua resistenza alcuna all'esser penetrata da qualunque corpo solido, ogni scelta di materia è superflua, o non necessaria; e l'elezion, ch'io dissi di sopra esser ben farsi, di materia simile in gravità all'acqua, fu non perch'ella fosse necessaria per superar la crassizie dell'acqua, ma la sua gravità, con la qual sola ella resiste alla sommersione de' corpi solidi: ché, per quel ch'aspetti alla resistenza della crassizie, se noi attentamente considereremo, troverremo come tutti i corpi solidi, tanto quei che vanno al fondo quanto quelli che galleggiano, sono indifferentemente accomodati e atti a farci venire in cognizion della verità della nostra controversia. Né mi spaventeranno dal creder tali conclusioni l'esperienze, che mi potrebbono essere opposte, di molti diversi legni, suveri, galle e, più, di sottili piastre d'ogni sorta di pietra e di metallo, pronte, per loro natural gravità, al muoversi verso il centro della terra, le quali tuttavia, impotenti, o per la figura (come stimano gli avversari), o per la leggerezza, a rompere e penetrare la continuazion delle parti dell'acqua e a distrarre la sua unione, restano a galla, né si profondano altramente: né altresì mi moverà l'autorità d'Aristotile, il quale, in più d'un luogo, afferma il contrario di questo che l'esperienza mi mostra.

Torno dunque ad affermare, che non è solido alcuno di tanta leggerezza, né di tal figura, il quale, posto sopra l'acqua, non divida e penetri la sua crassizie. Anzi, se alcuno con occhio più perspicace tornerà a riguardar più acutamente le sottili tavolette di legno, le vedrà esser con parte della grossezza loro sott'acqua, e non baciar solamente con la loro inferior superficie la superior dell'acqua, sì come è necessario che abbian creduto quelli che hanno detto che tali assicelle non si sommergono perché non sono potenti a divider la tenacità delle parti dell'acqua: e più vedrà, che le sottilissime piastre d'ebano, di pietra e di metallo, quando restano a galla, non solamente hanno rotta la continuazion dell'acqua, ma sono con tutta la lor grossezza sotto la superficie di quella, e più e più secondo che le materie saranno più gravi; sì che una sottil falda di piombo resta tanto più bassa che la superficie dell'acqua circunfusa, quanto è, per lo manco, la grossezza della medesima piastra presa dodici volte, e l'oro si profonderà sotto il livello dell'acqua quasi venti volte più che la grossezza della piastra, sì come io più da basso dichiarerò. Ma seguitiam di far manifesto, come l'acqua cede e si lascia penetrar da ogni leggerissimo solido; e insieme dimostriamo, come anche dalle materie che non si sommergono si poteva venire in cognizione che la figura non opera niente circa l'andare o non andare al fondo, avvegnaché l'acqua si lasci egualmente penetrar da ogni figura.

Facciasi un cono o una piramide, di cipresso o d'abeto o altro legno di simil gravità, o vero di cera pura, e sia l'altezza assai notabile, cioè d'un palmo o più, e mettasi nell'acqua con la base in giù: prima si vedrà che ella penetrerrà l'acqua, né punto sarà impedita dalla larghezza della base, non però andrà tutta sott'acqua, ma sopravanzerà verso la punta; dal che sarà già manifesto, che tal solido non resta d'affondarsi per impotenza di divider la continuità dell'acqua, avendola già divisa con la sua parte larga e, per opinione degli avversari, meno atta a dividere. Fermata così la piramide, notisi qual parte ne sarà sommersa; e rivoltisi poi con la punta all'ingiù, e vedrassi che ella non fenderà l'acqua più che prima: anzi, se si noterà sino a qual segno si tufferà, ogni persona esperta in geometria potrà misurare che quelle parti, che restano fuori dell'acqua, tanto nell'una quanto nell'altra esperienza sono a capello eguali; onde manifestamente potrà raccorre, che la figura acuta, che pareva attissima al fendere e penetrar l'acqua, non la fende né penetra punto più che la larga e spaziosa. E chi volesse una più agevole esperienza, faccia della medesima materia due cilindri, uno lungo e sottile, e l'altro corto ma molto largo, e pongagli nell'acqua, non distesi, ma eretti e per punta: vedrà, se con diligenza misura le parti dell'uno e dell'altro, che in ciascheduno di loro la parte sommersa a quella che resta fuori dell'acqua mantiene esquisitamente la proporzion medesima, e che niente maggior parte si sommerge di quello lungo e sottile che dell'altro più spazioso e più largo, benché questo s'appoggi sopra una superficie d'acqua molto ampia, e quello sopra una piccolissima. Adunque, la diversità di figura non apporta agevolezza o difficultà nel fendere e penetrar la continuità dell'acqua, e, in conseguenza, non può esser cagione dell'andare o non andare al fondo. Scorgerassi parimente il nulla operar della varietà di figure nel venir dal fondo dell'acqua verso la superficie, col pigliar cera e mescolarla con assai limatura di piombo, sì che divenga notabilmente più grave dell'acqua; e fattone poi una palla, e postala nel fondo dell'acqua, se le attaccherà tanto di suvero o d'altra materia leggerissima, quanto basti appunto per sollevarla e tirarla verso la superficie; perché, mutando poi la medesima cera in una falda sottile o in qualunque altra figura, il medesimo suvero la solleverà nello stesso modo a capello.

Non per questo si quietano gli avversari; ma dicono, che poco importa loro tutto il discorso fatto da me sin qui, e che a lor basta in un particolar solo, ed in che materia e sotto che figura piace loro, cioè in una assicella ed in una palla d'ebano, aver mostrato che questa, posta nell'acqua, va al fondo, e quella resta a galla; ed essendo la materia la medesima, né differendo i due corpi in altro che nella figura, affermano aver con ogni pienezza dimostrato e fatto toccar con mano quanto dovevano, e finalmente aver conseguito il loro intento. Nondimeno io credo e penso di poter dimostrare che tale esperienza non conclude cosa alcuna contro alla mia conclusione.

E, prima, è falso che la palla vada al fondo, e la tavoletta no: perché la tavoletta ancor vi va, ogni volta che si farà dell'una e dell'altra figura quel tanto che le parole della nostra quistione importano, cioè che ambedue si pongano nell'acqua.


Pagina precedente
Pagina successiva

Le parole furon tali...