Leopardi traduce Mosco
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Canto funebre di Bione bifolco amoroso

Gemete, o collinette, alto gemete,
o Doric'acque, e voi piangete, o fiumi,
l'amabile Bione: in tuon lugubre
or vi dolete, o piante; or vi sciogliete,
oscure selve, in teneri lamenti;
mesti or languite sugli steli, o fiori;
ora anemoni, e rose, or vi coprite
di luttuoso porporino ammanto.
Parla, o giacinto, e d'un ahi ahi maggiore
verga le foglie con dolenti note.
Bione il dolce, il buon cantore è spento.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Rosignuoletti, che tra dense frasche
sfogate il duol cantando, or d'Aretusa
alle sicule fonti a dir volate:
morto è Bione, il buon bifolco, e seco
e la Dorica musa, e il canto è morto.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
E voi Strimonii cigni in riva all'acque
fate udir gorgheggiando un suon gemente,
simile a quel, che il buon cantor con labbra
pari alle vostre modulava un giorno.
Dite all'Eagrie, e alle Bistonie donne:
Bione è morto, il Doriese Orfeo.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Quel sì caro agli armenti or più non vive.
Sotto romita quercia in cheta valle
tranquillamente assiso, ei più non canta.
Ma nel regno di Pluto or tristamente
ripete la funesta aria di Lete.
Tacciono i poggi, e intorno al bue piangendo
aggirasi la vacca, e i paschi obblia.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Apollo istesso il tuo sì presto fato
pianse, o Bione, e piansero i Priapi
avvolti in negre vesti, e i Fauni anch'essi.
Sospirano il tuo canto i Pani agresti,
e le Naiadi belle in triste selve
versan per tua cagion fiumi di pianto.
Muta nelle caverne Eco si duole,
che di tua voce il dolce suon tra' sassi
più non imita. Al tuo spirare i pomi
gittaro a terra gli arbori, e languìro
pallidi i fior nei prati. Il dolce latte
più non dieder le agnelle, e più non corse
dagli alveari il mel, che nella cera
egro annegossi; e già che vale adesso
che il tuo mancò, gir d'altro mele in cerca?
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Tanto non pianse mai delfin sul lido,
né rosignuol cantò sopra gli scogli,
né rondine stridé sugli alti monti,
né pel duolo d'Alcion pianse Ceìce.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Né Cerilo cantò sull'onde azzurre,
né alle regioni del mattin volato,
presso alla tomba del figliuol d'Aurora
così lagnossi di Mennon l'augello.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Gli usignoli, e le meste rondinelle,
cui dilettò colla sua voce un giorno
il buon bifolco, e a favellare istrusse,
destàr sui verdi rami un pianto alterno;
rispondean gli altri augelli, e voi pur anche
allor piangeste, tenere colombe.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Chi suonerà la tua siringa, o caro
sospirato pastore? e alle tue canne
chi fia che il labbro appressi mai? Chi tanto
osar vorrà? Spira su d'esse ancora
il fiato di tua bocca, e de' tuoi canti
Eco tuttor si pasce infra le canne.
La tua siringa io reco a Pane. Ei stesso
forse paventerà di porvi il labbro,
restar temerà forse a te secondo.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Piange ancor Galatea, che un dì sedendo
da te non lunge in riva al mar tranquillo,
il suono udia della tua voce, e oh quanto
ne avea diletto! ché diverso assai
del gracchiar del Ciclope era il tuo canto.
Quel con pauroso pié fuggia la bella,
ma dolce a te volgeva dal mare il guardo.
Or l'onde più non cura, e siede afflitta
sulle romite arene, e i bovi tuoi
gemendo a pascolar mena pur anco.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Pastor diletto, delle Muse i doni
tutti perìr con te, delle fanciulle
i cari baci, e le vezzose labbra
dei garzoncelli. Intorno alla tua tomba
piangon gli amori insiem raccolti; e t'ama
Ciprigna istessa molto più del bacio
che diè piangendo al moribondo Adone.
Questo è per te, Meleto, un nuovo affanno,
o de' fiumi il più dolce. Omero in prima
la morte ti rapì, quella soave
di Calliope canora amabil bocca.
Fama è che allor con lacrimosi flutti
il tuo fligliol piangessi, e di tue voci
empiessi il mare. Un altro figlio or piangi,
e dolente per lui ti struggi in lutto.
Ambo fur cari all'acque, ad Ippocrene
l'un bevve, e l'altro di Aretusa al fonte.
Quegli cantò di Tindaro la figlia,
Elena bella, e Menelao l'Atride,
e il gran figlio di Teti Achille il forte.
Questo non guerra e duol, ma in umil tuono
cantò sol Pane, e in un munse le vacche,
menò gli armenti al pasco, ordì sampogne,
vantò de' giovinetti i dolci baci,
amore in sen nutrì, piacque a Ciprigna.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Ogni cittade illustre, ogni castello
per te, Bion, si duole; Ascra ti piange
ben più ch' Esiodo suo. Pindaro istesso,
il divin vate, le beozie selve
non piansero così. D'Alceo la morte
Lesbo munita a tanto duol non mosse,
né Teo pel suo cantor provò tal pena.
Te Paro più d'Archiloco sospira,
e Mitilene afflitta i versi tuoi
canta piangendo, e quei di Saffo obblia.
Ogni pastor, che più facondo ha il labbro
in lamentoso tuon canta il tuo fato.
Sicelida l'onor piange di Samo,
e quel sì gaio tra' Cidoni un giorno,
Licida il bello dai ridenti lumi,
or si discioglie in lagrime; e Fileta
fra i Triopici suoi si duole in riva
al fuggevole Alente, e in Siracusa
Teocrito si duole, ed io pur anco
per te, caro, mi dolgo, e or vo cantando
un mesto Ausonio carme, io non ignaro
del metro pastoral, che a me mostrasti
e a' discepoli tuoi, cui festi eredi
del Doriese canto. Ad altri i beni
morendo in don lasciasti, a me la musa.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Ahi tristi noi! poi che morìr negli orti,
le malve, o l'appio verde, o il crespo aneto,
rivivono, e rinascono un altr'anno.
Ma noi ben grandi, e forti uomini, e saggi
dormiam poiché siam morti, in cava fossa
lunghissimo, infinito, eterno sonno,
e con noi tace la memoria nostra.
Or tu sotterra in tenebroso loco
sempre muto starai. Pure alla rana
donàr le ninfe interminabil canto.
Non la invidio però, che ha rozza voce.
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Alla bocca, o Bione, un rio veleno
ti venne, e tu il provasti, e come mai
le tue labbra toccò, né si fe' dolce?
Chi mai sì crudo e sì nemico ai carmi
mescé con fiera man l'atra bevanda,
o per te prepararla ad altri impose?
Sicule Muse, incominciate il pianto.
Ma tutti n'han pena, ed io frattanto
e la tua morte or piango, e l'altrui danno.
Se come Orfeo potessi, o come Ulisse,
o come Alcide, scendere in Averno,
anch'io forse verrei di Pluto al regno
per veder se tu canti a Dite ancora,
e per udir che canti. Or fa che t'oda
Proserpina cantar soavemente
in boschereccio tuon siculi carmi,
ella, che temprò già doriche note
e nei siculi lidi e negli etnei.
Forse avrà premio il tuo cantare, e forse
lei, che menarsi Euridice concesse
al suonator della Treicia lira,
te pur rimanderà sui nostri monti.
Ché, se potessi, alla magion di Pluto
a suonar la sampogna anch'io verrei.

L'alfeo ed Aretusa

Poiché già dietro vistosi
di Pisa il suolo ameno,
l'Alfeo scorrendo turgido,
entrò del mare in seno;
e fiori, e sacra polvere
in don recando, e fronde,
trova Aretusa, e mescola
con Aretusa l'onde.
Poi d'alte grotte concave
cheto bagnando il piede,
passa; né il grande Oceano
del suo passar si avvede.
Così, perito artefice,
fa degli amanti il nume
che per amore, impavido
nuoti nel mare un fiume.

Amore Arante

Amore un dì la fiaccola
deposta, e i dardi suoi,
un zaino tolse, e un pungolo,
al giogo avvinse i buoi.
Menò pel campo il vomere,
e il gran copioso e folto
sparse sul solco fertile:
poi disse al ciel rivolto:
"O Giove, or tu propizio
seconda il mio lavoro,
o per arar qui tornoti,
qual per Europa, in toro

Gli amanti odiati

Pane amava Eco vicina,
Eco Fauno saltellante,
Fauno Lida, e il proprio amante
era in odio a ognun di lor.
Quanto Pan per Eco ardea,
tanto l'altro ognuno amava,
tanto ognun l'amante odiava,
pari all'odio era l'amor.
Apprendete, alme ritrose!
Se chi v'ama non amate,
fia che quando amor cerchiate,
v'odii, e fuggavi ogni cor.

Canti, a cura di C.Muscetta e G. Savoca, Einaudi, 1975.

 

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